di Cristina Manzo
« Torbido Siri, del mio mal superbo / or ch’io sento da presso il fine amaro, / fa tu noto il mio duolo al padre caro, / se mai qui ‘l torna il suo destino acerbo. »
Isabella Morra
Il castello di Valsinni
Fa da sfondo alla nostra vicenda la guerra franco-spagnola. Il periodo è la metà del Cinquecento.
Isabella Morra (1520-1546), nata a Favale, l’odierna Valsinni, vicino Matera, da famiglia nobile, condusse una vita infelice e inquieta nel castello di famiglia1, una severa rocca sulla valle del fiume Siri oggi Sinni, sognando la corte francese nella quale viveva il padre, costretto ad emigrare per aver parteggiato con gli sconfitti francesi contro gli spagnoli. Aveva otto anni, quando il padre divenne esule, portandosi appresso il primogenito. In quel maniero sinistro, sotto la tutela dei fratelli rozzi e selvatici che la detestavano, ebbe come unico conforto la lettura dei classici, la composizione di poesie, ed il fantasticare. La madre pare soffrisse di nervi ed era sempre rinchiusa nelle sue stanze, lasciando abbandonata a se stessa, la piccola Isabella. Crescendo la sua tristezza e l’isolamento si acuivano sempre di più.
Un canonico, suo precettore, tale Torquato, per alleviare questa profonda solitudine, favorì la conoscenza e la corrispondenza tra Isabella e il cavaliere e poeta spagnolo Diego Sandoval De Castro, che aveva sposato per procura la nobildonna napoletana Antonia Caracciolo, forse amica di Isabella. Egli aveva militato nell’esercito dell’imperatore Carlo V, prima di essere investito della baronia del feudo di Bollita, oggi Nova Siri in provincia di Matera, e di ottenere la castellania di Cosenza, e quindi era dichiaratamente nemico dei Morra.
Isabella aveva ventitré anni quando tra loro cominciò una fitta corrispondenza letteraria. Non si sa se i rapporti tra i due rimasero platonici oppure si concretizzarono in una relazione passionale, ma la gente cominciò a mormorare, e le dicerie giunsero alle orecchie dei fratelli di Isabella, che associando motivi di “onore” a quelli politici, attuarono una sanguinosa vendetta. I signori di Valsinni erano di parte francese ed ancor più soffrirono delle voci che riguardavano la vita sentimentale della sorella, legata ad un cavaliere della fazione opposta.
Per sdegno e per onore, uccisero il maestro di letteratura che Isabella riceveva. Questo le portava lettere di Diego, e gliele consegnava di nascosto. Subito dopo pugnalarono Isabella. Infine tesero un’imboscata a Diego Sandoval. Nonostante Diego sapesse bene di correre pericolo e viaggiasse sempre sotto scorta nei suoi tragitti da Taranto a Bollita, quando andava a trovare la moglie, l’agguato riuscì alla perfezione, in un bosco non lontano da Favale. Dopo una notte di attesa lo ammazzarono.
Nei due secoli passati, la tragica esistenza di Isabella, colpì a tal punto l’immaginazione dei critici tanto da oscurarne e travisarne la poetica, in parte a causa della natura strettamente personale e intima dei suoi versi, che ha incoraggiato l’indagine della sua arte in relazione con gli eventi della sua vita.
Della poetessa è rimasto un breve canzoniere che spicca, tra quelli del suo tempo, per i toni accorati e meditativi La poetica di Isabella fu incoraggiata dalla corrente, in voga al tempo, del Petrarchismo, ma i suoi versi dispiegano, un’originalità inusitata ai poeti petrarchisti, e altre influenze includono Dante e i classici della letteratura italiana.
Qualche critico cita Isabella come precorritrice delle tematiche esistenziali care a Leopardi, incluse la descrizione del natio borgo selvaggio e dell’invettiva alla crudel fortuna.
L’interesse attorno alla figura e all’opera di Isabella di Morra si è accresciuto nel corso dei quattro secoli e mezzo che ci separano dalla sua morte, nonostante il corpus (soltanto dieci sonetti e 3 canzoni) estremamente esiguo a noi pervenuto. Se fino al XIX secolo i meriti della sua opera poetica furono sufficienti a tramandarne la fama, per parte dell’Ottocento e per tutto il Novecento, la sua tragica biografia ha in larga parte oscurato la comprensione e il pieno apprezzamento dei suoi testi. Molte sono state, infatti, le letture della sua opera in chiave meramente femminista, specie in ambito americano senza che tenessero in sufficiente considerazione il retroterra culturale e storico dell’epoca.
È generalmente assodato che i tredici testi giunti fino a noi fossero stati scoperti dagli ufficiali del Viceré, durante l’indagine che seguì l’uccisione di Don Diego De Sandoval, quando il Castello di Valsinni fu perquisito.
Pochissimi anni dopo la morte di Isabella, qualche sua poesia apparve nel terzo libro di Ludovico Dolce, che raccoglieva le Rime di diversi illustri signori napoletani (Venezia, Giolito, 1552), e fu positivamente accolta dall’ambiente letterario italiano. Non ci furono notizie ufficiali inerenti alla sua vita fino a che Marcantonio, “figlio del fratello minore Camillo, che era rimasto estraneo a quei fatti, perché militava allora fuori del regno”2, non pubblicò una storia della famiglia, nel 1629.
Secoli dopo, nel 1928 il filosofo abruzzese Benedetto Croce, si interessò della vicenda e pubblicò il saggio “Storia di Isabella Morra e Diego Sandoval De Castro”, che di fatto riportò alla luce la storia e la poetica della sfortunata poetessa.
Nei primi del ‘900 Benedetto Croce si è recato in Basilicata per indagare personalmente sulla vita di Isabella Morra, incuriosito dalla particolarità delle sue poesie. Egli, sfogliando le carte del processo intentato dagli spagnoli contro i fratelli Morra per l’omicidio del Sandoval, ritrovò le poesie della nostra Isabella che erano state annesse agli atti. Di qui la notorietà della poetessa. E’ grazie alle sue ricerche che possiamo conoscere meglio la storia di Isabella, che muore dopo aver vissuto in un’epoca che considerava la donna intellettualmente inferiore all’uomo, e in un paese dove, come avrebbe scritto Carlo Levi, nessuna donna poteva frequentare un uomo se non in presenza di altri.
Ad Isabella è stato negato il conforto di una famiglia che l’amasse e ci ha lasciato una storia che è uno spaccato del suo tempo e della sua terra, e una poesia che, per dirla con Croce, contiene quell’immediatezza passionale e quell’abbandono al sentimento che sono la virtù della migliore poesia femminile.
Isabella è la dolente figura di una poetessa che rappresenta tutte le donne schiave e vittime di una realtà ostile, che impedisce la libera espressione di vita e di sentimenti. Le vicende femminili come quelle umane si ripetono nei corsi e nei ricorsi storici: il ricordo e la rappresentazione della vita della nostre protagoniste può essere spunto di riflessione per gli uomini e le donne del nostro tempo.
“Ed io ho voluto recarmi nei luoghi dove è vissuta questa breva vita e cantata questa dolorosa poesia; in quell’estremo lembo della Basilicata, di cui ha parlato il Lenormant, tra il basso sinni e il confine calabrese, tra la riva del mar Jonio, dove verdeggia la foresta di Policoro, e il corso del Sarmento, che versa le sue acque in quel fiume: un pezzo della Magna Grecia e della regione detta la Siritide, che, memore di quanto di essa celebrano le storie, sogna sempre una vittoria sulla malaria desolatrice e un rifiorimento dei suoi campi e della varia operosità dei suoi abitatori.”3
Croce fece effettuare scavi alla ricerca delle spoglie della giovane donna, in particolar modo sotto la chiesa, ai piedi del castello, senza ottenere risultati, tanto che ancora oggi non si conosce dove sia ubicato il corpo d’ Isabella, alimentando fantasie e miti, come quello del fantasma della poetessa, che si dice che, non avendo ricevuto degna sepoltura, vaghi ancora per le stanze del castello, o come raccontano in tanti, di notte si vede la sagoma evanescente di Isabella al di sopra dei bastioni. Non si sa se questa delicata storia, fatta di sentimenti gentili e scambiata sul filo della poesia e delle rime petrarchesche in cui Diego e Isabella si cimentavano, avesse veramente forti significati amorosi.
Certamente Isabella soffriva di solitudine in quel luogo distante dai luoghi di cortigiani e cantori. La baronessa era ottima poetessa, come anche affermò Benedetto Croce, e stupisce che ella riuscisse a tenere lo stile letterario del tempo senza contatti con accademie e salotti letterari. I versi di Isabella sono tristi e talvolta alludono alla morte, che la giovane vede vicina. In una poesia chiede al fiume Sinni di ripetere il suo lamento, quando lei non ci sarà più. E il Sinni risponde alla poesia, con un lamento, in una notte di febbraio, scorrendo ai piedi del Castello dei Morra.
Isabella Morra
Torbido Siri, del mio mal superbo,
or ch’io sento da presso il fine amaro,
fa’ tu noto il mio duolo al padre caro,
se mai qui ‘l torna il suo destino acerbo.
Dilli com’io, morendo, disacerbo
l’aspra fortuna e lo mio fato avaro,
e, con esempio miserando e raro,
nome infelice e le tue onde io serbo.
Tosto ch’ei giunga a la sassosa riva
(a che pensar m’adduci, o fiera stella,
come d’ogni mio ben son cassa e priva!),
inqueta l’onda con crudel procella,
e dì: – M’accrebber sì, mentre fu viva,
non gli occhi no, ma i fiumi d’Isabella.
“Essere poeta non è mai stato facile”, introduce Alessio Lega4 così la sua canzone sulla tragica vicenda di Isabella di Morra, la grande poetessa petrarchesca lucana del XVI secolo. “Figuratevi esserlo, e donna, nel ‘500”.
Le poesie di Isabella di Morra, in tutto tredici, furono scoperte e pubblicate da Benedetto Croce; su una di esse, “D’un alto monte onde si scorge il mare”, Alessio Lega ha costruito questa canzone di prigionia e di speranza. La poetessa, certa della morte che i fratelli, a loro volta prigionieri di un’ottusa e assassina “morale” maschile, le daranno, scorge il mare aspettando invano che giunga la nave del padre o qualcuno che venga a liberarla. Non fu così. Rimangono i suoi splendidi e desolati sonetti, una voce di donna che in qualche modo ha spezzato le catene della prigione e della morte.
D’un alto monte onde si scorge il mare
miro sovente io, tua figlia Isabella,
s’alcun legno spalmato in quello appare,
che di te, padre, a me doni novella.
Ma la mia adversa e dispietata stella
non vuol ch’alcun conforto possa entrare
nel tristo cor, ma, di pietà rubella,
ha salda speme in piano fa mutare;
ch’io non veggo nel mar remo nè vela
(così deserto è l’infelice lito)
che l’onde fenda o che la gonfi il vento.
Contra Fortuna allor spargo querela,
ed ho in odio il denigrato sito,
come sola cagion del mio tormento
Rocca di Favale, Valsinni (MT). Il sonetto D’un alto monte onde si scorge il mare di Isabella di Morra su un dipinto ad esso ispirato, sulle mura del castello.
Oggi la Valsinni tanto odiata da Isabella celebra ogni anno la sua poetessa con spettacoli (Dacia Maraini ha scritto un testo teatrale ispirato a questa storia), letture e anche un parco letterario Della corrispondenza tra i due personaggi oggi rimangono solo le lettere che don Diego scrisse a donna Isabella, mentre le risposte sono a noi ignote. Nel 1542 don Diego pubblicò una raccolta delle sue rime petrarchesche.
Nobil pensier, che nel mio cor s’annida
e d’un cortese desiar s’appaga,
la voglia rende innamorata e vaga
de la vostra beltà, che ‘n ciel mi guida.
E tanto l’alma nel valor suo fida,
che non teme lo sdegno che l’impiaga,
né virtù d’erbe o forza d’arte maga,
che dal primo voler mai la divida.
Ma voi, che sete alma celeste e diva,
come creder potete che ‘n voi brami
altro ch’aver co’ bei vostr’ occhi pace?
Io non voglio altro che vedervi priva
d’odio e pregarvi, poi ch’è forza ch’ami,
che non vi spiaccia almen, se non vi piace.
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1“Suggestivo nell’architettura e imponente nella pienezza delle forme, classico nella fuga dei merli e delle feritoie”. Sono le prime considerazioni condotte da Benedetto Croce in “Vita di avventure, di fede e di passione, Isabella Morra e Diego Sandoval de Castro” , quando l’illustre intellettuale, risalì l’aspra rupe, ponendosi sulla tracce di Isabella. Il castello di Valsinni sorge su di una preesistente fortificazione longobarda, costruita all’inizio del millennio. Antico castrum romano, come posto a guardia dell’ultima chiusa del fiume Sinni, il castello dell’antica Favale lega la sua fama ai versi petrarcheschi al femminile che si alzarono dal maniero. Nella solitudine a cui le consuetudini del tempo, e l’avversa sorte, la condannavano, Isabella Morra, terza degli otto figli di Giovanni Michele Morra barone di Favale, oggi Valsinni, cantò al “Torbido Siri… l’aspra fortuna e lo mio fato avaro”. L’antica fortificazione divenne prigione dell’amore della poetessa per le muse, ed in seguito sua tomba. La sventurata sorte di Isabella, ritratta nel film Sexum Superando , ancora oggi risuona nelle sue “Rime”, pubblicate postume. La fortificazione che dall’alto domina Valsinni fu feudo dei Sanseverino, famiglia, come i Morra, di discendenza normanna. Agli inizi del 1500, attraverso Menocca Vivacqua di Oriolo, ne divenne proprietaria la potente famiglia Morra, di origine irpina, che conservò il maniero per circa 140 anni, sino al 1638. Benché dal 1921 ne sia divenuta proprietaria la famiglia Rinaldi, nelle stanze e lungo i corridoi del castello ancora si dice vi aleggi la presenza della poetessa nata sotto una “adversa e dispietata stella”; per essere condotti sin nel suo animo si potranno seguire i sentieri compresi nel Parco letterario Isabella Morra .
2 Benedetto Croce. Storia diIsabella di Morra e Diego Sandoval de Castro. Sellerio editore, Palermo, 1983, p.13. Pubblicato per la prima volta in La critica, vol. 27, 1929
3 Benedetto Croce, idem, p.39
4 Alessio Lega (Lecce, 26 settembre 1972) è un cantautore e anarchico italiano. Realizza una canzone dedicata a Isabella Morra incorporando nel testo i versi della sua poesia “D’un alto monte” nell’album E ti chiamaron matta, 2008. Proprio il binomio tra amore e politica gli è valso, nel 2004 la Targa Tenco come miglior opera prima per l’album Resistenza e amore realizzato assieme ai Mariposa.