Tra fonti letterarie e fonti manoscritte: sulla “Geografia di Terra d’Otranto” del Conte Alessandro Mattei, Signore di Novoli

di Gilberto Spagnolo

L’aver confermato l’esistenza, fino a ieri controversa, della “Biblioteca” del Conte Alessandro Mattei citata dal Marciano (“… il Museo del quale è ricchissimo di molti libri di tutte le scienze greche e latine, che non ha pari nella provincia”) poi scomparsa del tutto, grazie a un “ritrovamento fortuito” (ironia della sorte) di alcuni suoi libri presso la Biblioteca Innocenziana di Lecce, ha certamente dimostrato la veridicità della testimonianza del filosofo di Leverano, ovvero gli indubbi meriti di Alessandro nel campo culturale e le sue “virtù mecenatiche” (lo chiama, infatti, “eruditissimo, saggio e prudentissimo Principe”) nonché, come abbiamo sempre sostenuto, la profonda tradizione umanistica della sua nobile famiglia che lo stesso Marciano, nella sua Descrizione, aveva contribui­to a fondare con accenti tanto ammirati da sfiorare il mito.

ARCHIVIO DI STATO DI LECCE, “Sigillo dei Mattei” (il sigillo si trova in calce ad un documento autografo di Paolo Bonaventura Mattei, padre di Alessandro III.

 

Come annotato sui frontespizi, ben diciannove sono i volumi che provengono da questa Biblioteca (ex libris – “ex Biblioteca Alexandri Mathej”), dieci costituiti dall’Opera di Sant’Agostino pubblicata a Parigi nel 1586 e nove rappresentati dai Commentaria di Alfonso Tostati, filosofo e teologo, pubblicati a Venezia dai fratelli Sessa nel 1596; volumi puntualmente catalogati in un recente studio di Lorella Ingrosso e suscettibili, probabilmente, di ulteriori acquisizioni se si considera che il patrimonio librario della Biblioteca Innocenziana preso in esame dalla Ingrosso è composto “da circa cinquecentosessantacinque esemplari ed è riposto temporaneamente in una stanza-deposito al primo piano del Seminario in uno stato di completo abbandono, poiché i volumi presentano guasti endogeni ed esogeni”.

BIBLIOTECA PROVINCIALE LECCE, Ms. n. 63, “Libro IV di Alessandro Mattei composto nell’anno 1645” (frontespizio).

 

Dopo aver dimostrato la fondatezza della testimonianza del De Magistris, grazie al ritrovamento presso la Biblioteca Apostolica Vaticana del documento in cui l’Holstenio attesta l’esistenza del cappuccino Frate Lorenzo di Sancta Maria de Nove quale autore di una carta geografica di Terra d’Otranto edita nel 1617, questo ritrovamento, ad ulteriore dimostrazione della “provvisorietà della ricerca storiografica” mi spinge a rimeditare ed approfondire un altro aspetto non meno interessante della Vita del nostro Conte “mecenate”, quello cioè di essere anche probabile autore di un’opera geografica, fatto questo che si inserisce direttamente in una complessa questione che ancora oggi è fortemente dibattuta e non ancora certamente completamente definita, ovvero la sicura attribuzione della Descrizione, Origini e successi della Provincia d’Otranto stampata dall’Albanese a nome del Marciano.

Sensibile all’esortazione di Block a cercare comunque “l’uomo vivo sotto la polvere degli archivi e nel silenzio dei musei”, queste pagine vogliono soprattutto riunire i risultati di una ricerca che cerca di focalizzare ed analizzare meglio le fonti individuate tentando perciò di far emergere nella “giusta luce” ed obiettività anche questo argomento.

I primi riferimenti all’opera geografica di Alessandro Mattei si ritrovano nelle opere del Tasselli (Eredi di Pietro Micheli 1693) e del Montorio (Napoli 1715). Nella “nota degli Autori che si citano in questo libro” (Antichità di Leuca) si legge infatti: “Alessandro Mattei, Conte di Novole, nella sua Geografia Manoscritta”. Ed ancora “Dopo questi l’anno 1615, soperchiarono tanto le piogge, e l’acqua la nostra Provincia, ed in specialità tutto questo Capo Salentino, che le profonde voraci e meravigliose di Barbarano si empirono tutte a’ dismisura, /…/. Laonde per tali soperchiamenti di acqua, dice Girolamo Marciano, Alessandro Mattei nella sua Geografia, che si videro in quel tempo mostruosi serpenti”.

Il Montorio nella sua opera Zodiaco di Maria ovvero le dodici Province del Regno di Napoli... fa lo stesso riferimento, ma in maniera più dettagliata: “L’anno 1615 furono così direte le piogge, specialmente in quella Provincia e Promontorio, che le voraci meravigliose di Barbarano restarono affatto prive d’acqua mondanti, ed in Salve, crescendo l’acqua fuor di modo. anche in luoghi sollevati alzaransi fino ad otto palmi, restando affogate una fanciulla di anni dieci: quindi in memoria di tal prodigio diluvio Don Donato Maria de Notariis Teologo di Salve, e, Canonico della cattedrale di Castro, segnando il luogo dove arrivarono l’acque espresse in un marmo il lutto con questo distico: Lustrum aderta trinum, bisque octo saecla salutis, cum usque huc, submersa Virgine, venit aqua. Anzi come affermano Geronimo ed Alessandro Mattei nella sua Geografia, si videro in quel tempo mostruosi serpenti, uno dei quali fu osservato in Cesarea di smisurata grossezza, e lungo palmi dieci. Due se ne osservarono in Arneo con due teste per chiacheduno: Ma quando tali fondazioni parea che volessero rovinare quel sagro tempio ed impedire il concorso de’ popoli non solo restò quello intatto, ma accrebesi in quelli l’affetto, ed ossequio verso la Vergine”.

Le citazioni, come si può notare, evidenziano una netta distinzione tra le due opere e ciò trova ulteriore conferma nell’opera del Tasselli che, sempre nella “Nota degli Autori che si citano in questo libro” riporta anche, oltre alla “Geo­grafia Manuscritta” del Mattei una “Girolamo Marciano di Liberano Geografia”. E la stessa cosa fa intendere quando dice ancora “Dopo questa il sig. Alessandro Mattei Conte di Novoli, eruditissimo Cavaliere con Girolamo Marciano Medico di Liberano ci danno utilissime e erudite notizie di nostra Provincia /…/”, dove quel “ci danno” potrebbe anche intendersi come due opere distintamente consultate.

BIBLIOTECA PROVINCIALE “N. BERNARDINI” LECCE, Annotazione di L.G. De Simone sui manoscritti “Opere di Alessandro I Mattei Conte di Palmariggi”.

 

Carta 446 con i riferimenti ad Alessandro Mattei e Francesco Guerrieri (dalla Descrizione, origini e Successi della Provincia d’Otranto, manoscritto datato 1716, collezione privata).

 

Un’interessante e simile annotazione vi è anche nel manoscritto D/5 della Biblioteca Arcivescovile pubblica “Annibale De Leo” di G.B. Lezzi da cui emerge che “Mattei / Alessandro / Conte di Novole …eruditissimo Cavalier con Girolamo Marciano di Leverano ci danno utilissime ed erudite notizie di nostra Provincia”.

Nella Biblioteca Provinciale di Lecce sono conservati sei manoscritti dell’opera del Marciano. Due completi (n. 58 e n. 59), uno limitato ai libri I e II (n. 261), uno a parte del libro III oltre ai libri I e II (n. 61), due al solo libro IV (n. 62 e n. 63). Quelli che fanno riferimento al Mattei sono il n. 61 ed il n. 63. Nel n. 61, sul Frontespizio si legge: Descrizione, Origini e Successi della Provincia d’Otranto, libro p° del sig. Alessandro Mattei Conte di Palmarici. Del sito e Provincia del’Italia intentione del’Autore e del’Antichi nomi della Provincia d’Otranto. Capo p° L’Italia annosissima regione del’Europa”.

È questo un manoscritto di pp. numerate 443 seguito da due facciate non numerate. La prima contiene il seguito dell’opera che è mancante delle pp. successive, e l’altra una specie d’indice delle materie macchiato in varie pagine, ma del resto ben conservato.

Carattere leggibile, ad eccezione di quella non numerata 444 alquanto illeggibile perché molto macchiata e con qualche parola che è stata ripassata con l’inchiostro. Secondo il Foscarini “è questa una delle tante copie ms che un tempo correvano per le mani degli studiosi e la cui paternità ora era attribuita ad Alessandro Mattei, ora a Girolamo Marciano”. Nel n. 63, al Frontespizio si legge “Libro IV di Alessandro Mattei composto nell’anno 1645 delli successi ed Origine della Provincia d’Otranto. Presso alcuni Autori si riscontra che quest’opera sia di Girolamo Marciano. Per venirsi a chiaro di una tal questione si riscontra il Capo XIII del presente ms”. È questo un Ms. di pp. num. 321 seguito da 11 pp. non numerate contenenti l’indice degli uomini insigni e delle materie. Il Ms. con qualche tarlatura è discretamente conservato, il carattere è minuto, ma chiaro. Il Foscarini vi annotò che “l’autore non è Mattei, ma Marciano” mentre il Capo XIII per risolvere la questione è quello che riguarda Novoli.

Dedica autografa di Luigi Giuseppe De Simone (Datata “Villa S. Antonio, 6 ottobre 1893) allo storico novolese Giovanni Guerrieri in cui gli augura “che rinnovelli il Conte del suo paese Alessandro Mattei, scrivendo di Terra d’Otranto (collezione privata).

 

Nei manoscritti n. 62 e n. 63, a proposito del Padre Francesco Guerrieri vi è un particolare che non compare nell’edizione a stampa dell’Albanese. Nel ms n. 62 si legge, infatti: “Vive oggi parim.te di questo luogo il Dotts.mo e non a pieno lodato Padre Francesco Guerrieri dell’Ordine e Congregazione dei Padri Gesuiti, Filosofo, Teologo, Poeta ed Oratore Illustre”.

Nel Ms n. 63 si legge invece: “Vive oggi parimente di questo luogo il dottissimo, e non mai lodato Padre Francesco Guerrieri dell’Ordine e Congregatione de’ Padri Gesuiti,  filosofo, teologo, poeta ed oratore illustre, e lume dell’età nostra, singolare nella greca e latina lingua in questa Provincia”. Nel testo a stampa si legge invece: “Vive oggi parimente di questo luogo il dottissimo P. Francesco Guerrieri, Gesuita, filosofo, teologo, poeta ed oratore illustre e lume nell’età nostra, della greca e latina lingua in questa provincia”.

L’affermazione “e non a pieno lodato” o “e non mai lodato” stranamente non compare nel testo a stampa, affermazione molto importante poiché solo chi aveva conosciuto a fondo il Padre Guerrieri poteva esprimersi in tal senso. È questa una tipica dimostrazione di come il testo originario della “Descrizione” sia stato manipolato, alterato, saccheggiato e anche di come sia ancora difficile l’attribuzione o paternità poiché tale affermazione sul Guerrieri poteva farla benissimo sia il Mattei che il Marciano. Ad ulteriore riprova di tutto questo segnalo l’esistenza, presso una biblioteca privata, di un’altra copia manoscritta e completa della Descrizione datata 1716 ed appartenuta ad un giurista napoletano. Anche in questo manoscritto che si compone di 550 cc. complessive in chiara grafia ad esempio, esaminando le carte relative al maestro di Alessandro Mattei, (Donato Castiglione Oritano soprannominato l’Argentario) o quelle sul Casale di S. Maria de Nove e il padre Francesco Guerrieri si riscontrano ulteriori ed importanti differenze (“… uscirono dalle sue scuole, dottrine, come dal cavallo troiano generosi soldati… mi ridussi in questo luogo, quasi in una remota villa... e non appieno lodato Padre Francesco Guerriero Gesuita…”).

In conclusione, le fonti di riferimento esaminate ci spingono, anzitutto, realisticamente a considerare l’effettiva esistenza di due opere ben distinte e definite, di cui, quella del Mattei una Geografia della Terra d’Otranto (come la ricordano il Crollalanza e il De Simone) probabilmente dispersa (come la ricorda Michele Paone “… Alessandro Mattei autore di una dispersa opera geografica”) anche perché, come dice il De Simone “è impossibile a credere che vivente come era, il Mattei suo mecenate, il Marciano gli avesse commesso spudoratamente un plagio dell’epoca in parola” o lo stesso Marti secondo il quale “il Marciano dovette non poco attingere alla erudizione del Mattei, ragione, forse, reale per cui non si era determinato mai a pubblicare col proprio nome un libro di necessaria e continua collaborazione”.

La sorte che negò al Marciano, come sottolinea Vittorio Zacchino, la gioia del battesimo cartaceo della sua corografia” (restando manoscritta subì le varie contaminazioni ed interpolazioni) e la lunga ospitalità di Alessandro Mattei hanno poi probabilmente generato una certa confusione.

Nel Dizionario bio-bibliografico di personaggi salentini, ms. in deposito presso l’Archivio di Stato di Lecce si legge: “Alessandro Mattei Conte di Palmariggi e Signore di Novoli, fù (sic) letterato di grido nel secolo XVII. Le nostre tradizioni letterarie ci assicurano che lui fù (sic) l’autore della Descrizione, Origini e Successi di Terra d’Otranto che ora và sotto il nome del Marciano. Noi non possiamo darne un adeguato giudizio non avendo ragioni per affermarlo o negarlo però il lettore potrà giudicare da se stesso dalle seguenti parole del Marciano Medesimo” (Ed di Napoli pag. 472 segue il passo che lo riguarda).

Ed è qui che occorre ulteriormente riflettere.

Quando il Marciano viene a Novoli la sua opera è quasi conclusa (“per finire comodamente”) o perlomeno a buon punto; il Mattei con la sua vasta cultura, con la sua ricchissima biblioteca, lo aiuterà appunto “a porre l’ultima mano” (la Descrizione è, infatti, come scrive Zacchino e come testimoniano anche i libri ritrovati, ricchissima di citazioni erudite di autori antichi e moderni, salentini e non salentini).

Viene solo spontaneo chiedersi se è vero come è vero che il Marciano secondo gli studi del Cosi stette a Novoli dal 1615 al 1620, di che consistenza, di quale spessore fossero stati i suggerimenti del Mattei “all’ultima mano” della sua Descrizione.

E a tal proposito, un’ultima importante considerazione.

Quando Francesco Antonio De Giorgi nella sua opera rimasta inedita sulle Famiglie Nobili Leccesi (nella Biblioteca Provinciale di Lecce, di essa, si conservano un manoscritto datato Napoli 1780 ed un altro con aggiunte di Ermenegildo Personé) presenta il Mattei come colui che si è “sommamente delle opere cavalleresche dilettato ed è delle lettere e de’ letterati grandemente amatore e perciò ha sempre tenuto appresso di sé in gran preggio gli uomini ornati di cotali virtù” il Conte di Novoli è ancora vivente.

Che questa sia una significativa fonte coeva (si spiega quindi l’uso del tempo presente nella citazione) come il sonetto dedicatogli da Cataldantonio Mannarino, lo apprendiamo da Domenico De Angelis il quale nella sua rarissima opera sulla Vita di Scipione Ammirato scrive testualmente: “…e Francesco Antonio Giorgio anch’egli letterato leccese, come che dipendesse da’ Giorgi Nobili Veneziani, nel Compendio ms. della Nobiltà delle Famiglie di Lecce, scritto nel primo di Gennaio I 613…”.

Questa fonte ci permette infine di capire, indirettamente, le ragioni per cui L. G. De Simone attribuisce (sulla base di alcuni riscontri oggettivi) altre due opere manoscritte di diverso argomento conservate anch’esse presso la Biblioteca Provinciale di Lecce, ad Alessandro II Mattei, signore di S. Maria de Novis (Novoli).

 

Lecce, Archivio Curia Arcivescovile, “Augustini Hipponensis Episcopi”, frontespizio (ex Bibliotheca Alexandri Mattej).

 

In “Lu Puzzu te la Matonna”, a. X, 20 luglio 2003, pp. 33-36 e in G. Spagnolo, Memorie antiche di Novoli. La storia, le storie, gli ingegni, i luoghi, la tradizione. Pagine sparse di storia civica, pp. 221-226, Novoli 2024.

 

Riferimenti Bibliografici Essenziali

G. Cosi, Nuovi documenti sulla vita di Geronimo Marciano, in “Contributi”, a. IV, n. 4 Maglie 1985.

G.B. Crollalanza, Dizionario Storico Blasonico delle Famiglie Nobili e Notabili Italiane estinte e fiorenti, Rist. An. del 1866, Forni, Bologna.

D. De Angelis, Vita di Scipione Ammirato scritta da Domenico de Angelis, in Lecce, dalla Stamperia Vescovile 1706.

A. Laporta, Il Cinquecento leveranese e la figura di Geronimo Marciano in Leverano e il Convento di S. Maria delle Grazie, Leverano 1984.

L. Ingrosso, Proposte per un recupero del Patrimonio librario della Biblioteca Innocenziana di Lecce. Un fondo da salvare: la biblioteca di Alessandro Mattei Signore di Novoli, in “Lu Lampiune”, a. XIII, n. 2 1997.

O. Mazzotta, Ex Biblioteca Alexandri Mathej, in “Camminiamo Insieme”, a. VI, n. 3 marzo 1999.

P. Serafino Montorio, Zodiaco di Maria, ovvero li dodici Provincie del Regno di Napoli etc, in Napoli, per Paolo Beverini, MDCCXV.

D. Novembre, Gerolamo Marciano, corografo di terra d’Otranto nel primo seicento, in “Studi Salentini”, aa. XLIII-XLIV, marzo-dicembre 1973.

M. Paone, Società e cultura in Terra d’Otranto tra Rinascimento e Barocco, in Ricerche e Studi in Terra d’Otranto, II Cellino San Marco 1987.

M. Cazzato – G. Spagnolo, Profili di committenza aristocratica. Il caso dei Mattei, Signori di Novoli, in “Camminiamo Insieme”, a. XII, n. 1 gennaio 1998.

G. Spagnolo, Novoli, Origini, Nome, Cartografia e Toponomastica, Novoli 1987.

G. Spagnolo, Il Principe Perfetto “Giovanni Antonio Albricci terzo (testimonianze dall’Ignatiados, poema eroico inedito di Francesco Guerrieri illustre letterato salentino), estratto da Quaderno di Ricerca, Salice Salentino ottobre 1989.

G. Spagnolo, Storia di Novoli, Note ed Approfondimenti, Lecce 1990.

G. Spagnolo, Un cartografo in età barocca. Frate Lorenzo di Santa Maria de Nove, Introduzione di Mario Cazzato, Lecce 1992.

G. Spagnolo, Dalle Rime del Mannarino un sonetto ad Alessandro Mattei, in “Sant’Antoni e l’Artieri”, a. XVI, Novoli 17 gennaio 1992.

L. Tasselli, Antichità di Leuca città già posta nel capo salentino, in Lecce presso gli eredi di Pietro Micheli, 1693.

I libretti per nozze della Biblioteca nuziale salentina

Nel teatro della memoria.

I Nuptialia del 1734
di Luigi Sanseverino Duca di S. Pietro in Galatina
e Cornelia Capece Galeota Duchessa di Sant’Angelo

 

di Gilberto Spagnolo

 

“Ma pur se brami,

che ti venga di porgere

Delle future nozze indizio

Mobile. E allo studio

Primier debbo risorgere”1

I riti nuziali de’ Greci, impressi da Jacopo Grazioli nella sua stamperia in Firenze il 29 settembre del MDCCLXXXIX. Frontespizio (coll. privata).
Il costume di scrivere poesie e versi in occasione di un evento nuziale proviene dalla letteratura greca. Il termine Nuptialia infatti indica i testi scritti in occasione delle nozze, testi riconducibili a due specie allora esistenti: l’epitalamo e l’imeneo. Nel Rinascimento questo genere letterario torna di moda in Italia. Ciò non significa che questi testi non esistessero durante il Cristianesimo. Tutt’altro2.
Olga Pinto (autrice di quel vastissimo repertorio che è Nuptialia. Saggio di bibliografia di scritti italiani pubblicati per nozze) afferma infatti che sono esistiti fino al IX secolo e poi scomparsi fino al 1484, quando a Padova Matthaeus Cerdonis diede alle stampe la poesia Carmina pro epithalamo Sigismundi archiducus di Franciscus Niger in occasione del matrimonio tra Sigismondo d’Asburgo e Caterina di Sassonia. Opere celebrative di tali eventi per nozze rappresentano un genere letterario che testimonia quanto questa abitudine sia diffusa particolarmente nella seconda metà del XVIII secolo. Abitudine che si caratterizza ulteriormente nel XIX secolo con una fioritura di pubblicazioni di inediti contenuti in particolar modo di lettere e di documenti storici, di ricerche araldiche filologiche e di ritrovamenti archeologici.
. DE DOMENICO, Una festa nuziale romana in casa della sposa, Napoli Stab. Tip. Pierro e Veraldi nell’Istituto Casanova, s.a. Copertina (coll. privata).

 

“CONTRATTO NUZIALE” della Baronessa Aurora Leuzzi e Benedetto Pagan, stipulato a Venezia il 23 dicembre del 1793. Frontespizio del manoscritto (coll. privata).

 

Nel secolo XIX, scrive ancora Olga Pinto, “le pubblicazioni per nozze furono stampate a migliaia in tutte le regioni della penisola, diventando una vera mania”3. I libretti per nozze, i Nuptialia, rappresentano, come esempio significativo, di quanto detto, “una vivace realtà dell’editoria bolognese”. Sono testimoniabili dal secolo XVI al XVIII e sono talvolta accompagnati da incisioni di pregio che vedono protagonisti gli artisti della scuola pittorica cittadina. Attraverso di essi emerge infatti, una nuova e ricca messe d’informazioni sul piano artistico, sul piano letterario, su quello sociale, nonché sulla fervente attività delle stesse tipografie bolognesi. I committenti sono ascrivibili per lo più alla classe senatoria mentre gli autori degli epitalami e delle odi encomiastiche sono gli accademici e gli scrittori in voga nel momento.
Questi testi perciò sono indubbiamente testimoni della nostra cultura e della nostra storia; sono ricchi di valori letterari e anche figurativi della nostra civiltà; sono indubbiamente protagonisti importanti e preziosi nel nostro “teatro della memoria4, perfetto nella sua dimensione e nella sua definizione.
FRANCESCO MARIA Guidano, Eustachia. Commedia. Ristampa dell’ed. di Venezia MDLXX per le nozze Caroprese-Mariano Mariano (coll. privata).

 

FRANCESCO MARIA GUIDANO, Discorso nel quale brevemente si ragiona della vera nobiltà, stampata a Venezia nel MDLXXIIII. Ristampa per le nozze Nielli-Mariano Mariano (coll. privata).

 

Miscellanea per le nozze di Armando Miele e Fiorella Palazzo, Fasano, Grafischena 1985. Copertina (coll. privata).

 

Nel campo della “Biblioteca Nuziale Salentina”, uno studio che rimane a tutt’oggi fondamentale dopo quello di Dennis E. Rhodes con il suo “Nozze e Famiglia” (pubblicato in Familiare 82 nel 1982, studi offerti per le nozze d’argento a Rosario Jurlaro e Nunzia Ditonno)5, lo ha fatto Alessandro Laporta, raccogliendo ben sessanta schede nuziali dei secoli XIX-XX e pubblicandole su “Studi di Storia e Cultura Meridionale” per le nozze d’argento di Vittorio Zacchino e Anna Orlandini, segnalando la presenza cospicua della Terra d’Otranto “in un genere ben lungi dall’essere tramontato”, smentendo “coloro che giudicavano questo costume fuori moda dimostrando come a partire dal 1970… lo stesso si fosse rinverdito e radicato negli ambienti salentini6.
Nozze Doria-Danese, Luigi Lazzaretti e figli. Copertina 1896 (coll. privata).

 

Nozze Salentine: composizione musicale di S. Coppola Juniore per le nozze di Giovanni Sorrentino e Maria De Donatis.
In quest’ottica vanno ad esempio certamente ricordate alcune raccolte censite dallo stesso Laporta nella sua ricerca, come quella che Nicola Vacca già nel 1955 realizzò per lo sposalizio della figlia Fausta Vacca, allorquando offrì agli sposi “Nuptiae Salentinae”, un’edizione privata di 101 copie numerate ad personam (estremamente rara e stampata a Lecce il 18 gennaio 1955)7. O la “Miscellanea Salentina” per le nozze di Mario Congedo e Lucia Lazzari (Edizioni dell’Almanacco del 25 luglio 1970)8. E ancora, la “Miscellanea per le nozze” di Armando Miele e Fiorella Palazzo, datata 26 Ottobre 19859. E la “Ristampa del Discorso del Sig. Francesco Guidani nel quale brevemente si ragiona della vera nobiltà”, stampato a Venezia nel 1574, edizione curata da Michele Paone per le nozze di Giuseppe Nielli ed Emanuela Mariano del 1 luglio 1989 e prim’ancora, qualche anno prima, la ristampa di Eustachia, sempre del Guidano, a cura dello stesso Paone, per le nozze di Vincenzo Caroprese e Natalia Mariano Mariano del 28 Giugno 198610.
In tale contesto intende porsi questo contributo, partendo soprattutto dal fatto che nel corso delle sue ricerche Alessandro Laporta “nulla o quasi aveva rinvenuto per i secoli dal XV al XVIII” concentrando così le sue ricerche sul XIX secolo11. L’omaggio librario collettivo composto per una occasione a tema nuziale che qui si presenta è invece settecentesco (prima metà) e oltre a riguardare una famiglia aristocratica di Terra d’Otranto ha soprattutto una particolarità, come si vedrà, molto importante in particolare per gli autori.
Vari componimenti per le nozze di D. Luigi Sanseverino e D. Cornelia Capece-Galeota. Frontespizio (coll. privata).

 

Appartenente a una collezione privata fu stampata a Padova nel 1734 per le “nozze degli illustriss. Ed eccellentiss. Signori D. Luigi Sanseverino principe di Bisignano, Paceco, S. Giorgio e Sanza, Duca di S. Marco e di S. Pietro in Galatina… e Cornelia Capece Galeota di Sant’Angelo”. Realizzata in 8°, di pp. (6) e 112, è una bella e raffinata raccolta di sonetti, odi, epigrammi e versi latini12. A Galatina, è noto, dopo i Castriota, ci furono per qualche decennio appunto i Sanseverino, e successivamente gli Spinola che durarono fino al 1801 allorquando subentrò Carlo Gallarotti Scotti13. Nella lettera dedicatoria a firma di Giuseppe Pascale Cirillo, datata Napoli 10 novembre 1734, i Sanseverino e i Capece – Galeota vengono elogiati con queste parole:
 “E chi v’ha che non sappia, che vi scorre nelle vene il più bel sangue di Francia tramandato in Voi da’ vostri Maggiori, che vennero nel Regno dintorno agli anni del Signore novecentotrenta in compagnia del famoso Ugo nipote dell’Imperador Carlo Magno? Chi non sa, che imparentarono più volte i vostri Antenati con Donne Regali, e benchè sbattuti sovente da forte nemico non lasciano giammai né per volger d’anni, né per variar di fortuna di essere illustri per lo splendore de’ titoli e de’ Baronaggi? A chi non è pervenuto il nome di Ruggieri I Conte di Marsico mandato dal Re Carlo suo vicario in Gerusalemme negli anni di nostra salute milledugentsettantotto? Di Roberto IX Conte di Marsico creato dal Re Ferdinando Principe di Salerno il dì penultimo di Gennaio dell’anno millequattrocentosessantatre? Per tacere le altre memorie più fresche, ma tutte grandi e tutte illustri del vostro Regal Casato, di cui son piene le Storie moderne, e le voci de’ Sapienti (14). Lascio adunque di annoverar partitamente le vostre Signorie di vostra famiglia, e lascio altresì di far parola della nobilissima famiglia CAPECE GALEOTA, ch’è stata sempremai, ragguardevole nella luce del Mondo per gentilezza ed onori, siccome ampia fede ne fanno ben molti valorosi Guerrieri, che salirono a i più sublimi gradi della Milizia, e tre sovrani Consiglieri di Stato, Ludovico, Ettore, e Carlo Galeota, il primo della Regina Giovanna II, il secondo del Re Renato, e ’l terzo del Re Ferrante I d’Aragona” (15). Alessandro Forges, Andrea Benincasa, Aniello Firelli, Antonio Antinori, Antonio Caracciolo, Antonio Minutolo, Ascanio di Bologna, Baldassarre de Caussis, Bonaventura de Marco, Carlo Recco, Domenico Caracciolo, Ferdinando Carafa, Francesco Caracciolo, Francesco Fontana, Francesco Magno Cavallo, Francesco Moles, Francesco Saverio Capece, Gaetano M. Brancane, Gennaro Perotti, Giambattista Capasso.
Vari componimenti etc. Versi di Giambattista Vico “Regio Professor di Eloquenza”.
 
Chiesa Matrice di Cavallino. Monumento sepolcrale dei Castromediano. Stemma Castrome-diano-Sanseverino (in M. CAZZATO, La Galleria Celeste, Mario Congedo Ed., Galatina 2016).

 

I versi e le rime degli autori presenti, “eletti spiriti” della città di Napoli, sono stati raccolti (come si legge nella lettera dedicatoria delle prime sei pagine) dal “dottissimo Cavaliere D. Antonio Minutolo soprattutto per il loro animo “di bella virtù” e per la loro “Gentilezza e Generosità. Gli autori sono infatti veramente molti e rispondono ai seguenti nomi: Achille Ambranese, Alessandro Forges, Andrea Benincasa, Aniello Firelli, Antonio Antinori, Antonio Caracciolo, Antonio Minutolo, Ascanio di Bologna, Baldassarre de Caussis, Bonaventura de Marco, Carlo Recco, Domenico Caracciolo, Ferdinando Carafa, Francesco Caracciolo, Francesco Fontana, Francesco Magno Cavallo, Francesco Moles, Francesco Saverio Capece, Gaetano M. Brancane, Gennaro Perotti, Giambattista Capasso, Giambattista Durini, Giambattista Vignali, Giannantonio Sergio, Gio. Tiresio M. Giron, Gio. Vincenzo Giron, Girolamo Biassa, Giuseppantonio de Lazzaris, Giuseppantonio Magri, Giuseppe di Stefano, Giuseppe M. Salerno degli Utili, Giuseppe Pasquale Cirillo, Idasio Cillenio, Incerto, Incerto accademico Ozioso, Isimene Promachiense, Luzio di Bologna, Matteo Egizio, Matteo Gennaro Testa, Niccolò Giliberti, Niccolò Recco, Niccolò M. di Fusco, Niccolò M. Salerno, Orazio Gaspari, P.M. Doria, Petronilla Guglielmini, P.M. Gruther, Pietro di Palma, Salvatore Caputo, Scipione Cigala, Scipione di Cristofaro, Silverio Gioseppo Cestari, Tommaso Mari, Vincenzo d’Ippolito, Urbano Vignali. Come si può notare, in questa rarissima prima edizione di tale raccolta di sonetti, figurano tra i suddetti numerosissimi autori molti esponenti delle principali famiglie napoletane (Capece, Caputo, Caracciolo, Carafa, Cigala, di Palma, Giron, Moles, Salerno, Sanseverino) oltre a una nobildonna, la principessa di Canneto Petronilla Guglielmini membro dell’Arcadia con lo pseudonimo di Euclea. Tra tutti, infine, spiccano “maestosamente” a p. 2 quattro versi latini di Giambattista Vico, “Regio Professor di Eloquenza”, sicuramente mai pubblicati e che così recitano:

 “Quidnam saeva sedens Martis super arma/

Hymenaeus/

Caelesti actat jsultus Amore facem?/

Bellica speratur taeda hac CORNELIA mater,/

Inclyte quae LODOIX, te nova nupta legit.16/

 

In Rassegna Storica del Mezzogiorno, n. 2-2017/2018, Organo della “Società Storica di Terra d’Otranto”, CMYK Tipografia, Alezio 2018, pp. 139-154.

 

Note

1 In Raccolta di Vari componimenti Poetici per le Nozze del Signor Conte Paolo Canale con la signora Contessa Vittoria Carleni dedicata a Monsignor Saverio Canale cherico di camera, Prefetto dell’Annona, e Pro-Commissario Generale dell’Armi Pontificie Dell’Abate Giambattista Luciani Segretario del sudetto Prelato, in Roma MDCCLV, nella Stamperia di Angelo Rotilij nel Palazzo de’ Massimi a S. Pantaleo con licenza de’ Superiori.

2 Scrive infatti Manuela Barducci: “I Nuptialia o scritti per nozze hanno origine in tempi molto lontani, probabilmente sono coevi alla nascita dell’“istituzione” matrimonio e del rito nuziale ed erano in uso nell’antica Grecia e presso i Romani. In Italia queste pubblicazioni costituiscono un genere letterario, ma forse sarebbe più corretto dire una “usanza sociale”, che si afferma a partire dal XVI-XVII secolo e che appare come un’evoluzione degli imenei greci, ossia degli inni cantati in coro da gruppi di giovani durante il trasferimento della sposa presso la dimora maritale, degli epitalami, cioè delle serenate e dei canti eseguiti la sera delle nozze davanti alla camera nuziale in segno di buon augurio e degli antichi fescennini romani, versi dal carattere tipicamente popolare, rustico espresso licenzioso cantati e recitati durante matrimoni, trionfi e feste anche agresti. Ne scrissero Saffo, Teocrito, Callimaco e Catullo per cantare e raccontare di nozze mitologiche o fantastiche. Nel Medioevo sembrano essere caduti in disuso, per trovare in auge con l’avvento e la diffusione della stampa. I Nuptialia pubblicati in Italia a partire dal XVI secolo hanno precise peculiarità: sono composizioni stampate contemporaneamente all’evento, matrimonio, dedicate a sposi reali e non mitici o, qualche volta ad uno o entrambi i loro genitori o fratelli o sorelle. Si tratta di un genere letterario considerato minore, che appare solo a margine della storia della letteratura italiana, poco studiato e trascurato dalla critica letteraria, diventando parte del rituale stesso delle nozze e rimasto in uso per ben quattro secoli (M. Barducci, “Per il giorno dellImene quattro versi ci stan bene. Una raccolta di scritti per nozze, in “invito a nozze. I Nuptialia della Biblioteca delle Oblate”, a cura di Manuela Barducci, Tipografia Bandettini, Firenze 2009, pp. 11-12; cfr., G. Rosi Maramotti, Le muse dImeneo. Metamorfosi letteraria dei libretti per nozze dal500 al900, 2 ed. accresciuta, Edizioni del Girasole, Ravenna 1996, pp. 7-8).
G. FORNARI, La festa delle nozze nell’antica Roma, Napoli 1892 (coll. privata).

 

3 Cfr., O. Pinto, Nuptialia. Saggio di bibliografia di scritti italiani pubblicati per le nozze dal 1481, al 1799, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1971, pp. I-XV.

4 Cfr., M. Pigozzi, Nuptialia: i libretti per nozze della Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna, Volume 22 di Lexis; Biblioteca delle arti, Bologna, CLUEB 2010. Anche la Biblioteca dell’Archivio di Stato di Bologna conserva un fondo di pubblicazioni per nozze bolognesi costituito da ben 476 pezzi tra opuscoli, inviti e locandine stampati in occasione di nozze fra componenti delle famiglie nobili e aristocratiche della città di Bologna. In prevalenza sono nozze allo scopo di rafforzare le alleanze fra la nobiltà cittadina, ma anche alleanze esterne, con famiglie nobili di altre città. Le nozze sono celebrate con componimenti poetici (epitalami) e con odi encomiastiche per esaltare le virtù degli sposi e delle loro famiglie (Nel marzo del 2008 fu realizzata una mostra a cura di Giorgio Marconi e Francesco Nicita); cfr. anche Danielle Boillet, Il testo e l’immagine, a proposito del doppio contributo di Giovanni Luigi Valerio a raccolte per nozze (1607-1622), Linea Editoriale, Bologna 2017.

Pubblicazione per nozze stampata a Venezia nel 1590, recante un Epitalamo del poeta monopolitano Muzio Sforza (coll. privata).

 

P. Metastasio, Il Ruggero, Roma 1771. Frontespizio (coll. privata).

 

5 Dennis E. Rhodes, Nozze e famiglia: aggiunte di cinquecentine al British Museum (British Library) 1957-1982, in “Familiare ‘82. Studi offerti per le nozze d’argento a Rosario Jurlano e Nunzia Ditonno”, Brindisi, edizione amici della “A. De Leo”, Martina Franca, Arti Grafiche Pugliesi 1982.

6 A. Laporta, Bibliografia Salentina: sessanta schede nuziali (Sec. XIX-XX), in “Studi di Storia e Cultura Meridionali. Per le nozze d’argento di Vittorio Zacchino e Anna Orlandino”, Galatina, Grafiche Panico, 1992, pp. 155-167.

7 Nuptiae Sallentinae. Per lo sposalizio di Fausta Vacca con Augusto Giovannini. Lecce 18 giugno 1955, Lecce, editrice salentina, 1955, pp. 65 (figurano scritti importanti dello stesso Vacca, di Francesco Ribezzo, di Oronzo Parlangeli.

8 Miscellanea salentina per le nozze di Mario Congedo e Lucia Lazzari, Galatina, Edizioni dell’Almanacco (Galatina, Editrice Salentina), 25 luglio 1970, pp. 57 (con testi di Cesare Teofilato, Rosario Jurlaro, Vittorio Zacchino, Pietro De Leo, Nicola Vacca, Michele Paone).

9 Miscellanea per le nozze di Armando Miele e Fiorella Palazzo, 26 ottobre 1985, Fasano, Grafischena, 1985, pp. 105 (bella edizione cartonata in 4° con testi di Mario Marti, Luigi Sada, Alessandro Laporta, Mauro Spagnoletti, Donato Valli, Francesco Maria De Robertis, Orazio Bianco).

10 Francesco Maria Guidano, Eustachia. Commedia. Premessa di Michele Paone. Per le nozze di Vincenzo Lucio Caroprese e Natalia Mariano Mariano, 28 Giugno 1986, Galatina, Editrice Salentina, 1989, pp. 84. Dello stesso autore va citato anche il Discorso nel quale brevemente si ragiona della vera Nobiltà, in Venezia, appresso Gio. Battista Sessa e fratelli, MDLXXIIII. Ristampa, con premessa di Michele Paone, per le nozze di Giuseppe Nielli e Emanuela Mariano Mariano 1 luglio 1989, Galatina, Editrice Salentina 1989.

11 A. Laporta, Bibliografia Salentina: sessanta schede nuziali (Sec. XIX­XX), cit., pag. 145. Per il XIX secolo, merita una particolare citazione la pubblicazione realizzata per “le nozze Doria-Danese del dicembre 1896 e stampata a Lecce dalla “Premiata Tipografia e Litografia Luigi Lazzaretti e Figli”. Nella miscellanea sono presenti relativamente al lieto evento, importanti contributi di “illustri” amici quali Giuseppe Gabrieli, Gaetano Fiore, Ferruccio Guerrieri, Giovanni Guerrieri, Brizio De Santis.

12 VARJ/ COMPONIMENTI/ PER LE NOZZE/ Degl’Illustriss. Ed Eccellentiss. Signori/ D. LUIGI/ SANSEVERINO/ Principe di Bisignano, Paceco, S. Giorgio, e Sanza, Duca/ di S. Marco, e di S. Pietro in Galatina, Marchese di/ S. Lorenzo, Conte della Saponara, Chiaromonte, Al/ tomonte, Tricarico, Corigliano, e Mileto, Signore/ delle Terre d’Acri, Rotonda, Vingianello, Cirella, Cavaliere dell’Insigne Ordine del/ Toson d’Oro, Primo Barone, e Gran Giu/ stiziero del Regno, e Grande di Spagna/ di Prima Classe/ E/ D. CORNELIA/ CAPECE – GALEOTA/ Duchessa di Sant’Angelo/ IN PADOVA MDCCXXXIV/ Con licenza de’ Superiori.

13 Cfr., G. Vallone, Viaggi e Viaggiatori a Galatina, in “Guida di Galatina. La Storia. Il Centro Antico. Il Territorio” di G. Vallone, M. Cazzato, G. Vincenti, A. Costantini, a cura di M. Cazzato, Le Guide Verdi 15, Congedo Editore, Galatina, s. d. (2° edizione), p. 20.

14 Il Foscarini, nel suo Armerista, descrive infatti i Sanseverino come “illustre ed antica famiglia napolitana del seggio di Nido, che si vuole originaria di Normandia, la quale Contea di Sanseverino che Targisio ebbe, in Regno, circa la metà del secolo XII, da Roberto Guiscardo, trasse il proprio cognome. Fu insignita del Cavalierato di Malta nel 1537, del Grandato di Spagna di 1° classe e del Cavalierato del Toson d’oro. Possedette questa casa innumerevoli feudi, contee, Marchesati, Ducati e Principati. In Terra d’Otranto il feudo di Tafagnano, metà del casale di Morigino e parte di quelli di Giuggianello e Mianello; i casali di Parabita, Laterza, Soleto, Ceglie, Copertino, Galatone, Ginosa, Montesano, Calimera e Cannole; le Terre di Nardò e Massafra, la città di Ostuni, Castellaneta e Mottola; il Contado di Corigliano e quello di Soleto. Il Ducato di S. Pietro in Galatina lo possedette infine a seguito del matrimonio di Irene figlia di Ferrante Castriota – Scanderberg Conte di Soleto e Duca di S. Pietro in Galatina con Pietro Antonio Sanseverino Principe di Bisignano. L’Arma dei Sanseverino è: D’Argento alla fascia rossa (Cfr., A. Foscarini, Armerista e Notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra d’Otranto estinti e viventi con tavole genealogiche, premessa di Pietro De Leo, rist. Anastatica della 2° ediz. Di Lecce 1927, Arnaldo Forni ed., Bologna 1971, p. 267). Berardo Candida Gonzaga dedica diverse pagine alla casa Sanseverino, evidenziando che “è stimata per la sua illustrazione e potenza la prima del Regno ha goduto nobiltà nella città di Napoli al seggio di Nido, Milano, Genova, Vicenza, Modena, Piacenza, Capua, Lucera, Catanzaro, Cosenza e Castrovillari… La famiglia Sanseverino per la gran parte presa nei mutamenti di Governo, fu quasi che distrutta due volte. La prima dalla Casa Sveva per aver patteggiato col Papa; e la seconda da Re Ladislao, perché capitanò i Baroni napoletani che cercavano rivoltargli il Regno, allorchè egli partì per la conquista di Ungheria. Quando giunse nel Reame Carlo I D’Angiò, le potenti famiglie Sanseverino e Fasanella seguirono il suo partito per vendicarsi delle ingiurie ed infamie sotto la denominazione sveva… Dei Sanseverino sorgono monumenti in Napoli, Roma, Milano, Monferrato, Mileto, Saponara, Sanseverino, Marsico, Salerno, Diano e Pisa (B. Candida Gonzaga, Memorie delle Famiglie Nobili delle Province Meridionali d’Italia, Vol. II, Napoli, Stab. Tipog. Del Cav. De Angelis e figlio, MDCCCLXXVI, pp. 110-127). Di Luigi Sanseverino indica i seguenti titoli: “Grande di Spagna, Principe di Paceco, di Luzzi e di S. Giorgio o Grottole, Duca di S. Marco, Jelsi, Somma o Venosa, Marchese di Sansa, Sangineto e Casalbore, Conte di Potenza, Lauria, Turrito, Chiaromonte, Altomonte e Sanseverino, già Gentiluomo di Camera con esercizio e Presidente della Corte dei Conti, Cavaliere di S. Gennaro, dell’Ordine Gerosolimitano e Gran Croce di S. Gregorio Magno” (Ivi, p. 127). G.B. Di Crollalanza nel suo Dizionario storico-blasonico (Vol. II, Pisa 1888, p. 484) annota infine che “questa casa ha posseduto 384 baronie, 64 contee, 8 marchesati, 42 ducati e 40 principati ed è entrata nell’Ordine di Malta fin dal 1400. Fu insignita del Toson d’Oro e del Grandato di Spagna di 1° Classe; onorata dei titoli di Serenissima e Potentissima di Primi Casa del Regno, di principi del S. R. I., ascritta al seggio di Nido, al libro d’oro al patriziato di Venezia, Milano, Cosenza, Taverna, Catanzaro ecc.”

15 La famiglia Galeota è invece “una diramazione della Casa Capece ed è quella il cui nome tra le viventi famiglie si trova nel primo né i documenti conservati nel Grande Archivio in Napoli. Questa famiglia ha goduto nobiltà in Napoli al Seggio di Capuana, in Taranto ed in Teano. Fu insignita dall’Ordine Cavalleresco istituito nel Regno, e fu ricevuta nell’Ordine di Malta nel 1559. Sorgono monumenti dei Galeota nel Duomo e in diverse chiese di Napoli, nel duomo di Cosenza, in Liveri presso Nola e in Francia nella Cappella Reale d’Anghiers. Arma: Una sintesi composta di onde di Argento ed azzurro (Cfr., B. Candida, Gonzaga, Memorie delle Famiglie Nobili delle Province Meridionali d’Italia, op. cit., Vol. Terzo, Napoli, Cav. Gennaro De Angelis e Figlio, MDCCCLXXVI, pp. 100-109). Il Foscarini definisce i Galeota come “Nobile famiglia Tarentina originaria di Napoli, dove godeva nobiltà al Seggio di Capuana, ed importata in Taranto nel 1515 da Gio. Tomaso Galeota, già Ambasciatore al Re di Francia, a causa del suo matrimonio con la nobile Giulia Capitignani: In Terra d’Otranto possedette i feudi di Tafagnano, Saturo, Lucignano, i Casali di Salice e Guagnano, Casamassella e metà del feudo di Montemesola. Arma: una sintesi composta di onde di argento e di azzurro, al lambello di rosso nel capo attraversante sul tutto” (Cfr., A. Foscarini, Armerista e Notiziario delle Famiglie Nobili, Notabili e feudatarie di Terra d’Otranto, op. cit., pp. 154-155). Secondo il Crollalanza la famiglia Capece – Galeota di Napoli “Ha per capo-stipite un Galeotto Capece, figliuolo di Enrico Contestabile della Repubblica Napoletana, vissuto nel 1170. Ebbe il possesso di molti feudi, tra i quali alcuni con titolo di Conte, Duca e Principe; ed è goduto nobiltà in Napoli nel Seggio di Capuana. Ha occupato alti uffici e dignità civili; militari ed ecclesiastiche, e fu insignita di molti ordini cavallereschi. ARMA: Ondato d’argento e d’azzurro, al lambello di tre pendenti di rosso attraversante sul tutto. Alias: d’oro, a quattro fasce ondate d’azzurro” (G.B. Di Crollalanza, Dizionario storico blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, Vol. primo, Pisa, presso la direzione del giornale araldico 1886 pag. 721).

Stemma araldico dei Galeota (da BERARDO CANDIDA GONZAGA, Memorie delle Famiglie delle Province Meridionali d’Italia, Bologna 1965).

 

16 Traduzione: Perché mai, sedendo sulle crudeli armi di Marte/Imeneo/ lancia la fiamma sostenuto dall’amore celeste?/ Da questa gesta guerriera si augura, o inclito LODOIX, la madre Cornelia/ Che ti sceglie come sposa novella.

 

“Antichi Amori”, un bacio da… venti ducati nella Novoli del 1600

Venere dea della bellezza e dell’amore. Cartolina d’epoca non viaggiata ma primi anni del ‘900 (coll. privata).

 

di Gilberto Spagnolo

 

Fu il tuo bacio, amore, a rendermi immortale

(Margaret Fuller)

 

Nessuno sa come sia nato il bacio, “il simbolo più potente dell’amore tra due persone”, quale sia stato il primo ad essere dato da uno dei nostri antenati e, probabilmente, non lo sapremo mai. Ma la storia che qui di seguito ci accingiamo a raccontare, ora che “in piena pandemia” sta cambiando pure l’amore, ora che la nostra vita emozionale è resa meno passionale e spontanea, certamente lo rendono ancora più “mitico” e prezioso.

Un atto rogato nell’ottobre 1650 dal pubblico notaio Michele Sedato di Taranto, conservato presso l’Archivio di Stato di Lecce1, ci descrive infatti un curioso e simpatico episodio accaduto nel casale di S. Maria de Novis (l’attuale Novoli) negli anni in cui era feudatario Giuseppe Antonio Mattei figlio di Alessandro II (umanista e mecenate)2, episodio in cui il protagonista eccellente è proprio il bacio e che ci rivela, nel contempo, uno spaccato di costume e di tradizione di cui attualmente non c’è più traccia.

È noto che quando “s’appressano le labbra chiuse a checchessia in segno d’amore e di riverenza”, ma anche in segno di amicizia e di riguardo tra amici, congiunti e consanguinei nell’incontrarsi dopo una lunga assenza e nello accomiatarsi, si compie l’atto comunemente definito del “baciare”.

Ai tempi d’oggi, tra due innamorati in particolare, un bacio dato “con le dovute cautele” costituisce sempre un gesto che rientra nella normalità dello stesso linguaggio amoroso, probabilmente suscettibile di ulteriori sviluppi ma non tale certamente da costituire un impegno di futuro matrimonio.

Qualche secolo fa invece le cose non andavano così, considerato quello che accadde appunto al chierico novolese Antonio Greco (fratello del reverendo D. Domenico Greco3 presente per suo conto al momento dell’atto) che fu costretto a pagare pesantemente un pudico bacio (non sappiamo poi quanto realmente) dato pubblicamente a Cecilia Sellitta, figlia di Giuseppe Sellitta e Francesca Pati di Lecce, e la cui storia emerge (seppur a grandi linee) dal documento in apertura citato e che si trascrive in sintesi qui di seguito (il titolo è Retrovenditio Vinearum prò clerico Antonio Greco di Terra Santa Maria De Novis).

ARCHIVIO DI STATO LECCE, not. M. Sedato, Lecce 46/37, atto dell’8 ottobre 1650, f. 198

 

Era l’8 ottobre, quarta indizione del 1650 e di fronte al suddetto notaio si presentano, da una parte, Cecilia Sellitta virginis in capillis (ovvero nubile) accompagnata dai suoi genitori, e dall’altra, il reverendo D. Domenico Greco de Terra Sanctae Mariae de Novis per conto del fratello chierico Antonio Greco.

Dopo i preliminari di rito, al solerte invito del notaio, la nostra povera Cecilia col cuore infranto e sconsolato comincia a raccontare coram nobis (al cospetto di tutti), come nell’anno 1646 il suddetto chierico Antonio pubblicamente li diede un bacio sub specie futuri matrimonii4, e perché veniva impedito da suoi parenti si ritirò e rifugiò in chiesa5, per il qual ritiramento essa Cecilia lo querelò nella Vescoval Corte di questa città di Lecce6, e perseguitò: ma perché conoscea aver poca ragione (il Greco) dopo alcuni mesi mediante trattato di persone da bene e timorose d’iddio, li fece la remissione et esculpatione, purché l’avesse (alla Cecilia) da donare ducati venti, quali non avendo di contanti, simulò di venderli, per detti ducati venti, siccome li vendette col patto de reemendo (ossia di ricompra), cinquanta quarantali in circa di vigne, situati e posti nel feudo di Santa Maria di Novole, nel luogo detto Lombardo7, giusta li beni del Signor Conte di Palmariggi, giusta li beni di notar Angelo Greco, via vicinale et altri confini; e confessò d’aver ricevuto esso clerico Antonio detti ducati vinti da detta Cecilia presentialmente e manualmente, si come il tutto appare da contratto rogato per notar Giordano de Giordano di Campi a’ 9 di ottobre del detto anno 1646, al quale etc.. Et volendo adesso il detto clerico Antonio in virtù del suddetto patto de reemendo sborzare li detti ducati vinti e pigliarsi le dette sue vigne, ne ha fatto richiedere essa Cecilia per le debite cautele, ideo hodie predicto die non vi etc. sed sponte etc. ipsa Cecilia retrovendit et titulo retrovenditionis iure proprio et in perpetuum dedit etc. eidem clerico Antonio absenti, et prò eodem Reverendo D. Domenico eius fratri etc. etc.. Stantes in domibus Domini Comitis Palmaricii, habitatis a Jo. Stefano Villa ianuense Litii commorante, sitis intus Litium in portaggio Rudiarum etc. etc….8.

Si concludeva così, dopo quattro lunghi anni, con un rude e venale risvolto economico, la storia d’amore di Cecilia, una storia che forse meritava ben altro epilogo considerati gli inizi. Non sappiamo le ragioni per le quali i parenti del Greco ostacolarono questo matrimonio, né tantomeno chi furono le persone da bene e timorose d’iddio che si adoperarono per convincere Cecilia ad accettare il pentimento di Antonio e ritirare la querela. Il fatto comunque che l’atto del notaio Sedato fosse stato rogato (come si evince alla fine del documento) nella casa leccese del Conte di Palmariggi sita nel Portaggio Rudiarum9, abitata dal Genovese Giovanni Stefano Villa (presente come teste insieme ad altri) farebbe supporre che lo stesso Conte avesse contribuito, con qualche suo intervento, a risolvere la controversia fra gli sposi mancati.

Lo sposalizio, dal Breviario Grimani. Cartolina d’epoca della serie I dodici mesi, non viaggiata ma inizi 1900.

 

Certamente il ritrovamento dell’atto rogato dal notaio Giordano de Giordano di Campi avrebbe forse potuto gettare maggiore luce su questa vicenda, ma la sua irreperibilità unita allo scarno documento notarile del Sedato, ci costringe a congetturare una serie di possibili situazioni e non ci permette di gustare più a fondo l’evolversi particolareggiata della vicenda. Resta comunque il “bacio” e un matrimonio mancato, un bacio (quello di Cecilia ed Antonio) a cui dedichiamo nel concludere questa breve nota (anche per sdrammatizzare questo particolare contrasto d’amore) i versi di Enrico Bozzi, conosciuto come il Conte di Luna10:

LU ASU

È forte! Nu asu cce mme rappresenta?

do’ ucche ca se uniscenu . . . e ppercene

doppu lu primu cedhi se trattene,

cedhi se binchia e cchiù spamatu ddenta?

 

Do’ ucche ca se uniscenu! E cce bete?

intra lli musi cce pputenzia nc’ete?

 

Percè ccumienzi tuttu a tremulare?

Percè lu core nu llu puei frenare?

 

A nnanti a ll’ecchi toi scinde nu velu

E ssia, cce ssacciu, ca sì rriatu a ncelu. . .

 

 E cccomu spiechi poi ca a dhi mumenti,

mentre cu nnu asu ue’ nde suchi l’arma,

mvece tte sienti nu presciu, na carma,

nu martiriu ntra ll’anima te sienti?

 

Lu sangu ntra lle ine se traugghia

E llu asu ddenta nu fuecu de mpugghia.

 

Cu ppienzi ca pe nnu asu tanti e ttanti,

ricchi, pezzienti, nobili e gnuranti

 

su ccapaci de tuttu. . . e quandu l’hanu,

lu penzieri camina cchiù lluntanu!. . .

 

Ah nu asu, nu asu ! E cci se scerra

lu nnutu ci ccappai tre giurni a rretu?

ci se scerra lu scigghiu e llu rreuetu

ci l’amore te dae quandu te nferra?

 

Ieu sprasemaa pe nnu asu de na stria:

ni lu cercaa, ma quidha nu mbulìa.

 

Purtaa na ucca comu na cerasa,

ma a lla raggione nu mbulìa cu ttrasa. . .

 

Purtaa na ucca de curadhu finu. . .

e ieu penzaa: me minu o nu mme minu?

 

E mme menai: lu diaulu m’ia tantatu!

maledezzione!!. . . ni fetia lu fiatu!

 

 

In www.spazioapertosalento.it, 14 febbraio 2022 e in G. Spagnolo, Memorie antiche di Novoli. La storia, le storie, gli ingegni, i luoghi, la tradizione. Pagine sparse di storia civica, Novoli 2024.

 

 Note

1 Archivio di Stato Lecce, not. M. Sedato, Lecce 46/37, atto dell’8 ottobre 1650, ai ff. 197v.-199v.

Villa Convento. Portale della chiesa del Buon Consiglio, 1576. Stemma nobiliare dei Mattei (foto P. Caricato).

 

2 Giuseppe Antonio Mattei, nato nel 1621, era uno degli undici figli della leccese D. Cornelia Condò e del conte di Novoli Alessandro Mattei II (l’umanista e mecenate che Girolamo Marciano definisce “uomo di singolar dottrina versato su tutte le scienze, nella greca e latina lingua eruditissimo, saggio e prudentissimo principe, proprietario di un “museo del quale è ricchissimo di molti libri di tutte le scienze greche e latine che non ha pari nella provincia. (Cfr. G. Marciano, Descrizione, origini e successi della Provincia d’Otranto. Con aggiunte del filosofo e medico Domenico Tommaso Albanese, Napoli 1855, p. 472). Il Mattei successe al padre Alessandro; fu designato erede dei feudi già nel 1633 e morì tra il febbraio e il novembre del 1656 (Cfr. O. Mazzotta, I Mattei Signori di Novoli 1520/1706, Novoli 1989 pp. 32-33; L.A. Montefusco, Le successioni feudali in Terra d’Otranto. La Provincia di Lecce, Novoli 1994, p. 449). Giuseppe Antonio è autore di un epigramma con continui riferimenti alla classicità pubblicato in Lusus Iuveniles di Lucrezio Tafuri, stampato a Lecce dal Micheli nel 1637 (Cfr. G. Spagnolo, Storia di Novoli, Note e approfondimenti, Lecce, 1990 pp. 42-43). La scheda dei Lusus Iuveniles (giochi di gioventù) del Tafuri, con le relative indicazioni bibliografiche, è riportata negli Annali di Pietro Micheli, tipografo in Puglia nel 1600 di G. Scrimieri, Galatina 1976, pp. 42-43).

Novoli. Palazzo Baronale Mattei in Piazza R. Margherita (foto P. Caricato).

 

Novoli. Palazzo Baronale: la fontana fatta costruire da Alessandro III Mattei nel 1700 (con iscrizione al “Dio dell’Ospitalità”).

 

3 A Novoli, l’accesso alla carriera ecclesiastica fu privilegio di questa famiglia. La massima carica capitolare infatti, eccetto una brevissima parentesi, fu infatti nelle mani dei Greco per gran parte del 1600 e dei Mazzotta per tutto il 1700 (Cfr. M. De Marco, La Chiesa Matrice di S. Andrea Apostolo, in “Camminiamo insieme”, a. III, Novoli 1986, pp. 106-107; O. Mazzotta, Novoli nei secoli XVII -XVIII, Novoli 1986, pp. 106-107). Il chierico Antonio Greco e il fratello D. Domenico Greco figurano nell’elenco dei sacerdoti riportato nella S. Visita (la VI) del 1653 del Vescovo Luigi Pappacoda che descrive lo stato giuridico della Chiesa medesima e da cui si ricava la norma fondamentale che ha regolato la “Chiesa Ricettizia di Novoli” (Cfr. M. De Marco, La Chiesa Matrice di S. Andrea Apostolo cit., pp. 12-13).

4 È singolare, a tal proposito, ricordare (il volume fu stampato per la prima volta a Copenaghen alla fine del 1800 e poco dopo tradotto in inglese) la Storia del bacio di Kristoffer Nyrop (ed. Donzelli). Da questo libro (secondo una particolareggiata recensione di M. Francini) si apprende infatti che “secondo il diritto romano, baciarsi era un pò sposarsi. Il bacio, in sostanza, era considerato l’introduzione alla convivenza matrimoniale, un simbolo del matrimonio. Un preciso articolo di legge stabiliva infatti che al momento del fidanzamento, quando i due innamorati (i “contraenti” per dirla in gergo notarile) si scambiavano i doni, potevano baciarsi o no; ma se poi il fidanzamento si fosse rotto (o uno dei due “contraenti” fosse venuto a mancare), qualora i due si fossero baciati, solo la metà dei doni doveva essere restituita, se invece il bacio non c’era stato i doni dovevano essere restituiti tutti. Doveva trattarsi di un bacio ufficiale e presumibilmente poco appassionato, di cerimonia (ed è il caso, a quanto pare, di Cecilia e Antonio che appunto, come si legge nel documento notarile, “pubblicamente li diede un bacio sub specie futuri matrimonii”). È probabile, inoltre, che la formula con la quale, in certi paesi, oggi l’officiante invita lo sposo a baciare la sposa alla conclusione del rito, tragga origine proprio da quella consuetudine, che i Romani lasciarono in eredità al Medioevo passandola prima al Codice dei Visigoti e poi a quello dei Longobardi. Questa è la ragione per la quale “la donatio propter osculum” (lo scambio dei doni sancito dal bacio) sembra essere sopravvissuta più a lungo che altrove in Spagna e in Italia” (Cfr. M. Francini, Ad ogni bacio la sua storia, in “Quotidiano di Lecce”, 7 febbraio 1996.

5 Le chiese, in quell’epoca (secondo quanto risulta da un atto notarile) godevano infatti “del diritto di asilo”; gli ecclesiastici non erano sotto il controllo della giurisdizione civile e in caso di delitti comuni venivano giudicati da un tribunale ecclesiastico e scontavano la pena nelle carceri vescovili (Archivio di Stato Lecce, not. A. Tarantini, 69/3, a. 1720, c. 91).

6 Secondo quanto scrive O. Mazzotta, nella diocesi di Lecce (e quindi non solo a Novoli) specialmente nel 1600, il numero dei chierici era elevato e fra questi alcuni riuscivano a concludere la carriera sacerdotale ma molti rimanevano sempre chierici. Questo perché “i chierici, compresi i coniugati, oltre che vestire la talare, che era segno di distinzione, godevano di tutti i privilegi concessi al clero, primo fra tutti l’esenzione dai pesi fiscali” (Cfr. O. Mazzotta, Novoli etc. cit., p. 116).

7 Su questo toponimo (Lombardo, Lummarde, Lombarde) e la sua ubicazione (che può vedersi con chiarezza sulla cartina pubblicata a corredo di questo lavoro) cfr. G. Spagnolo, Novoli, Origini, Nome, Cartografia e Toponomastica, Novoli 1987, p. 59 e p. 125 (appendice sulle strade vicinali); P. Salamac, Saggio di antroponomastica e toponomastica novolese, in “Note di civiltà medievale 2”, Bari 1980, pp. 63-82. Il quarantale dovrebbe equivalere ad are 4 (Cfr. il saggio di A. Politi, Dialetto novolese a confronto, in “Lu Lampiune”, Ed. Grifo, a. XIII, n. 1, p. 114 (Quarantale vuol dire “quarantesimo”).

Ubicazione del fondo Lombarde in una cartina autografa dell’Ing. novolese Francesco Parlangeli, inizi del 1900 (Toponomastica extraurbana del territorio di Novoli, coll. privata).

 

8 Da un documento notarile dell’8 febbraio 1656 risulta che il genovese Stefano Villa era creditore nei confronti del Mattei di ben 1252 ducati (debito risolto successivamente con una transazione di soli 500 ducati – Archivio di Stato Lecce, not. L. Mezzana, Lecce 46/35 a. 1656).

Lecce, Via Libertini. La chiesetta sotto il titolo di “S. Andrea, poi dell’Assunzione della Vergine o Chiesa Nuova”, oggi di S. Elisabetta (accanto a Palazzo Zimara) fatta costruire da Filippo I Mattei (foto G. Spagnolo).

 

Lecce. Prospetto di Palazzo Zimara e, accanto, la “Chiesa Nuova”, in via Libertini (foto G. Spagnolo).

 

9 Filippo I Mattei, barone di S. Maria de Nove, successore di Paolo Mattei (primo Mattei barone di questo Casale), marito di Paola Bozzi dei baroni di Arnesano, fece edificare “nel portaggio di Rugge” una chiesetta “sotto il titolo di S. Andrea”, poi (fu detta) dell’assunzione della Vergine o Chiesa Nuova” su un suolo di proprietà della Basilica Lateranense di Roma (all’interno è presente lo stemma dei Mattei). La casa abitata dal Villa, di proprietà dei Mattei, con tutta probabilità è quella indicata da N. Vacca nell’appendice a Lecce e i suoi monumenti del De Simone a proposito di tale Chiesa e cioè “la casa dei Mattei era nel sito dov’è ora quella del Dott. Micheli preside del tribunale. Il palazzo, attualmente Guerra – Sellitto era quello di Teofilo di Marcantonio Zimara di Galatina, insigne medico, amico di Annibal Caro, che morì il 4 dicembre 1591” (L. G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, nuova edizione postillata da N. Vacca, Lecce 1964, p. 325 e pp. 577-578; cfr. M. Paone, Chiese di Lecce, vol. II, Galatina 1978, pp. 298-303; Idem, Palazzi di Lecce, Congedo Editore, Galatina 1978, p. 125. Il palazzo passò ai Guerra-Sellito allorquando gli Zimara si estinsero nella seconda metà del seicento (Ivi).

Francesco Hayez, Il bacio. Cartolina d’epoca viaggiata nel 1939 (coll. privata).

 

Facciata posteriore della cartolina Il Bacio di Francesco Hayez.

 

10 R. Roberti (a cura di), Ottocento poetico Dialettale Salentino, vol. II, Galatina, senza anno di stampa (ma 1954), p. 89 (poesia “Lu Asu” – il bacio) E. Bozzi (Il Conte di Luna), La Banda de la Lupa. Versi in dialetto leccese, Lecce, Stab. Tip. Giurdignano 1912, pp. 14-15. Nelle illustrazioni, la cartolina che riproduce l’opera pittorica “Il bacio” del pittore italiano Francesco Hayez (olio su tela del 1859 conservato alla Pinacoteca di Brera) è datata Lecce 10 febbraio 1939 (timbro postale) ed è indirizzata ad Antonia Piconese, deposito tabacchi greggi n. 9 Novoli (Lecce). Ad inviarla è la sua amica Ester con la seguente dedica: Ti auguro la più grande fortuna unita alla più bella felicità. Tua amica Ester (coll. privata). La cartolina postale su Venere fa parte invece della raccolta I giorni della settimana, 7 cartoline policrome, Ediz. Sborgi, Firenze (non viaggiata, inizio 1900). La cartolina è quella per il venerdì, giorno sacro a Venere che presso gli antichi era la dea della bellezza e dell’amore. (coll. privata). Infine, la cartolina “Lo Sposalizio, mese di aprile” fa parte della raccolta “I dodici mesi, dal Breviario Grimani, 12 cartoline a colori, Edizioni Ongania Libreria artistica Internazionale, piazza San Marco Venezia, Inizio 1900 (coll. privata).

 

E. BOZZI, La Banda De la Lupa. Versi in dialetto leccese, Stab. Tip. Giurdignano, Lecce 1912. Copertina (la poesia sul bacio è alle pp. 13-14, Lu Asu).

Il “Quadrato magico del Sator” in un testo seicentesco

Storie di Libri

“Nell’archivio dell’eternità”:
il “Quadrato magico del Sator” in un testo seicentesco

 

di Gilberto Spagnolo

“(…) Il libro è lo strumento che, più di altri, trasmette il sapere; nei libri troviamo le nostre radici culturali; attraverso i libri è avvenuto il dialogo tra i popoli e culture diverse, i libri sono un legame con coloro che ci hanno preceduto e rappresentano il nostro lascito a coloro che ci seguirannoVolutamente abbiamo ritenuto di estrapolare queste significative affermazioni da alcune considerazioni sul “libro come bene culturale” di Geo Magri, per introdurre questo nostro contributo su un argomento che riveste un particolare interesse.

All’archivio dell’eternità” ha infatti affidato il suo libro, scrivendolo nella sua “Lettera Dedicatoria”, il frate carmelitano Elia Sanguineto, (pubblicandolo nel 1674 in Genova con lo stampatore Gio: Agostino di Bernardi, che aveva la sua tipografia nella Piazza dei Giustiniani (ovvero la piazza principale della città) e dedicandolo “all’illustrissimo Signore Agostino Lomellino Q(uondam) Stephaniappartenente ad uno dei casati nobiliari più importanti di Genova. Questa famiglia, secondo il Dizionario Storico-Blasonico del Crollalanza (riporto testualmente) “trae (infatti) origine certa dal secolo XII ed ebbe a capo-stipite un Vassallo da Lumello, console dei Genovesi nel 1197. Nelle fazioni che agitarono la patria seguitò sempre il partito degli Spinola, dei Doria e dei Fregosi; ed oltre le primarie dignità in paese, ebbe spesso anche il comando di armate navali; ambascerie ecc., e nel 1528 formò uno dei 28 alberghi (sic). Nel 1533 Battista Lomellini salì primo al trono dogale dignità conseguita da altri 5 della famiglia. Dette inoltre alla chiesa molti cardinali e vescovi, ed ebbe la signoria dell’isola di Tabarca che le fu tolta dai Turchi. La loro arma è rappresentata da uno “spaccato di porpora” con il motto “Manet Avita Virtus”.

E. SANGUINETO, Fascietto delle Gratie etc., 1674. Frontespizio (coll. privata).

 

Il libro, assai grazioso (“È picciolo, ma è della qualità del Diama(n)te”, lo definisce così lo stesso autore), riporta inciso sul frontespizio lo stemma araldico di Agostino Lomellino, è di piccolo formato, di complessive 52 pagine, copertina in carta avoriata, con capilettera e fregi e s’intitola FASCIETTO/DELLE GRATIE/DI/MARIA SANTISSIMA/DEL CARMINE./Dedicato all’Illustriss(mo). Sig./AGOSTINO LOMELLINO/Q. STEPHANI/IN GENOVA, Per Gio: Agostino De’ Bernardi, nella Piaz-/za de Giustiniani. Con licenza de’ Superiori/. La data di stampa, 1674, la si ricava dalla Lettera Dedicatoria di Frate Sanguineto scritta “Dal Nostro Monastero del Carmine di Genova 6 luglio 1674”. Il testo invece, che si conclude a pag. 52 con l’approvazione delle indulgenze del “Cardinale Bona”, porta la data dell’8 maggio 1673 ed è soprattutto un Sommario “delle indulgenze favori e gratie concesse da diversi pontefici sia ai Religiosi e sia ai Confratelli della Madonna del Carmine nonché a tutti i Fedeli (che) si fossero decisi a visitare le chiese dello stesso ordine”.

Il Sommario appartiene inoltre a una collezione privata ma proviene dalla residenza nobiliare degli Imperiale di Francavilla Fontana, famiglia di finanzieri genovesi giunta in Puglia con Davide dopo la Battaglia di Lepanto nel 1571 e che, nell’arco di poco più di due secoli, riuscì ad acquisire un numero piuttosto consistente di feudi, terre e casali, disponendone, per alcuni di questi disabitati, il ripopolamento. Una famiglia aristocratica che lasciò dunque in Terra d’Otranto un segno forte e indelebile del suo operato; “Feudatari illuminati” contrariamente alle abitudini dell’epoca. Al di là dei suoi contenuti di carattere squisitamente religioso e che interessano relativamente, il libro ha però una singolare particolarità. Contiene infatti, incollato sul risvolto della facciata anteriore della copertina in carta avoriata, un foglietto di forma quadrata in carta pergamenata di cm. 7×7.

E. SANGUINETO, Fascietto delle Gratie etc. Iscrizione del SATOR sul retro di copertina anteriore

 

Posto al centro della pagina, esso riporta, con inchiostro dell’epoca e con caratteri calligrafici probabilmente coevi, il disegno del “Quadrato magico del Sator”, disegno sovrastato (come si può osservare nell’illustrazione) da una firma autografa (quasi uno scarabocchio) lasciata sui margini superiori di essa. Probabilmente quella dell’esecutore materiale del disegno stesso o dell’antico possessore del libro anche se di difficile interpretazione.

E. SANGUINETO, Fascietto delle Gratie etc. Pagina iniziale della “Lettera dedicatoria”

 

E. SANGUINETO, Fascietto delle Gratie etc. Pagina iniziale della “Lettera ai fedeli di Gesù Cristo e ai devoti della Madonna del Carmine”

 

E. SANGUINETO, Fascietto delle Gratie etc. Pagina iniziale delle indulgenze plenarie concesse da Papa Clemente X “in Festis Beatiss. Virg. Mariae de Monte Carmelo” datata 8 maggio MDCLXXIII

 

E. SANGUINETO, Fascietto delle Gratie etc. Sommario “dell’Indulgenze, favori e gratie”, con-cesse da “molti sommi Pontefici”

 

Stemma araldico dei feudatari Imperiale di Francavilla Fontana (incisione seicentesca acquarellata, coll. privata)

 

L’enigma del Sator è un argomento infatti alquanto suggestivo e affascinante; ed è oltremodo singolare specialmente se si considera che tale iscrizione è riprodotta all’interno di un libro così antico. Questo è un fatto soprattutto estremamente raro come ci si può documentare in merito confrontando la sterminata bibliografia di testi, saggi e articoli che sono stati scritti e che parlano di esso.

La ricerca tra queste fonti è assai complessa tanto che se ne interessò perfino Umberto Eco, il grande scrittore, semiologo, saggista di fama planetaria proponendo un libretto di giochi linguistici che prende il nome proprio del famoso quadrato magico leggibile in qualsiasi verso e direzione.

Ad ogni modo, esaminando quelle più significative, in un breve excursus, va evidenziato fondamentalmente che il Quadrato Magico del Sator è uno straordinario mistero dell’archeologia su cui si dibatte ancora per mezzo di nuove ipotesi e interpretazioni. È un testo enigmatico che ha attraversato la storia dell’Occidente, a lungo studiato e variamente interpretato.

La disposizione spaziale delle parole in esso contenute (come si può vedere nelle immagini) allineate in un ideale quadrato di venticinque lettere, gli danno la caratteristica di essere “palindromo” (dal greco palindromos che ritorna, da palin, indietro + dromos, corsa) o un “bifronte”. Esso cioè mantiene intatto il significato in differenti direzioni di lettura, caratteristica per la quale è altresì appellato come “quadrato magico” di tipo numerico. Nei quadrati aritmetici i numeri sono generalmente collocati in celle separate e disposti in modo tale che ogni riga, ogni colonna e le due diagonali principali diano la stessa somma.

Le parole che compongono questa celebre iscrizione sono 5 ovvero: “Sator, Arepo, Tenet, Opera, Rotas” e rappresentano “un rompicapo che, immutato, ha attraversato la storia”. È la terza parola, “tenet”, ad essere palindroma, ossia può essere letta in entrambi i sensi, come lo è la frase nella sua interezza. Non solo, se mettiamo la parola una sotto l’altra otteniamo un quadrato 5×5 in cui la frase può essere letta, da sinistra a destra e viceversa, dall’alto in basso e viceversa tranne in diagonale.

Tradotto “letteralmente (“Sator, Arepo, Tenet, Opera, Rotas”) infine dà origine alla frase “il seminatore Arepo tiene con la sua opera le ruote”.

L’iscrizione è stata oggetto di frequenti ritrovamenti archeologici sia in epigrafi lapidee sia in graffiti ma il senso e il significato simbolico rimangono ancora del tutto oscuri nonostante le numerose ipotesi formulate e che dividono gli studiosi (che comunque tralasciamo). Va inoltre precisato che storicamente esistono due esempi di tale iscrizione. Nelle attestazioni di età romana il quadrato inizia indifferentemente con il termine ROTAS e termina con SATOR (probabilmente la versione più antica) oppure inizia con SATOR (come nel nostro caso) e termina con ROTAS che è la versione medievale quella prevalente del quadrato, ovvero con il termine SATOR all’inizio e ROTAS alla fine.

I ritrovamenti sono avvenuti un po’ ovunque in Europa. Dall’Italia all’Ungheria, passando per Francia, Spagna e Inghilterra. Esso viene riscoperto infatti tanto in siti archeologici romani e paleocristiani quanto medievali, su edifici di culto come su manoscritti secolari; sulla superficie di vasi e coppe e allo stesso tempo su mosaici pavimentali, sotto forma di incisione grafica o epigrafe; e ancora in forma quadrata ma anche rettangolare e persino circolare (come nel caso di quelli che sono stati trovati ad Aosta e Sermoneta). Insomma è venuto alla luce più volte in luoghi e reperti di epoche e popoli differenti.

Per quanto riguarda i ritrovamenti avvenuti in Italia, molto utile e interessante è il libro di Roberto Giordano “l’enigma perfetto. I luoghi del Sator in Italia”, perché presenta una catalogazione di ritrovamento di esso nelle varie regioni italiane.

Le schede che si riportano nel libro sono relative a 14 regioni comprensive di 30 segnalazioni (tra cui la Puglia) con la descrizione dettagliata dei vari contesti (chiese, archivi, siti archeologici nei quali si trova Il Palindromo). I più antichi, com’è noto, sono stati trovati in Campania negli scavi dell’antica Pompei (risalenti certamente a prima dell’eruzione del 79 d.C. che ricoprì e conservò la città) svolti dall’archeologo ed epigrafista Matteo della Corte e precisamente nell’atrio della casa di Publio Paquius (5 ottobre 1925) nelle crepe consunte dell’intonaco e sullo stucco di rivestimento della colonna LXI della Palestra Grande risalente al I secolo a.C. (nel novembre del 1936).

Seguono con le loro testimonianze e descrizioni la Valle D’Aosta (Aosta, Issogne), il Piemonte (Vercelli), Liguria (Genova), Lombardia (Amberete-Brusaporto, Pieve Terzagni), Veneto (Pescantina-Arcè, Verona due segnalazioni), Trentino Alto Adige (Bolzano), Emilia Romagna (Modena), Toscana (Campiglia Marittima, Siena, Lucca), Marche (Canovaccio, Marischio, Monterubbiano, Paggese), Lazio (Collepardo, Montecassino due segnalazioni, Roma, Sermoneta), Abruzzo (Campotosto, Capestrano, Magliano De Marzi), Molise (Acquaviva Collecroce).

Agro di Nociglia, Iscrizione del Sator del 1808 di proprietà Casto (in V. PELUSO, Iscrizioni latine del Salento leccese)

 

In Puglia ne sono stati censiti solo due e precisamente la chiesa del SS. Sacramento ad Ascoli Satriano e quella della SS. Annunziata a Deliceto, uniche in Puglia sui cui prospetti esterni compaia, incastonato il Quadrato Magico del Sator. In realtà le testimonianze nella nostra regione sono molte di più e, soprattutto, bisogna dire che il Salento è una delle aree geografiche dove il Sator è più diffuso.

Iscrizione del Sator della prima metà del XIII secolo in caratteri greci (in A. JACOB, Une bibliothéque medievale etc.)

 

Sappiamo infatti che il grande studioso André Jacob (che manifestò particolare interesse per il nostro territorio dal 1977 “lasciando una inestinguibile eredità attraverso i suoi scritti”) aveva rintracciato quello che allo stato attuale dei ritrovamenti è il suo più antico esemplare. Il Sator infatti era tra le annotazioni aggiunte in caratteri greci sui margini dei fogli di un codice greco salentino e precisamente nel codice Vat. gr. 2383 “manuscrit salentin d’Hésiode daté de 1287”. Jacob lo segnalò nel suo studio intitolato Une bibliotheque medievale de Terre d’Otranto pubblicato sulla Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici degli anni 1985-1986.

U. ECO, Sator arepo eccetera, Edizioni gransasso nottetempo, Roma 2006. Copertina

 

Un altro studioso salentino non meno importante, ovvero Vincenzo Peluso, in un contributo sulle “iscrizioni latine del Salento Leccese”, segnala anche la famosa iscrizione a lettura “bustrofedica” (cioè a serpentina ovvero, come già detto che si può leggere in varie direzioni – tranne che in diagonale –, in orizzontale come in verticale; da sinistra a destra come da destra a sinistra; alternando per ogni linea la lettura da destra a sinistra e da sinistra a destra); la segnala incisa invece nel 1808 sull’architrave all’ingresso di un fabbricato rurale in località “casino” di Nociglia. Alcuni anni fa il fabbricato fu demolito ma l’iscrizione fortunatamente fu recuperata e conservata dal proprietario Giuseppe Casto.

Iscrizione del Sator sull’architrave del Palazzo in Via Mory a Galatina (foto Santino Specchia)

 

Ancora più recentemente il quadrato del Sator è comparso a Galatina durante i lavori di restauro condotti su un edificio situato in via Mory, sull’antica facciata di un palazzo probabilmente risalente ad età tardomedievale o in stile medievale. Il Sator è stato individuato sull’architrave di una delle sue tre porte d’accesso, esattamente su quella di destra – due di esse sono contigue –, in origine certamente la porta del palazzo. Secondo Mario Cazzato infine, in passato, un altro esemplare del Sator doveva essere presente anche sulla facciata della Chiesa Madre di Cavallino, al cui interno vi è la cappella dei Castromediano con il monumento funebre di famiglia (1637), ma oggi non più reperibile.

Il ritrovamento del Sator nella forma medievale apposto quasi come un sigillo sul libretto del padre carmelitano Sanguineto, oltre a indicarlo come un documento eccezionale, chiama ora in causa l’identità dell’anonimo esecutore di esso, il significato e la funzione che voleva dargli e, soprattutto, come hanno evidenziato Pietro Giannini e Biagio Virgilio “le infinite proposte che si sono susseguite sul significato del rebus che via via evolvono dai significati cristiani a quelli magici atropopaici e perfino satanici”. 

Per maggiore chiarezza riporto l’efficace sintesi di Roberto Giordano che a tal proposito sottolinea come “ancora oggi, infatti, sull’origine e il significato di questa formula si contrappongono diverse correnti di pensiero sviluppatesi nel corso del tempo; tra le principali ricordiamo quella che sostiene l’origine pagana e ludica (nata cioè come gioco), quindi quella che vede un’equivocabile e nascosta matrice cristiana, e ancora un’altra che considera il Palindromo di estrazione pagana ma, per il significato misterico delle parole e per quel TENET a forma di croce situato nel mezzo del quadrato, lo ritiene uno strumento di riconoscimento utilizzato dai cristiani dei primi tempi. Infine l’ultima, legata a un filone mistico e occulto, che si è andata ad affermare soprattutto in tempi recenti”.

Ovviamente non sono state mai trovate prove definitive che possano dimostrare la sua appartenenza cristiana o pagana né che gettino luce su una possibile traduzione. Trattandosi di un libro dai contenuti religiosi siamo portati a pensare che chi lo ha disegnato firmandolo ha voluto forse ancorarne il suo significato proprio alla matrice cristiana, Non sarebbe però da escludere nemmeno l’uso atropopaico se si tiene presente, a nostro avviso, che il libro proviene, come già detto dalla residenza nobiliare degli Imperiale di Francavilla Fontana originaria di Genova, città in cui è conservato nell’Archivio di Stato, un documento del 1259 su cui il Sator è riportato come augurio per la buona riuscita di un parto, con l’invito a mostrarlo a una partoriente.

Il quadrato magico, nell’uso atropopaico è stato infatti utilizzato (si legge su wikipedia) “come simbolo della croce di Cristo con l’invito a far rientrare un fuggitivo (un manoscritto del XII secolo), come protettore dai fulmini, dagli incendi, da malattie varie quali l’idrofobia, il mal di denti, il morso dei cani etc.

Lo studioso emerito Jacob sottolinea proprio questo aspetto quando ne indica “une fonction prophylactique et magique et qu’on y recourait notamment pour la guerison de certaines maladies”, con utili e preziosi riferimenti bibliografici in merito al Sator in caratteri greci identificato sul manoscritto greco. In particolare l’opera di Girolamo Cardano, filosofo e medico originario di Milano dal titolo De rerum varietate, stampata a Bale (Basilea) nel 1557; opera in cui la formula del Sator è espressamente riprodotta e citata come esorcismo, rimedio alla rabbia, alla cura del morso del cane. La presenza infine dei Sator nel Salento, posti in bella mostra sugli architravi delle abitazioni, come nei casi di Nociglia e Galatina, rafforzerebbero questa ipotesi. Una formula rituale perciò in grado di prevenire le disgrazie e superare le avversità, con funzione di scongiuro. Un talismano, una sorta di amuleto portafortuna, in grado di proteggere e allo scopo di attirare le influenze benigne e allontanare quelle cattive. Con tale convincimento e a supporto di esso, nel concludere, vogliamo citare il prezioso e rarissimo saggio di Francesco Babudri, intelligente e colto studioso di cultura popolare (nato a Trieste ma Barese di adozione) pubblicato nel lontano 1946 sulla rivista Japigia con il titolo Il criptogramma pompeiano in una leggenda plutonica del Salento, Salento che lui stesso definisce “nobilissima terra a cui ci si deve inchinare non solo per le secolari sue vicende, ma anche perché il suo folklore offre aurei motivi, talora anche inattesi, di altissimo valore storico, artistico e demopsicologico”. Babudri con il suo studio ci porta a conoscenza che l’epigrafe poi scoperta a Pompei, la sua “popolarità” e la sua “venerabilità” erano già note in tempi molto antichi.

C.L. ARDITI, Santuario della Beata Vergine e Promontorio di Leuca (litografia da La Leuca Salentina di G. Arditi), Bologna 1875, coll. privata)

 

La leggenda, in cui è presente uno scongiuro contro sette diavoli e le loro vipere, è legata infatti alla famosa località di Porto Badisco ed è raccolta all’epoca da Babudri da un certo signor Donato Chiriatti pubblicandola fedelmente nel suo saggio in dialetto leccese. Lo studioso scopre nella narrazione raccolta dal Chiriatti, in particolare in alcune parole (“Satrepo-Tenopra-Rotas”), “una palesissima storpiatura popolaresca della formola famosa del criptogramma di Pompei nella sua efficacia esorcistica di funzione rituale e magica, prettamente apotropaica (liberatrice).” (…) L’uso che nella leggenda salentina se ne fa (sottolinea ancora Babudri nella sua lunga, documentata e dettagliata dissertazione) dimostra che al criptogramma, si volle annettere la funzione e l’efficacia di potente scongiuro e di esorcismo non meno efficiente”, recitato nella certezza di ottenere così la liberazione dai più gravi malanni corporali e spirituali.

Storie di libri dunque ma anche storia dell’uomo che recupera la conoscenza e ne conserva la memoria, storia di vita in cui si riannodano i fili invisibili che legano saldamente le generazioni e che si susseguono nello scorrere misterioso del tempo.

L’illustre studioso Andrè Jacob (foto da www.leccesette.it, in “Ricordo di Andrè Jacob” di Alessandro Laporta, “Nova LiberArs”, numero 0, dicembre 2019, p. 27)

 

In “spazioapertosalento.it”, 9 luglio 2023 e in G. Spagnolo, Memorie antiche di Novoli. La storia, le storie, gli ingegni, i luoghi, la tradizione. Pagine sparse di storia civica, Novoli 2024.

 

Appendice

La leggenda plutonica di Porto Badiscu

Nu giurnu Belzebù disse alli diauli soi: – Iti currere moi cu fermati na prucessione ca sta bbae a la Madonna de Finibusterre, percè se no perdimu mute anime, ca la Mamma de Cristu ole salve. – Tutti obbedera, menu sette diauli, e Belzebù nde li cacciau de l’infiernu e pe’ quistu ibbera a scire cammenandu pe’ lu mundu. Ota de quai, ota de drai, rriara propriu a lu Capu de Lecce, nnu mutu luntanu de lu Santuariu de la Madonna, addune a principiu nnu bulianu bbàscianu. Ripa ripa a lu mare, truara nna rutta longa e stritta: trasera e dissera tra iddri, ca addrai janu stare chiù frischi de l’infiernu, addu facia sempre càutu. Nturnu, nturnu nun nc’era anima ja, nc’era sulamente qualche cosa de buenu cu mangianu. E poi a li diauli nnu’ manca mai de mangiare. Nna matina ca lu mare era ressu e nnu’ se putia pescare cu la lenza, e nterra la burrasca ja spugghiatu puru li stierpi de li pariti, li sette cumpari se misera a ruddrare nnu picca megghiu intra la rutta, e cu muta meraviglia truara, una de coste all’autra, intra la luta ntustata de la terra, sette pignate chine de ogni bene de Diu. – «Una petunu» – se misera a retare – e pensando ca nc’era ogni sorta de bene de Diu, le aprera, e cu meraviglia truara invece tanti beddri ducati de oru. Pacienza!, eppuru lu chiù piccinu de li sette diauli se mise a ballare nturnu nturnu a li pignate e terau cu iddru li cumpagni a nnu ballu de diauli. Balla, balla, tutti sette fenera cu li piedi e la panza a l’aria. De ddru momentu se persuàsera ca cu se tegnanu tuttu dr’oru nun mb’era nu fiaccu pensieru. Ccusì successe ca quandu mangiaanu o dormianu o parlaanu de li affari loro, stianu settati de coste alle sette pignate. Anzi, cu nun le pigghia nisciunu cu le spogghia, l’janu circundate de stierpi e de jipere mbelenate, ca iddri janu chiamate de intra a le crepature de la rutta fescandu.

Na sira cappau nnanzi a la rutta na ecchiareddra, e li diauli sentera stu chiantu: – Facitime la carità!… Facitime la carità!… – Iddri se misera a ridere; ma la ecchiareddra secutau lu lamentu. – Bah – disse lu diaulu cchiù bbecchiu – damuni quarche cosa… – e senza cu spettanu una risposta, scettara fore a la rutta do beddri zecchini d’oru. La ecchia li zzeccau e, zumpando pe’ lu presciu, comu nna sarmeula senza nna gamba, se nde sciu felice e cuntenta e cuntau la bona sorte a le cummari. Quandu lu giurnu doppu li sette diauli, ca sta pigghiaanu nnu picca de sule, percè era tiempu de jernu, se iddera enire de facce nnu mundu de ecchie cu cercanu la carità: sgubbate, sturpiate, ritte, rasse, mazze, seccate: de tutti li generi. Li diauli nd’ibbera paura e cursera cu se scundanu intra la rutta: de ddrai se misera a menare petre. Ista la mala parata, le ecchie scappara, mentre li diauli redianu. Ma risera pe’ picca, percè le ecchie turnara. Ci nd’era una chiù bauta, chiù longa e chiù seccata de tutte. Sta fiata nu’ cercara la carità, ma senza storie dissera cu ne descianu a retu le sette pignate d’oru. – Ueh, ueh!… – dissera tra iddri li diauli – comu facenu cu saccianu ca su’ sette? – Mandara cu parla lu diaulu cchiù furbu. Ni sciu nnanzi la cchiù longa e senza muti preambuli ni turnau a cercare le sette pignate d’oru. Lu diaulu se mise a ridere e ni musciau la lingua stritta intra li dienti, comu facenu li diauli; ma la ecchia longa longa retau alle cumpagne: – Eniti nnanzi cu mie! – Lu diaulu se dese a retu, e iddra se mise a dire a bbuce auta: Satrèpo!… Satrèpo!... – finu a quandu nnu rriau cu l’autre alla ucca de la rutta. Addrai le fimmene se ibbera ntorna nna scarecata de petre, ma la longa retau nn’autra fiata: – Satrèpo! – e continau: Satrèpo tenòpra rotàs.

Quandu ibbe ditto: – Rotàs! – le petre caddero subbra li diauli, ca se misera a fuscere, se òsera cu salvano la cuda e se menara a mare, addune natando turnara a casa lu diaulu. Ma nc’eranu le jipere ca uarddaanu le sette pignate d’oru; e allora la ecchia ’ncignau ntorna cu la uce auta lu spergiuru: – Sartrèpo tenòpra rotàs! – e le jipere cadera a nterra e se ficera cinnere niura. Ccusì le ecchie de Portu Badiscu se piggliara le sette pignate d’oru, ca dentara la fortuna de le case loro e de tutto lu paise.

 

Fonti bibliografiche di riferimento

F. Babudri, Il criptogramma pompeiano in una leggenda Plutonica del Salento, in “JAPIGIA”, a. XVII, Bari 1946, pp. 105-116 (emeroteca.provincia.brindisi.it).

Basile V., Gli Imperiale in Terra D’Otranto. Architettura e trasformazioni urbane a Manduria, Francavilla Fontana e Oria tra XVI e XVIII secolo,Mario Congedo Editore, Galatina 2008.

G.B. Crollalanza, Dizionario Storico – Blasonico delle Famiglie Nobili e Notabili Italiane estinte e fiorenti, vol. II, presso la Direzione del Giornale Araldico, Pisa 1888, pp. 30-31.

U. Eco, Sator, Arepo eccettera, Edizioni Gransasso Nottetempo, Roma 2006. Libro in cui Eco “raccoglie giochi linguistici fatti per lo più in forma privata, giochi per tenere in esercizio la lingua e divertirsi”.Non a caso il titolo del libro riproduce il contenuto del famoso quadrato magico.

R. Giordano, L’enigma perfetto. I luoghi del Sator in Italia, Edizioni Universitarie Romane, Roma 2013.

P. Giannini – B. Virgilio, Il quadrato del Sator a Galatina, in “il Galatino”, venerdì 27 gennaio 2023.

A. Jacob, Une bibliothèque medièvale de Terra D’Otrante(Parisinus gr. 549), in “Rivista di studi Bizantini e Neoellenici”, n.s. 22-23 (1985-1986), pp. 285-315 con utili riferimenti bibliografici (in particolare le pagine 293-294).

A. Laporta, Ricordo di Andre’ Jacob,in “Nova LiberArs”, Argomenti Edizioni, Novoli 2019, pp. 27-29; Idem, San Vito e Vanini, in Aa.Vv., San Vito nella storia religiosa e nella devozione popolare tra Europa e Salento. Convegno di Studi per il terzo Centenario delle reliquie del Salento a Lequile, a cura di Mario Spedicato, Edizioni Grifo, Lecce 2023, pp. 87-91, in particolare le pagine 90-91 per i riferimenti a Jacob e a G. Cardano. Jacob era nato nel 1933 a Vervier in Belgio ed è venuto a mancare il 27 febbraio del 2019.

V. Peluso, Iscrizioni Latine del Salento Leccese,in “Bollettino Storico di Terra D’Otranto”, n. 8-1998, Congedo Editore, Galatina 1998, pp. 114-178, p. 136 (Peluso parla di “Insospettata presenza”). 

http://www.aedon.mulino.it/ Geo Magri, Alcune considerazioni sul mercato del libro antico dopo la legge 6 agosto 2015, n.125/1. Il libro come bene culturale/.

http://www.indaginiemisteri.it/ Samuele Corrente Naso, Il quadrato del Sator Un’enigma che attraversa la storia – indagini e misteri/.

http://www.it.m.wikipedia.org/ Quadrato del Sator Uso Atropopaico.

http://www.isdmagazine.com/ Bari, storia di una città. Francesco Babudri, un Istriano nella città vecchia, 2 aprile 2021.

Va detto inoltre, che è stato ipotizzato anche un legame tra il Sator e i Templari, i quali avrebbero adattato questo simbolo per contrassegnare alcuni luoghi particolari. Infatti, molti quadrati magici si trovano nelle località che furono sedi Templari. Più specificatamente, nell’iscrizione è stato individuato il collegamento con la croce dei Cavalieri Templari. Le due parole TENET, se la si osserva attentamente, formano una croce a bracci uguali; congiungendo poi le A e le O con la N che sta al centro e tracciando il cerchio di raggio NA (o NO) si ottiene la famosa “croix pattè” (Croce Patente) dei Cavalieri Templari (https://www.edizioninisroch.it//Nuove interpretazioni del Quadrato Magico Sator, di Mauro Garbuglia, 15 luglio 2020); http://www.siena-agriturismo.it/ I Cavalieri Templari. Verità e Misteri sui Cavalieri guerrieri

Su un settecentesco ritratto di Scipione Ammirato

F. ALLEGRINI, Ritratto di Scipione Ammirato, Firenze 1763 (incisione in rame, coll. privata)

 

di Gilberto Spagnolo

Nel condurre una ricerca su un argomento che chiamava anche in causa una delle più illustri figure salentine, quale quella di Scipione Ammirato, “storiografo tra i più avveduti, prosatore eccellente e poeta, attento e sensibile ai fatti politici, versato nella genealogia e nella diplomatica […] variamente impegnato nei molteplici campi della scienza, ho avuto modo di rintracciare e di acquistare dal mercato dell’antiquariato, un ritratto, seguito da quattro pagine di biografia, del grande storiografo leccese. La stupenda immagine faceva parte di una serie di grandi ritratti incisi in rame cm 30 x 20 ca., alla lastra su foglio di carta forte cm 46 x 36 raffiguranti “Personaggi illustri della Toscana” stampati a Firenze in un periodo che va dal 1763 al 1773 e incisi per lo più da Francesco Allegrini, Raimondo Faucci, Gastone Vasellini, Giuseppe e Cosimo Zocchi, da disegni di G. Zocchi e Traballo.

I ritratti (di pittori, scultori, architetti, poeti, letterati, storici ecc. fiorentini) sono straordinariamente intagliati a bulino, sono di grande effetto decorativo ed ognuno è corredato da 3/4 pagine di testo biografico a sua volta abbellito da almeno una stupenda testata, finale e iniziale e sono incisi in rame.

Non può stupire il ritrovare l’Ammirato in questa galleria di illustri Fiorentini, accanto a ingegni come Giotto, Brunelleschi, Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio, Guido Cavalcanti, Pietro Aretino, Cosimo dei Medici, tanto per fare dei nomi, in quanto egli, com’è noto, pur essendo nato a Lecce il 7 ottobre del 1531 da Iacopo e da Angiola della nobile famiglia Caracciolo di Brindisi, visse anche per più di trent’anni a Firenze e a questa città e alle sue vicende dedicò molte sue innumerevoli opere.

Entrato nelle grazie della famiglia de’ Medici (da cui ebbe l’autorizzazione ad usare la documentazione dell’archivio fiorentino istituito nel 1570), qui completò infatti le sue ricerche di genealogia, aggiungendo alle Famiglie nobili napoletane le Famiglie nobili fiorentine, qui oltre a dedicarsi alla poesia, realizzò opere di notevole importanza come le Istorie Fiorentine e i Discorsi sopra Cornelio Tacito ottenendo anche di svolgere l’incarico di canonico della Cattedrale Fiorentina dopo essersi laureato in teologia e in sacra scienza il 23 gennaio 1595, qui lo colse la morte il 31 gennaio del 1600.

Il ritratto del “canonico fiorentino”, come appare dalle indicazioni che lo accompagnano, è stato inciso nel 1763 da Francesco Allegrini su disegno di Giuseppe Zocchi e ad esso segue, come già riferito, il relativo testo biografico, o più precisamente, un “elogio” a firma di un certo G.P. (sono riportate a conclusione solo le iniziali) non identificato.

Da alcune indagini fatte, esso risulterebbe una testimonianza iconografica poco conosciuta, o più giustamente, non sufficientemente valorizzata nell’ambito dei vari studi bio-bibliografici che sono stati portati a compimento su questo Salentino dalla vasta cultura, tenuto in notevole considerazione dai contemporanei per la serietà e la profondità delle sue ricerche. Il ritratto è stato pubblicato solo nel 1959 da Rodolfo de Mattei, uno degli studiosi italiani più noti di S. Ammirato a corredo del saggio Il pensiero politico di Scipione Ammirato IV: Varia fortuna dellAmmirato. Appendici: Opere e stampe: Codici pubblicato su Studi Salentini (VIII) del dicembre dello stesso anno, con la didascalia “Ritratto di Scipione Ammirato desunto da un quadro dellepoca”. Nessun’altra nota di rilievo o esauriente spiegazione accompagnava questa fonte già pubblicata in precedenza dal Mattei, il quale aveva appunto dedicato gran parte della sua vita a compiere ricerche “non solo rivolte alla interpretazione delle dottrine (politiche, economiche, militari, storiche), ma anche alla raccolta amorevole ed appassionata di materiale bibliografico raro” sullo scrittore leccese del Cinquecento.

Occorre a questo punto ricordare, anzitutto, che si conoscono altri ritratti utilizzati a corredo di alcune sue opere o di sue biografie inserite in repertori di uomini illustri. Uno dei più interessanti (tra quelli da noi individuati) è pubblicato a piena pagina, inciso su rame, nella prima parte delle Famiglie Nobili Fiorentine, dedicate al Seren.mo Cosimo II Gran Duca di Toscana IV e pubblicate a Firenze appresso Gio. Donato e Bernardino Giunti e Compagni nel 1615. Lo stesso viene poi totalmente riproposto, ancora a piena pagina e inciso su rame, senza alcuna variazione di rilievo in apertura della seconda parte delle Istorie Fiorentine, dedicate al Serenissimo et Potentissimo Principe Ferdinando II Gran Duca di Toscana, stampate a Firenze nel 1641 nella Stamperia Nuova dAmador Massi e Lorenzo Landi. Ciò che contraddistingue questi due ritratti che raffigurano l’Ammirato (con lo sguardo orientato a sinistra) in una cornice circolare posta al centro di un’edicola arricchita da fregi, è l’iscrizione dotata dello stemma nobiliare (inquartato dal Foscarini con dargento, alla sbarra di nero caricata di un cane corrente al naturale) dalla quale si rileva l’anno in cui il ritratto stesso venne eseguito, il 1598, quando cioè l’Ammirato “CANON. CUS FLORENT. US ET RER. FLORENTINARUM SCRIPTOR” era “Agens annum LXIIX” ovvero era ancora vivente e aveva l’età di 68 anni.

L. CRASSO, Ritratto di Scipione Ammirato, in “Elogi d’huomini letterati”, Venezia Combi e La Noù 1666 (Museo Civico Correr di Venezia)

 

Per quanto riguarda i repertori troviamo raffigurato LAmmirato in Elogi dhuomini letterati scritti da LORENZO CRASSO, pubblicati a Venezia per Combi e La Noù nel 1666. Al ritratto inciso segue anche una breve biografia dello storico salentino, seguita da una strofa, elogiante lo storico, dellAccademia della Crusca per le Storie Fiorentine nonchè da una Elegia ad Scipionem Ammiratum di Bernardino Rota e da un sonetto di quest’ultimo. Viene anche riprodotta un’epigrafe latina relativa all’Ammirato collocata nell’altare maggiore della chiesa di S. Chiara in Lecce nel 1613.

D. DE ANGELIS, Ritratto di Scipione Ammirato, in “Le vite De’ Letterati Salentini”, parte prima, Firenze 1710

 

S. AMMIRATO, Orazione dedicata a Clemente VIII, Firenze, appresso gli Heredi di Iacopo Giunti, MDXCIIII. Frontespizio (coll. privata)

 

Lo ritroviamo ancora nelle Vite de Letterati Salentini scritte da Domenico De Angelis e pubblicate a Firenze nel 1716; nella Vita degli uomini illustri del Regno di Napoli a cura di Nicola Morello Gervasi inciso dal Biondi, seguito dalla biografia sull’Ammirato redatta da Andrea Mazzarella da Cerreto (le vite ornate dei rispettivi ritratti, furono compilate da diversi letterati nazionali dell’epoca e stampate ai primi dell’800); nel II volume delle Istorie Fiorentine (con l’aggiunte di Scipione Ammirato il Giovane) stampate a Firenze nel 1824-1827 per L. Marchini e G. Becherini; risulta, infine, a corredo illustrativo della ristampa dell’Apologia Paradossica di I.A. Ferrari, curata da Alessandro Laporta e tratto da il Poliorama Pittoresco stampato a Napoli nel 1838.

 

Ritratto di Scipione Ammirato nelle “Istorie Fiorentine”, Firenze, nella Stamperia Nuova di Amador Massi e Lorenzo Landi, 1641-1647, parte seconda (coll. privata)

 

Scipione OTTOLINI, Compendio delle Istorie Fiorentine di Scipione Ammirato, Lucca, mano-scritto settecentesco con appendice alle Istorie fino all’anno 1711 (coll. privata)

 

Confrontandoli tutti si nota, che essi hanno un comune punto di riferimento, la stessa e unica “matrice” figurativa, e che si differenziano tra loro quindi solo per alcuni accorgimenti “estetici ocoreografici” usati dal pittore o dall’incisore, mentre mantengono intatti la fisionomia e i costumi del personaggio immortalato in un’età ormai abbastanza avanzata. Tra questi ultimi citati, molto semplici nell’esecuzione (la solita figura nel riquadro circolare orientata invece verso destra) si distingue quello del De Angelis per l’iscrizione e lo stemma posti alla base (la stessa che risulta in quelli, già ricordati, delle Famiglie Nobili Fiorentine e nelle Istorie Fiorentine) nonchè per la grandezza della figura e il riquadro, molto più lineare e più semplice, al cui centro è collocata la figura stessa. L’analisi di tutte queste fonti era necessaria per capire l’importanza (a nostro avviso) del ritratto di cui si è parlato all’inizio, inciso come già detto nel 1763 da Francesco Allegrini su disegno di Giuseppe Zocchi.

Questa raffigurazione, posta rispetto agli altri, in una cornice di forma quadrata anzichè circolare pur conservando la consueta fisionomia e gli stessi abiti, si distingue però nettamente da quelli già esaminati, oltre che per la grandezza e la qualità dell’incisione che magistralmente e con maestosità mette in risalto la figura dell’Ammirato, soprattutto per l’iscrizione posta alla base della figura stessa che oltre a ricordare alcuni dati biografici, fornisce indicazioni su quella che diverrà la “matrice” iconografica del grande storiografo salentino.

 

Si legge testualmente:

 

“SCIPIONE AMMIRATO

CANONICO FIOREN.NO. ANTIQUARIO, E SCRITT.RE

DELL’ISTORIE FIOREN.NE E D’ALTRE OPERE,

nato in Lecce nel MDXXXVIII morto in FIRENZE nel MDC

Al merito singolare dell’Illmo Sig:re Luigi Tempi

Patrizio Fiorentino, e Marchese del Barone

Preso da un quadro in Tela lasciato dal med.mo Scipione

per legato al Clar:mo Sig:re Sen:re Andrea Minerbetti

uno degli Esecutori del suo Testamento;

oggi app(ress)o l’Ill.mo Sig. Andrea Minerbetti Boni.

 

Dall’iscrizione emerge dunque che il ritratto voluto per “merito singolare” del Patrizio Fiorentino Luigi Tempi fu preso da un quadro lasciato per legato dallo stesso Ammirato ad uno degli esecutori del testamento stesso e cioè Andrea Minerbetti e che poi è rimasto in seguito in eredità ai membri della stessa famiglia. All’epoca infatti in cui veniva eseguita l’incisione, nel 1763, il quadro era ancora presso l’illustrissimo Signore Andrea Minerbetti Boni. È, quindi, da questa tela che è stato ricavato il primo ritratto pubblicato in incisione nella prima parte delle Famiglie Nobili Fiorentine stampate nel 1615, tela che evidentemente era stata eseguita (come risulta dalla già citata iscrizione) quando l’Ammirato aveva 68 anni.

Successivamente, ad esso faranno poi riferimento come si è visto, tutti gli altri scultori e incisori, ad eccezione dell’Allegretti che si servirà appunto (e per nostra fortuna ricordandolo) della fonte originale. Per quanto riguarda l’elogio, infine, abbellito da una stupenda testata che riproduce la veduta di una città (certamente Firenze) e dall’iniziale S incisa in rame che è un piccolo capolavoro, esso è stato ricavato, come viene ricordato alla nota I in margine (!… a noi è servito di guida in questo Elogio) dalla biografia dell’Ammirato che G.M. Mazzuchelli riportò in Gli scrittori d’Italia, cioè notizie istoriche intorno alle vite e agli scritti letterati italiani, vol. I, p. II, stampati a Brescia nel 1753 presso G.B. Bossini. L’elogio è intitolato a “Scipione Ammirato il Vecchio” per distinguerlo da Cristoforo di Francesco del Bianco, che fu erede delle sue sostanze, del nome, e del cognome di Scipione.

In virtù di tale testamento egli mutò il suo nome in quello di Scipione Ammirato il Giovane. Questi seppe essere riconoscente nei riguardi dello storiografo leccese in quanto curò la pubblicazione postuma di molte sue opere alle quali “non mancavano nè l’impostazione nè il rigore filologico tipicamente suoi. Grazie a lui “la grandezza intellettuale e la sua opera continuarono così anche dopo la sua morte”.

Ad esempio curò la pubblicazione integrale delle Istorie Fiorentine con varie aggiunte e modifiche, contrassegnate con virgolette per distinguerle dal testo paterno, e nel 1637, fece pubblicare a Firenze per Amadore Massi e Lorenzo Landi, i Vescovi di Fiesole, di Volterra e d’Arezzo.

L’elogio, che pubblichiamo integralmente qui di seguito, riporta in sintesi le vicende umane e le fortune dell’Ammirato, mettendone in evidenza le capacità poetiche, politiche, elocutorie, la sua erudizione, il suo modo (all’avanguardia per quei tempi) di ricostruire la storia. Non si può negare (conclude giustamente lo sconosciuto autore) che per tutto questo l’Ammirato “è stato fornito di gran facilità nel distendere, e di molta copia di notizie acquistate nei suoi viaggi, e nell’indebita ricerca delle antiche memorie. Ma se la felicità non è riposta in queste cose, ma bensì nell’interna contentezza, doveremo conchiudere, che poco la gustò l’Ammirato, benchè le doti dell’animo suo, ed altri meriti esterni avessero dovuto essere più fortunato nel mondo, o più spregiudicato intorno al valore di quei beni, ch’esso ci può procurare independentemente dalle disposizioni del nostro cuore, e del nostro temperamento”.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

S. Ammirato, Istorie Fiorentine, Parte Seconda, in Firenze, nella Stamperia Nuova d’Amador Massi e Lorenzo Landi, MDCXLI.

Idem, Istorie Fiorentine, Parte Prima, Tomo primo, con l’aggiunta di Scipione Ammirato il giovane contrassegnate con “, in Firenze per Amador Massi Forlivese, MDCXXXXVII.

Idem, Istorie Fiorentine, parte I e II, con l’aggiunta di Scipione Ammirato il Giovane, contrassegnate in carattere corsivo, Firenze, per L. Marchini e G. Becherin, 1824-1827.

Idem, Delle famiglie nobili fiorentine, Parte Prima, le quali, per levare ogni gara di precedenza, sono state poste in confuso, in Firenze, appr. Gio. Donato e Bernardino Giunti e Compagni, MDCXV.

Idem, Vescovi di Fiesole, di Volterra e d’Arezzo, con l’aggiunte di Scipione Ammirato il giovane e nel fine i cataloghi e le tavole, Firenze, per Amadore Massi e Lorenzo Landi 1637.

U. Congedo, Vita e opere di Scipione Ammirato (Notizie e Ricerche), Vecchi, Trani 1904 (la prefazione è del 1901).

L. Grasso, Elogi d’huomini letterati, Venezia, per Combi e La Noù, 1666 (Museo Civico Correr Venezia).

D. De Angelis, Vite de’ letterati salentini, Firenze 1710.

R. De Mattei, Il pensiero politico di Scipione Ammirato. IV: varia fortuna dell’Ammirato. Appendici. Opere e stampa; Codici, in “Studi Salentini, VIII, dicembre 1959.

I.A. Ferrari, Apologia Paradossica, Lecce 1707, a cura di A. Laporta, (rist. Lecce 1982).

A. Foscarini, Armerista e Notiziario delle famiglie nobili notabili e feudatarie di Terra d’Otranto, Bologna 1978 (rist. Lecce 1903).

N.M. Gervasi (a cura di), Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, T. II, 1814.

G.M. Mazzucchelli, Gli scrittori d’Italia, cioè notizie istoriche e critiche intorno alle vite e agli scritti dei letterati italiani, Brescia, presso G.B. Bossini 1753, Vol. I, P. II.

Serie di ritratti d’uomini illustri toscani con gli elogi istorici dei medesimi, Firenze, appresso Giuseppe Allegrini 1766, vol. I.

G. Vese, Profilo biografico di Scipione Ammirato, in “Scipione Ammirato fra politica e storia”, Lecce 1985.

 

 

 

F. ALLEGRINI, Veduta della città di Firenze (incisione in apertura “dell’Elogio di Scipione Am-mirato il Vecchio”).

 

ELOGIO DI SCIPIONE AMMIRATO IL VECCHIO1


Scipione
Ammirato il Vecchio2 nacqne in Lecce Città della Terra d’Otranto nel Regno di Napoli il dì 27. Settembre 1531. da Jacopo di Francesco Ammirato Famiglia che traeva la sua origine di Firenze, d’onde gli Antenati erano usciti dopo la metà del XIII. secolo per la rotta, che i Guelfi ebbero a Montaperti, e d’Angela di Ramondo nobile Brundusiana discendente dalla Casa Caraccioli.

Doveva Egli applicarsi alla facoltà legale, ma non essendovi guidato dalla natura, la quale lo inclinava piuttosto verso la Poesia, e le belle lettere, in queste fece dei progressi considerabili. Dopo aver fatti alcuni viaggi anche per motivo di sottrarsi dall’invidia nel 1551. si risolse d’indirizzarsi per la via Ecclesiastica. Non era molto comodo di facoltà, e non riceveva dal Padre tutti quelli aiuti, che poteva sperare a motivo della sua renitenza ai voleri di lui. Quindi dovette tentare la sua fortuna con altri mezzi, profittando di ciò, che gli si presentava per aver campo di appagare quello stimolo di distinguersi nel mondo da cui era agitato.

Prima in Roma ebbe speranza di attendere favorevole incontro per le sue mire, e poi in Venezia presso Alessandro Contarini, ma la sorte non gli fu propizia, mentre di là ebbe a partire per mancanza di denaro, e di quì per avere inspirato, non saprei dire se per sua colpa, sensi di gelosa smania3 al suo Benefattore, che perciò niente meno, che torgli la vita minacciava. Ritornato al Padre, che trattenevasi a Bari, e vedendosi mal ricevuto, gli si aperse l’occasione di sperare qualche miglior fortuna nell’inalzamento seguito nel 1555. del Card. Marcello Cervini al Pontificato col nome di Marcello II.

L’immatura morte di questo Papa rovesciò le speranze di Scipione, il quale perciò ritiratosi in una casa di Campagna di suo Padre per applicare agli studj, ivi si trattenne finchè nell’elezione del Card. Caraffa, che si disse Paolo IV. credette di essere in grado di potersi lusingare di qualche cosa. In fatti presa la congiuntura di andare di nuovo a Roma con la Nipote del Pontefice Briana Caraffa, vedova del Marchese di Polignano, ebbe l’imprudenza di servire a questa Donna, ed insieme alla Zia della medesima, e sorella del Papa Caterina Caraffa, che poco con essa se l’intendeva. Ciò male gli riuscì, come doveva prevedere, onde per fuggire l’odio della seconda, prese il partito di vivere affatto lontano dalla Corte nella tranquillità, e nel riposo. Si ricondusse a quest’effetto a Lecce, e quivi divise il suo tempo fra il servizio della Chiesa, in cui prima dal Vescovo Braccio Martelli aveva ottenuto un Canonicato, e l’applicazione alle lettere, per le quali fondò allora l’Accademia dei Trasformati, prendendovi il nome di Proteo. Ma non era il suo temperamento capace di godere di placido ozio.

Durò quattro soli anni il suo ritiro, e dopo questi a nuove cose volgendosi, nuove disavventure incontrò, passando il viver suo in un continuo giro di disgrazie, di speranze, e di desiderj. Voleva in questo tempo suo Padre accasarlo, poichè non era ancor Sacerdote, ma neppur ciò accadde, perchè forse non era Scipione fatto per questo legame. Di lì a poco fu chiamato a Napoli all’effetto di incaricarlo a scrivere la Storia di quel Regno, la qual cosa poi non fece, perchè specialmente non trovò disposizioni eguali all’impresa, in chi doveva promuovere sì bella opera. Perciò ripassato a Roma, dall’Arcivescovo di Napoli Mario Caraffa fu commissionato di sostenere presso il Pontefice Pio V. le sue ragioni intorno ad alcune differenze, che fra esso, ed il Vicere Duca d’Alcalà erano insorte, e dopo essere felicemente riuscito nel carico addossatogli, non essendo soddisfatto della sua fortuna, si dette a scorrere l’Italia, ed in fine si condusse verso l’anno 1569.

A Firenze, ove stabilì di fermarsi, ponendosi ai servigj della Casa dei Medici. Quindi nel 1570. da Cosimo I. gli fu imposto di compilare la Storia di Firenze, dandogli tanto Esso, che il Card. Ferdinando suo Figliuolo tutti quelli aiuti, che poteva sperare per un lavoro così laborioso, e lungo. Nel 1595. gli fu conferito un Canonicato della Cattedrale, e perchè richiedeva questo la qualità di Dottore, ne prese le insegne in Teologia nella nostra Università il dì 25. Gennaio dell’anno dopo. Un simile stabilimento unito alle altre assistenze, ch’ebbe da varie persone, ed in specie dalla liberalità del celebre Riccardo Riccardi Gentiluomo dotto, e Protettore dei Letterati, ond’ebbe comodo di comporre la maggior parte delle Opere, che di lui abbiamo, potrebbero far credere, ch’Egli si fosse dovuto trovare soddisfatto della sua condizione, particolarmente allorchè la vivacità del suo temperamento doveva aver ceduto al peso degli anni, ma o fosse uno si quei rammarichi ripetuti tante volte da coloro, i quali mai si credono ricompensati a seconda del loro merito, o fosse un sincero sfogo dettato dalla miseria in cui si trovava involto, nelle sue Lettere assai spesso si lamentava di essere poco men che mendico, ed in una di esse chiamò il suo corpo l’Asino caduto nel fango della povertà carico di Scritture4. Giunto all’età di anni 69. compiti, dopo aver fatto testamento5, ed avere istituito erede Cristoforo del Bianco suo aiutante di studio con obbligo di prendere il suo nome, e cognome, sostituendo ad esso lo Spedale di S. Maria Nuova6, e lasciando al G.D. tutti i libri storici da Lui composti, ed anche principiati, passò a miglior vita il dì 30. Gennaio del 16017, e fu sepolto nella Metropolitana.

S. AMMIRATO, Poesie Spirituali, Firenze, Appresso Amadore Massi 1649. Frontespizio (coll. privata)

 

S. AMMIRATO, Poesie Spirituali, Firenze, Appresso Amadore Massi 1649, pagina iniziale della lettera dedicatoria

 

Molte sono le Opere di vario genere, che l’Ammirato scrisse, e pubblicò, e da queste sole, quando non si sapesse il suo tenore di vita apparirebbe, che rutti i suoi giorni avesse passati quietamente, immerso nello studiare, e nel comporre. In fatti trattò non solo la Poesia, avendo lavorati gli Argomenti all’Orlando Furioso, diverse Rime sparse in varie raccolte, le Poesie spirituali8, un Dialogo del Poeta, intitolato il Dedalione9, e le Annotazioni sopra la seconda parte dei Sonetti di Bernardino Rota in morte di Porzia Capeci sua moglie10; m’anche la Politica nei fuoi applauditi Discorsi sopra Tacito11; l’Eloquenza in molte Orazioni di vario genere; la Storia in quell’Opera, che scrisse appartenente alle cose dei Fiorentini, e ch’è la più compita, e più estesa, ch’abbiamo12, nell’altra sopra le nostre Famiglie Nobili, di cui è in luce solamente la prima parte, in quella dei Vescovi di Fiesole, di Volterra, e di Arezzo, e della Famiglia dei Conti Guidi, ed in quella delle Nobili Famiglie Napoletane13, per non dire di alcune altre piccole cose, che si ritrovano nei suoi Opuscoli14; ed in fine la Varia erudizione, come ci attestano i suoi tre Volumi di Opuscoli in 4.15, di modo che per tutto questo non si può negare essere stato fornito Scipione di gran facilità nel distendere, e di molta copia di notizie acquistate nei suoi viaggi, e nell’indefessa ricerca delle antiche memorie. Ma se la felicità non è riposta in queste cose, ma bensì nell’interna contentezza, doveremo conchiudere, che poco la gustò l’Ammirato, benchè le doti dell’animo suo, ed altri meriti esterni avessero dovuto farlo essere più fortunato nel mondo, o più spregiudicato intorno al valore di quei beni, ch’esso ci può procurare independentemente dalle disposizioni del nostro cuore, e del nostro temperamento16.

G. P.

 

Da “lu Lampiune”, Quadrimestrale di Cultura Salentina, Anno V, n. 1, Aprile 1989.

S. AMMIRATO, Della Segretezza, in Venezia, per Filippo Giunti, MDXCIX. Frontespizio (coll. privata). Opera dedicata a Don Giovanni de’ Medici

 

Note

1 Dicesi, che l’Ammirato scrivesse di se stesso la Vita, e che si conservi fra i suoi fogli MS. nella Libreria del Regio Spedale di S. Maria Nuova. Comunque sia di ciò, oltre quella, che scrisse Domenico de Angelis, e che fu stampata in Lecce nel 1704. e nel 1705. in 4., abbiamo il Sig. Conte Mazzuchelli, che di Lui parla a lungo nella sua Storia degli Scrittori d’Italia Vol. I. Par. II. pag. .635. e segg., e che a noi è servito di guida in questo Elogio.

2 Così chiamasi comunemente per distinguerlo da Cristoforo di Francesco del Bianco, il quale come si dirà, fu erede delle sostanze, del nome, e del cognome di Scipione. Di detto Cristoforo tratta il Signor Mazzuchelli loc. cir. pag. 645., ed il Novellista Fiorentino nelle Novelle del 1748. col. 371. e segg.

3 La Moglie del Contarini era detta per soprannome la Bella Loredana.

4 Tom. II, dei suoi Opuscoli p. 462.

5 Nel dì 11. Gennaio 1600. ab Incarn. per i rogiti di Ser Alessandro Guido Arrighi.

6 Per questo motivo stimo che nella Libreria del medesimo sieno passati gli Scritti tanto dell’Ammirato, che del Bianchi.

7 Secondo l’usanza nostra era l’anno 1600 ab Incarn.

8 L’Ammirato il Giovane fece stampare in Venezia queste Rime nel 1634. in 4. che l’Autore aveva composte nell’età sua decrepita.

9 Fu impresso in Napoli nel 1560. in 8. e poi inserito, nel T. III. degli Opuscoli.

10 Vennero fuori in Napoli in 4. nel detto anno 1560.

11 Furono impressi più volte dopo la prima ediz. in Fir. per Filippo Giunti del 1591.

12 È noto, che alla prima ediz. della prima Parte di quella Storia và anteposta la seconda del 1647, in cui fece considerabili aggiunte l’Ammirato il Giovane. Oggigiorno non ostante con i nuovi lumi acquistati potrebbesi di molte correzioni, e di molti accrescimenti arricchire quest’opera, se più non piacesse di compilare da capo una Storia Fiorentina secondo il progetto di un Letterato vivente, dappoichè a parlare con sincerità, e negli anni primi, e negli ultimi dei quali scrive l’Ammirato Egli per più cagioni non corrispose al resto del suo lavoro.

13 La prima Parte di quest’Opera uscita in luce in Firenze nel 1580. in foglio è assai rara. La seconda si vedde solamente pubblicata nel 1651.

14 Sono anche da rammentarsi i Discorsi delle Famiglie ‘Paladina di Lecce, e Antoglietta di Taranto stamp. in Firenze nel 1595. e 1597. in 4. e molti Alberi di Famiglie di Principi Italiani nobilmente intagliati in rame, i quali si rinvengono a parte.

15 Vennero pubblicati in Firenze in 4. portando il primo Tomo la data del 1640., il secondo del 1637., perchè l’Ammirato il Giovane ebbe riguardo ad un Tometto di Opuscoli dello stesso Autore stampato nel 1583. in 8. cui allora considerò come il primo, ed il terzo nel 1642. Contengono molte cose di diverso genere, delle quali se ne ha l’Indice presso il detto Signor Co. Mazzuchelli pag. 643. e 644.

16 È stato scritto dall’Autore delle Meditazioni sulla Felicità stamp. Con la data di Londra, che: la maggior parte delle inquietudini nostre non derivano tanto dalla esigenza della organizzazione, o dalla vera forza dell’oggetto, quanto dalla esagerazione, che ne fa la nostra fantasia.

“Santi, Madonne e Pupi da Presepe”. Giuseppe Gigli e la cartapesta a Lecce agli inizi del ‘900

Giuseppe Gigli in una foto d’epoca (da G.B. ARNO, Manduria e Manduriani, ed. Anastatica di Antonio Marzo Editore, Manduria 1983).

 

di Gilberto Spagnolo

Letterato, folklorista, scrittore di storia locale e poeta, Giuseppe Gigli nacque a Manduria nel 1862 e qui vi morì nel 1921. Tra gli uomini più illustri di Manduria, particolarmente sensibile ai problemi e alla civiltà della sua terra alla quale dedicò innumerevoli studi, Gigli si accostò appunto “all’etnografia come a quella scienza che permette di ampliare la conoscenza storica del popolo di Terra d’Otranto”.

È autore, in particolare, dell’opera “Scrittori Manduriani” (da consultarsi come una delle fonti più ricche e autorevoli di notizie biobibliografiche degli scrittori della città messapica) e soprattutto dell’opera “Superstizioni, pregiudizi, credenze e fiabe popolari in Terra d’Otranto”, edito da Barbera a Firenze nel 1893, per la quale ebbe gli encomi reali e fu lodata dagli studiosi Pitrè e Borghi. Per quest’opera infatti (ristampata dall’editore Filo di Manduria con prefazione di Anna Merendino) divenne il punto di riferimento di viaggiatori stranieri dell’epoca, che oltre alle antiche rovine si interessarono a usi e costumi, come J. Ross (1899), M. Briggs (1913), O. Roux, e soprattutto P. Bourget con il quale ebbe frequenti rapporti.

G.B. Arnò, nella ricostruzione del suo profilo biobibliografico lo ricorda “buono di fervido ingegno e infaticabile nello studio ebbe l’animo di artista; se da giovane fu ribelle ad ogni vincolo, riuscì a trovare la sua via: il lavoro lo prese, lo appassionò lo assorbì tutto. Le numerose sue pubblicazioni, alcune delle quali tanto apprezzate, gli infiniti articoli apparsi sui più svariati periodici e riviste, dalla Scena illustrata a Natura ed Arte, alla Nuova Antologia, alla Rassegna Pugliese, alla Rivista contemporaneaerano tutti scritti che uscivano dalla sua penna veloce, nei ritagli di tempo che la scuola gli lasciava liberi” (pur non avendo i necessari titoli di studio, fu dal ministro della Pubblica Istruzione abilitato ad insegnare Lettere nel regio Liceo Palmieri di Lecce).

Almanacco Italiano 1909 di R. BEMPORA E FIGLIO, copertina (coll. privata).

 

Da questa “penna veloce” e da questo amore “per le cose Patrie” uscì anche il testo che riportiamo integralmente qui di seguito, dal titolo “La lavorazione della cartapesta in Lecce”, che Gigli pubblicò sull’Almanacco Italiano del 1909, una vera rarità bibliografica, lanciato all’inizio del 1896 dall’editrice Benporad di Firenze e che costituisce, sin dal suo inizio, una fonte inesauribile di informazione per la storia contemporanea. Le origini della casa editrice R. Bemporad e figlio risalgono infatti al 1840 quando Alessandro Paggi assieme al fratello Felice, aprì a Firenze, in via del Proconsolo, una libreria destinata a diventare luogo di incontro di lettori, scrittori e intellettuali liberali.

Il contributo del Gigli è estremamente importante e merita di essere maggiormente conosciuto specialmente oggi, anzitutto perché non risulta censito dalle bibliografie dei suoi scritti (come quelle di Donato Valli, del Sorrenti, dello stesso Arnò) e in secondo luogo perché è un resoconto di prima mano, un reportage vero e proprio sullo stato e sulla lavorazione della cartapesta a Lecce agli inizi del Novecento, con il suo resoconto e il suo percorso storico, con i suoi cartapestai più illustri, sia quelli deceduti che viventi, e soprattutto con un corredo fotografico d’epoca straordinario sulle opere e sui laboratori del Guacci, del Manzo, del De Lucrezi e di Giuseppe Malecore.

 

A. DE LUCREZI, L’arcangelo Michele (a sinistra), San Francesco d’Assisi (al centro), Santa Lucia (a destra).

 

A. DE LUCREZI, Mercurio moderno (a sinistra), Madonna, Angeli e Anime del Pur-gatorio (a destra).

 

A. DE LUCREZI, Immacolata (a sinistra), Santa Lucia (a destra).

 

La lavorazione della cartapesta in Lecce

Il viaggiatore che visiti per la prima volta Lecce, la caratteristica città pugliese che Paul Bourget, volle sua “Sensations d’Italie”, appellò col grazioso epiteto “di paradis du rococo”, non può non restare meravigliato nell’osservare i numerosi laboratori di statue in cartapesta, che frequentemente s’incontrano lungo le sue vie tortuose.

Innanzi a questi laboratori, che spesso sono piccole e modeste botteghe, lungo i muri delle stesse vie, talvolta in recondite piazzette, un popolo di statue, quasi sempre di soggetto sacro o biblico, sta ad asciugare tranquillamente ai raggi del caldo sole meridionale, senza dare alcuna molestia ai passanti, i quali, per la lunga consuetudine che ne hanno, non mostrano neppure di accorgersi delle belle Madonne e dei Santi, che in un non lontano giorno dovranno richiamare da cento e cento altari gli sguardi e i devoti pensieri dei fedeli di buona parte del mondo.

Quest’ultima affermazione non è per nulla esagerata, come a prima vista si potrebbe credere; le statue sacre leccesi non sono ricercate soltanto in Italia, e soprattutto nelle province meridionali, né varcano soltanto le Alpi verso la Spagna e la Francia, ma ornano moltissime chiese d’America, da dove gli emigranti di Basilicata, di Puglia e di Calabria stabiliti in New York, in San Paulo, in Buenos Aires ne fanno ogni anno larga e continua richiesta.

Al considerevole sviluppo preso specialmente in questi ultimi trent’anni, si deve se questa della lavorazione della cartapesta, che fu considerata un po’ arbitrariamente come un’arte vera e propria, quantunque a sé, sia andata diventando un’industria caratteristica e anche assai rimuneratrice. Come s’è accennato più sopra, numerosi ne sono i laboratori, ove trovano lavoro e occupazione molti e molti “scultori” e “artisti”, come dicono in Lecce. In verità, e perché non si prenda per uno scherzoso paradosso, si può dire che in Lecce l’arte della cartapesta sia stata socializzata, e che gli scultori leccesi pensino e formino in comune le loro statue.

Un laboratorio leccese di statue in cartapesta (Giuseppe Malecore).

 

* * *

La lavorazione della cartapesta leccese non è di data recente. Qualche scrittore locale ha scoperto che nella parrocchiale di Morigino, piccolo villaggio della stessa provincia, ed in alcune chiese di Lecce, esistono dei lavori che attestano la notevole vitalità a cui era pervenuta la plastica cartacea sin dalla prima metà del seicento.

Le vere origini di essa si debbono però rintracciare nel secolo XVIII, per opera principale di un “Mastro Pietro dei Cristi e d’un Mastr’Angelo De Agostinis”, entrambi cartapestai assai modesti, che soprattutto fabbricavano – e il nomignolo del primo lo dice chiaramente – Crocefissi di tutte le dimensioni e qualche statua sacra. Uno sviluppo vero si ebbe verso la metà dello scorso secolo, quando comparve Antonio Maccagnani, che può chiamarsi il caposcuola della seconda e più artistica maniera de’ cartapestai leccesi.

Nato nel 1809, studiò il disegno e la pittura con un tal Tondi, anch’egli leccese e mediocre pittore: poi si dette allo studio della plastica e apprese i primi rudimenti della lavorazione della cartapesta del ricordato De Agostinis.

Altro discepolo del Tondi, e anch’egli buon cartapestaio, fu Pasquale Letizia, compagno di lavoro del Maccagnani; essi produssero moltissimi lavori e lasciarono una vera scuola di modellatura in carta, alla quale appartiene un artista ancor vivo e vegeto, Achille De Lucrezi, che oggi ha un laboratorio de’ più accreditati. Nato da modesti genitori, il De Lucrezi ebbe una curiosa giovinezza. Cominciò ad esercitare il mestiere del barbiere, e, nelle ore d’ozio, si mise a modellare in creta pastori e santi da presepe.

Se è lecito aprire una parentesi, bisogna ricordare che in Lecce fu ed è ancor fiorente l’industria dei “pupi da presepe”, modellati con molta grazia e per lo più dai barbieri più poveri, ché gli altri, quelli che hanno raggranellato un po’ di denaro, hanno un elegante “salon”, con annesso negozio di cappelli, guanti e profumerie.

Il De Lucrezi, dunque, mostrando spiccate tendenze al disegno e alla plastica, andò a studiare con pittori e modellatori che avevano qualche nome in patria, come il Magliola e il Guerra. Poi si recò a Roma, e mentre nell’eterna città continuava i suoi studi, apprese l’arte della scherma e del ballo. Chi scrive lo ricorda ancora suo maestro di ballo nel Convitto Nazionale di Lecce, annesso a quel regio Liceo Ginnasio Palmieri, e non può dimenticarne la bontà e la gentilezza. Ritiratosi in patria, aprì un laboratorio di lavorazione della cartapesta, che ancor oggi dirige con grande amore e somma competenza. I suoi Santi e le sue Madonne hanno una grande dolcezza unita a mistica grazia, e son assai ricercati. Tra i suoi migliori discepoli son da ricordare Andrea De Pascalis e Giuseppe Manzo.

G. MANZO, Il Calvario (a sinistra), Un Crocifisso (a destra).

 

G. MANZO, Sacra Famiglia (a sinistra), Santo e Angeli (a destra).

 

Il De Pascalis, morto giovanissimo alcuni anni or sono, per le qualità dell’ingegno e per le attitudini, si sarebbe spinto molto avanti. Egli dette alla cartapesta un sentimento mondano che gli accrebbe la rinomanza e che lo rende ancora ricordato. A Parigi aveva una rappresentanza e una esposizione delle sue statue in “Rue Du Bac”. Il Manzo lavora sempre con grande successo. Se si potessero elencare i diplomi, le medaglie e i brevetti da lui ottenuti in quasi tutte le esposizioni di questi ultimi venti anni, non basterebbero parecchie colonne “dell’Almanacco Italiano” a contenerne la serie.

G. MALECORE, La Pietà.

 

G. MALECORE, Madonna della Speranza (a sinistra), San Pietro (al centro), Sant’Antonio (a destra).

 

Ma Lecce, come s’è detto, è piena di laboratori di cartapesta. Oggi hanno nome e valore Giuseppe Malecore e Raffaele Caretta, e da poco s’è costituita una “Unione Cooperativa Statuaria” che tutt’insieme producono parecchie centinaia di belle statue all’anno. Fra gli ultimi venuti – e di altri molti sono costretto a tacere – è da ricordare Luigi Guacci che studiò scultura all’Accademia di Roma, e che produsse parecchi e eccellenti lavori in bronzo e in marmo. Giovine di molto talento, ritiratosi da parecchi anni nella sua città natia, rivolse l’attenzione a quest’arte tutta paesana e tradizionale, e vi si dedicò con entusiasmo, aprendo un grande laboratorio. Egli può chiamarsi un vero riformatore giacché con le statue di soggetto sacro ne produce molte di soggetto profano le quali ultime non entravano prima di lui nella lavorazione dei cartapestai leccesi. I lavori del Guacci hanno una grande espressione di mistica verità e passano vittoriosi i confini d’Italia.

L. GUACCI, La fuga in Egitto.

 

L. GUACCI, La nascita di Gesù.

 

L. GUACCI, La Sacra Famiglia (a sinistra), Crocefisso (a destra).

 

L. GUACCI, Alla fonte.

 

L. GUACCI, Santa Teresa (a sinistra), Santa Cecilia (a destra).

 

L. GUACCI, Ritorno in paese (a sinistra), Alla fonte (a destra).

 

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Non è senza interesse far conoscere ai lettori il processo di cui è sottoposta la carta prima di diventare materia di statue.

Ogni laboratorio ha la sua larga provvista di carta d’ogni specie, vecchi giornali, carta di rifiuto, ritagli d’ogni forma e colore che per molti giorni la lasciano sott’acqua in grandi e apposite vasche. Quando tutta questa materia è ben macerata è passata in una macchina impastatrice che la riduce quasi una poltiglia malleabile come l’argilla e che rende molto compatta con l’aggiunta di una certa dose di amido, cui si mescolano materie antisettiche per renderla specialmente refrattaria ai tarli.

Comincia da questo punto la vera lavorazione. Su di un dado o base in legno, dal quale si leva una specie di alto cuneo, si arma in stoppia il manichino della statua, che è rivestita con uno strato di cartapesta. Vi si fissano testa, mani e piedi per lo più usciti da apposite forme, talvolta abbozzati separatamente; segue quindi la “vestizione”, che si fa con larghe strisce di carta macerata, che si applicano lungo il corpo in modo da formare “l’andatura” delle pieghe, secondo il concetto del modellatore. Quando il lavoro è ben asciutto con ferri roventi si rimettono a posto le pieghe irrigidite e contorte per effetto dell’asciugamento, e si dà forma concreta alla testa, alle mani e ai piedi. Questa operazione è di maggiore importanza, giacché è quella che dà espressione e forma al soggetto: si può dire che ciò ch’è la stecca per lo scultore, è il ferro rovente per il cartapestaio. Segue “l’ingessatura” altra operazione che completa con uno strato di gesso, sciolto in acqua e colla, questa lavorazione, e che ha lo scopo di renderla adatta al “ricaccio” che consiste in un ultimo lavoro di stecche e di ferri taglienti, coi quali si curano e si perfezionano quei dettagli che il gesso aveva alquanto confusi o alterati.

La “dipintura” delle statue, fatta prima con un sol colore e colla, poi con colori ad olio con i quali il viso, i capelli, le mani, i piedi, le vesti prendono aspetto proprio, finalmente con la doratura della base dei simboli religiosi, è l’ultima fatica che richiede la statua, le cui tinte sono rese vive e morbide da una “inceratura” che vi si pratica. Dopo di che è lasciata per qualche tempo in una “stufa” leggermente riscaldata, e n’è pronta ad essere incassata e spedita.

Stabilimento Guacci, Sezione armatori, La vestizione.

 

Stabilimento Guacci, Sezione pittori.

 

* * *

L’arte della cartapesta leccese attraversa oggi un lieto periodo di successi, che la rendono anche economicamente fiorente. In Lecce sono centinaia le famiglie operose che v’attingono sicuro benessere. Certo con essa si supplisce, e con notevole differenza e vantaggio di prezzo, alla produzione delle statue in metallo o in legno, che un tempo ornavano comunemente le chiese, e che per lo più uscivano da officine di Venezia e di Siena. L’abbiamo chiamata “arte”, e sia pure.

L’interesse che essa ha è soprattutto questo: che, è nata in Lecce, pare non voglia varcarne i confini, pare voglia restare nel leccese.

Un esimio critico d’arte, l’illustre architetto Camillo Bòito, a proposito dell’Esposizione d’Arte Sacra tenutasi a Torino nel 1908, così scriveva de’ lavori in cartapesta mandati dai laboratori leccesi: “Può dirsi arte industriale, per esempio quella della cartapesta di Lecce, perché le Vergini, i Santi, gli Angeli i Crocifissi di cartapesta partono dalle numerose botteghe della gentile città di Puglia per viaggiare sino al settentrione d’Italia entrando nelle nicchie de’ presbiteri e adagiandosi sugli altari perfino delle nostre Alpi nevose; ed è un’industria dove un certo spirito di bellezza ed una misurata espressione non mancano”. Parole belle e buone, come si vede, e che non inorgogliscono ma incoraggiano a un sempre più alacre e proficuo lavoro gli artisti leccesi. Chi non sia vissuto qualche tempo in quella città non può immaginare di qual vero impeto ed entusiasmo artistico siano animati tanti e tanti modesti per quanto valorosi artisti. Io ne ho nominati, in queste brevi note, otto o dieci, ma essi sono legione, che cresce ogni giorno. Alla vecchia arte tradizionale, i giovani, e tra questi il Guacci, che s’è ricordato più sopra, vanno apportando uno spirito nuovo di grazia e di perfezione. Pare che in Lecce ove tanta gentilezza di costumi e di lingua, quest’arte sia come un prodotto naturale della terra, corrispondente alle tendenze più fini e più sottili de’ suoi abitanti. E pare davvero che un magnifico privilegio crei qui gli artisti e specialmente gli scultori tra i quali ultimi, basta ricordare Antonio Bortone ed Eugenio Maccagnani leccesi noti ed onorati in tutta Italia e fuori.

Giuseppe Gigli

 

Stabilimento Guacci, Sezione armatori, Lavorazione dei crocifissi.

 

Stabilimento L. Guacci, interni.

 

Lettera autografa di Luigi Guacci datata 11 settembre 1926 (coll. privata).

In “spazioapertosalento.it”, 21 dicembre 2022 e in G. Spagnolo, Memorie antiche di Novoli. La storia, le storie, gli ingegni, i luoghi, la tradizione. Pagine sparse di storia civica, Novoli 2024.

 

Riferimenti bibliografici essenziali

D. Valli (a cura di), Giuseppe Gigli e documenti vari di cultura, Milella, Lecce 1982.

G.B. Arnò Manduria e Manduriani, edizione Anastatica, Antonio Marzo Editore, Manduria 1983.

P. Sorrenti, Repertorio bibliografico degli scrittori Pugliesi e contemporanei,Arti Grafiche Savarese, Bari 1976.

C. Piantoni, Cronaca di una borghesia in ascesa. I primi quarant’anni dell’Almanacco Italiano, in “Charta”, anno VI, n. 26, gennaio-febbraio 1997, pp. 26-29.

G. Gigli, La lavorazione della cartapesta in Lecce, in “Almanacco Italiano”, anno XIV, R. Bemporad e Figlio, Firenze 1909, pp. 540-552.

G. Gigli, Superstizioni, Pregiudizi e Tradizioni in Terra d’Otranto, riedizione dell’opera del 1893, Filo Editore, Manduria 1998, con prefazione di Anna Merendino.

L’editore leccese Pietro Micheli per le Cappuccine di Napoli e Lecce (1664)

Una nuova edizione di Pietro Micheli:
la
Regola di Santa Chiara per le suore Cappuccine di Napoli e Lecce (1664)

 

di Gilberto Spagnolo 

Con la pubblicazione, nel 1631, dei Carmina di Filippo Formoso, avvocato di Torre S. Susanna, opera dedicata al Signore del suo paese il principe Giovanni Antonio Albricci Farnese, che precedette di poco il famoso Tancredi di A. Grandi, il tipografo Pietro Micheli, nato a Dole in Borgogna, introduceva ufficialmente la stampa nella città di Lecce, ottenendo per tale servizio “casa franca” nonché particolari privilegi per se stesso e per i suoi familiari1, avviando così nel contempo “(la) stagione aurea della stampa salentina2, operando tra gli anni 1631 e 1697 e producendo non meno di 234 edizioni3.

Su tale cospicua produzione tipografica, che costituisce certamente un momento cruciale dell’arte tipografica pugliese, l’enorme ed esauriente lavoro di ricerca compiuto da Gianfranco Scrimieri e pubblicato nel 1974 sotto il titolo di Annali di Pietro Micheli, resta il contributo fondamentale (pur essendo passati oltre 40 anni), un’opera indubbiamente di grande pregio in quanto attraverso un lavoro di anni, minuzioso e capillare, sulla catalogazione e reperimento delle varie edizioni micheliane, nonché sui documenti d’archivio, dà un’ampia informazione sulla vita e sulla complessa attività del tipografo di origini francesi, già attivo a Bari prima di trasferirsi definitivamente nel capoluogo salentino4.

Uno studio comunque, come ebbe a precisare lo stesso Scrimieri (e come in effetti è stato) non definitivo e suscettibile di ulteriori scoperte e ritrovamenti bibliografici5.

La ricerca sulla storia della tipografia del Micheli e più ampiamente salentina è stata, infatti, poi ulteriormente arricchita da importanti contributi ed eccellenti studi che hanno consentito infatti di catalogare altre opere sconosciute stampate dal Micheli, “fortunati e casuali ritrovamenti” di nuove edizioni nelle biblioteche pubbliche e soprattutto private di Terra d’Otranto6.

Partendo perciò dall’assunto che il lavoro di ricerca sull’editore attivo nel Seicento in Lecce, figura di primo piano della cultura salentina, è ancora lungi dall’essere completato (compito non certamente facile) e che pertanto va ancora necessariamente continuato, a conferma soprattutto che “i privati detentori” (come ha evidenziato Elio Pindinelli)7 possono consentire un ulteriore recupero di altre opere stampate dal “Borgognone” (in nome di un collezionismo perciò non fine a se stesso bensì un utile strumento di tutela e promozione culturale), queste brevi note intendono apportare, come già fatto in altre personali e precedenti ricerche8, un ulteriore contributo sulle vicende editoriali della principale bottega tipografica pugliese e sul completamento degli Annali della sua stessa produzione. Riprendendo così un discorso avviato anni or sono, collaborando alla benemerita rivista “lu Lampiune9 edita dalla casa editrice Del Grifo, presentiamo i risultati pressoché definitivi di quella ricerca scaturiti ora attraverso alcune utili indicazioni acquisite ed emerse grazie a contributi di estremo interesse sul tipografo borgognone Pietro Micheli10.

1. Napoli, Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, Regola di Santa Chiara, edizione di Pietro Micheli 1664. Frontespizio

 

In quel nostro precedente lavoro veniva infatti segnalata un’edizione assolutamente sconosciuta della bottega tipografica micheliana, scoperta in una biblioteca privata e datata 1664, non localizzata a suo tempo da Gianfranco Scrimieri e quindi descritta per la prima volta.

L’esemplare (mm 120 x 180, pp. 68), pur essendo mutilo del frontespizio e di alcune pagine (iniziava da pag. IX), era attribuibile al Micheli grazie al Colophon riportato nell’ultima pagina dove appunto poteva leggersi: “IN LECCE MDCLXIV. Appresso Pietro Micheli. Con licenza de’ superiori”.

Il contenuto dell’opera si sviluppava attraverso vari capitoli introducendo poi in particolare, alle pagine 23-32 le “Constituzioni / delle monache dell’Ordine di / Santa Chiara / nel Monastero di San Francesco / delle Cappuccine di Napoli / le quali si devono osservare nel / Monastero di Santa Maria di Loreto / della Città di Lecce./

Privo del frontespizio il volumetto infine, al di là di una sterile descrizione di alcuni aspetti tecnici, non consentiva allora di fornire nessun’altra importante e significativa informazione. Il testo lo si è potuto ora finalmente identificare grazie a uno studio di Francesco Quarto sulle “Nuove emergenze tipografiche Leccesi”, pubblicato negli Studi in memoria di Michele Paone (opera collettanea stampata nel 2011) e che illustrava un prodotto micheliano sconosciuto dal titolo “Mundus Traditus11. L’edizione è in realtà la “Regola di Santa Chiara confermata da Papa Urbano IIII. Con le constituzioni, che si osservano nel Monastero di San Francesco delle Cappuccine di Napoli, e si osserveranno dalle monache del nouo Monastero erigendo delle Cappuccine della città di Lecce, in vigore della Bolla di Nostro Signore Papa Alessandro Settimo, spedita alle 17 di dicembre 1663, in Lecce, Appresso Pietro Micheli, 1664”.

2. Regola di Santa Chiara. Pagina di apertura della lettera del Vescovo Urbano

 

3. Regola di Santa Chiara. Prima pagina delle Costituzioni per le monache di Santa Chiara di Napoli e Lecce (Esemplare coll. privata).

 

Il Quarto ha potuto individuare l’edizione che ci interessa (assieme ad altre due “rimaste ignote, sopravvissute in un unico esemplare per ciascuna in tre diverse biblioteche”) grazie alla consultazione (come scrive egli stesso) “di cataloghi on line, gli opac di SBN che possono essere consultati in remoto, senza essere costretti a lunghe ed estenuanti trasferte in altre località senza peraltro la garanzia del successo”. Questo perché “la consultazione degli Opac consente quindi di modificare in alto anche le cifre dello Scrimieri sia per quanto riguarda la localizzazione di quelle edizioni date per non ritrovate, sia per quanto riguarda addirittura la scoperta di edizioni sconosciute” (come appunto in questo caso)12.

Questo esemplare della Regola di Santa Chiara confermata da Papa Urbano IIII etc., è stato localizzato in Napoli presso la Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria che ha sede nel Maschio Angioino13.

Dalla consultazione effettuata del testo (resa possibile dalla sua catalogazione elettronica), si è constatato che l’esemplare risulta però anche incompleto come quello posseduto dalla biblioteca privata (che come si è detto è sprovvisto di frontespizio e delle prime otto pagine). La parte mancante all’esemplare napoletano è infatti quello che va dalla pag. 40 alla pag. 68 contenente il Modo che si ha da osservare dalle suore cappuccine, articolato a sua volta nei seguenti punti: Nel vestire delle Novitie, Modo, e forma di far la professione delle Suore Cappuccine, Modo di tener Capitolo, Modo come si eliggono La Madre Abbadessa, Officiali, e Discrete.

In buona sostanza, attraverso i due esemplari entrambi incompleti ma che comunque si completano vicendevolmente in un unico esemplare, si può ora effettuare qui di seguito la descrizione di questo prodotto tipografico micheliano in tutta la sua interezza sia nel frontespizio e sia nel suo intero apparato testuale:

REGOLA DI/ SANTA CHIARA./ CONFERMATA DA PAPA URBANO IIII./ Con le Constituzioni, che si osservano nel Monastero/ Di SAN FRANCESCO delle Capuccine di Napoli, /E si osservaranno dalle Monache del nouo Monastero/ erigendo delle Capuccine della Città di LECCE,/ in vigore della Bolla di Nostro Signore Pa-/pa Alessandro Settimo, spedita alli/17. di Decembre 1663.

IN LECCE. Appresso Pietro Micheli, 1664.

4. Regola di Santa Chiara. Pagina di apertura del Vescovo di Lecce “Alexander dilecto filio Vicario Venerabilis nostri” (Esemplare coll. privata).

 

NOTE TIPOGRAFICHE

Vignetta ornamentale raffigurante S. Francesco sul frontespizio i cui caratteri sono in una cornice (simile più o meno a quella di Mundus Traditus)14 creata mediante piccoli punzoni. La misura della pagina (foglio di carta) è di cm 120 x 180; pagine complessive 68. All’ultima pagina è presente il Colophon: IN LECCE, MDCLXIV. Appresso Pietro Micheli. Con licenza de’ superiori. Il libro presenta alla pag. 4 un fregio con un’anfora a due manici e due pregevoli capilettera: la L che introduce la lettera di “Urbano Vescovo Servo delli Servi di Dio” alle suore di Santa Chiara e la lettera R che introduce, a pag. 33, la Bolla del Papa Alessandro Settimo spedita alli 17 di dicembre del 1663 al Vescovo di Lecce, Luigi Pappacoda sull’erezione del Monastero di Santa Maria di Loreto. I capilettera sono gli stessi pubblicati dallo Scrimieri nel suo studio fra le illustrazioni sui caratteri tipografici15. Una parte del testo è in corsivo. Le righe di testo sono circa 39 compresa quella di paginazione e quella del richiamo a piè di pagina. Le righe comprendono circa 49 caratteri comprendendovi anche gli spazi albi tra le parole e i loro tratti impressi sulla carta sono abbastanza distinti.

 

PROSE

Alle pp. [3-5]: URBANO VESCOVO SERVO DELLI SERVI DI DIO, ALLE DILETTE IN CHRISTO FIGLIVOLE, e tutte l’Abbadesse, e Suore rinchiuse dell’Ordine di Santa Chiara Salute, e Apostolica benedittione.

Alle pp. [6-22]: COMINCIA LA REGOLA DI SANTA CHIARA CONFERMATA DA URBANO QUARTO (sono indicati complessivamente 20 capitoli)

Alle pp. [23-32]: CONSTITUTIONI DELLE MONACHE DELL’ORDINE DI SANTA CHIARA NEL MONASTERO DI SAN FRANCESCO delle Capuccine di Napoli, LE QUALI SI DEVONO OSSERVARE NEL Monastero DI LORETO della Città di Lecce.

Alle pp. [33-39]: ALEXANDER EPISCOPUS SERVUS SERVORUM DEI. Dilecto Filio Vicario Venerabilis Fratris nostri Episcopi Lycien. In Spiritualibus generali; Salutem, et Apostolicam benedictionem.

Alle pp. [41-60]: MODO CHE SI HA DA OSSERVARE DALLE SUORE CAPPUCCINE (Nel Vestire delle Novitie, Modo e forma di far la professione delle Suore Cappuccine, Modo come si eliggono la Madre Abbadessa, Officiali e Discrete, Modo di Tener Capitolo). (Parte mancante all’esemplare della Società di Storia Patria).

5. Regola di Santa Chiara. Pagina di apertura del “Modo che si ha da osservare delle suore capuccine” (Esemplare coll. privata).

 

Alle pp. [61-62] con carattere corsivo: LE RELIGIOSE DELLA REGOLA DI SANTA CHIARA GODONO TUTTE L’INFRASCRITTE INDULGENZE (parte mancante all’esemplare della Società di Storia Patria).

6. Regola di Santa Chiara. Pagina dell’elenco di apertura delle Indulgenze concesse dal romano Pontefice Paolo Quinto (Esemplare coll. privata).

 

7. Regola di Santa Chiara. Pagina dell’elenco di apertura delle Indulgenze concesse dal romano Pontefice Paolo Quinto (Esemplare coll. privata).

 

Alle pp. [63-68]: INDULGENZE CONCEDUTE DA PAOLO QUINTO à tutti i Religiosi, e Religiose (parte mancante all’esemplare della Società di Storia Patria). Sull’ultima pagina è presente il Colophon: IN LECCE, MDCLXIV, Appresso Pietro Micheli. Con licenza de’ Superiori.

I contenuti del libro (da ritenersi certamente “un unico esemplare sopravvissuto” ricostruito, come si è visto, grazie alle due copie mutile) sono indubbiamente una testimonianza di particolare interesse sull’Ordine monastico delle Monache Clarisse Cappuccine di Napoli probabili committenti dell’opera (tra l’altro Micheli prima di giungere nel Salento era stato anche a Napoli)16 e delle “Cappuccinelle” di Lecce, istituzioni religiose notevoli ovvero di quell’apparato ecclesiastico (“Cittadino ma anche di altre località della Provincia di Terra d’Otranto e non solo”) che per il Borgognone rappresentava la committenza maggiore17.

8. Regola di Santa Chiara. Colophon (Esemplare coll. privata).

 

L’Ordine delle monache clarisse Cappuccine, importantissima istituzione religiosa della città, nasce con la fondazione del Protomonastero di Santa Maria in Gerusalemme di Napoli, ad opera della Serva di Dio Maria Lorenza Longo, nobildonna catalana, approvata dal Papa Paolo III con la Bolla “Debitum pastoralis officii” del 19 febbraio 1535 che si propone, in sintonia con la riforma maschile cappuccina, di rivivere nel XVI sec. l’esperienza evangelica di Chiara. Con la bolla di Papa Paolo III la Longo ottenne il benestare per fondare un nuovo monastero femminile: il 30 aprile 1536 la bolla Alias nos le concedeva di elevare il numero delle monache a 33 in omaggio agli anni di vita terrena di Gesù. Originariamente ospitate in un’ala di Santa Maria del popolo degli incurabili, sottoposte alla Regola del Terz’ordine Francescano ed alla direzione dei padri Teatini, nell’agosto del 1538 Maria Lorenza Longo e le consorelle presero possesso di Santa Maria in Gerusalemme (detto popolarmente delle Trentatrè). Adottarono quindi la Regola di Santa Chiara (approvata da Papa Innocenzo IV nel 1253) e delle Costituzioni modellate su quelle dei Frati Minori Cappuccini, ai quali passò anche la direzione spirituale delle Religiose (bolla cum Monasterium del 10 dicembre 1538 e di cui le monache adottarono il nome).

La fama di santità di vita e dell’austerità delle Trentatrè cappuccine non tardò così a spargersi fuori di Napoli. Iniziarono a sorgere altre fondazioni un po’ ovunque in tutta Italia e non solo (come a Roma, Milano e finanche a Parigi) seguendo lo stesso modello trasmettendosi il corpus legislativo18.

Sul Monastero delle Cappuccinelle di Lecce, cominciato ad edificarsi nel 1636 per testamento del Sac. Giulio Cesare Prato del 6 Aprile 1632 (con esso il Prato lasciava suo erede lo “Spedale dello Spirito Santo di Lecce, con l’obbligo appunto di fondare un Monastero di DD. Monache Cappuccine Urbaniste sotto il titolo della Beatissima Vergine Santa Maria di Loreto”) il De Simone, il Paladini e il Paone forniscono alcune interessanti notizie.

Nel 1636 fu messa la prima pietra del Monastero; nel 1639 fu fabbricata la chiesa, nel 1665 le Monache presero possesso dell’uno e dell’altra. Il monastero fu soppresso sui principi del 1800 e le superstiti suore si rifugiarono nel vicino Convento delle Suore Benedettine di S. Giovanni Evangelista.

La chiesa cadente fu abbattuta e l’altare maggiore dedicato alla Vergine di Loreto, con bellissime statue in legno della Vergine e di Santi, fu trasportato nella Chiesa del Gesù (è il primo altare a sinistra). Sulla porta principale del Monastero infine, in Via Vittorio Prioli si leggeva la seguente iscrizione: “Capuccinellarum Virginum nobile Asceterium, Caesaris Prati V. Cl. munifica pietate excitatum an. a fundatione salutis MDCXLII” (Nobile Monastero delle Vergini Cappuccine, fondato per la munifica pietà di Cesare Prato, uomo chiarissimo,  l’anno della Resurrezione 1642)19.

Un’ultima considerazione è da farsi sul fatto che l’operetta qui segnalata ricalca nei contenuti e nell’impostazione tipografica l’opera di Francesco D’Estrada Arcivescovo di Brindisi pubblicata sempre dal Micheli nello stesso anno (e censita dallo Scrimieri) e intitolata: “Constitutioni/ e regole/ per il Governo Spirituale/ e Temporale di Monasterij delle RR. Monache della Città di Brindisi/ e sua Diocesi;/…” della quale sono stati individuati dallo Scrimieri ben tre esemplari20.

Stessa annotazione va fatta per le Costituzioni del 1685 per il Conservatorio di S. Anna di Lecce, da noi rintracciate in forma manoscritta e con l’indicazione del tipografo Micheli nella Platea del Conservatorio di S. Anna datata 1748 e conservata presso l’Archivio di Stato di Lecce21.

In conclusione, la Regola di Santa Chiara può definirsi un prodotto tipografico del Micheli certamente minore, appartenente a quella tipologia di edizioni micheliane stampate in piccole tirature e che essendo di argomento religioso (e quindi con una “circolazione” ridotta) diventare più facilmente irreperibili o perdersi del tutto. È comunque anche un ulteriore testimonianza della “fama” di Pietro Micheli e cioè del fatto che “stampasse per un’ampia committenza oltre quella nota dell’ambiente intellettuale salentino e leccese in particolare22.

 

Da Humaniora. Scritti in memoria di Mons. Quintino Gianfreda, a c. di A. Laporta, Lecce, Edizioni Grifo 2020.

9. Sentenza sulla “Terra di Ruffano”, edizione degli Eredi di Pietro Micheli 1696. Frontespizio (Coll. privata).

 

10. ANDREA LANFRANCHI, Tractatus De Beneficiis Ecclesiasticis, edizione di Pietro Micheli 1653. Frontespizio (Coll. privata).

 

Note

1 G. Scrimieri, Annali di Pietro Micheli tipografo in Puglia nel 1600, Galatina, Editrice Salentina, 1976, p. XIV.

2 A. Laporta, Saggi di Storia del Libro, Lecce, Ed. del Grifo, 1994, p. 7.

3 F. Quarto, Nuove emergenze tipografiche leccesi. Mundus traditus. Bottega di Pietro Micheli 1686, in “Nei giardini del passato. Studi in memoria di Michele Paone, a cura di P. Ilario D’Ancona e M. Spedicato, Lecce, Edizioni Grifo, 2011, p. 210 (“Ma la cifra tiene conto anche di edizioni non ritrovate delle quali non è stata accertata la reperibilità di almeno un esemplare effettivamente sopravvissuto fino ad oggi”, nota 11).

4 G. Scrimieri, Annali, cit., pp. XI-XIV; cfr. anche dello stesso autore Introduzione a Pietro Micheli Tipografo del 1600 (con Bibliografia) in “la Zagaglia”, XVI, 1974, 63-64, pp. 3-22; Id., Per gli Annali di Pietro Micheli. Edizioni salentine del Seicento nella Biblioteca “Caracciolo” di Lecce, Premessa di Donato Valli, Università degli Studi di Lecce, “Quaderni della Biblioteca Centrale” a cura di D. Valli e G. Scrimieri Lecce, Ed. Salentina, 1976; Id., Il ’600 tipografico a Lecce, in “Atti del Congresso Internazionale di Studi sull’età del Viceregno”, Bari, 1977; Id., voce Pietro Micheli in Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, http:/www.treccani.it//enciclopedia/Pietro_Micheli_Dizionario_Biografico); A. De Meo, La stampa e la diffusione del libro a Lecce e dintorni dal Cinquecento alla metà dell’Ottocento, Lecce, Milella, 2006, pp. 21-28 (cap. II, Dall’ultimo Micheli alla vendita della tipografia).

5 G. Scrimieri, Introduzione, cit., p. 7.

11. Decreto “In favore dei canonici contro l’Arcidiacono” sormontato dallo stemma papale di Urbano VIII, edizione di Pietro Micheli 1642 (Coll. privata).

 

12. Xilografia di S. Oronzo che correda l’edizione di Lecce con la sua Provincia de’ Salentini stampata dagli Eredi di Pietro Micheli nel 1691 (Coll. privata).

 

13. Xilografia “Vergine del Rosario”, edizione di Pietro Micheli 1675 (Coll. privata).

 

14. “Missa in Solemnitate Rosarii Beatae Mariae Virginis”, edizione di Pietro Micheli 1675 (Coll. privata).

 

6 A tal proposito cfr. E. Pindinelli, Sconosciute edizioni leccesi del Borgognone Pietro Micheli, in “Nuovi Orientamenti”, XX, 113-114, marzo-giugno 1989, pp. 11-20; A. Laporta, Saggi di Storia del libro, cit., pp. 7-29 (la stampa in Terra d’Otranto fra Sei e Settecento); A. De Meo, La stampa e la diffusione del libro a Lecce e dintorni dal Cinquecento alla metà dell’Ottocento, cit.; pp. 21-28; E. Panarese (a cura di), Una ricerca nella scuola dell’obbligo (Visita alla Biblioteca Piccinno di Maglie), Erreci Edizioni, 1990; M.T. Tafuri Di Melignano, Materiali tipografici pugliesi. Una miscellanea per la chiesa di Brindisi nella Biblioteca “De Leo”, in “Brundisii Res”, XIII, 1981, pp. 111-119, Id., La Biblioteca vescovile di Nardò, in “Curia Vescovile di Nardò”, Bollettino Ufficiale, XXXIII, 1984, 1, p. 78; M.T. Tafuri Di Melignano – Maria Virno, Edizioni pugliesi dei secoli XVI-XVIII nella Biblioteca Nazionale di Bari, in “Archivio Storico Pugliese” 36 (1983); M.T. Tafuri Di Melignano, Ulteriori contributi alla storia della stampa in Puglia, ivi, 37 (1984), pp. 123-130; M. Paone, Lecce segreta, Galatina, Ed. Salentina, 1992, pp. 31-34, 35-36; Id., Incisori Leccesi del Seicento, Galatina, Congedo ed., 1974, p. 25; A. Laporta, Una introvabile edizione leccese del ’600, in “Sapere Aude” Studi in onore di P. Luigi De Santis, Lecce, Ed. Grifo, 2010, pp. 157-168; F. Quattro, Nuove emergenze tipografiche leccesi. Mundus Traditus. Bottega di Pietro Micheli, 1686, cit., pp. 207-220; M.R. Tamblè, Sulle tracce di Pietro Micheli, tipografo borgognone in Terra Salentina, in “Nei giardini del passato. Studi in memoria di Michele Paone, a cura di P. Ilario D’Ancona e M. Spedicato, Lecce, Ed. Grifo, 2011, pp. 175-205.

7 E. Pindinelli, Sconosciute edizioni leccesi del Borgognone Pietro Micheli, cit., pp. 11-12. Alla catalogazione delle opere del Micheli un contributo importante è stato dato anche da E. Dimitri con la segnalazione (Libreria Messapica, catalogo n. 5, Manduria, autunno 1976, p. 3) del rarissimo poemetto di Tommaso D’Aquino (stampato nel 1684) e il libretto (altrettanto raro) dell’arciprete manduriano Castorio Sorano (stampato nel 1669).

15. Breve Sommario delle Indulgenze, Privilegii Et Gratie…, in Roma, nella Rev. Camera Apostolica e di nuovo in Lecce appresso gli Eredi di Pietro Micheli 1694 (Coll. privata).

 

16. OCHOAY Y SAMANIEGO FRANZISCO, Arismetica Guarisma, edizione di Pietro Micheli e Nicola Francesco Russo, 1644. Frontespizio (Libreria Antiquaria Gutemberg).

 

8 Cfr. G. Spagnolo, Un poeta salicese del ’600: Epifani Pietrantonio, in “Quaderno di ricerca Costumi e storia del Salento”, Galatina, Panico, marzo 1986, pp. 47-62; Id., Per la storia dell’Editoria Salentina del ’600. Dell’Orazioni e Sermoni dell’Avvento del tipografo Pietro Micheli, in “Studia Humanitatis. Scritti in onore di Elio Dimitri”, a cura di Dino Levante, Manduria, Barbieri Selvaggi Editore, 2010, pp. 325-336; Id., Un’opera sconosciuta e non ritrovata di Pietro Micheli: le Costituzioni del 1685 per il Conservatorio di S. Anna di Lecce, in “Il Bardo, XXI, 1, Luglio 2011, p. 2; Id., Per la storia dell’editoria salentina del’600: l’ultimo Micheli?, in “Il Bardo”, XV, dicembre 2005, 3, p. 7; Id., Un’opera dispersa di Pietro Micheli: il trattato sui benefici ecclesiastici di Andrea Lanfranchi (1653), in “Il Bardo, XXV, 2, maggio 2015, p. 6; Id., Edizioni di Pietro Micheli nella Biblioteca Salita dei Frati di Lugano, in “Il Bardo”, XXIV, 1, Marzo 2015, p. 5; Id., I Domenicani a Novoli: un affresco e un’incisione della Vergine, del Rosario, estratto da “Il Rosario della gloriosa Vergine. Iconografia e iconologia mariana in Terra d’Otranto (sec. XV-XVIII), a cura di Eugenio Bruno e Mario Spedicato, Lecce, Edizioni Grifo, 2016, pp. 3-19; Id., M. Cazzato – G. Spagnolo, Storia della stampa leccese dalle origini (1631) al periodo postunitario, in “Rotary Club Lecce, 60 anni di “service”. Omaggio alle Eccellenze Salentine”, Galatina, Congedo Editore, 2013, pp. 103-116; Id., Storia della stampa leccese dalle origini (1631) al periodo postunitario (e un’erede salvese), in “Annu Novu Salve vecchiu”, 20, 2017, pp. 89-102.

In sintesi, nei suddetti contributi vengono segnalate e descritte le seguenti sconosciute edizioni di Pietro Micheli:

  • Dell’Orazioni e Sermoni dell’Avvento (L’esemplare pur essendo privo del frontespizio, ricco di numerosi capilettera – ben 9 – e di diversi fregi – sei in tutto, di cui uno non conosciuto, per la freschezza e la qualità tipografica è da collocarsi negli anni centrali della sua attività).
  • Costituzioni per il Conservatorio di S. Anna di Lecce fatte da Monsignor D. Michele Pignatelli Vescovo della medesima città. Per il buongoverno delle Gentildonne che ivi vi dimorano. In Lecce appresso Pietro Micheli 1685. Con licenza de’ superiori.
  • Tractatus De Beneficiis Ecclesiasticis scilicet quid iuris habeant Beneficiarii in suorum Beneficiorum fructibus. Auctore ADM. R. D. Andrea Lanfranchi Clerico Regulari: Ad eminentissimum, e reverendissimum Dominum Cardinalem Franciscum Mariam Brancacium, Lycii, Apud Petrum Michaelem. M. DC. LIII.
  • SENTENZIA TRIUM CONFIRMATORIA Super exemptionem praestandi Quindecimam seu Undecimam A. R. P. D. PARACCIANO Iudice Commissario Lata ad favorem Ecclesiasticorum Terrae Ruffani. Lycij, Ex Officina Haeredum Petri Michaelis 1696. Superiorum facultate. (è la sentenza in merito alla lunga lite che oppose nel Sacro Regio Consiglio l’Università di Ruffano al suo barone Francesco D’Amore I Principe di Ruffano secondogenito di Giovan Battista e di Elena Barracani, negli anni settanta del Cinquecento su un contenzioso costituito da ben 39 “gravanima”. Nel 1693 gli eredi di Pietro Micheli, come risulta dal repertorio dello Scrimieri, avevano già accolto nelle loro stampe un opuscolo (opera del Sacro Regio Consiglio) per la Terra di Ruffano contro appunto i soprusi del barone locale, cioè i “DECRETA S. R. C/ IN FAVOREM UNlVERSITATIS/ RVFFANI,/ CONTRA BARONEM DICTAE TERRAE/ Extracta in anno 1596/ Lycij, Apud Haeredes Petri Michaelis, 1693./ Superiorum facultate/.”).
  • Foglio a stampa di cm 24×16 recante da un lato la “Missa/ IN SOLEMNITATE SANCTISSIMI ROSARII/ BEATAE MARIAE VIRGINIS” e dall’altro una xilografia raffigurante la Madonna del Rosario. Lycij, Apud Petrum Michaelem, 1675, Superiorum permissu.
17. Bando di Luigi Pappacoda Vescovo di Lecce, edizione di Pietro Micheli 1669 (Coll. privata).

 

18. Dell’Orazioni e Sermoni dell’Avvento. Pagina di apertura del VII capitolo, pp. 146-149, edizione di Pietro Micheli mutila del frontespizio e del Colophon da collocarsi negli anni centrali della sua attività presumibilmente (Coll. privata).

 

9 Cfr. G. Spagnolo, Una sconosciuta edizione leccese (1664) del tipografo Pietro Micheli, in “lu Lampiune”, X, 3, dicembre 1994, pp. 5-9.

10 F. Quarto, Nuove emergenze tipografiche leccesi. Mundus Traditus. Bottega di Pietro Micheli, 1686, cit., in particolare pp. 213-214; M.R. Tamblè, Sulle tracce di Pietro Micheli, tipografo borgognone in terra salentina, cit., in particolare pp. 182 e 190.

11 F. Quarto, Nuove emergenze, cit., pp. 213-214.

12 Ivi, pp. 212-213. A Francesco Quarto si deve anche la scoperta del libro Historia della città de Leuche allo capo della provintia di Terra d’Otranto alla golfo de capo de Lupo, pubblicato a Padova nel 1588 da Lorenzo Pasquati, testo che ha consentito di “retrodatare” di oltre cento anni l’inizio della storiografia municipale salentina, tradizionalmente attribuita a Luigi Tasselli che fece stampare proprio dagli eredi di Pietro Micheli nel 1693 le “Antichità di Leuca città già posta nel capo salentino” etc. (Ivi, p. 210, nota 10). Il Quarto segnalò la sua scoperta con la pubblicazione Historia della città de Leuche, presentazione di A. Laporta, Tricase, Edizioni dell’Iride, 2008.

13 La società Napoletana di Storia Patria, con sede in Castelnuovo (o anche Maschio Angioino), è tra le società storiche nazionali una delle più importanti sia per l’antichità delle sue origini, sia per la ricchezza del patrimonio librario che custodisce. sia per la vitalità delle sue iniziative scientifico-editoriali. L’Istituzione sorta nel dicembre 1875, riconosciuta Ente Morale con il R. D. 29 Giugno 1882, fu fondata da alcuni illustri studiosi e s’inserisce in quel complesso di iniziative che portarono alla nascita di una rete di Deputazioni (organismi a nomina statale) e di Società (organismi costituiti per iniziativa locale), con l’ideale intento di contribuire con lo studio del passato, a cementare l’unità morale degli Italiani. È una società storica privata che promuove gli studi di storia e storiografia del Mezzogiorno, cura edizioni di fonti e di studi specializzati. Il patrimonio della sua Biblioteca è composto in prevalenza da materiale di interesse meridionalistico: circa 350.000 tra volumi a stampa, periodici e opuscoli, manoscritti, pergamene, stampe e disegni. Conserva uno dei primi libri stampati in Italia (il quarto), il De Civitate Dei di Sant’Agostino realizzato nel giugno del 1467 a Subiaco da due chierici tedeschi: Sweynheym e Pannartz. (http://www.storiapatrianapoli.it/ Società Napoletana di Storia Patria Approfondimento; http://www.it.m.Wikipedia.org.Wiki, Società Napoletana di Storia Patria). La consultazione dell’opera del Micheli è stata resa possibile grazie al servizio della sua “Biblioteca Digitale” (si ringrazia vivamente la dottoressa Renata De Lorenzo, direttrice della Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, per la sua preziosa collaborazione).

19. Dell’Orazioni e Sermoni dell’Avvento. Pagina di apertura dell’VIII capitolo (pp. 170-186) edizione di Pietro Micheli (Coll. privata).

 

20. Costituzioni per il Conservatorio di Sant’Anna di Lecce, copia manoscritta dell’edizione di Pietro Micheli del 1685 (Archivio di Stato di Lecce, Platea di Sant’Anna 1748, fasc. 333).

 

14 Cfr., F. Quarto, Nuove emergenze tipografiche leccesi Mundus Traditus Bottega di Pietro Micheli, 1686, cit., p. 217.

15 Cfr., G. Scrimieri, Annali di Pietro Micheli tipografo in Puglia nel 1600, cit., pp. 347 e 348.

16 Cfr., M.R. Tamblè, Sulle tracce di Pietro Micheli, tipografo borgognone in Terra Salentina, cit., p. 182. A Napoli Micheli si sposta in un anno “imprecisato” dopo essere stato a Roma “dove verosimilmente aveva conosciuto il suo maestro Lorenzo Valeri” (la Tamblè ricava quest’informazione dalla deposizione che il Micheli, in data 22 Aprile 1640, aveva reso al vicario generale della diocesi di Lecce per rendere la propria testimonianza in favore dell’amico Giovanni Collari, pp. 177 e 182, atto facente parte di un fascicolo del 1640 contenente notizie biografiche sullo stampatore, rinvenuto da Angela Frascadore presso l’Archivio storico della Curia Arcivescovile di Lecce).

21. D’ESTRADA FRANCESCO, Costituzioni e regole per il Governo spirituale e temporale de’ Monasterij delle RR. Monache della città di Brindisi e sua diocesi, edizione di Pietro Micheli 1664. Frontespizio (Coll. privata).

 

22. C. VALIO, Teatro morale e politico…, Bari, Appresso Pietro Micheli e G. Gaidone, 1630. Frontespizio (Coll. privata).

17 Cfr., F. Quarto, Nuove emergenze tipografiche leccesi Mundus Traditus Bottega di Pietro Micheli, 1686, cit., p. 212.

18 Http://www.altaterradilavoro.com/Le Trentatrè Monastero Clarisse Cappuccine di Napoli; http://www.grandenapoli.it/Annunziata Buggio, il Monastero delle Trentatrè; http://www.ospedaleincurabili.jimdo.com/ Le Suore dette 33; http://www.clarissecappuccinegenova.it/ L’Ordine delle monache clarisse cappuccine.

19 Cfr., L.G. De Simone, Lecce e i suoi Monumenti, vol. primo La Città, nuova edizione postillata da Nicola Vacca, Lecce, Centro di Studi Salentini 1964, pp. 271, 273 nota 8; G. Paladini, Guida Storica ed Artistica della città di Lecce. Curiosità e Documenti di Toponomastica locale, Lecce, Editrice Salentina, 1952, p. 226; M. Paone (a cura di), Lecce città chiesa, Galatina, Congedo editore, 1974, pp. 92-93. La denominazione del Monastero “Santa Maria di Loreto” si riferisce certamente all’episodio in cui Maria Lorenza Longo rimasta vedova si recò in pellegrinaggio a Loreto e qui decise di entrare nel Terz’Ordine di San Francesco, assumendo il nome religioso di Lorenza (cfr. http://www.clarissecappuccinegenova.it/ L’Ordine delle monache clarisse cappuccine, cit.).

20 Cfr., G. Scrimieri, Annali di Pietro Micheli, tipografo in Puglia nel 1600, cit., pp. VIII­XL (introduzione) e pp. 152-153 (n. 149 – D’Estrada Francesco). A pag. 70 è presente lo stesso fregio utilizzato da Pietro Micheli nella “Regola di Santa Chiara” a pag. 5.

21 Cfr., G. Spagnolo, Un’opera sconosciuta e non ritrovata di Pietro Micheli: le Costituzioni del 1685 per il Conservatorio di S. Anna di Lecce, cit., p. 2.

23. MVNDUS TRADITVS, edizione di Pietro Micheli 1686. Frontespizio (esemplare collezione privata).

 

22 Ad ulteriore dimostrazione che il lavoro di ricerca su questo primo editore leccese sia ancora ben lontano dall’essere completato, segnalo un’altra sconosciuta edizione apparsa sul Catalogo n. 125 della Libreria Antiquaria Gutenberg di Milano contrassegnata con il numero 184, e così descritta: “OCHOA Y SAMANIEGO FRANZISCO, Arismetica Guarisma, en la qual se muestra El uso manual de la siete reglas maestras de faber hazer todas las quese reduzen a cuenta, con la variedad que ay hazerse Contratazion Mercantil de compras, y ventas de mercadurias in varios Reynos, y Provinzias de Europa, Asia, Africa, Remisiones de commisiones de dinero de monedas en ellos, Fundazion de banco, Negoziazion de el., Dividido en quatro partes, Lecce, Pedro Micheli, y Nicolao Francisco Russo, 1644. In 4°, (mm. 200 x 160) ottima pergamena coeva con titoli manoscritti sul dorso, pagg. 12 + 493 + 1. Edizione originale, di insigne rarità, si conosce l’esistenza di un solo esemplare al mondo, presso la Columbia University. Opera di economia fondamentale, che diede origine alle banche pubbliche, spiegandone il loro funzionamento nella gestione del denaro, ogni fase è spiegata in dettaglio, l’opera si riferisce alle banche pubbliche di tutto il mondo. Tale è la rarità di questa opera che risulta sconosciuta a Einaudi e alle bibliografie consultate. Splendido esemplare freschissimo (B406). In 4°, (mm. 220 x 160), very good coeval parchment with hand script titles on the back, pages 12 + 493 + 1. First edition, very rare, it is know only one copy in the world, care of Columbia University. Essential work about economy, it gives origin to modern public banks, explaning their functioning in money management. It’s so rare that result disowned to consulted bibliographies. Perfect and splendid copy (B406). Quotazione Euro 19.000,00”. L’opera al di là della sua rarità e dell’importanza dei suoi contenuti descritti, come si può notare ha anche la particolarità di essere una delle poche edizioni stampate dal Micheli con la collaborazione del genero tranese Nicola Francesco Russo che sposò la figlia Elisabetta nata a Trani, e con cui costituirono una società tipografica che iniziò la sua attività nel 1644 e già presente nel contratto di consegna della dote della figlia stipulato il 13 Novembre 1643 (Cfr. G. Scrimieri, Annali di Pietro Micheli, cit., pp. XXI-XXII, 262, 265-267: “collaboratore e consocio del tipografo per alcuni anni (1644-45) e poche edizioni”).

Un cartografo in età barocca. Frate Lorenzo di Novoli

San Lorenzo da Brindisi garante dell’Ordine dei Cappuccini in un’incisione del 1783 (coll. privata).

 

“Io fra Lorenzo da Santa Maria di Novole, predicatore Capuccino e guardiano”*

 

di Gilberto Spagnolo

Il mio interesse per la Storia di Novoli, anni fa mi portò a svolgere una lunga ma entusiasmante ricerca sul Frate cappuccino “Fratre Laurentio è Sancta Maria de Nove” personaggio novolese per alcuni ritenuto leggendario e assolutamente inesistente ma citato dal letterato galatonese Pietrantonio de Magistris nel concludere la sua introduzione “Lectori” messa innanzi alla vita di Antonio de Ferraris detto il Galateo che pubblicò nel 1624 a fronte della edizione del De Situ Japigiae fatta a Napoli ex Typographia Dominici Maccarani da Antonio Scorrano, arciprete di Galatone.

ANTONII GALATEI, Liber de SITU IAPYGIAE, Basileae Per Petrum Pernam MDLVIII, testo citato nel suo elenco dall’Holstenio (coll. privata).

 

Le mie ricerche portarono invece a risultati concreti e significativi tanto che ne nacque e fu dato alle stampe il libro dal titolo Un cartografo in età barocca. Frate Lorenzo di Santa Maria de Nove pubblicato con le Edizioni del Grifo nel 1992 e con un’esaustiva introduzione di Mario Cazzato.

Con questo libro veniva definitivamente confermato per via assolutamente documentaria la “sua esistenza controversa” di un uomo di fede com’era giusto che fosse ma anche, e per questo più interessante, uomo di scienza, cartografo autore di una carta di Terra d’Otranto “che a meno di un fortuito ritrovamento dobbiamo tenerla come dispersa o rifusa nel mare magnum dell’enorme produzione cartografica del tempo e seriore (dall’introduzione).

Più dettagliatamente, un documento rintracciato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana dimostra infatti in maniera inequivocabile che quel cappuccino “…Fratre Laurentio è Sancta Maria de Nove”, ricordato dal De Magistris, è veramente esistito, era effettivamente un cartografo autore di una carta geografica di Terra d’Otranto forse andata perduta.

Nel Codice Barberiniano Latino contrassegnato con il numero 3074 vi è un elenco scritto di proprio pugno da Luca Holste (questa è la forma originaria del cognome, latinizzato poi in Holstinius o Holstenius) noto geografo amburghese custode della Biblioteca Barberini, la più grande biblioteca privata di Roma che possedeva tra l’altro un ricco fondo di manoscritti, ma anche “uno dei bibliofili più appassionati che siano mai vissuti” (sono parole dell’Almagià) possessore di una cospicua biblioteca privata in Sant’Onofrio sul Gianicolo.

Si tratta (in sintesi) di un elenco dettagliato di opere relative al Regno di Napoli, un elenco di fonti di riferimento per la sua attività geografica. Nel documento, per la Terra d’Otranto, si ha menzione de “La Cartha della Provincia de Terra d’Otranto fatta da fra Lorenzo di S. Maria Nova Capuccino. In fol. 1617”.

Assieme alla carta di frate Lorenzo, per quanto ci riguarda, è elencato il De Situ Japigiae e il De Situ urbis Gallipolis del Galateo, l’Antichità di Leccie di Peregrino Scardino stampata a Bari nel 1607, il De Antiquitate et varia Tarentinorum Fortuna di Giovanni Giovene stampata nel 1589 a Napoli, opere corografiche di un certo rilievo, all’epoca, per quanto attiene la descrizione di fatti o fenomeni di Terra d’Otranto.

IOANNE IVVENE, De Antiquitate et Varia Tarentinorum Fortuna, Napoli 1589, testo citato nel suo elenco dall’Holstenio (coll. Privata).

 

Che questa carta, menzionata dall’Holstenio in questo documento fosse la Descriptione a cui fa riferimento il De Magistris non possono esserci dubbi. Eravamo più che sicuri che il Galatonese non mentiva e soprattutto che con la parola “edita” intendeva dire come la Descriptione fosse stata realmente impressa (e d’altra parte l’indicazione “in fol.” (in folio) data dall’Holstenio è oltremodo significativa poiché è un termine che veniva riportato sui testi (nel 1500 e nel 1600) per indicare appunto la stampa tipografica di volumi di forma grande quale il foglio piegato. Ma ora lo siamo ancora di più!

Prove ulteriori della sua esistenza e del suo operato, oltre alla citata particola documentaria dell’Holstenio, sono infatti emerse recentemente grazie al monumentale e prezioso lavoro di Rosa Anna Savoia, già direttrice dell’Archivio di Stato di Brindisi, terziaria francescana e studiosa della storia cappuccina della Provincia religiosa di Puglia, intitolato Il Catalogo De’ Soggetti più illustri tra’ Capuccini della Provincia D’Otranto. Santità di Vita e fatti straordinari (secoli XVI-XVII), pubblicato con le Edizioni Grifo nel 2017. Con questo lavoro Rosa Anna Savoia ha portato a termine la trascrizione integrale dei manoscritti, conservati nell’Archivio di Stato di Milano, riguardanti i frati “più illustri” della Provincia francescano – cappuccina d’Otranto, vissuti tra il XVI e il XVII secolo e che possono essere considerati “i fondatori della Provincia, a motivo della loro vita virtuosa e della testimonianza che hanno dato”.

Da FILIPPO BUONANNI, Ordinum religiosorum in ecclesia militanti catalogus etc., Romae, Typis Georgii Plachi 1706-1710 (coll. privata)

 

È nella Provincia d’Otranto (scrive Rosa Anna Savoia), lì dove è iniziata la storia cappuccina in Puglia, che, tra la fine del XVI secolo e i primi decenni del XVII, quindi nel periodo della sua massima espansione, si sono mossi i 132 frati catalogati dagli annalisti dell’Ordine nei manoscritti oggetto del presente lavoro. Le testimonianze sulla loro vita ci indicano figure di frati la cui attività era interamente orientata a venire incontro alle necessità materiali e spirituali del popolo salentino.

Carta della Provincia Hydruntina con indicazioni degli insediamenti cappuccini, To-rino 1649 (coll. privata).

 

Le testimonianze raccolte si estendono per un arco di tempo di 121 anni, dal 1534 al 1655 e questo perché fin dai primi anni della vita dell’Ordine cappuccino, “i superiori generali ordinarono che in ogni Provincia fosse nominato un frate annalista con il compito di raccogliere le memorie e le gesta di frati esemplari della Provincia stessa e di inviare ogni cosa agli annalisti milanesi. Nel corso degli anni nel convento milanese della Concezione confluirono da tutte le Province dell’Ordine moltissimi documenti, soprattutto biografie di frati esemplari… È per questa ragione, quindi, che i manoscritti, oggetto del presente lavoro, si conservano attualmente nell’Archivio di Stato di Milano (Fondo: Religione, busta 6502 (già 19) tomi I-III)”.

I tomi sono rispettivamente intitolati: Catalogo dei soggetti più illustri tra i Cappuccini della Provincia d’Otranto (Tomo I); Raccolta per le croniche cappuccine della Provincia d’Otranto (Tomo II); Raccolta per le croniche cappuccine della Provincia d’Otranto (Tomo III). “Fra Lorenzo da Santa Maria di Novole predicatore, cappuccino e guardiano” compare più volte nel I Tomo che è il risultato di tre manoscritti rilegati insieme e rinumerati.

Nel I manoscritto vi è infatti la sua testimonianza a proposito del Padre Pacifico da Sant’Eufemia (casale presso Tricase), predicatore cappuccino il cui compilatore è Antonio da Ruffano, datata “Die 23 octobris et coram eisdem”.

Nel secondo manoscritto, indicato come “la Raccolta delle cose più memorabili e dei fatti più illustri operati da’ nostri frati cappuccini di questa nostra Provincia d’Otranto”, scritta da Francesco da Pulsano, vi sono invece riportate le testimonianze rese personalmente per il Padre fra Lodovico da Giovinazzo, Predicatore Cappuccino (quest’ultime particolarmente importanti perché viene indicata di Frate Lorenzo l’età “..di 40 anni in circa di Religione”), per il padre Fra Thomaso Da Caravigna (Carovigno) Sacerdote Cappuccino e per Fra Donato da Lecce laico Cappuccino.

Nel Tomo III infine che riporta anche (oltre alla Raccolta per le croniche cappuccine della Provincia d’Otranto) due parti intitolate “Castighi di Dio contra Trasgressori della Regola” e “Castighi di Dio contro agli ingrati contro alla Vocatione” sono annotate invece le sue testimonianze rese a proposito di “un giovane di Carmiano” e di un tal “Marco Aurelio Madaro da Campie, datate 1609.

In alto: BIBLIOTECA ARCIVESCOVILE “A. DE LEO” – Brindisi, G.B. LEZZI, Memorie dei letterati salentini, Ms D/5. In basso: BIBLIOTECA PROVINCIALE LECCE, La citazione su Frate Lorenzo fatta da Pietro Antonio de Magistris nella pagina al lettore che precede l’edizione napoletana del De Situ Iapigiae (1624).

 

Probabilmente, un’intensa attività di predicazione lo portò a percorrere le strade di numerosi paesi della Terra d’Otranto fino a delinearli con precisione nella sua carta geografica eseguita nel 1617, carta posseduta dall’Holstenio e che servì al geografo amburghese anche per restaurare le pitture geografiche della Galleria Vaticana.

R. ALMAGIÀ, L’opera geografica di Luca Holstenio, copertina, 1942 (coll. privata).

 

6. BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, Codice Barberiniano Latino 3074, f. 139v. Elenco di opere relative al Regno di Napoli redatto dall’Holstenio in cui è men-zionata la Carta di Terra d’Otranto di Frate Lorenzo.

 

APPENDICE

A completamento del presente lavoro si riportano qui di seguito le testimonianze rese da Frate Lorenzo in merito alla vita vissuta di frati esemplari e innanzi citati.

Padre Pacifico da San’Eufemia

Il padre fra Lorenzo da Santa Maria di Novole, predicatore capuccino e guardiano, riferisce ch’era sì grande la divotione delle genti verso il padre fra Pacifico che le donne a gara toccavano i loro veli su li panni del padre, e l’huomini li faccioletti, per servarseli poi per divotione.

Io fra Lorenzo da Santa Maria di Novole ho deposto come di sopra.

Die 23 octobris 1611 et coram eisdem.

 

Padre Lodovico da Giovinazzo

“Dammi del pane e dell’acqua el resto portalo via, altrimente non vorrò nulla, e tanto faceva la madre. Questo modo di vivere tenne alcuni giorni con pensiero anco sempre di tornar rivestirsi de nostri, com’ei fece. Confermano il padre fra Pietro da Lecce el padre fra Lorenzo da Novole, sacerdoti capuccini, il sudetto capo per udito quanto al suo star dentro la torre”.

Segno di croce della detta Sancia di propria mano.

Io fra Lorenzo da Novole ho deposto ut supra.

* * *

Il padre fra Lorenzo da Novole, predicatore capuccino, di 40 anni in circa di Religione, riferisce Haver [I f. 289a] udito da più frati degni di fede, e veduto anche in parte, qualmente il padre fra Lodovico sudetto fu huomo dotato di molte virtù e fra l’altre hebbe un gran zelo dell’osservanza e per questa s’opponeva a tutti gli abusi della Provincia e nel suo governo di provincialato, il quale fece più anni rigorosamente, gli correggeva e, non potendolo soffrire, gli trasgressori gli fecero di molte insidie per ucciderlo poiché, apostatando loro da noi pigliandone mezzi di secolari, lo fecero appostare in un luogo per dargli morte. Onde, nel passar egli dall’appostato luogo, in udir che l’appostanti dimandavan di lui, il suo compagno sopraggiungendo, egli “sono io – disse il provinciale – eccomi, che volete?” et, in udir quella cattiva gente tali parole, rimase confusa senza saper risolversi né poter essi adoprar armi né parole, ond’egli, senz’esser tocco né offeso, da loro passò franco e libero con l’aiuto d’Iddio, con la fiducia del quale caminava sempre sicurissimo.

Io Fra Lorenzo da Novole ho deposto ut supra.

* * *

Il padre fra Lorenzo da Novole sudetto riferisce dell’istesso qualmente ei faceva i suoi governi di provincialati e guardianati con molt’osservanza, onde haveva ridotto questa Provincia a un viver assai osservante e, perciò, tutti i rilassati si temean di lui et, apostatandone di molti, gl’ordivan poi insidie per danneggiarlo nella persona, come l’occorse più volte, però non piacque mai a Iddio fusse tocco da lor neanco un pelo. L’istesso dell’istesso riferisce qualmente nelle fatighe, disagi del suo provincialato ritenne sempre la sua antica astinenza, cominciata sin dal novitiato, onde faceva tutte le quaresime del Padre San Francesco e dopo il primo pasto nell’arrivo, che faceva ne luoghi, prohibiva affatto le fusse portata qualche cosa di particolare alla mensa, benché minima, e così osservò sempre i suoi governi osservanti.

 

DEL PADRE FRA THOMASO DA CARAVIGNA, SACERDOTE CAPUCCINO

[I f. 325b] Il padre fra Lorenzo da Novole, predicatore guardiano, el padre fra Francesco d’Ostuni, sacerdote, e fra Vito da Martina capuccini riferiscono del padre fra Thomaso da Caravigna, sacerdote capuccino, qualmente fu dotato di molte virtù. S’esercitò grandemente nella via di spirito e costumava da dir molte sue orationi tra il giorno et una, fra l’altre, ne faccia che s’inginocchiava più di 200 volte il giorno. S’esercitò anco grandemente nell’oratione tanto che di rado dopo il matutino usciva da chiesa, trattenendovisi per orare. Fu assai povero in tutto quel che adoprò; frate anco patiente, di rado s’accostava [I f. 326a] al fuoco nelle più freddi staggioni dell’anno, fu frate di molto buon esempio con i frati e secolari, fu assai divoto della Madonna Santissima, di coscienza anco assai timorata si faceva scrupolo sin di cose minime, e fu d’animo assai semplice, tranquillo e pacifico.

Segno di croce di detto fra Vito di mano propria.

Io fra Francesco d’Ostuni ho diposto ut supra.

Io fra Lorenzo di Novole ho diposto ut supra.

 

DI FRA DONATO DA LECCE, LAICO CAPUCCINO

[I f. 328b] Il padre fra Lorenzo da Novole, predicatore e guardiano, riferisce di fra Donato da Lecce de Calicci qualmente quand’ei morì nel luogo di Ruggie l’anno 1534, essendo esso riferente fanciullo, udiva dalle genti, le quali concorsero in gran numero dalla città di Lecce e da casali del contorno a venerarlo come santo, che il suo corpo, mentre insepolto in chiesa, gittava un odor suavissimo, oltre l’odore del suo gran buon esempio, che lasciò a quelle genti, del quale raggionavano a bocca piena.

Io fra Lorenzo da Novole capuccino ho diposto ut supra.

* * *

CASTIGHI DI DIO CONTRA TRASGRESSORI DELLA REGOLA

Il padre fra Lorenzo di Novole, predicatore e guardiano capuccino, riferisce qualmente conobbe un frate di questa Provincia, il qual non si restava mai di mormorar di mancamenti de frati e d’altri, onde è da credere che tutto il tempo di sua vita fusse vissuto in disgrazia di Dio, non vedendosi in lui riforma veruna di questo difetto, benchè fusse sacerdote e continuasse di celebrar ogni mattina. Dopo, molti anni infine di Religione, essendo sempre in questo modo vissuto, fu travolto dal castigo di Dio, poiché, oltre essersi ammalato di febre, gli venne un mal nella lingua e per tutta la bocca, per la quale perdè affatto la favella e morì senza mostrar segni di vera contrizione. Io fra Lorenzo di Novole capuccino ò deposto ut supra.

* * *

Fra Lorenzo da Novole, predicatore e guardiano, riferisce qualmente un giovane di Carmiano si vestì de’ nostri e, dopo alcuni mesi, fu svolto da’ suoi, se ne tornò in casa, ove li diedero subito moglie et la prima sera delle nozze li fu tirata un’archibusciata avanti sua madre e spirò subito.

* * *

L’istesso riferisce anco qualmente Marco Aurelio Madaro da Campie fu ricevuto et andò a vestirsi de nostri, ma si pentì subito e, tornato in sua casa, finì poi malamente la sua vita, essendo stato ucciso e il suo corpo non si trovò mai più.

Io fra Lorenzo da Novole capuccino ho deposto ut supra.

* * *

L’Ordine francescano fu fondato nei primi anni del XIII secolo da San Francesco d’Assisi, la cui Regola fu approvata da Onorio III nel 1223.

* * *

Se consideriamo come punto di riferimento che l’Ordine del M. R. padre fra Sebastiano da Putignano di “Raccogliere e annotare gli esempii e fatti illustri de’ frati di questa nostra Provincia” fu fatto a Francesco da Pulsano l’8 giugno 1627, la testimonianza non datata di Frate Lorenzo su fra Lodovico da Giovinazzo in cui si dichiara che “il padre fra Lorenzo da Novole predicatore capuccino è di 40 anni in circa di Religione” può indicativamente farci risalire alla sua data di nascita che si attesterebbe intorno al 1587. Va aggiunto infine che a Novoli esistevano due Ospizi: “uno dei Padri Alcantarini e l’altro dei Padri Riformati”. Uno era ubicato (quello degli Alcantarini) al civico 53 dell’attuale via Pendino (l’edificio, che possedeva sulla facciata lo stemma con la tipica rappresentazione dell’Ordine Francescano, è stato recentemente abbattuto). L’altro quello degli ex-Riformati era invece “in Via Castello” (attuale Via Umberto I).

 

* In “Nova LiberArs”, numero 0, Argomenti Ed., Novoli 2019, pp. 30-33.

Disegno dell’Holstenio con Terra d’Otranto probabilmente ricavata dalla Carte di Frate Lorenzo (Biblioteca Apostolica Vaticana).

 

Riferimenti bibliografici essenziali

R. Almagià, Monumenta Italiae Cartographica. Riproduzione di carte generali e regionali d’Italia dal sec. XIV al sec. XVII raccolte e illustrate, Firenze 1929.

Id., L’opera geografica di Luca Holstenio, Città del Vaticano, Studi e Testi 102, 1942. Ho potuto individuare il documento dell’Holstenio nel Codice Barberiniano Latino contrassegnato con il numero 3074 consultando in Roma, presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele, questa monografia assai rara dell’Almagià. Essa infatti è il risultato dell’analisi dei materiali della sua attività in campo geografico in buona parte inediti e che si conservano nel suddetto Fondo Barberiano della Biblioteca Apostolica Vaticana. L’Almagià non essendo a conoscenza dell’identificazione di S. Maria de Nove con Novoli, tradusse all’epoca S. Maria Nova riportata dall’Holstenio letteralmente con il corrispondente S. Maria Nuova. Scrive infatti l’Almagià: “Per la Terra d’Otranto si ha menzione di una carta di un Fra Lorenzo da Santa Maria Nuova, cappuccino, stampata in folio nel 1617; l’Holstenio stesso la ricorda (Cod. Barb. Lat. 3074, fol. 138v e seg.) in un elenco di opere relative al Regno di Napoli, ma a me non è stato possibile di rintracciarla. La carta del Parisio e le opere del Barrio e del Marafioti sono spesso ricordate dall’Holstenio”.

P. De Magistris, Galatei vita a Petro Antonio De Magistris descripta, Napoli 1624.

G. Gabrieli, Bollettino Bibliografico, in “Japigia”, a. VIII, aprile 1930.

R.A. Savoia (a cura di), Il Catalogo De ‘Soggetti più illustri tra’ Capuccini della Provincia d’Otranto. Santità di vita e fatti straordinari (secoli XVI XVII), Collana di Studi “Studia PACS S. Lorenzo da Brindisi Parola Arte Cultura Storia”, Ed. Grifo, Lecce 2017. Il volume è stato pubblicato “in felice coincidenza con le celebrazioni laurenziane, per il 4° centenario della morte di San Lorenzo da Brindisi, patrono della Provincia cappuccina d’Otranto”.

G. Spagnolo, NOVOLI. Origini, nome, cartografia e toponomastica, tipografia A. Rizzo 1987.

Id., Storia di Novoli. Note e approfondimenti, Edizioni Del Grifo, Lecce 1990.

Id., Un cartografo in età barocca. Frate Lorenzo di Santa Maria de Nove, introduzione di Mario Cazzato, Edizioni del Grifo, Lecce 1992. Nel testo viene pubblicato integralmente l’elenco di opere relative al Regno di Napoli redatto dall’Holstenio (conservato presso la Biblioteca Vaticana, Codice Barberiniano Latino 3074, ff. 138v-139v) come fonti di riferimento per la sua attività geografica e in cui è menzionata la Carta di terra d’Otranto di Frate Lorenzo. Per avere comunque un’idea della straordinaria biblioteca del cardinale Francesco Barberini (1597-1679) (tanto da ritenere che l’Holstenio avesse avuto veramente tra le mani la carta di Frate Lorenzo) si può consultare l’Index Bibliothecae qua magnificentissimas suae Familiae ad Quirinalem aedes magnificentiores redditit, Rome: Typis Barberinis, Excudebat Michael Hercules 1681. L’opera due volumi in folio (646 e 596 pagine) elenca oltre 31.000 volumi. Un terzo volume, annunciato al frontespizio, inoltre non fu mai pubblicato (avrebbe dovuto contenere “Indice” dei manoscritti). Alla stesura di questo catalogo parteciparono Leone Allacci e appunto Luca Holstenius. Della Biblioteca Barberini, l’Holstenio fu nominato custode nel 1636 e fino alla sua morte non smise mai la sua opera indefessa di ricercatore di manoscritti e libri. Copiò (scrive infatti l’Almagià) egli stesso o fece copiare da scrittori da lui stipendiati, da amici e conoscenti, codici greci e latini, cercò di procurarsene per acquisto, in dono o in prestito; fece anche larghi acquisti di libri a stampa d’ogni genere, arricchendo così la Biblioteca Barberiniana, quella Vaticana ma anche la sua “cospicua” biblioteca privata in Sant’Onofrio sul Gianicolo (alla sua morte vi erano 3500 opere di grande interesse; soprattutto per la parte geografica – in quantità maggiore rispetto alle altre – aveva raccolto opere molto preziose, atlanti, e appunto carte geografiche rarissime).

Id., Novoli tra ‘700 e ‘800: gli “Ospizi” degli Alcantarini e dei Riformati e un Ospedale, in “Lu Puzzu te la Matonna”, secolo IX, 21 luglio 2002.

 

I Domenicani a Novoli: un affresco e un’incisione della Vergine del Rosario

di Gilberto Spagnolo

L’insediamento domenicano di Novoli, collocato in origine in aperta campagna nel feudo di Nubilo1, è senz’altro uno dei meno conosciuti. Il Cappelluti ci informa che la sua fondazione risale al 15512 per opera del feudatario locale, il barone Filippo I Mattei3, coltissimo personaggio noto alla letteratura dell’epoca per essere stato, tra l’altro, un committente dalle spiccate ambizioni artistiche. Sembra che il titolo del nuovo insediamento sia stato quello di S. Onofrio che progressivamente lasciò il posto a quello di S. Maria delle Grazie con il quale è comunemente indicato4.

1. S. Onofrio, in un’incisione di Francesco Valesio 1661

 

Il titolo di S. Onofrio però, potrebbe significare molto di più: è quasi impossibile che a un santo medievale, tra l’altro assai raro come iconografia e devozione, sia stato dedicato un nuovo insediamento domenicano in pieno Cinquecento (S. Onofrio è un santo eremita, forse egiziano come Sant’Antonio: viene rappresentato con una lunga barba e con una folta e maestosa capigliatura che confondendosi avvolgevano tutto il suo corpo, quasi rivestendolo5 – di lui abbiamo degli affreschi che lo rappresentano solo nella cripta del Crocifisso di Ruffano)6.

L’ipotesi è che questo sia sorto su un antico luogo di culto dedicato a S. Onofrio, né più né meno come a Copertino i domenicani sorsero sul sito della cappella dell’Idria e quelli di Muro sul luogo dell’insediamento italo-greco dedicato a S. Zaccaria7: se tutto questo fosse vero saremmo di fronte ad una precisa strategia domenicana di occupare luoghi di devozionalità obsoleta e comunque ormai in contrasto con la nuova sensibilità religiosa del tempo.

2. Facciata esterna della Chiesa napoletana del Pontano, incisione in Roberto Sarno Joannis Joviani Pontani Vita, Neapoli MDCCLXI.

 

Per ritornare al committente di Novoli, ricordiamo che il Mattei dopo appena dieci anni, nel 1561, era stato il committente a Lecce della Chiesa Nuova, uno dei primi edifici rinascimentali della città esemplificato addirittura sulla napoletana chiesa del Pontano8 come ha dimostrato M. Cazzato, nella quale non fu estraneo l’intervento di G. Giacomo dell’Acaya9 (affianco del quale – come ricorda Iacopo Antonio Ferrari nell’Apologia Paradossica della città di Lecce – lo stesso Filippo I aveva combattuto contro i Francesi nel 1528)10 che dimostra la capacità culturale ed economica dei Mattei di coinvolgere nelle loro iniziative le personalità più prestigiose del tempo. Lo stesso accadde per Novoli11.

I recenti restauri ai quali è stata sottoposta la chiesa ex domenicana ha fatto emergere per il portale, l’anno di esecuzione, il 1576 e conferma le ipotesi dell’attribuzione dell’opera a Gabriele Riccardi, l’architetto di Santa Croce, allora ancora attivissimo12. Il restauro ha fatto emergere anche un portale secondario che ha la stessa fattura e cronologia di quello principale. Le fonti attestano che il nuovo convento, sostenuto ancora dalle sostanze dei Mattei, fu censito come vicariato nel 1573 e priorato nel 1600, anche se nel Seicento conosce una sensibile crisi tanto che fu soppresso con la riforma innocenziana del 1652 ma riaperto nel 1654 con decreto del 26 febbraio13.

3. Villa Convento, facciata ex Chiesa di S. Onofrio oggi della Vergine SS. Del Buon Consiglio

 

4. Villa Convento, ex Chiesa di S. Onofrio oggi della Vergine SS. Del Buon Consiglio, portale.

 

In un Apprezzo del 1707 è scritto: «nel feudo di Novoli, o del Convento, vi sta un convento della religione di S. Domenico. Chiesa magnifica, chiostro, dormitorio, campanile e tutte l’occorrenze necessarie ad un convento di proporzionata famiglia. Vi stanno poi giardini, territori per uso del medesimo; al presente sta abitato da un sacerdote e da un laico e dissero che detto convento fosse stato edificato dalla casa de Matteis padrone del feudo»14.

Nel frattempo i Mattei avevano imboccato la strada del declino e l’anno prima avevano venduto il feudo: sembra proprio che il declino della famiglia coincida con quello del convento la cui età d’oro, specialmente dal punto di vista artistico, come abbiamo visto e come vedremo, coincide con il Cinquecento15.

Dalla visita pastorale del Vescovo Sersale del 1746 ricaviamo che la chiesa aveva, oltre all’altare maggiore, sei altari, tre per lato sull’unica navata, collocati sotto altrettanti arconi, ossia della Madonna del Rosario, di Santa Maria della Neve, della Madonna di Costantinopoli, di S. Onofrio, di S. Domenico e, ultimo, della Circoncisione di Cristo16.

Nella visita di Sozy Carafa, del 1783 gli altari erano: il maggiore, della Vergine del Rosario, di Santa Maria della Neve, della Vergine di Costantinopoli, di S. Onofrio, di S. Domenico e della Circoncisione di Cristo17.

La presenza ancora alla fine del ‘700 dell’altare dedicato a S. Onofrio conferma l’ipotesi che è stata fatta e cioè che questo sia la “memoria” di un omonimo edificio di culto demolito per la costruzione del convento. Conosciamo abbastanza bene la storia di quest’edificio che abbandonato come l’annesso convento nella seconda metà dell’‘800, fu ristrutturato in seguito alla sua nuova funzione di parrocchia, fatto che avvenne nel 192218.

C’è da osservare che la chiesa e il dismesso convento divennero, in quegli anni, il centro di una frazione che oggi amministrativamente appartiene parte a Novoli e parte a Lecce e che significativamente viene chiamato “Villa Convento19 ma il toponimo “convento” lo ritroviamo già a partire dal Seicento come segno indelebile della presenza domenicana nel luogo. Gran parte dell’arredo della chiesa è andato perduto o nascosto sotto strati e strati di calce. Sotto la calce, per esempio, appare in un ambiente conventuale un bellissimo affresco con “Cristo di pietà” cinquecentesco20.

Alla stessa epoca appartiene un altro affresco, ancora in corso di restauro, mutilo della parte inferiore: raffigura la Vergine affiancata da due Santi e, in basso, una figura femminile, sicuramente quella della committente, forse la moglie di Filippo Mattei. A destra di questo si vedono chiaramente alcune navi in tenuta di combattimento con la bandiera della mezzaluna. Quasi sicuramente, come è accaduto a Ugento, l’affresco della Vergine è stato modificato in Vergine del Rosario21 con l’apposizione di quelle navi da guerra che sicuramente vogliono rappresentare la Battaglia di Lepanto. Altre osservazioni e precisazioni si potranno fare quando sarà concluso definitivamente l’intervento di restauro. Per adesso sono soltanto questi gli affreschi che si sono salvati dalla distruzione e dall’abbandono, e questo sembra avere quasi del miracoloso.

Per quanto attiene poi all’immagine in xilografia che qui si pubblica, c’è da specificare che essa appartiene ad un foglio volante stampato a Lecce da Pietro Micheli nel 1675: l’iconografia è nota, a sinistra S. Domenico, a destra S. Pietro Martire, in alto la Vergine col bambino e due angeli che offrono corone del Rosario. È un’immagine rarissima, forse l’unica incisione del genere del Seicento leccese di cui, per adesso, se non possiamo indicare l’autore rileviamo però la qualità e, soprattutto, il grande interesse storico22.

 

In Il Rosario della gloriosa Vergine. Iconografia e iconologia mariana in Terra d’Otranto (secc. XV-XVIII), a cura di Eugenio Bruno e Mario Spedicato, Edizioni Grifo Lecce 2016.

* Le foto sono di Piero Caricato. Un sentito ringraziamento va al parroco di Villa Convento Massimiliano Mazzotta, a mia figlia Serena Spagnolo per il suo contributo di carattere tecnico e, soprattutto, all’amico Mario Cazzato per avermi consentito, con la sua collaborazione, di realizzare questa ricerca.

 

Note

1 Sulla successione feudale di Sancta Maria de Novis e del feudo di Nubilo si vedano gli studi di O. Mazzotta, Novoli nei secoli XVII-XVIII, Bibliotheca Minima, Novoli 1986; Id., I Mattei Signori di Novoli (1520-1706), Bibliotheca Minima, Novoli 1989; G. Spagnolo, Novoli origini, nome, cartografia e toponomastica, Tip. A. Rizzo, Novoli 1987; Id., Storia di Novoli. Note e approfondimenti, Ed. del Grifo, Lecce 1990. In una memoria legale redatta da B. Tizzani e N. Turfani è riportato: «In Provincia di Lecce esiste la terra di Santa Maria di Novi, volgarmente detta Novoli, ed il Feudo disabbitato (sic) Nubilo, Noole, Novoli, S. Onofrio, o del Convento. La Terra di Santa Maria nel 1520 fu devoluta al Fisco per la morte di Giovanna Maramonte Baronessa di Campi senza legittimi eredi, fu venduta a Paolo de Matteis, e Vittorio de Priolo Suocero, e Genero. In seguito il solo Paolo de Matteis con istrumento per Notar Pomponio Stomeo di Lecce comperò nel 1523 da Aurelia de Acaia moglie di Gio: Maria Guarino separatamente il Feudo di Nubilo, o Noole. Questi due distinti Feudi furono nella famiglia de Matteis fino al 1706, in cui si morì Alessandro de Matteis ultimo possessore senza legittimi eredi in grado. Nel 1707 la Regia Camera per concorso de’ creditori vendè questi due feudi a Felice Carignani, e ne fu liberato il prezzo a’ creditori del de Matteis, come si rileva dall’istanza fiscale». B. Tizzani – N. Turfani, Per l’università di Santa Maria di Novoli e suoi Naturali contro l’utile possessore di quella, Napoli 1805, p. I. (commissario Presidente D. Vincenzo Sanseverino. Attuario D. Nicola Guerra). Il toponimo Nubilo è la più antica denominazione di tutto l’intero territorio dell’ex feudo del Convento, che poi, come già detto, si chiamò Novule. In seguito ne ha indicato solo una contrada e precisamente quella che ad occidente della provinciale per Lecce, vi è tra la frazione Convento e la via vicinale dell’Abbadia.

2 Per tutti cfr., ora, C. Longo, I Domenicani nel Salento meridionale secoli XIV-XIX, Ed. Salentina, Galatina 2005, pp. 123-124.

3 Scrive G. Marciano nella sua Descrizione, origini e successi della Provincia d’Otranto (Stamperia dell’Iride, Napoli 1855): «Era sì bene il Casale Nobile non molto di là lontano, oggi feudo disabitato così detto dalla vaghezza del sito e nobiltà del luogo di molti giardini adorno, abbondante di frutti, olii e vini; dove dopo fu edificato il monastero de’ PP. Predicatori dell’Ordine di S. Domenico, e dotato di alcune entrate da Filippo Mattei bisavolo dell’illustrissimo Alessandro Mattei Conte di Palmerigi e signor di questi luoghi…», p. 472. Filippo I intorno al 1527 era già succeduto al padre Paolo e nel 1529 si unì con Paola Bozzi figlia di Antonio Bozzicorso, barone di Arnesano (cfr., O. Mazzotta, I Mattei signori di Novoli 1520-1706, cit., pp. 16-17, studio da cui emerge un giudizio negativo alquanto discutibile sulla loro storia e sul loro ruolo e oggi, alla luce di nuove ricerche e documenti, ampiamente superato).

5. Villa Convento, ex Chiesa di S. Onofrio oggi della Vergine SS. Del Buon Con-siglio, Architrave, Stemma Nobiliare della famiglia Mattei.

 

4 Lo stemma dei Mattei campeggia sulla facciata della cinquecentesca chiesetta annessa al convento dedicata a S. Onofrio e che divenne la tomba di famiglia (cfr., G. Cappelluti, L’Ordine domenicano in Puglia, C.E.T.I. Editore, Teramo 1965, p. 48). La tomba era all’interno della chiesa (indicata nei verbali delle S. Visite comunemente come Chiesa della Madonna delle Grazie) e dinanzi ad essa vi era il cimitero (Archivio Curia Arcivescovile Lecce (in seguito Acal), Visite Pastorali (in seguito Vvpp), vol. 141, c. 95, visita pastorale di Mons. Scipione Sersale a. 1746). Il monastero, affidato ai Padri Domenicani, aveva un chiostro, un dormitorio con sedici celle, giardino, cucina per il refettorio con sedili in legno infissi nel muro, torre campanaria con due campane («La chiesa è ad una navata di conveniente grandezza ed è coperta a volta, ha un pavimento di pietre quadrate nel quale vi sono sei sepolture, una delle quali viene utilizzata per seppellire i frati del convento. Ci sono due finestre, una circolare sita sopra la porta della chiesa, l’altra vicino all’altare maggiore. Davanti alla porta della chiesa vi è il cimitero circondato da ogni parte da pareti…Vicino a questa chiesa dalla parte laterale, a nord è situato il convento di detti frati, che ha una porta maggiore che si affaccia sulla via pubblica. Nel piano inferiore c’è un chiostro intatto, che consta di quattro corridoi, di 70 piedi di lunghezza e di 10 di larghezza ciascuno, ed al centro di esso ci sono molti alberi da frutto. C’è un Refettorio di conveniente grandezza con mensa dalle panche fisse. C’è inoltre un ospizio, che è un luogo utilizzato per dare la carne ai malati. C’è il magazzino, la dispensa, il capitolo, la cucina, una stanza antistante la cucina, una stanza sita dietro la cucina nella quale si conservano i vasi e gli strumenti della cucina, e in essa vi sono due forni, cioè uno più grande e uno più piccolo. Nel piano superiore del convento, al quale si sale per una scala di pietra, ci sono due dormitori, uno dei quali è a volta, l’altro è coperto da canne, e in uno di questi ci sono otto celle per i frati, cosicché sono sedici, accanto c’è un luogo in un angolo nel quale ci sono i luoghi per uso comune e non mancano due corridoi scoperti», Acal, Vvpp, vol. 15, CC. 362-364, visita Pastorale di Mons. Luigi Pappacoda a. 1654). Davanti alla chiesa si estendeva il sagrato che godeva dell’immunità ecclesiastica (Acal, Vvpp, vol. 16, cc. 447-452, visita Pastorale di Mons. Luigi Pappacoda a. 1655).

6. Villa Convento, ex Chiesa di S. Onofrio oggi della Vergine SS. Del Buon Con-siglio, Particolare dell’architrave con la data 1576 rinvenuta.

 

7. Villa Convento, interno ex Convento dei Domenicani, affresco cinquecentesco raffigurante il “Cristo di Pietà” (Christus patiens).

 

5 Cfr., G. Cavaccio, Illustrium anachoretarum elogia sive religiosi viri musaeum, typis Iacobi Dragondelli, Romae 1661, pp. 138-143 con una splendida immagine del Santo incisa da Francesco Valesio. Sul culto di S. Antonio Abate che a Novoli ancora oggi ha una rilevanza notevole, cfr., G. Spagnolo, Il fuoco sacro. Tradizione e culto di S. Antonio Abate a Novoli e nel Salento, Tip. Corsano, Alezio 1998 (I edizione); Tip. Publigrafic, Trepuzzi 2004 (II edizione) e Fondazione Focara 2018 (III edizione).

6 Cfr., A. de Bernart – M. Cazzato – E. Inguscio, La cripta del Crocifisso di Ruffano. Storia e geografia sconosciute, Congedo, Galatina 1998.

7 Per questi aspetti cfr., M. Cazzato, I Domenicani a Copertino: profili storici e urbanistici, in In nomine Domini Canis. I Domenicani nel Salento e a Copertino tra espansione e declino (secc. XV-XIX), a cura di E. Bruno e M. Spedicato, Maffei Editore, Trepuzzi 2014, pp. 161-171.

8 Cfr., M. Cazzato – G. Spagnolo, Profili di committenza aristocratica. Il caso dei Mattei Signori di Novoli, in “Camminiamo insieme”, XII, gennaio 1998, pp. 16-17. Come attestò per primo l’Infantino (1634) la piccola chiesa dell’Assunta (la chiesa nuova) fu eretta sul principale asse viario della città accanto ad una sua proprietà e poco discosto dal vescovato, esemplata, in quanto alle dimensioni e all’organizzazione strutturale della facciata, alla napoletana cappella appunto del grande umanista Giovanni Pontano (cfr., l’illustrazione in R. Sarno, Vita Joannis Joviani Pantani, Neapoli Fratres Simonii, MDCCLXI, p. 94; G.C. Infantino, Lecce Sacra, in Lecce, appresso Pietro Micheli, MDCXXXIIII, p. 25: «Dell’Assuntione della Vergine volgarmente detta la chiesa nuova». Secondo l’Infantino inoltre anticamente era sotto il titolo di S. Andrea.

9 Cfr., M. Cazzato, Giangiacomo dell’Acaya e un disegno del castello di Lecce, in Il castello Carlo V. Tracce, memorie, protagonisti, Congedo ed., Galatina 2014, pp. 52-54.

10 I.A. Ferrari, Apologia Paradossica della città di Lecce, Mazzei, Lecce 1707, Rist. anast. a cura di A. Laporta, Capone ed., Lecce 1997, pp. 54, 55, 343, 479-480 («chiesa di santa Maria dell’Assuntione nel portaggio di Rugge»); P. De Matteis, Filippo I Mattei e le battaglie in terra d’Otranto ai tempi di Lautrec, in “Lu Puzzu te la Matonna”, XVII, 18 luglio 2010, pp. 18-21. Filippo I ebbe anche un figlio illegittimo, tal Francesco e che “con la forza dei suoi danari” brigò affinché lo stesso divenisse vescovo di Lecce contemporaneamente al fiorentino mons. Braccio Martelli, 1552-1560 (cfr., P. Nestola, I grifoni della fede. Vescovi inquisitori in Terra d’Otranto tra ‘500 e ‘600, Congedo ed., Galatina 2008, pp. 203-204.

11 Relativamente a questi aspetti e sulle virtù mecenatiche e liberali di questa famiglia (la cui punta di diamante fu Alessandro II ricordato dal Marciano), i loro rapporti intellettuali che furono certamente non casuali ma inseriti in un “sistema locale ben determinato nel quale centro e periferia erano legati da rapporti e uno scambio continuo di esperienze e fermenti culturali” si rimanda ai seguenti contributi: M. Cazzato – G. Spagnolo, Profili di committenza aristocratica. Il caso dei Mattei signori di Novoli, cit., pp. 16-17; M. Cazzato, Dalle “antiquitate” al “museo” e alla “gallaria”: per una storia del collezionismo aristocratico in terra d’Otranto, in Atlante del Barocco in Italia. Il sistema delle residenze nobiliari. Italia meridionale. Meridionale, Roma 2010, pp. 182-194; Id., Per la Biblioteca dei Mattei. Girolamo Marciano, l’iconografia del Ripa e la “Taranta Apula”, ivi, cit., XIX, 18 luglio 2010, p. 27; Id., Una Sant’Irene per Alessandro Mattei (1604), ivi, cit., XIX, 18 luglio 2012, p. 15; Id., I maestri di scuole del ‘500 salentino, ivi, cit., XX, 18 luglio 2013, p. 12; Id., La fontana dei Mattei. Profili di committenza aristocratica, ivi, cit., XII, 18 luglio 2005, pp. 6-7. G. Spagnolo, Un cartografo in età barocca, frate Lorenzo di Santa Maria de Nove, introduzione di Mario Cazzato, Ed. del Grifo, Lecce 1992; Id., Fra fonti letterarie e fonti manoscritte: sulla “Geografia di Terra d’Otranto” del conte Alessandro Mattei, Signore di Novoli, in “Lu Puzzu te la Matonna”, cit., X, 20 luglio 2003, pp. 33-36; Id., Girolamo Marciano e i Discorsi di Guillaime Du Choul, gentiluomo lionese. Contributo per una biblioteca perduta, ivi, cit., XVII; 18 luglio 2010, pp. 22-26; Id., Il principe Perfetto. Giovanni Antonio Albricci Terzo (testimonianze dall’Ignatiados poema eroico inedito di Francesco Guerrieri illustre letterato salentino), in Quaderno di ricerca. Costumi e storia del Salento, Grafiche Panico, Salice Salentino ottobre 1989, pp. 21-54; Id., Francesco Guerrieri e Prospero Rendella giureconsulto e storiografo monopolitano, in “Annuario Studi e Ricerche”, I, Il Parametro Editore, 1993, pp. 115-134; Id., Bernardino Reatino il Santo di tutte le virtù (Brevi note sulla deposizione del P. Francesco Guerrieri al Processo Remissoriale di Lecce degli anni 1623-1624), in “Lu Lampiune”, IV, 2, agosto 1990, pp. 107-111; Id., Memorie antiche di Novoli (note su un manoscritto ottocentesco della Descrizione di S. Maria de Nove di Girolamo Marciano), ivi, cit., XII, 17 luglio 2005, pp. 11-13; Id., Pregando Iddio per l’anima mia… Il testamento di Filippo II Mattei Barone di S. Maria de Nove, ivi, cit., XIX, 15 luglio 2012, pp. 16-19; Id., Francesco Guerrieri “sive verierius” sacerdote della Compagnia di Gesù (gli epigrammi greci e latini), ivi, cit., XX, 18 luglio 2013, pp. 13-15; O. Mazzotta, Ex Biblioteca di Alessandro Mattei, signore di Novoli, in “Camminiamo insieme”, cit., VI, 3, marzo 1992, p. 5; L. Ingrosso, La Biblioteca di Alessandro Mattei, signore di Novoli, in “Lu Lampiune”, cit., XIII, 2, 1997, pp. 71-77; M. Cazzato, Gli ultimi Mattei e il feudo di Trepuzzi, in “Lu Puzzu te la Matonna”, cit., XXII, 19 luglio 2015, p. 10.

12 Allo stesso architetto scultore Gabriele Riccardi ma più probabilmente alla sua scuola, va riferita anche l’ ottagonale chiesa novolese del Salvatore (poi di S. Oronzo) voluta da Filippo II Mattei (figlio di Filippo I e padre di Alessandro II l’umanista e mecenate) negli anni settanta appunto del XVI secolo su ispirazione del gesuita Bernardino Realino (su una parete vi è inciso il monogramma dei Gesuiti) e secondo un linguaggio architettonico che nella volta «ad ombrello» ricorda specularmente la soluzione adottata nell’abside della citata chiesa di Santa Croce. In questa chiesa inoltre nel 1704, su incarico di Alessandro III Mattei, venne realizzato lo spumeggiante altare maggiore che ancora oggi possiamo ammirare nell’esuberante ricchezza ornamentale tipica del gusto decorativo dell’epoca (durante alcuni lavori di restauro e conservazione dell’altare sono state trovate incise, nella parte superiore destra le due lettere G.C. ovvero le iniziali di Giuseppe Cino).

Ma ancora prima di quel 1704, precisamente il 1700, Giuseppe Cino era ritornato a Novoli e sempre per Alessandro III ultimo dei Mattei, per ristrutturare quel braccio del palazzo baronale che fronteggiava, come fronteggia l’ingresso nel quale fu collocata la fontana con la sua epigrafe (M. Cazzato – G. Spagnolo, Profili di committenza aristocratica. Il caso dei Mattei Signori di Novoli, cit., pp. 16-17; M. Cazzato – V. Peluso, Melpignano indagine su un centro minore, Congedo ed., Galatina 1986, p. 184). Il portale della chiesa di Villa Convento per impostazione tipografica e per schema decorativo è simile a quello della chiesa Matrice di S. Giorgio di Melpignano, della chiesa Matrice di Manduria (1532), della chiesa dell’Annunziata in Mesagne (1552), della cappella di S. Marco dei Veneziani in Lecce (1543) della cappella di S. Chiara in Galatina (1579), delle Parrocchiali di Parabita, di Surbo (1586) e di Corigliano (1573); F. De Pascalis, Altare con sorpresa, la firma di Cino, in “Quotidiano”, 25 novembre 2003.

13 Cfr., C. Longo, I domenicani nel Salento meridionale secolo XIV­-XIX, cit., p. 123; G. Cappelluti, L’Ordine domenicano in Puglia, cit., p. 48; O. Mazzotta, Novoli nei secoli XVII-XVIII, cit., p. 158; Id., La pazienza tentata. La soppressione innocenziana dei piccoli conventi di Terra d’Otranto a metà Seicento, Ed. Panico, Galatina 2003, pp. 46, 53, 57; A. Caputo, Sviluppo e dispersione di un patrimonio ecclesiastico. I domenicani nel Salento e a Copertino tra espansione e declino (secc. XV-XIX), cit., pp. 85-86. Tra il giugno e l’agosto del 1686, l’Università della terra di Santa Maria di Nove in “pubblica conclusione” e tutto il capitolo “in sacristia parochialis” decisero all’unanimità di mettere a disposizione la chiesa di San Antonio Abate, “per l’utile tanto spirituale quanto temporale che risulta al pubblico”, per il trasferimento nella stessa, del monastero dei Padri Domenicani di Santa Maria delle Grazie. Questa iniziativa fallì a seguito dell’opposizione dello stesso Ordine Domenicano (cfr., G. Spagnolo, Onomastica novolese: la supplica dell’università e del clero di Santa Maria di Nove nel 1686, in “Le fasciddre te la focara”, 42, 17 gennaio 2004, pp. 9-11. I relativi documenti sono conservati presso l’Archivio della Curia Arcivescovile di Lecce negli Instrumenta miscellanea dei secoli XVII-XVIII).

14 D. Gallerano, Apprezzo del feudo di Santa Maria de Nove e del feudo di Nubilo o Convento fatto il 24 marzo 1707 da Donato Gallarano, copia dattiloscritta c/o Mario Cazzato (l’originale che si conservava presso l’Archivio di Stato di Napoli è andato perduto).

15 Con la morte di Alessandro III nel 1706, si estingueva a Novoli la stirpe dei Mattei che per circa duecento anni avevano esercitato la loro signoria sul paese: «Nel giorno 7 del mese di Marzo 1706 l’Ill(ustrissi)mo Don Alessandro Mattei conte di questa terra e del Marchesato di Trepuzzi marito di Donn’Angela Invitti di Napoli, nella sua età di anni quarantaquattro nella sede del suo palazzo patrizio, rese l’anima a Dio e il di lui corpo nello stesso giorno fa sepolto nella tomba dei suoi avi nell’interno del Convento e della Chiesa dei Frati Domenicani di questa terra reggendo l’amministrazione di detto Convento frate Ferdinando da Campi; confessò (le proprie pene) nel quinto giorno, restò privo del S.S. Viatico per smarrimento di coscienza, fu tuttavia consacrato della unzione del sacro olio del settimo giorno in cui fu sopra sostituito (nel marchesato) per mezzo del Rev(erendissi)mo Don Filippo Antonio Romano», (Archivio Parrocchiale della Chiesa Matrice S.Andrea di Novoli, Registro dei morti aa. 1680-1709. Sulla fontana del palazzo ducale aveva fatto incidere la seguente epigrafe: «Deo Xenio / Non Magnitudini Aut / Dominationi / Sed / Solatio Et Ocio / Alexander Mattei / Aedes Suas / Xysto Et Fonte Excoluit / A. Mdcc»; (Trad.: «Al Dio dell’ospitalità. Alessandro Mattei, non per desiderio di grandezza o di potere, ma per conforto e agio ornò la sua dimora con la terrazza e la fontana nel 1700», cfr., M. Cazzato – G. Spagnolo, Profili di committenza aristocratica. Il caso dei Mattei Signori di Novoli, cit., pp. 16-17; un’epigrafe “che nonostante l’epoca rigurgita ancora di echi classico-umanistici”). I Carignani tennero poi Novoli per novantadue anni e furono dunque gli ultimi signori del luogo sino alla soppressione della feudalità applicata nel Salento nel mese di agosto del 1806 (O. Mazzotta, Novoli nei secoli XVII-XVIII, cit.; Id., Novoli (1806-1931), Novoli, Bibliotheca Minima, 1990; G. Spagnolo, Novoli, origini, nome, cartografia e toponomastica, cit.; Id., Storia di Novoli. Note e approfondimenti, cit.; O. Mazzotta, I Mattei Signori di Novoli (1520 -1706), cit.

16 Acal, Vvpp, vol. 141, c. 95. Visita Pastorale di Mons. Scipione Sersale a. 1746, cit.

17 Cfr., F. De Luca, La diocesi leccese nel Settecento attraverso le visite Pastorali. Regesti, Congedo, Galatina 1988, pp. 129-130.

18 Alla soppressione del 1809, quando vi risiedevano solo un padre e un converso, fu ceduto al Vescovo di Lecce Mons. Gennaro Trama che lo diede in enfiteusi a privati che lo trasformarono parte in fattoria e parte in villa. Finalmente il 22 settembre 1922 erigeva la parrocchia di Maria SS. Del Buon Consiglio e nominava parroco Don Giuseppe De Luca. La Baronessa Luisa della Ratta provvide alla congrua, offrendo il podere denominato Pizzo, e Vincenzo De Pandis donò l’antica chiesa di S. Onofrio di cui era proprietario (cfr., C. Longo, I Domenicani nel Salento meridionale secoli XIV-XIX, cit. p. 125; O. Mazzotta, Novoli (1806-1931), cit., p. 17; Id., I conventi della soppressione nel decennio francese (1806-1815), Ed. Tipografica, Bari 1996; Id., Il naufragio dei chiostri. Conventi di Terra d’Otranto tra Restaurazione Borbonica e soppressione sabauda, Besa editrice, Nardò 1999; In un inedito manoscritto sulla storia del feudo di Nubilo, D. Giuseppe De Luca, si legge, prese possesso di primo parroco di Villa Convento il 13 luglio 1924. Il manoscritto datato Convento 10 giugno 1925 a firma dello stesso parroco Giuseppe De Luca ha titolo Breve cenno storico intorno alla Contrada Feudo o Convento nel territorio di Lecce presso Novoli ed è certamente una copia con alcune varianti di quello con il titolo Breve Storia di Villa Convento già pubblicato a cura di L. Carlino in “Lu Lampiune”, XIII, 1, 1997, pp. 119-125. Sulla figura e sull’opera del primo parroco di Villa Convento cfr., D. Levante, Intitolata a don Giuseppe De Luca la Piazza di Villa Convento, in “L’ora del Salento”, X, 9, 11 marzo 2000, p. 10; M. Rossi, Don Giuseppe De Luca sacerdote dalla fede incrollabile, in “Lu Puzzu te la Matonna”, cit., VI, 24 dicembre 1999, pp. 10-13; P. Salamac, Cenni storici di Villa Convento, in “Studi Linguistici Salentini”, vol. 33, Edizioni Grifo, Lecce 2012, pp. 27-64.

19 In questa questione che coinvolse “l’Università di Santa Maria di Novoli e l’Università di Lecce” negli anni 1747-1752 si veda la memoria legale Per l’Università di Santa Maria di Novoli e Suoi naturali contro l’utile possessore di quella, cit., pp. 17-18.

20 Cfr., C. Longo, I Domenicani nel Salento meridionale secoli XIV-­XIX, cit. p. 124: «Vi rimane un affresco forse cinquecentesco raffigurante il Christus patiens».

21 Cfr., L. Antonazzo, Guida di Ugento, Galatina 2005, pp. 107-112 e, ovviamente, l’intervento dello stesso autore in questa sede. Dai restauri fino ad oggi compiuti da Daniela Guida sull’affresco (Anna Calabrese quelli sul portale) non è emersa alcuna firma che ne identifichi l’autore e né tantomeno l’anno della sua esecuzione. Pur tuttavia, incerte datazioni quasi coeve alla Battaglia di Lepanto (1571) e non documentate si rilevano in alcune fonti. Il Levante ad esempio nel suo intervento sull’intitolazione della nuova piazza di Villa Convento a Don Giuseppe De Luca, riporta anche un interessante e anonimo articolo pubblicato su “L’Ordine” del 17 ottobre 1942, che descrive l’inaugurazione fatta dal vescovo Mons. Alberto Costa il 13 settembre 1942 della ricostruita chiesa dedicata alla Vergine del Buon Consiglio. L’anonimo articolista nella sua cronaca, menzionando l’altare dedicato alla Vergine SS. del Rosario lo descrive “il primo a sinistra dell’ingresso, con i pregevoli affreschi del 1576 assai ben conservati, intorno a cui da Mons. Nicola Caputo fu fatto ricostruire un piccolo vano a volta, ove si continuò a celebrare la S. Messa nelle domeniche per i villeggianti ed i coloni che abitano nei dintorni” (D. Levante, Intitolata a don Giuseppe De Luca la piazza di Villa Convento, cit., p. 10). Anche il Salamac (citando le Visite Pastorali del Vescovo Scipione Sersale dell’ottobre 1746 e Sozy Carafa dell’ottobre 1754) riporta una datazione dell’affresco scrivendo invece testualmente che “raffigura la battaglia di Lepanto, è anonimo il suo creatore, ma l’esecuzione, come risulta in basso all’opera è dell’anno 1578” (P. Salamac, Cenni storici di Villa Convento, in “Studi Linguistici Salentini”, cit., p. 52). Va detto comunque che l’affresco, come si può notare, ha subito una mutilazione nella parte inferiore per far posto nel 1930 alla realizzazione dell’attuale altare ed è possibile perciò che in tale circostanza queste indicazioni (autore ed anno), se esistenti, possano essere andate perdute. La datazione dell’affresco al 1578 riportata dal Salamac è comunque confermata (evidentemente perché all’epoca ancora perfettamente visibile) da un contributo con la sua descrizione di Romeo Franchini, studioso e sindaco di Novoli dal titolo Novoli fine ‘500 pubblicato nel “Bollettino Santuario S. Antonio Abate ottobre-novembre 1958”. Così scrive infatti il Franchini intitolandolo La visione di S. Pio V; “L’affresco, pregevole opera d’arte… contiene anche una vivace rappresentazione della famosa battaglia: l’artista lo datò 1578 ma non lo sottoscrisse per cui è rimasto ignoto”.

8. Villa Convento, ex Chiesa di S. Onofrio oggi della Vergine SS. Del Buon Con-siglio, altare e affresco della Madonna del Rosario.

 

9. Villa Convento, ex Chiesa di S. Onofrio oggi della Vergine SS. Del Buon Con-siglio, affresco Madonna del Rosario, particolare delle navi con la bandiera della mezzaluna.

 

10. MISSA in Solemnitate Sanctissimi Rosarii Beatae Mariae Virginis, Lecce, Pietro Micheli 1675.

 

22 L’immagine in Xilografia appartiene ad una collezione privata. È un foglio a stampa di cm 24xl6 recante da un lato la “Missa/In Solemnitate Sanctissimi Rosarii/Beatae Mariae Virginis”, con Introitus, Oratio, Lectio Libri Sapientiae, Graduale, Offertorium, Secreta, Communio, Postcommunio, Lycij, Apud Petrum Michaelem, 1675 Superiorum permissu, e dall’altro lato la xilografia sopra descritta. Questo foglio, esemplare fino ad oggi probabilmente unico nel suo genere per tipologia e contenuto, compilato e firmato in chiari caratteri a stampa della tipografia di Pietro Micheli, va inserito certamente in quell’aspetto della sua produzione tipografica (non ancora sufficientemente indagato come ha rilevato E. Pindinelli) caratterizzato da “alcuni fogli a stampa…realizzati a cura e spese di vari uffici periferici nella chiara funzione di duplicazione e di capillare diffusione di ordini e di disposizioni che investivano vasti e vari settori della vita civile, e pertanto, ancora più interessanti per quanti voglia leggere attraverso essi con freschezza documentaria uno spaccato di vita salentina nel cuore del XVII secolo” (come per esempio Bandi e Indulti Reali). Materiale a stampa prodotto dal Micheli “che per le finalità e caratteristiche proprie si discosta dalla vera e propria produzione editoriale ma pur importante per una più dettagliata definizione dell’attività tipografica, della committenza e soprattutto di penetrazione e di uso della ormai quasi consolidata prassi della duplicazione a mezzo stampa” (E. Pindinelli, Sconosciute edizioni leccesi del Borgognone Pietro Micheli, in “Nuovi Orientamenti”, XX, 113-114, marzo-giugno 1989, pp. 11-20. Sulla lunga attività e produzione tipografica di Pietro Micheli e dei suoi eredi si vedano i contributi di G. Scrimieri, Annali di Pietro Micheli tipografo in Puglia nel 1600, Editrice Salentina, Galatina 1976; E. Panarese (a cura di), Una ricerca nella scuola dell’obbligo (Visita alla Biblioteca Piccinno di Maglie, Erreci Edizioni, 1990; A. Laporta, Saggi di Storia del libro, Edizioni Grifo, Lecce 1994; A. De Meo, La stampa e la diffusione del libro a Lecce e dintorni dal cinquecento alla metà dell’ottocento, Milella, Lecce 2006; M.R. Tamblè, Sulle tracce di Pietro Micheli, tipografo borgognone in Terra Salentina, in Nei giardini del passato. Studi in memoria di Michele Paone, a cura di P. Ilario D’Ancona e M. Spedicato, Edizioni Grifo, Lecce 2011, pp. 175-205; F. Quarto, Nuove emergenze tipografiche leccesi. Mundus traditus. Bottega di Pietro Micheli 1686, ivi, pp. 207-220; G. Spagnolo, Una sconosciuta edizione leccese (1664) del tipografo Pietro Micheli, in “Lu Lampiune”, X, 3, dicembre 1994, p. 5-10; Id., Un’opera sconosciuta e non ritrovata di Pietro Micheli: le Costituzioni del 1685 per il Conservatorio di S. Anna di Lecce, in “Il Bardo”, XV, 3, dicembre 2005, p. 7; Id., Per la storia dell’Editoria Salentina del ‘600. «Dell’Orazioni e Sermoni dell’Avvento» del tipografo Pietro Micheli, in Studia Humanitatis. Scritti in onore di Elio Dimitri, a cura di Dino Levante, Barbieri Selvaggi Editori, Manduria 2010, pp. 325-336; M. Cazzato – G. Spagnolo, Storia della stampa leccese dalle origini (1631) al periodo postunitario, in Rotary Club Lecce 60 anni di “service” Omaggio alle Eccellenze Salentine, Congedo Editore, Galatina 2013, pp. 103-116; G. Spagnolo, Edizioni di Pietro Micheli nella “Biblioteca Salita dei Frati” di Lugano, in “Il Bardo”, XXIV, I, Marzo 2015, p. 5. Id., Un’opera dispersa di Pietro Micheli: il trattato sui benefici ecclesiastici di Andrea Lanfranchi (1653), in “Il Bardo”, XXV, 2, maggio 2015, p. 6.

11. Xilografia Vergine del Rosario, Lecce, Pietro Micheli 1675.

I Carignani, signori di Novoli, fra mecenatismo artistico e mecenatismo letterario

di Gilberto Spagnolo

Con la morte di Alessandro III nel 1706, si estingueva a Novoli la stirpe dei Mattei che per circa duecento anni avevano esercitato la loro signoria nel paese. Subito il regio fisco dispose per l’apprezzo dei feudi della contea che nello stesso anno passò a Cornelia Brayda, vedova di Francesco Antonio Paladini e cugina per parte di madre dei Mattei.

Cornelia, nonostante le cospicue ricchezze ereditate dal padre, marchese di Rapolla e dal marito, non si ritenne capace di affrontare le dissestate condizioni economiche dei due suoi nuovi possessi, sicché restituì terre e titoli alla real Corte che, nel 1713, vendette i territori in questione a Felice Carignani.

Novoli, Palazzo della Cavallerizza, stemmi nobiliari dei Carignani, Della Torre, Alfarano Capece, Castriota Scanderbeg

 

Quest’ultimo nell’anno successivo ottenne per la contea di Novoli l’elevazione a ducato. I Carignani tennero Novoli per 92 anni e furono dunque gli ultimi signori del luogo sino alla soppressione della feudalità applicata nel Salento nel mese di agosto del 1806. A noi Novolesi, la dinastia dei Carignani (a differenza di quella dei Mattei, feudatari dal 1520 al 1706) ci è nota soprattutto “solo per l’avidità” di inflessibili feudatari, i quali col tempo avevano accresciuto a dismisura il loro arbitrio e la loro rapacità, lasciando in quei tempi il popolo nella miseria e nell’ignoranza. Basti ricordare al riguardo la dura controversia che vide protagonisti Giuseppe Oronzo Turfani di Lecce, possessore di alcuni poderi nel feudo di Nubilo (Villa Convento) e i fratelli D. Paolo e D. Luigi Mazzotta, Novolesi, possessori nel feudo di detta terra, i quali l’11 gennaio del 1805 contestarono al duca Giuseppe, presso la Camera della Sommaria, una quarantina di esazioni indebite fra decime, tributi e vessazioni ovvero “quei supposti diritti nati unicamente dall’anarchia feudale si sono su quella ignorante popolazione fino agli ultimi tempi accresciuti ed appesantiti dalla prepotenza baronale col timore e colle vessazioni”, contestazioni (di cui esiste un’importante memoria legale) che dettero torto al Duca che fu diffidato di esercitare il suo strapotere.

D. DE ROSSI, Provincia di Terra d’Otranto prima metà del 1700, cartiglio (dedicata a Felice Carignani, coll. Privata).

 

Memoria legale di B. TIZZANI – N. TURFANI sugli abusi feudali dei Carignani a Novoli, Napoli 1805, Frontespizio (coll. Privata).

 

Gli approfonditi studi di Mario Cazzato e Salvatore Errico sul palazzo baronale di Monteroni nonché i contributi di Giovanni Greco sul collezionismo artistico del ‘700 salentino, ci inducono ora a riconsiderare certamente il loro ruolo e a rivalutarlo in relazione ai numerosi aspetti inediti su tale famiglia e sulle loro umane vicende personali che evidentemente rimangono ancora nascoste (e quindi tutte da chiarire) tra le pagine ingiallite degli atti notarili. Ora sappiamo infatti (grazie agli importanti documenti rintracciati da M. Cazzato e S. Errico) che quando nel 1780 i Lopez acquistarono il leccese palazzo Giaconia-Carignani (per 6000 ducati) attaccato alla chiesa leccese di S. Maria degli Angeli, dai fratelli Giovanni (duca di Novoli) e Giovanni Battista Carignani, trattennero tra l’altro anche una straordinaria quadreria che i duchi di Novoli avevano costituito nei decenni precedenti e che dimostrano una spiccata inclinazione di questa famiglia ducale al collezionismo. La consistenza di tale dotazione pittorica (che risulta da un contratto d’affitto del 1744) era di ben 368 quadri “tra grandi, piccoli e tondini”, con opere della scuola del Lanfranco, con opere di Luca Giordano, della scuola del Vaccaro, del Bianco di Casalnuovo, del Ribera, che dimostrano anche che i Carignani erano una famiglia di committenti avveduti e non casuali. Altri episodi orientano in questa direzione, come l’invio da Napoli a Lecce nel 1696 della splendida tela con S. Gregorio Taumaturgo di Paolo De Matteis per l’altare maggiore della cappella del Seminario leccese, acquistato proprio da Giovanni Carignani, fratello di Felice e primo possessore della famiglia del feudo di Novoli, o l’acquisto nel l740 (da parte di Antonio Carignani) dal marchese di Ugento Domenico D’Amore di ben dieci tele in cambio dell’estinzione di un consistente debito ammontante ad alcune centinaia di ducati, valutate da Serafino Elmo “esperto et abile in materie di pitture” in 865 ducati. Che la famiglia Carignani (originaria di Taranto e le cui più antiche memorie risalgono al 1309) debba essere collocata dunque in ben altro “splendore” e “prestigio” sono inoltre diverse testimonianze letterarie che dimostrano appunto quanto tale famiglia (evidentemente per la loro vitalità ed impegno culturale, per il loro sentimento artistico) fosse tenuta in grande considerazione da letterati, storici, artisti (e non per le prepotenze feudali instaurate dai propri componenti). Le riporto sinteticamente qui di seguito riservandoci in altra occasione un necessario ed opportuno approfondimento.

S. PANSUTI, La Sofonisba, frontespizio (coll. privata).

 

S. PANSUTI, La Sofonisba, Antiporta.

 

Nel 1726, il letterato napoletano Saverio Pansuti “colto anzi maraviglioso ingegno” consacrava all’illustrissima signora D. Marina Della Torre, Marchesa di Novoli, Baronessa di Carignani, la tragedia “La Sofonisba” presso i Torchi di Domenico Antonio e Niccolò Parrino. La Signora Duchessa D. Marina, moglie di Francesco Carignani, come risulta dalla lettera dedicatoria in questo libro (ed in quello di cui parleremo successivamente) si era degnata di accettare “e sotto la sua protezione tenere” ben quattro tragedie di tale autore, tra cui “Il Bruto” e la “Virginia”. Nel decantare le lodi umane e nobili della baronessa (la cui famiglia era imparentata a quella nobilissima degli Spinola), l’autore scrive tra l’altro: “…..ben da voi questo nobil componimento doveva sì bel lume ricevere, che tanti Eroi, quanti Progenitori vantate, stelle di maggior grandezza del chiaro cielo della Liguria, che ben due volte il trono di quel Venerabile Senato occuparono. Congiunto il vostro chiaro sangue a quel della nobilissima famiglia Spinola, di cui fu germoglio l’inclita vostra madre: Famiglia le di cui chiare gesta la Liguria, l’Italia, e il Mondo tutto illustrarono, e che i bastoni di supremo comando, e le porpore quasi, che indivisibili propietadi in lei per natura contengonsi; accoppiandosi altresì alla Vostra la nobiltà del Signor marchese di Novoli, vostro degnissimo sposo, nobile dell’illustre città di Taranto, il quale per antico retaggio de’ suoi non mai fin’ora interrotti Progenitori, annovera tredici Baroni prima di lui nel possesso del suo nobilfeudo, da cui questa chiara ed antica famiglia à presso il cognome; prerogativa in vero, che pochi Baroni posson vantarsene, ricolmo poi d ‘onori dal nostro clementissimo Cesare, che al riflesso dè suoi meriti, à bene esercitata fin qui verso di lui; però non già resa stanca la sua Reale munificenza. Ma quindi a queste sin’ora addotte riflessioni un’altra di non minor peso a ciò fare mi spinge, ed ella si è il recarmi a memoria il gran numero dè benefici, i quali dalla vostra Illustrissima Casa tutto dì mi prevengono, uniti all’amore, che io godo di vivere all’ombra della vostra onorata protezzione….Nulla però di meno mi do a credere, che non vi apporti dispiacenza, che per un certo sfogo di gratitudine almen colle parole un qualche saggio io ne palesi e diffonda”.

S. PANSUTI, La Virginia, frontespizio (coll. privata).

 

S. PANSUTI, La Virginia, Antiporta.

 

S. PANSUTI, Il Bruto, frontespizio (coll. privata).

 

S. PANSUTI, Il Bruto, Antiporta.

 

Nel 1737, il sacerdote D. Giacomo Simidei, dottore di filosofia e di sacra Teologia, Patrizio di Brando, Diocesi di Mariana nella Corsica dedicava all’illustrissimo signore Fra Felice Carignani dei Duchi di Novoli, cavaliere dell’Ordine Gerosolimitano la sua importante e corposa (pagg. 575 più indici) opera “Compendio della Storia degli Eresiarchi…” (con una descrizione del Regno di Corsica stampata a Napoli per il Parrino). Importanti sono i riferimenti nella lettera dedicatoria (datata Napoli 20 aprile 1737 a firma dello stampatore) alla Duchessa D. Marina della Torre, madre di Felice “Dama di alto e chiaro intendimento oltre il suo sesso fornita” e moglie di Francesco Carignani Duca di Novoli e marchese di Carignano; nonché le annotazioni storico-nobiliari sulla stessa famiglia Carignani che “può andar fastosa e superba per aver dato al mondo un albero che frutti apporta al nostro regno di gran decoro” e su quello dei della Torre unita alla (per ben due volte sul ducale trono del Senato di Genova) famiglia degli Spinola. Scrive infatti lo stampatore Nicola Parrino “E non temo in questo dire, che io dico cosa non vera: imperiocchè in sapere con che gara Voi cogli altri fratelli D. Giulio e D. Giovanni (Giovanni è d’ingegno pronto e di spirito vivace e brioso) vi siete insieme con esso loro inoltrato nelle notizie e delle lettere amene, e di più Scienze nel celebre seminario di Siena, che a coltivare e ammaestrare in sé non raccoglie, da varie Parti, anche Oltramontane, se non se chi scorge d’intelligenza vasta, acuta e penetrante; ed un vedere ora, come né studi sottili e profondi della Matematica (unica a farci daddovero sapere) spiega voli ammirandi la velocissima Vostra Mente fatto io Indovinatore verace, già miro nell’aria, del vostro volto dipinte le prodezze e le gagliardie dello Spirito Vostro nell’affrontare, combattere ed annientare il più fiero nimico di Nostra Santa Fede. E queste generose operazioni, tanto più rare e meravigliose saranno quanto più proveranno dalla difficultà delle Imprese, alle quali sempre si sono posti i valorosi Cavalieri della Sacra Militare Religione di Malta, da che incominciarono a mettere freno alla insolente Potenza Ottomana, la quale, ora di niuno altro più che di loro tema e paventa”.

G. SIMIDEI, Compendio della storia degli Eresiarchi, per il Parrino, Napoli 1737, dedicato a Felice Carignani, frontespizio (coll. privata).

 

N. CAPUTI, De Tarantulae Anatome, et morsu, D. Viverito, Lecce 1714. Dedica a Giuseppe Carignani (rist. anastatica, Ed. Dell’Iride, Tricase 2001).

 

N. CAPUTI, De Tarantulae Anatome etc., Sonetto dedicato a Giuseppe Carignani (ristampa).

 

Nel 1741, per i torchi leccesi di Domenico Viverito, Nicola Caputi stampava il suo Opusculum hoc Historico-Mechonicum intitolato De Tarantulae Anatome et Morsu dedicandolo all’Excellentisimo viro/ D. Josepho/ CARIGNANO / E Sanctae Mariae de Novis Ducibus Tripudii/Dominis, decimae quartae Aetatis Carignani / Feudi Baronibus/ Nobilissimo Tarenti Patrizio./ Morum Probitate, Pritatis ornamento/Scientiae Solertia clarisima…. Nicola Caputi, discepolo del famoso Nicola Cirillo, nacque in Campi intorno al 1695. Si laureò in Napoli in medicina ed esercitò la professione in Lecce con grande successo. Nel 1747 faceva parte anche (oltre, che della R. Accademia Napoletana) dell’Accademia degli Spioni e in Lecce tenne scuola di fisica, matematica, medicina e scienze naturali. Morì a Lecce nel 1761. Al Carignani, il Caputi, in questo testo dedica anche un sonetto del seguente tenore “….quella virtù, che tanto ormai prevale, e in te soggiorna, e ti fa gire onusto di tanto onor che il Secolo vetusto correggi, e al nostro dai vanto immortale… quella sarà, se tu proteggi e guidi queste scipite, e mal vergate carte….”.

B. TAFURI, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Mosca, Napoli 1750, frontespizio (Tomo III. Parte I, dedicati a Felice Carignani, coll. privata).

 

Nel 1750 il noto scrittore Gio:Bemardino Tafuri da Nardò pubblicava in Napoli per il Mosca, il tomo III Parte I della sua famosa opera Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli dedicandola a Sua Eccellenza il Signor Cavaliere Fra. D. Felice di Carignano dell’Ordine Gerosolimitano. Nella lettera dedicatoria è presente oltre che un’importante ricostruzione dinastica della famiglia e dei suoi più illustri componenti, un vero e proprio “ritratto” del protettore (dall’eroico talento ed esemplare perfetto di cavaliere) a cui l’opera è dedicata (già ricordato, come si è scritto, in un’altra precedentemente nominata) con particolari inediti sulla sua vita (sappiamo ad esempio che Felice oltre ad aver dato “gloriosamente il nome nel Sagro Ordine Girosolimitano” aveva tenuto con insigne valore il governo di una galera in qualità di capitano) e di cui “disdicendomi l’impareggiabile vostra modestia, ch’io più m’inoltri nel meritato vostro elogio, contentatevi almeno che rammentando a voi steso la generosa vostra grandezza di cuore, vi supplichi a ricevere benignamente questo libro, che pongo sotto gli invidiabili auspici del Vostro Patrocinio, con quel vero profondissimo ossequio col quale mi do l’onore di dirmi di V. Eccellenza”.

In questo percorso di mecenatismo letterario ricordiamo infine il raro e prezioso documento cartografico che risalirebbe alla prima metà del 1700 (appartenente ad una collezione privata) di cui abbiamo già dato notizia in altro studio) ovvero la Provincia / di Terra d’Otranto / delineata dal Magini /ampliata dal Rossi / e d’ora a miglior perfezione ridotta / secondo lo Stato Presente / dedicata / al Merito dell’Ill.mo Sig.re Fra D. Felice / Carignani de’ Duchi di Novoli Cavaliere dell’ / Ordine Gerosolimitano. La carta che nel cartiglio reca al centro lo stemma nobiliare dei Carignani, è probabilmente un unicum (Novoli è presente con il toponimo Novuli), misura mm 440×540 e sembra facesse parte anche di un atlante o di qualche testo poiché sul margine superiore destro vi è riportato la dicitura pag.585 con a fianco il n° 18 riferito forse alla numerazione delle tavole.

Felice Carignani era nato a Napoli da Giulio Cesare e Francesca Alfarano Capece. Quando i feudi di Novoli e del Convento, dopo i Mattei, furono messi in vendita, fu proprio Felice Carignani a dare l’incarico al suo agente Nicola Latronico di acquistarli. La stipula venne rogata dal notaio Giuseppe Raguccio di Napoli l’11 febbraio 1713. Felice morì a Napoli il 3 marzo 1716.

Epistola di Paolo Moccia (professore di eloquenza) a Francesco Carignani “Novolensium Duci” (in Epistolae, Napoli Tipografia Simoniana 1764, coll. privata).

 

Parte conclusiva dell’epistola di Paolo Moccia a Francesco Carignani.

Pubblicato in “Lu puzzu te la Matonna”, Anno VI, 18 luglio 1999, pp. 19-21.

 

Riferimenti bibliografici essenziali

M.Gaballo, I Carignani ultimi signori di Novoli, in “Lu Puzzu te la Matonna”, a. IV, 20 luglio 1997.

M. Rossi, Circa le decime, ivi.

G. Greco, Il Duca di Novoli e una vicenda sul collezionismo artistico del ‘700 salentino, ivi.

M. Cazzato, La quadreria del Palazzo Ducale, in “Vita Cristiana”, Monteroni, ottobre 1994, supplemento a “L’ora del Salento”.

O. Mazzotta, Novoli nei secoli XVII-XVIII, Novoli 1986.

Id., Novoli (18061931), Novoli 1990.

G. Spagnolo, Novoli, origini, nome, cartografia e toponomastica, Novoli 1987.

Id., Storia di Novoli, Note e Approfondimenti, Lecce 1990.

L.G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, Vol. I, La città, nuova edizione postillata da Nicola Vacca, Lecce 1964.

M. Cazzato, S. Errico, Il Palazzo baronale di Monteroni, Contributo alla Storia dell’Architettura Salentina, Galatina 1998.

M. Cazzato, Fortune nobiliari e interessi artistici. I Lopez y Royo nella seconda metà del ‘700 in “Presenza Taurisanese”, nov. dic. 1995.

G. Spagnolo, Fonti Bibliografiche per la Storia di Terra d’Otranto; memorie legali dei secoli XVIII e XIX, in “Lu Lampiune”, a. IX, n. 3, Lecce, dicembre 1993.

M. De Marco, Il tramonto della feudalità nel Salento. Una causa a Novoli contro gli abusi dei Carignani, in “Quaderni Salentini”, a. I, n. 3, 18 aprile 1981.

S. Pansuti, La Sofonisba. Tragedia, in Napoli MDCCXXVI, presso Domenico-Antonio e Niccolò Parrino.

Gio: Bernardino Tafuri, Istoria degli Scrittori nati nel Regno di Napoli, Tomo III, Parte I, in Napoli, Per lo Mosca, 1750.

G. Simidei, Compendio della Storia degli Eresiarchi, MDCCXXXVII per il Parrino in Napoli.

N. Caputi, De Tarantolae Anatome et Morsu, Domenico V. Viverito, Lecce 1741.

Girolamo Marciano e i Discorsi di Guillaime Du Choul, gentiluomo lionese

Girolamo Marciano e i Discorsi di Guillaime Du Choul, gentiluomo lionese. Contributo su una biblioteca perduta

 

di Gilberto Spagnolo

A Enzo Maria Ramondini.

Alla sua memoria.

Nel 1992, nel corso di una ricerca sulla storia del Seminario Vescovile di Lecce e della sua Biblioteca, la “Innocenziana”, lo studioso Oronzo Mazzotta fortuitamente si imbattè (ironia della sorte), in ben 23 cinquecentine, di cui 13 tomi stampati a Parigi da Dionigi Duval nel 1586 (che contengono “l’Opera Omnia” di S. Agostino curata dai teologi di Lovanio) e altri 10 tomi stampati a Venezia dai Fratelli Sessa nel 1596, che contengono i “Commentaria” al Vecchio e al Nuovo Testamento di Alfonso Tostati filosofo, teologo e vescovo di Avila.

Tutti i volumi, come annotato sui frontespizi, provenivano dalla “biblioteca di Alessandro Mattei.

Improvvisamente, di fronte a una traccia così tangibile, quella biblioteca tanto decantata dal Marciano, scomparsa misteriosamente, dispersa nel nulla, tanto da far pensare a una pura e semplice invenzione del filosofo di Leverano (ospite dello stesso conte) si materializzava, assieme al suo “eruditissimo, saggio e prudentissimo principe” nelle mani di chi aveva avuto “molti interrogativi e poche certezze” al riguardo. Questo corposo numero di libri proveniente “dalla biblioteca di Alessandro Mattei” è stato, dopo il Mazzotta, censito nel 1997 da Lorella Ingrosso e nel 2004, ha avuto un “posto di rilievo” nell’accurato lavoro archivistico condotto con perizia e con lodevole impegno da Maria Elisabetta Buccoliero e Francesca Marzano, studio che valorizza il patrimonio antico (incunaboli e cinquecentine) della Chiesa di Lecce.

La “vicenda” della Biblioteca Mattei, del suo “Museo di libri” di cui ci dà informazione il Marciano che trascorse l’ultimo periodo della sua vita in un “rapporto privilegiato” con il giovane Alessandro, si arricchisce di una nuova e significativa testimonianza, di una “traccia letteraria” (se così possiamo definirla) che oltre a dare un ulteriore riscontro – seppure indiretto – sulla sua esistenza, fornisce soprattutto un certo valore sulla “ricerca delle fonti” del Marciano stesso che qui a Novoli (vi dimorò dal 1615 al 1620) ultimò la sua Descrizione di Terra d’Otranto discorrendone con Alessandro e usando i suoi libri (vi era, infatti, venuto perché “attratto dalla fama del suo sapere e dalla sua ricca biblioteca”).

Scrive Natalia Aspesi, in una recensione su un interessante libro di Alexandra Lapierre che “i colpi di fulmine che fanno innamorare gli studiosi avvengono nella solitudine degli archivi sfogliando vecchie carte consumate, col cuore che batte per una scoperta, una rivelazione, una traccia, una domanda senza risposta, un segreto che si svela”.

Qualcosa di simile mi è personalmente accaduto qualche anno fa quando ho potuto consultare un libro antico bellissimo (appartenente a un privato che lo ha poi immesso sul mercato dell’antiquariato librario) di grande rarità e con un ricco e pregevole apparato figurativo. Il libro in questione è l’opera cinquecentesca (1569) del gentiluomo francese Guillaime Du Choul intitolato DISCORSO / DELLA RELI/GIONE ANTICA / DE ROMANI, / Insieme un’altro (sic) Discorso della Castrame(n)tatione, et / disciplina militare, Bagni, essercitj an-/tichi di detti Romani, / Composti in Franzese (sic) dal S. Guglielmo Choul, Gentil huomo / Lionese, a Bagly delle Montagne del Delfinato, / et tradotti in Toscano da M Gabriel Simeoni Fiorentino. / Illustrati di Medaglie & Figure, tirate de i marmi antichi, / quali si trovano à Roma, & nella Francia / IN LIONE, / APPRESSO GUGLIELMO ROVILLIO. / M.D.LXIX.

1. G. DU CHOUL, Discorso della religione antica de Romani, frontespizio.

 

Da ricerche effettuate, l’opera di DU CHOUL, era appartenuta, come dimostrano le iniziali R.T. incise in oro con il titolo sul dorso verde di una rilegatura ottocentesca, a Raffaele Tarantini (1850-1912), sindaco di Novoli dal 1884 al 1889. Il Tarantini, come abbiamo ricordato in altra occasione, ebbe cura di trascrivere integralmente e fedelmente nel 1876 il testo stampato dall’arciprete Oronzo De Matteis sulla parte riguardante la descrizione di Novoli del Marciano estratta dal manoscritto fatto nel 1783 dal sacerdote cartografo Giuseppe Pacelli di Manduria, facendolo precedere da un frontespizio vergato con il titolo Memorie Antiche di Novoli. Il libro è di notevole importanza per diverse ragioni. Il Du Choul è innanzitutto espressamente citato (anche se non in maniera perfettamente corretta) dal Marciano stesso nel I Libro (“Del Sito e delle Province d’Italia”) Cap. V della sua “Descrizione” e precisamente nel “Della Venuta di Messapo in Italia, dal quale ebbe la provincia il nome di Messapia, del suo Padre Nettuno, e delle Antiche Lettere Messapie ritrovate nel Paese”. Non solo! II Marciano lo utilizza (come si può constatare nelle illustrazioni riportate) ampiamente trascrivendone pari pari il testo a proposito della descrizione delle “monete tarantine” e sulla “venuta di Messapo figlio di Nettuno e dal quale questa nostra Provincia ebbe il nome di Messapia”.

2. G. DU CHOUL, Discorso sopra la castrametazione et disciplina militare de Romani, frontespizio.

 

3. Stemma araldico e motto di G. du CHOUL (retro primo frontespizio).

 

Ma ancora più significativo (se non clamoroso) è il suo utilizzo (come si può verificare), che ne fa nella descrizione di S. Maria de Nove a proposito “di un antico costume de’ Romani” che soleva celebrarsi “il secondo di Pasqua in un’antica chiesa che ivi è di S. Niccolò”.

Del libro di Guillaime Du Choul vanno ancora messi in evidenza altri due aspetti. Nel Discorso De Bagni et Essercitii Antichi De Greci et De Romani la splendida tavola xilografata a piena pagina che illustra il “LABRUM” (“Bagno in volta degli Antichi Romani”), nel suo “linguaggio architettonico” della volta «ad ombrello», essa richiama incredibilmente l’ottagona chiesa novolese del Salvatore (poi di S. Oronzo) voluta da Filippo Mattei II (padre di Alessandro) negli anni Settanta del XVI secolo, su ispirazione del Gesuita Bernardino Realino e che ricorda, come tutti sanno, la soluzione adottata nell’abside della chiesa leccese di S. Croce realizzata dall’architetto-scultore Gabriele Riccardi per la congregazione dei Celestini, nonché artefice della chiesa del convento dei Domenicani nel feudo di Nubilo.

4. G. DU CHOUL, Discorso De bagni et esserciti antichi de Greci et de Romani, il “Labrum” (bagno in volta degli antichi Romani).

 

Ma c’è di più! Sempre nello stesso Discorso, a pag. 135, nella descrizione dei “ginnasij” e de “la Palestra” s’incontra sottolineata a penna la parola stampata a margine XYSTO che il Du Choul così spiega: Per mez(z)o questi alberi, si facevano hypetri spasseggiamenti, chiamati da Greci παραδρομεδες, al modo nostro scoperti, sotto al sole: dove il verno (quando il tempo era chiaro, bello, il Cielo sereno) gl’Athleti chiamati Xystichi; à causa del Xysto, che era coperto, scendevano per passeggiare, correre, essercitarsi. Dopo il xysto era lo stadio luogo della corsa, che era fatto in modo che ogniuno poteva vedere correre gl’Athleti: i quali erano (come scrive Giulio Polluce) tutti quelli, che s’essercitavano nel gynnasio della palestra” (pag. 135). Il termine lo si ritrova, come è stato accertato, nell’epigrafe classico-umanistica di cui è provvista la “fontana” che nel 1700 l’ultimo dei Mattei (Alessandro III) fece erigere “al Dio dell’Ospitalità” sulla “terrazza” del Palazzo Baronale dal Cino, uno dei più importanti artefici del barocco salentino (il Cino poi nel 1704, sempre su incarico di Alessandro Mattei III, realizzerà l’altare nella chiesa del Salvatore con ai lati lo stemma dei Mattei).

Sulla “peculiarità” di questo termine “colto”, correttamente volto in «terrazza» o meglio ancora “con portico coperto”, in tempi non sospetti, ci eravamo già soffermati nel 1998 con l’amico e studioso Mario Cazzato.

Esaminando l’epigrafe, infatti, (in cui sembra condensarsi “la profonda tradizione umanistica della nobile famiglia Mattei”) si era individuato in questo termine classico un “esplicito riferimento, non solo terminologico, all’architettura classica e umanistica”. L’epigrafe di Alessandro III Mattei non era dunque “semplicemente la richiesta di onesti giorni tranquilli; esprimeva invece un concetto più complesso: la sua dimora che non aveva voluto imponente e che invece aveva ornato con la fontana e col portico, offriva agli aristocratici ospiti perché, confortati dall’«ozio onesto», insieme potessero ricreare una perduta e vagheggiata dimensione umanistica”.

In conclusione. Girolamo Marciano ebbe tra le mani, anzi lesse i Discorsi del Du Choul servendosene ampiamente per la sua Descrizione (sono comunque tantissime le citazioni bibliografiche di altri testi, oltre al Du Choul che certamente il Marciano, se li possedeva, non poteva portarsi appresso nelle sue “peregrinazioni” per fare le sue ricerche e i suoi studi).

“Perché” un esemplare di questo libro di straordinaria bellezza e importanza per quei tempi si trovasse a Novoli, come fosse pervenuto nelle mani di Raffaele Tarantini (che tra l’altro ebbe “interesse per le patrie memorie – la trascrizione della “Descrizione” del Marciano su S. Maria de Nove, come a suo tempo abbiamo riportato, ne è indubbia testimonianza) – sono domande per le quali lascio la risposta ai singoli lettori.

Questo contributo sulla biblioteca perduta dei Mattei si è proposto, soprattutto per dimostrare, come abbiamo sempre sostenuto e creduto, la veridicità della testimonianza del Marciano, gli indubbi meriti di Alessandro II Mattei (la cui fama, particolare inedito, era nota anche a Pietro Pollidori, tanto che lo ricorda come coautore, assieme al Marciano, della Descrizione) nel campo culturale e artistico, le virtù mecenatiche e liberali di questa famiglia, i loro rapporti intellettuali che furono certamente non casuali, ma inseriti in “un sistema locale ben determinato nel quale centro e periferia” erano legati da rapporti e da uno scambio continuo di “esperienze e fermenti culturali”.

D’altra parte, come scrive Umberto Eco, “quello che l’infelice non sa è che la biblioteca non è solo il luogo della tua memoria, dove conservi quel che hai letto, ma il luogo della memoria universale, dove un giorno nel momento fatale potrai trovare quello che altri hanno letto prima di te”.

 

* In “Lu Puzzu te la Matonna”, a. XVII, Novoli 18 luglio 2010.

5. Lecce, Archivio Curia Arcivescovile, “Augustini Hipponensis Episcopi”, frontespizio (ex Bibliotheca Alexandri Mathej).

 

6. Nel riquadro a sinistra: Guillaime du Choul dalle pagg. 102, 103, 104; nel riquadro a destra: Geronimo Marciano dalle pagg. 24-471.

 

 

Riferimenti bibliografici essenziali

N. Aspesi, William l’Avventuriero, recensione a Vita Straordinaria di William Petty, avventuriero, erudito e conquistatore, in “La Repubblica – Cultura”, 10 dicembre 2004.

M.E. Buccoliero – F. Marzano, Incunaboli e Cinquecentine della Biblioteca Innocenziana di Lecce, Lecce 2004.

M. Cazzato, Dalle “antiquitate” al “museo” e alla “gallaria”: per una storia del collezionismo aristocratico in Terra d’Otranto, in M. Fagiolo (a cura di), Atlante tematico del Barocco in Italia. Il sistema delle residenze nobiliari. Italia Meridionale, Roma 2010.

M. Cazzato – G. Spagnolo, Profili di committenza aristocratica. Il caso dei Mattei, Signori di Novoli, in “Camminiamo Insieme”, a. XII, n. 1 gennaio 1998.

G. Cosi, Nuovi documenti sulla vita di Geronimo Marciano, in “Contributi”, a. IV, n. 4 Maglie 1985.

F. De Pascalis, Altare con sorpresa, la firma di Cino, in “Quotidiano”, 25 novembre 2003 (durante i lavori di restauro e conservazione dell’altare situato all’interno della chiesetta di sant’Oronzo sono state trovate incise, nella parte superiore destra, le due lettere G. C. ovvero, con molta probabilità, le iniziali di Giuseppe Cino).

U. Eco, Le avventure di un Bibliofilo, “Lectio inaugurale” della XX edizione della Fiera del Libro di Torino, in “La Repubblica – Cultura”, 10 maggio 2007.

L. Ingrosso, Proposte per un recupero del Patrimonio librario della Biblioteca Innocenziana di Lecce. Un fondo da salvare: la biblioteca di Alessandro Mattei Signore di Novoli, in “Lu Lampiune”, a. XIII, n. 2, 1997.

O. Mazzotta, Ex Bibliotheca Alexandri Mathej, in “Camminiamo Insieme”, a. VI, n. 3, marzo 1992. Nel suo breve intervento, il Mazzotta, pur di non ritrattare completamente le sue convinzioni, oltre a dare la notizia del “ritrovamento”, “supponeva” quanto segue (riporto testualmente): “Tutti i volumi, come annotato sui frontespizi, provengono dalla biblioteca di Alessandro Mattei. Sappiamo che Paolo Bonaventura, figlio di Alessandro II, entrò nell’Ordine dei Predicatori e prese il nome di Alessandro. Paolo Bonaventura lasciò il convento, ma i libri vi rimasero, e dopo la soppressione degli Ordini religiosi nel periodo napoleonico, dallo Studio generale dei Domenicani di Terra d’Otranto arrivarono alla biblioteca Innocenziana. Rimane da appurare se i volumi furono da Frà Alessandro (Paolo Bonaventura) comprati oppure ereditati dal padre. La critica testuale mi porta a ritenere che molto probabilmente i libri appartenevano alla biblioteca paterna. Ma mi riservo di tornare più diffusamente sull’argomento in altra occasione”. E in effetti il Mazzotta ci tornò sull’argomento, ma per richiamare Lorella Ingrosso che aveva attribuito impropriamente i libri trovati nell’Innocenziana ad “Alessandro Mattei II, Signore di Novoli, conte di Palmariggi, umanista e Mecenate” (si vedano “Le Fasciddre te la Focara”, a. 43, gennaio 2005). A sostegno di ciò ribadiva di aver dimostrato (sic) nel 1994 “che i libri appartenevano a Paolo Bonaventura Mattei undicesimo figlio di Alessandro II che aveva preso l’abito domenicano col nome di Alessandro” (ivi). Su tale sua “dimostrazione”, personalmente, nel suo libro Il Seminario di Lecce (a parte la pubblicazione dell’elenco dei libri) rilevo solo questa sua dichiarazione: “I Commentari del Tostato insieme all’edizione parigina delle opere di Sant’Agostino, appartenevano alla biblioteca di Alessandro Mattei barone di Novoli. Questa biblioteca tanto decantata dal Marciano all’inizio del Seicento, pare che fosse scomparsa misteriosamente prima ancora dei Mattei tanto assoluto è stato il silenzio delle fonti di ogni genere ad oggi. Nient’altro! Vero è che Paolo Bonaventura Mattei dopo essere diventato frate lasciò il saio e si sposò con la leccese Barbara Paladini dalla quale ebbe un figlio e poi rimase vedovo. Il 13 novembre 1661 avvenne la “consegna di doti e stipula di contratto matrimoniale con d. Paolo Bonaventura Mattei conte di Palmariggi in castro Terrae Sanctae Mariae de Novis”. Nell’inedito documento che abbiamo rintracciato presso la Biblioteca Provinciale di Lecce vi è anche la firma autografa del Bonaventura. Da un confronto fatto con l’ex-libris della biblioteca Innocenziana, le due scritture (particolare non trascurabile) risultano calligraficamente completamente diverse.

O. Mazzotta, Il Seminario di Lecce (1694-1908), Lecce 1994.

O. Mazzotta, I Mattei Signori di Novoli, Novoli 1989.

D. Novembre, Terra d’Otranto nella Descrizione di Geronimo Marciano (Primo Seicento), introduzione alla ristampa fotomeccanica della Descrizione, Origini e Successi della Provincia d’Otranto del Filosofo e Medico Girolamo Marciano di Leverano con aggiunte del Filosofo e Medico Domenico Tommaso Albanese di Oria, Galatina 1996.

P. Pollidori, Expositio / veteris Tabellae / Aereae, /Qua / M. SALVIUS / VALERIUS / Vir Splendidus / EMPORII / NAUNANI / PATRONUS COOPTATUR / AUTORE / PETRO POLLIDORO / VENEZIA, ZANE, 1732. Scrive testualmente Pietro Pollidori: “Non ignobile vetustatis monimentum Jampridem ab aliis de scriptum, Viri carissimi Hieronymus Martianus Liberanensis, & Alexander Matthaejus Palmarici Comes libro 3. descriptionis Sallentinae Provinciae Cap. 15 vulgarunt”.

G. Spagnolo, Tra fonti letterarie e fonti manoscritte: sulla “Geografia di Terra d’Otranto” del Conte Alessandro Mattei, Signore di Novoli, in “Lu Puzzu te la Matonna”, a. X, 20 luglio 2003.

Id., Memorie antiche di Novoli (note su un manoscritto ottocentesco della Descrizione di S. Maria de Nove di Girolamo Marciano), in “Lu Puzzu te la Matonna”, a. XII, 17 luglio 2005. Raffaele Tarantini di Pietro nacque a Novoli il 16 di agosto del 1850 e vi morì nell’anno 1912. Sposò Teresa Colaci Sansò figlia di Leonardo Colaci Sansò e Nicoletta dei Baroni D’Amelio di Melendugno il giorno 7 giugno del 1884. Lo sposalizio fu benedetto con una messa speciale ed annesse benedizioni da monsignor Luigi Zola, Vescovo di lecce, quando il Tarantini era già sindaco di Novoli. La famiglia Tarantini, una delle “più rinomate famiglie novolesi” si è estinta alcuni anni fa con la morte di Maria Teresa Tarantini, ultima discendente “donna a dir poco straordinaria per intelligenza e cultura” (cfr. M. De Marco, In ricordo di Maria Teresa Tarantini, in “Sant’Antoni e l’Artieri”, a. XXVII, 17 gennaio 2003, p. 16).

Id., Un cartografo in età barocca. Frate Lorenzo di Santa Maria de Nove, introduzione di Mario Cazzato, Lecce 1992.

Id., Il Principe Perfetto Giovanni Antonio Albricci terzo (testimonianze dall’Ignatiados, poema eroico inedito di Francesco Guerrieri illustre letterato salentino), estratto da Quaderno di Ricerca, Salice Salentino, ottobre 1989.

Id., Storia di Novoli. Note ed Approfondimenti, Lecce 1990.

Id., Dalle rime del Mannarino un sonetto ad Alessandro Mattei, in “Sant’Antoni e l’Artieri”, a. XVI, Novoli 17 gennaio 1992.

 

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Il libro in perfette condizioni del Du Choul è in 4° mm. 165×235 h, antiporta con inciso lo stemma di Choul + pp. 296 + 8 di indice con 46 xilografie di medaglie e marmi; antiporta ancora con lo stemma di Choul + [6] + pp. 145 + 6 nn + 43 xilografie nel testo anche a piena pagina + figura del campo dei Romani fuori testo più volte ripiegata.

Vi sono belle marche tipografiche al frontespizio, testatine e capilettera incisi.

La sua legatura è, come già detto, ottocentesca, con titolo e iniziali di Raffaele Tarantini in oro sul dorso verde e piatti marmorizzati rossi.

Note manoscritte di antichi possessori sul primo frontespizio tra cui è leggibile “Soc. Iesu” (vi sono bruniture sparse dovute al tipo di carta).

A tal proposito un’ultima annotazione.

I Gesuiti con Bernardino Realino, proclamato poi santo, ebbero una grande amicizia con la famiglia Mattei.

La famiglia Tarantini ebbe, invece, intensi rapporti con i Carignani che, con Felice, nel 1712 si aggiudicarono i feudi di Novoli e del Convento messi in vendita dalla R. Camera della Summaria dopo la morte di Alessandro III ultimo dei Mattei.

 

Gli scritti di Gilberto Spagnolo nella sua ultima fatica letteraria

 

La ricerca storica sul territorio
ovvero la costruzione dell’identità dei luoghi

 

di Mario Cazzato

(introduzione al volume)

In questa ponderosa opera di oltre 600 pagine Gilberto Spagnolo riunisce parte dei suoi scritti che datano a partire dai primi anni ottanta del secolo scorso e che in nuce risalivano, come metodologia d’indagine e orizzonti d’interesse almeno al decennio precedente quando intorno alla figura, più volte richiamata in queste pagine, di Enzo Maria Ramondini, la “memoria storica” di Novoli, nasce e si coordina in un gruppo di giovani ricercatori novolesi interessati alla storia della piccola patria, dove emerse, come si vedrà, il più promettente di loro, che seppe riunire l’interesse erudito per le faccende locali con la necessità di recuperare la documentazione archivistica che già dalle prime battute dimostrava che per questa via poteva riscriversi anzi scriversi, la storia della comunità di appartenenza fino a raggiungere risultati inaspettati.

E tutto questo si accompagnava e si accompagna ancora alla passione bibliografica dell’autore, acquisendo nel corso di decenni vere e proprie rarità bibliografiche che sono utilizzate non per uno sterile e solipsistico piacere collezionistico, ma come volontà di farne parte ad una comunità sempre più ampia e attenta, spesso inconsapevole di possedere tale patrimonio bibliografico i cui percorsi geografici costituiscono vere e proprie avventure per tale genia di accumulatori di cui G. Spagnolo ne è fieramente parte: una specie di piccola comunità che ha come obiettivo la ricostruzione di un patrimonio dilapidato nel corso dei secoli.

L’opera è divisa in cinque parti e la prima non poteva che essere dedicata alle fonti e ai documenti, dove emerge la figura e i significati dell’opera di G. Marciano che qui a Novoli, come dimostra l’autore, stese la sua Descrizione servendosi della cospicua biblioteca dei signori locali, i Mattei, che della loro residenza avevano fatto una vera e propria piccola corte rinascimentale celebre tra i letterati salentini dell’epoca e ai raccoglitori di “antiquità”, come Vittorio de Prioli.

La seconda parte è dedicata ai “luoghi” e contiene le prime prove dell’autore come quella sui menhir del 1988, sui trappeti sotterranei, sulle cappelle rurali, sul teatro comunale ma soprattutto sul magistrale saggio sui Discorsi di Guillaime Du Choul (1496 ca. – 1560) il più eminente antiquario lionese della sua generazione, pubblicato postumo nel 1569, opera che faceva parte della dispersa biblioteca dei Mattei, opera rarissima miracolosamente recuperata.

La terza parte è dedicata agli “uomini insigni” che hanno reso notevole la storia di Novoli, e sono, tra i tanti, spesso emersi dall’oscurità, i rappresentanti della famiglia Mazzotta (Benedetto, Nicola, Pietro) o Guerrieri. E di Ferruccio Guerrieri G. Spagnolo ripropone qui un raro scritto sul tarantolismo salentino. E non a caso, poco prima l’autore aveva biografato il violinista Pasquale Andrioli che all’autore rammenta un altro e precedente violinista, Francesco Mazzotta, musico delle tarantate ricordato dal De Simone e quindi dal De Martino affascinati dalla credenza popolare per la quale la “vera pianta della taranta” è a Novoli.

La sezione termina con due interventi su Oronzo Parlangeli, l’illustre studioso novolese del quale si ripropone un significativo scritto sul mosaico di Otranto. Con I cinque talenti di Oronzo Parlangeli si chiude la sezione, un breve scritto, questo, che l’autore dedica ai suoi alunni. Infatti non possiamo tralasciare che G. Spagnolo è stato per decenni, per professione, un educatore e come tale e in quanto tale ha sempre misurato i suoi contributi che hanno quasi sempre un colloquiale tono didascalico senza mai rinunciare al rigore delle affermazioni, sempre controllatissime e quasi sempre costruite su materiali inediti o sconosciuti.

La penultima sezione, la quarta, è dedicata alla santità e alle sue manifestazioni esterne. E qui emerge il costante interesse dell’autore, per un elemento che connota l’identità storica della comunità novolese che ogni anno si ritrova intorno alla famosa fòcara per testimoniare la sua secolare devozione a Sant’Antonio Abate. E di questo santo taumaturgo sul quale l’autore ha scritto un volume fortunatissimo (Il fuoco sacro. Tradizione e culto a Novoli e nel Salento) ricorda i delicati componimenti poetici di E.G. Caputo, Novolese di fatto, raccolti in un rarissimo volumetto – il bibliofilo spunta sempre da ogni angolo – stampato nel 1953 appunto col titolo di La Focara.

Occasioni è il titolo della quinta e ultima sezione, dove l’autore raccoglie interventi su amici che non ci sono più, come S. Arnesano, Gioele Manca e lo stesso Ramondini. Qui ripropone il recente (2023) intervento sul volume collettaneo Lecce svelata e che riguarda il protettore di Lecce e della Provincia, S. Oronzo: una lunga e documentata storia dell’arte tipografica leccese, argomento sul quale l’autore è una delle massime autorità anche per il suo essere, come abbiamo detto, e non poteva essere altrimenti, accanito bibliofilo, argomento al quale ha sacrificato tempo e sostanze.

Nella stessa sezione è inoltre riportato un articolo di G. Gigli del 1909 sulla cartapesta leccese, nel periodo, cioè, della sua massima fioritura. Chiude la sezione un intervento sul quadrato magico sator, dove traccia le coordinate storico-geografiche del fenomeno in area salentina e, ultimo, il lungo accenno del famoso scienziato francese Nicolas Lemery sulla “tarantula di Puglia”: entrambi non potevano essere scritti se l’autore non avesse scoperto, nelle sue pazienti ricerche bibliografiche, quel materiale che all’improvviso fa balenare la seducente possibilità di approfondire in maniera innovativa l’argomento.

L’attività studiosa dell’autore non si ferma qui. Nel 1987 scrisse un nutrito volume sulle origini di Novoli; nel 1990 un altro sulla storia complessiva della stessa comunità. Nel 1992 pubblica la vicenda bio-bibliografica del cappuccino e apprezzatto geografo Lorenzo di “S. Maria de Nove”. E relativamente al metodo non può notarsi che quando parla di collezionismo e di collezioni si colloca in un campo d’indagine innovativo che ben poco spazio ritrovano nelle consuete storie municipali costruite secondo l’ottica ottocentesca nelle quali l’interesse per gli aspetti minuti della piccola patria mette in ombra i rapporti con la storia generale.

Questo e molto altro contiene questo complesso volume che deve essere letto tenendo presente i tempi di composizione dei singoli interventi che hanno costruito, nei decenni, una solida impalcatura di conoscenze storiche che non ha eguali in Provincia. Ma, come scrisse diversi anni fa Mario Manieri Elia per Melpignano, il fine non ultimo e più avvincente di un’opera come questa, è quello di porre all’attenzione di tutti proprio Novoli; centro, il quale, in conseguenza dell’arricchimento di conoscenza e di sensibilizzazione che ad esso si lega dopo tale lavoro non è più quello di prima. Un luogo fisico come Novoli, non è portatore di significati oggettivi dati una volta per sempre; è percepito per quello che di esso sappiamo e memorizziamo, consapevoli che la ricchezza di messaggi storici e di identità – è questa una delle funzioni degli scritti di G. Spagnolo – rende plausibile la lotta per la sua sopravvivenza fisica ma anche la lotta perché la memoria di chi ha animato per secoli lo spazio degli uomini non venga mai meno. È l’auspicio di questa fatica dell’amico G. Spagnolo che, siamo sicuri è già impegnato a continuare quest’operazione culturale di grande valore civico.

 

Gilberto Spagnolo è nato a Novoli (Le) il 3/6/1954. Si è laureato presso l’Università di Lecce nel 1977, conseguendo una laurea in Pedagogia a indirizzo psicologico. Ha svolto l’incarico di operatore culturale nei Centri Regionali di Servizi Educativi e Culturali (CRSEC) del Distretto Scolastico di Campi Salentina; dal 1991 al 1994 ha insegnato nelle scuole italiane all’estero (in America Latina, nel “Collegio Raimondi” di Lima – Perù e in Spagna nella scuola italiana “M. Montessori” di Barcellona); è stato dirigente dell’Istituto Comprensivo di Novoli dal 1995 al 2019. Da oltre 40 anni, si dedica alla ricerca e alla storia patria e ha pubblicato numerosi saggi e monografie, con particolare riferimento a Novoli (dove risiede), alle sue tradizioni e alla Terra d’Otranto.

Fra le sue pubblicazioni si citano in particolare: Novoli. Origini, nome, cartografia, toponomastica (1987); Storia di Novoli. Note e approfondimenti (1990); Un cartografo in età barocca. Frate Lorenzo di Santa Maria de Nove (1992); Il principe perfetto: Giovanni Antonio Albricci Terzo. Testimonianze dall’Ignatiados, poema eroico inedito di Francesco Guerrieri illustre letterato salentino; Il fuoco sacro. Il culto di Sant’Antonio Abate a Novoli e nel Salento (1a ed. 1998, 2a ed. 2004, 3a 2018); Il pane del miracolo. Il culto della Vergine del Pane di Novoli nel panegirico del passionista A. Librandi; Memorie del passato. Il diario di Salvatore Cezzi e la Focara di Novoli (1872-1874) “Superba come ogni anno” (2023); I Domenicani a Novoli: un affresco e un’incisione della Vergine del Rosario (2016); Bernardino Realino e i Mattei Signori di Novoli (2017).

 

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