L’indizio e la prova: nuova luce sulla leggenda petrina di Bevagna

di Nicola Morrone

In uno dei nostri articoli più recenti ci siamo occupati di verificare se la nota leggenda del passaggio di San Pietro Apostolo per le nostre contrade, che la tradizione colloca intorno al 44 d.C., presentasse qualche elemento di verosimiglianza. Abbiamo pubblicato i risultati dell’indagine, conclusa nel 2015, su questo stesso sito.

Nel nostro studio sul narrato leggendario (che è riportato nel manoscritto di P. Domenico Saracino o.p.)[1], abbiamo integrato il quadro storico di riferimento con elementi di ordine archeologico, onomastico e toponomastico, concludendo che la leggenda dello sbarco di San Pietro a Bevagna, e della conversione al cristianesimo di Fellone, signore di Felline, poteva essere verosimile.

Il villaggio rurale di Felline e’ infatti storicamente esistito; Fellone, con ogni probabilità uno schiavo (o forse un liberto) gestiva il fundus di Felline e probabilmente l’industria fittile (figlina) e la fattoria (villa rustica) ad esso collegata, per conto del padrone; l’Apostolo fece con ogni probabilità naufragio nei pressi della rada di Bevagna, che conserva ancora tracce materiali di antichi naufragi. In attesa che l’area in cui sorge il Santuario di Bevagna sia oggetto di scavi archeologici che possano fare luce sul mito di fondazione petrino, offriamo in questa sede al lettore qualche ulteriore spunto di riflessione sul tema.

Anfora brindisina (Giancola)

Felline

La leggenda riportata dal Saracino colloca i fatti nel I sec.d.C. .Non si hanno molte notizie circa la configurazione del territorio di Manduria nell’epoca di riferimento .Le ricerche archeologiche di superficie permettono comunque di ipotizzare, con buon fondamento, l’esistenza di una “costellazione” di villae rustiche (fattorie) sorte intorno all’oppidum di Manduria, in un momento storico particolarmente favorevole, conseguente alla pax augustea. Si segnalano evidenze materiali nelle contrade Santa Maria di Bagnolo, Terragna, Scorcora, ecc.[2]

Tali villae erano inserite all’interno di fundi più o meno vasti, gestiti dai dipendenti dei padroni, tutti di condizione servile, e la gran parte di origine grecanica. I proprietari terrieri risiedevano per lo più a Brindisi, Taranto, o in centri cittadini minori. Talora , all’interno del fundus era collocata una figlina , cioè un’industria fittile (per la produzione di anfore, tegole, ecc) che in provincia si articolava su modelli organizzativi piuttosto semplici.

Oltre che sull’industria figula, l’economia delle villae rustiche del nostro territorio si basava essenzialmente sul pascolo, l’allevamento e la produzione cerealicola, vinicola e olearia[3]. Il villaggio rurale di Felline, sorto alla base della collinetta de Li Castelli, si configurò verosimilmente come un piccolo centro in cui dovette essere attiva una figlina, che al centro diede il nome e che si ricollegava, attraverso antichi tratturi, alla rete commerciale marittima. I principali scali per il traffico delle merci nel territorio di riferimento erano le rade di Punta Presuti (ancor oggi ricca di reperti fittili), Torre Columena e San Pietro in Bevagna. La tradizione ci ha consegnato perfino il nome del conduttore del fundus di Felline: si tratta di Fellone, l’uomo convertito da San Pietro.

Fellone

Nell’economia del discorso finora sviluppato, si può agevolmente inserire appunto la figura di Fellone, conduttore del fundus di Felline, che può essere storicamente esistito. Abbiamo verificato, alla luce delle più recenti ricerche epigrafiche, se il suo nome compare tra quelli documentati nel Salento in età romana. Nei cataloghi, redatti da C.Marangio e aggiornati a tutto il 2008, compaiono in effetti alcuni nomi che potrebbero essere ricondotti al nostro personaggio.

Nello studio pubblicato nel 2015 abbiamo ipotizzato, su base onomastica, che Fellone potesse avere qualche relazione con la gens dei Philonii, documentata a Brindisi in età repubblicana. Nella stessa città è attestata l’esistenza di tal Philonicus Appullei, conduttore di una figlina

In un’epigrafe rinvenuta a Latiano è documentata la presenza di tal Philonius. Potrebbe forse esserci qualche relazione tra il personaggio della leggenda petrina e tal Philogene, conduttore di una figlina di cui resta testimonianza in un bollo anforario rinvenuto ad Oria [4].

Alcune anfore greco-italiche recano pure il nome di tal φιλων, altro schiavo impegnato in una figlina. Il nome in oggetto sembra comunque avere , alla stregua di buona parte di quelli dei servi conduttori di fundi romani del Salento, origini greche, o grecaniche.

I ricchi proprietari romani, dopo la conquista del Salento, si appoggiarono infatti a manodopera servile locale, presente in abbondanza nei territori annessi[5].

Bollo Philonicus
Bollo Philonicus

 

Lo sbarco di San Pietro a Bevagna

La leggenda riportata dal Saracino vuole che San Pietro, proveniente dalla Palestina, sia sbarcato fortunosamente sul lido di Bevagna intorno al 44 d.C., incontrandovi Fellone, guarendolo dalla lebbra e convertendolo al cristianesimo. La tradizione ritiene che nell’area in cui sorge il santuario l’Apostolo abbia celebrato la messa, cristianizzando forse un antico luogo di culto pagano. Il Lopiccoli era certo che la parte più antica del santuario (il cosiddetto sacello) sorgesse su un’ area sepolcrale pagana, poi cristianizzata da San Pietro. Tale congettura non è del tutto priva di fondamento, come dimostrato dall’Errico, il quale, ai primi del ‘900, ebbe modo di osservare i resti di un’epigrafe funeraria inglobata sul fronte occidentale del sacello, recante le lettere D.M.VIX, cioè “Diis Manibus vixit[6].

L’epigrafe è oggi scomparsa. Essa comunque proverebbe la presenza di un sepolcro pagano nella zona in cui sorge attualmente il santuario petrino. Si tratta forse della sepoltura del servo conduttore del vicino fundus di Felline (o di un suo discendente) da ricollegare al passaggio dell’Apostolo?

L’ipotesi è suggestiva, e andrebbe verificata con saggi di scavo, estesi all’area adiacente alla chiesa-torre. A questo proposito, ricordiamo che non sono ancora stati pubblicati i risultati dei saggi effettuati nella stessa area, conclusi nel 2004. In ogni caso, la vicenda esposta non è del tutto isolata: presso Oria, in contrada Gallana, è stata recentemente rinvenuta un’epigrafe sepolcrale romana, inglobata nel muro di una chiesa campestre. L’epigrafe è pertinente alla gens Gerellana , proprietaria del fundus,che avrebbe dato il nome alla contrada e alla chiesa.

Conclusioni

Con queste brevi note terminano, per il momento, le nostre ricerche sulla leggenda petrina di Bevagna, durate un decennio e fondate sulla consultazione di pressochè tutte le fonti bibliografiche relative alla tradizione petrina regionale.

Le nostre congetture, che, come già detto, integrano il quadro storico con elementi di toponomastica, onomastica e archeologia, vanno naturalmente verificate in concreto. Il nostro auspicio è che nelle aree segnalate (Felline, Bevagna) si effettuino al più presto ulteriori saggi di scavo, che possano sostenere, o eventualmente confutare, la ricostruzione proposta.

 

[1] Cfr. D.Saracino o.p.,Brieve descrizione dell’Antica città di Manduria, oggi detta Casalnovo (1741).

[2] CfrR.Scionti-P.Tarentini, Emergenze archeologiche: Manduria-Taranto-Eraclea, (Manduria 1990), pp.286-289.

[3] Cfr. C.Marangio, Problemi storici di “Uria” Calabra in età romana, in “Archivio Storico Pugliese”, 42 (1989) pp. 113-134.

[4] Cfr. C.Santoro, Una nuova stele di Caracalla ed altre epigrafi latine inedite della Regio II Apulia et Calabria”, in “La Zagaglia”, a. XIII, n.49, p.20.

[5] Cfr. G.Susini, Fonti per la storia greca e romana del Salento (Bologna 1962), pp.19-21 e 60-61.

[6] Cfr. F.A.Errico, Cenni storici della città di Oria e del suo insigne vescovado (Napoli 1905), p. 140.

Gallipoli. Il santo, il tempio, il cavaliere

Ugo Lusignano

La storia di Ugo VII Lusignano

di Nicola Morrone

 

Tra i più significativi monumenti del territorio di Gallipoli vi è senza dubbio la chiesa di San Pietro dei Samari, ubicata nell’omonima contrada, poco distante dalla costa. Si tratta di un edificio risalente al sec. XII, attualmente di proprietà privata, e abbisognevole, invero, di un pronto intervento di restauro.

Lo abbiamo visitato nella Pasquetta scorsa, realizzando un vecchio sogno: la sua storia, documentata, è infatti di grandissimo fascino. Del monumento si è occupata di recente, con la consueta perizia, M. Stella Calò Mariani, la quale ne ha redatto una scheda pressochè esaustiva [Cfr. Gallipoli, San Pietro dei Samari. Il voto di un crociato, in “La Terrasanta e il crepuscolo della crociata” (Bari 2001), pp.44-54].

Al lettore, comunque, rammentiamo i più significativi dati relativi alla chiesa: si tratta di un edificio a navata unica absidata, coperta da due cupole in asse. Esso è stato realizzato nel 1148 dal cavaliere francese Ugo Lusignano, che ne ha finanziato la costruzione una volta sbarcato sulle coste di Gallipoli al rientro dalla (sfortunata) spedizione della seconda crociata in Terrasanta, da lui compiuta al seguito del re di Francia Luigi VII.

San Pietro dei Samari

La chiesa è ben nota ai gallipolini, ed è stata aperta al culto almeno fino al sec. XIX: per molto tempo, infatti, vi si è regolarmente celebrata la ricorrenza dei SS. Pietro e Paolo (29 giugno), in occasione della quale, nel largo antistante la cappella, si svolgeva anche una piccola fiera.

Approfondiremo, in questa sede, la figura di Ugo Lusignano, nobile francese a cui si deve la costruzione della chiesa, che con la edificazione della stessa ha voluto lasciare perenne testimonianza della sua devozione per l’Apostolo Pietro, anch’egli sbarcato, molto tempo prima, sulle coste di Gallipoli, come ricorda la tradizione.

Di Ugo VII Lusignano (1065 ca.-1151 ca.) restano scarne notizie biografiche e pochi, ma significativi documenti. Un sintetico ragguaglio biografico è contenuto nell’opera “Notices Historiques sur la Maison de Lusignan (Paris 1853), pp.14-15. Dalla lettura apprendiamo che Hugo VII, signore di Lusignan e conte della Marche, passò buona parte della sua vita a guerreggiare contro i signori vicini. Egli, citato sempre nelle carte come “il bruno”(per via del colore dei capelli) fu un individuo decisamente particolare: uomo turbolento, come altri nobili del suo tempo ebbe non di rado un atteggiamento vessatorio nei confronti dei coloni delle sue terre. Ma fu soprattutto infido nei confronti dell’autorità ecclesistica. Rispetto ad essa, egli fu benefattore, poichè fondò con il suo patrimonio l’abbazia cistercense di Bonnevaux, ma anche malfattore, poichè non esitò ad impadronirsi con la forza dei beni del priorato di San Pietro la Celle, ragion per cui fu scomunicato (1142) ,anche se poi fece ammenda (1144), finchè non decise di partire per la seconda crociata (1146). Elenchiamo di seguito, in ordine cronologico,le notizie riguardanti il nobile francese,da noi rintracciate attraverso una breve ricerca.

 

1110:

Alla morte del padre, Ugo VII diviene signore di Lusignano [Cfr.Chronique de Saint-Maixent, p.424]

 

1115 ca:

Con l’assenso di sua moglie Sarrazine, Ugo VII rinuncia a tutti i cattivi comportamenti di cui lui e suo padre si sono resi responsabili a Frontenay, nei confronti degli abitanti di Nouaille’ [Cfr.Chartes de l’Abbaye de Nouaille’(Poitiers 1936), pp.306-307]

 

1120:Ugo VII e sua moglie Sarrazine fondano il monastero benedettino cistercense di Bonnevaux, in Diocesi di Poitiers [Cfr. Gallia Christiana, tomo II (Paris 1820), Instrumenta, LIX]

 

1142:Ugo VII viene scomunicato per aver usurpato i beni della chiesa di San Pietro la Celle, presso Poitiers

 

1144:Ugo VII, “confidando nella misericordia divina”, chiede scusa per cio’ che ha sottratto ingiustamente alla chiesa di San Pietro la Celle . [Cfr. Documents Historiques Inedits tires de la Biblioteque Royale, tome II (Paris 1843), p.27, doc. XII].

 

1146:Ugo VII parte per la Seconda Crociata

 

1148:Ugo VII fa edificare, di ritorno dalla crociata, la cappella di San Pietro dai Samari presso Gallipoli.

 

A quest’appendice salentina della storia del nobile francese dedicheremo le nostre riflessioni conclusive. Siamo informati sulla costruzione della chiesa di Samari attraverso un’iscrizione, collocata sul fronte , il cui testo latino così traduciamo: ”Ugo Lusignano, condottiero dei crociati, reduce dalla Palestina, nell’anno del Signore 1148, promosse ed eresse dalle fondamenta questo tempio consacrato al Principe degli Apostoli, nel luogo in cui San Pietro, spinto dalla Samaria verso questi lidi, lasciò le sue impronte”.

Dalla lettura dell’iscrizione, dunque, si apprende che Ugo Lusignano volle edificare una chiesa dedicata a San Pietro nel luogo stesso in cui verosimilmente, molti secoli prima , era sbarcato l’Apostolo, lasciandovi le sue impronte (“vestigia”).

In altri termini, sbarcato in localita’ “Samari”, Ugo ebbe modo di osservare un’antica “memoria” del passaggio di San Pietro sul posto e decise di sostituirla con una costruzione monumentale, cioè la bella chiesa tuttora esistente. Di tutto ciò, volle poi tramandare il ricordo nell’iscrizione che corre sulla parte alta dell’avancorpo della chiesa, di epoca ottocentesca, ma che riprende alla lettera il testo dell’iscrizione originale, un tempo certamente conservata nella chiesa. Alla base della scelta del cavaliere crociato di costruire una chiesa dedicata a San Pietro, oltre alla tradizione gallipolina del passaggio dell’Apostolo, ci furono probabilmente altre due motivazioni.

In generale, Ugo proveniva da una terra in cui il culto per San Pietro era antichissimo: egli era signore di Lusignan, nei pressi di Poitiers, città in cui, oltre alla stessa Cattedrale, esistevano nel sec. XII varie chiese dedicate all’Apostolo. Esistevano inoltre, nei pressi di Poitiers, un monastero femminile dedicato al santo, e persino una contrada, denominata “San Pietro le chiese”.

Il culto dell’Apostolo nel Poitou era dunque particolarmente radicato. Inoltre, Ugo doveva sentirsi personalmente motivato alla costruzione della chiesa, poichè, con un gesto di prepotenza, egli aveva depredato la chiesa di San Pietro la Celle ed era perciò stato scomunicato. Pur essendo stato perdonato dal vescovo di Poitiers, il nobile doveva ancora sentirsi in obbligo verso il Santo, cui appunto era intitolata la chiesa francese da lui spogliata, e appena quattro anni dopo, sbarcato a Gallipoli, ebbe occasione di estinguere il debito, facendo erigere a proprie spese la cappella di San Pietro dei Samari. In seguito, fece rientro in Francia e, con ogni probabilità, non tornò più in Palestina, ne’ nel Salento, dove è ancora possibile contemplare la traccia imperitura del suo passaggio.

 

La canna e il ginepro. Istantanee per la processione degli alberi

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Riproduzione vietata. Copyright Nicola Morrone

di Nicola Morrone

 

Ci siamo alzati alle 5 del mattino, pensando di arrivare  al santuario tra i primi: siamo invece arrivati quasi per ultimi. Alle 6 la chiesa è gia’ affollata e in fondo alla navata il quadro tollera paziente le carezze dei fedeli, prima di essere portato  in processione. Gli altri pellegrini giungono alla spicciolata: di fronte alla chiesa si intravedono già, ammucchiati, i loro rudimentali bordoni, caratterizzati dai segni secolari della devozione petrina (la canna, il ginepro, l’immagine di san Pietro).

Dentro la cappella procede la liturgia cantata, fuori è già una festa di volti, voci, colori. Arrivano i primi gruppi di fedeli  che recano gli “altarini”, di squisita fattura artigianale. Nella paziente cura con cui sono stati confezionati, oltre che nel sacrificio con cui verranno trasportati, a spalla, per dieci lunghi chilometri, si esprime una devozione  ancora fortemente radicata nei confronti del Principe degli Apostoli.

Questi gruppetti, stretti intorno alla loro macchina processionale, rappresentano l’altra faccia della socialità religiosa, quella spontanea, che ha deciso di organizzarsi  per condividere, in maniera informale, questo importante momento di fede. Alle loro spalle, dietro  lo stendardo e distinti dall’abito di pertinenza, procedono le confraternite, immagine  della socialità religiosa istituzionale.

Nell’arcaico slancio emotivo dei primi e nell’ordinato procedere  delle seconde si riassume buona parte della processione petrina, integrata naturalmente dai fedeli che procedono separatamente ai lati, e dal gruppo conclusivo, costituito dal clero, che si stringe intorno al quadro del Santo. All’altezza di C.da Piacentini si aggiungono infine i portatori di tronchi, coloro che hanno deciso di compiere lo sforzo penitenziale più grande e al tempo stesso più vistoso.

E’ una fatica non lieve: i portatori procedono a piccoli tratti, e la loro sosta è sottolineata dal tonfo greve dei tronchi, un “tunf” preceduto dal consueto “Ahi Maria!”.

Vivendo dall’interno questo momento collettivo di preghiera e penitenza, si comprende la specificità della processione petrina che, a dfferenza delle altre processioni manduriane, ha una struttura estremamente semplice, fortemente ripetitiva e cantilenante, “circolare”. Poichè essa è scandita nella quasi totalità del suo lungo percorso da un unico canto, quel “Dio ti salvi o Maria”, notissima preghiera semidialettale che la connota da tempo immemorabile.

Per noi, che l’abbiamo ascoltata l’ultima volta nella processione del 1989, cui partecipammo insieme all’indimenticabile padre Raffaele Bonaldo, risentirla ha costituito una grande emozione, come è stato per gli amici che ci hanno accompagnato durante il percorso  e, crediamo, per tutti i partecipanti.

Nessuno era da solo nel compiere il lungo cammino di penitenza, da tutti effettuato  in modo composto  e lieto, con un occhio al tempo, clemente, e alla meravigliosa campagna circostante. All’arrivo nel paese i pellegrini ritrovano lo stesso mare di voci, suoni e colori lasciato a Bevagna, ma decuplicato.

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Nei pressi della cappella della Pieta’ si rinnova il rito della “consegna” del quadro alle autorità cittadine. Poi San Pietro “andrà a trovare” la Madonna e San Gregorio e insieme saranno esposti nella Chiesa Matrice alla venerazione dei fedeli; tutto terminera’ con il rientro del quadro a Bevagna.Ce ne torniamo a casa rincuorati: nei momenti che contano, sappiamo ancora stare insieme.

 

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