Il miele: il dolcissimo trasparente dono delle api del Salento leccese che a Natale insieme alla farina, prima lavorata con il vino e con i liquori e poi fritta, fanno i “purceddrhuzzi” e le carteddrhate” , dolci del Salento leccese e consumati nei giorni delle feste natalizie. In questa nota la storia nel Salento leccese di questo liquido frutto del lavoro delle api e dell’uomo.
L’olio d’oliva extra vergine qualche settimana fa veniva pagato al mercato di Andria all’ingrosso Euro 2,75 al chilo. Se l’olio ha il marchio dop (denominazione d’origine protetta) oppure igp (indicazione geografica protetta) allora può arrivare a quasi 7 euro al chilo, ma di questo tipo di olio ce n’è davvero molto poco.
Il numero di piante di olivo per ettaro si aggira in provincia di Lecce nel caso di impianto tradizionale a 400 piante che producono mediamente 45 chili di olive. Dalle olive si ricava mediamente il 18% di olio per cui da un ettaro di oliveto si ricavano 18.000 chili di olive e quindi 3.240 chili di olio che se è andato tutto bene, e sempre se risultasse tutto extravergine con i prezzi di qualche giorno fa sarebbe venduto a 2,75 euro al chilo.
Ecco che, se tutto viene fatto a regola d’arte e l’annata è stata buona, un ettaro di oliveto fornisce al proprietario una produzione lorda pari a circa 9.000 euro. Dai 9.000 euro però bisogna togliere i costi di produzione e cioè le spese per le lavorazioni, la concimazione, la potatura, la raccolta e trinciatura della legna, la difesa dai parassiti, la raccolta, il trasporto e infine la molitura. Cosa resta? Leggiamolo dalle parole scritte dagli agricoltori di Martano domenica 25 gennaio 2009 e che anche quest’anno risuonano nel Salento leccese: “Produrre olio non conviene più? Allora abbattiamo gli olivi del Salento e magari facciamone legna da ardere, con quel che costa il gas.
Sebbene la Legge n.144/51 permetta solo l’abbattimento di 5 alberi di ulivo ogni biennio, quando sia accertata, la morte fisiologica, la permanente improduttività o l’eccessiva fittezza dell’impianto da parte dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura, alla luce della crisi che sta attraversando il comparto olivicolo si comunica all’Ispettorato la necessità di operare lo svellimento totale degli alberi di olivo presenti nei terreni di proprietà.
Tra l’altro in controtendenza rispetto alla linea perseguita dal governo regionale che, con la legge regionale n. 14 del 4 giugno 2007 recante “Tutela e valorizzazione del paesaggio degli ulivi monumentali della Puglia”, entrata in vigore il 7 giugno 2007, aveva inteso tutelare e valorizzare gli alberi di ulivo monumentali in virtù della loro funzione produttiva, di difesa ecologica e idrogeologica nonché in quanto elementi peculiari e caratterizzanti della storia, della cultura e del paesaggio regionale, cercando di porre un freno al fenomeno dell’espianto e commercio degli alberi, specie di quelli secolari.”.
Il motivo? “Le attuali condizioni di mercato” – aggiungono gli olivicoltori – che in assenza di nessun intervento istituzionale a sostegno della economicità aziendale, rendono passiva, deficitaria ed antieconomica la loro coltivazione ed il loro mantenimento ai fini agricoli.
Dopo un secolo la storia si ripete solo che nel 1918 chi aveva occasione di percorrere le campagne del Salento leccese non poteva fare a meno di restare sorpreso nel vedere il grande movimento rappresentato dalla distruzione di oliveti che si andava compiendo a partire dal 1915. Tale distruzione era senza tregua sia d’estate che in inverno e sia che gli alberi di olivo si trovassero in buono che in cattivo stato di vegetazione e che producessero o meno un buon quantitativo di olive.
Nel 1918 si sentivano i colpi secchi della scure amplificata nel silenzio che allora dominava le campagne, chi si avventurava per le strade rurali era investito dall’odore acre del fumo che si sprigionava dalle carbonaie che si incontravano in ogni dove nelle contrade del Salento leccese. E sempre percorrendo la rete viaria salentina si incrociavano ovunque lunghe file di carri stracarichi di legna.
Questa immagine di devastazione è stata la caratteristica del Salento leccese del 1915 – 18 che costituisce la prova della crisi gravissima che in quel periodo stava attraversando l’oliveto e l’olivicultura salentina.
In quel periodo non c’era necessità di recarsi in campagna per poter vedere le migliaia e migliaia di metri cubi di legna d’olivo che si accatastavano nei pressi delle stazioni ferroviarie. Inoltre a Piazza delle Erbe era possibile vedere i carri ricolmi che formavano una lunga coda per aspettare uno dopo l’altro di poter essere pesati sulla bascula dell’Ufficio daziario.
Questa situazione era già evidente in tutto il Regno d’Italia e il governo di allora avuta chiara la situazione pubblicò un decreto luogotenenziale l’8 agosto del 1916 che aveva la funzione di moderare questa piaga del taglio senza scrupoli degli oliveti meridionali.
Le norme per accordare la concessione del taglio degli olivi contenute in quel decreto erano troppo vaghe ed indeterminate al punto che due anni dopo, ovvero nel 1918, si poteva assistere a questo scenario devastante ed apocalittico di taglio dei veri e propri boschi d’olivo del Salento leccese.
Quel decreto imponeva la costituzione di commissioni che dovevano autorizzare o meno la distruzione degli olivi che però agivano senza criteri precisi tanto che alcune volte autorizzavano la distruzione di oliveti che avrebbero dovuto essere rispettati e altre volte vietavano il taglio di oliveti vecchi ed improduttivi.
I proprietari di oliveti del 1915 – 18 erano incentivati a divenire taglialegna dai prezzi altissimi dei combustibili legna e carbone e quindi non esitavano a chiedere lo svellimento dei loro oliveti. Gli astuti proprietari per fare in modo che la domanda di autorizzazione per il taglio fosse fondata e accettata dalla commissione hanno scritto interminabili motivazioni alcune volte giuste, ma spesso le argomentazioni addotte erano solo dei pretesti alcuni dei quali addirittura ridicoli.
La maggior parte degli olivicoltori giustificavano la loro domanda di svellimento per l’improduttività delle loro piante. Spergiuravano che la mancanza di produzione permaneva nonostante avessero impiegato tutti i mezzi messi a disposizione dalla tecnica e dalla scienza. Altri giustificavano la domanda di taglio con la volontà di trasformare l’oliveto in seminativo da destinare alla coltivazione del tabacco o del vigneto che a loro dire garantivano un reddito di gran lunga più elevato.
Altri dichiaravano di voler tagliare il loro oliveto per destinare il terreno alla coltivazione raccomandata allora dal governo ovvero quella dei cereali, essendo che il paese ne aveva necessità essendo stato tanti anni in guerra. Infatti in quel periodo il Governo raccomandava di aumentare quanto più era possibile la produzione di derrate alimentari. Tale argomentazione risultava altamente umanitaria e spesso inteneriva i cuori dei componenti della commissione ottenendo in tal modo l’agognata autorizzazione al taglio.
Ma le ragioni che allora fecero più presa sull’animo dei componenti della commissione furono quelle di salvaguardare la salute dei lavoratori, potatori e raccoglitrici di olive che potevano essere contagiati dalla malaria che imperversava in quegli anni in quegli oliveti.
Tutti i motivi addotti hanno avuto un gran successo tanto che la commissione ha autorizzato il taglio del 90% degli oliveti dei proprietari che presentarono domanda di distruzione.
Per questi motivi nel 1918 il Governo si apprestava a licenziare un altro decreto in sostituzione di quello del 1916, ma mentre il Governo provvedeva c’era un’altra causa che dava davvero ragione ai proprietari di oliveti di distruggere tutto ed era l’istituzione in quegli anni del calmiere sugli oli.
Col termine calmiere dal greco kalamométrion, si intende l’imposizione per legge di un tetto massimo ai prezzi al consumo per uno o più prodotti, solitamente di prima necessità. Questa misura venne presa dal governo per contrastare un aumento eccessivo dei prezzi causato dall’inflazione. Per questo motivo se prima di questa decisione a voler tagliare gli oliveti erano solo i proprietari di quelli infruttiferi o poco fruttiferi affascinati dal miraggio dell’alto prezzo della legna, dopo l’introduzione del calmiere anche i proprietari di oliveti produttivi si lasciavano trascinare dalla corrente.
Il produttore di olive e di olio del 1918 faceva un ragionamento molto semplice dopo aver fatto i calcoli sulle spese di coltivazione e di raccolta del prodotto e tenuto conto anche della produzione di olive che non è costante, arrivavano alla conclusione di distruggere i loro oliveti vendendoli per legna anziché ricavare olio. Questo poiché l’olio avrebbe finito con l’essere venduto a prezzo di calmiere ritenuto per quegli anni eccessivamente basso rispetto a quello di altri grassi commestibili.
Le notizie riportate sono state redatte dal Prof. Ferdinando Vallese che conclude la sua nota con l’affermazione che il problema non era di facile soluzione perché, comunque si cercasse di risolverlo, si urterebbero gli interessi dei proprietari se si propendesse per l’applicazione del calmiere e quelli dei consumatori se del calmiere si intendesse fare a meno.
Ora come allora gli olivicoltori pur consapevoli che l’espianto indiscriminato di ulivi porterebbe alla deturpazione del paesaggio tipico del nostro territorio, non vedono altre soluzioni alla grave crisi che sta attraversando il settore, che mette in serio pericolo la loro sopravvivenza aziendale.
L’albero di ulivo, emblema del paesaggio e della storia dell’economia salentina, corre il rischio di scomparire perché risulta antieconomico.
Oggi la legna e il carbone non rappresentano la “suggestione energetica”, oggi va il rinnovabile, il solare e l’eolico, frutta tanti Euro all’anno, da riuscire ora come allora a distruggere gli oliveti del Salento leccese.
Ad oggi la Puglia occupa per le energie rinnovabili il primo posto in Italia per potenza installata con oltre 100 Megawatt. Tra eolico, fotovoltaico e biomasse, il Piano Energetico regionale (Pear) prevede l’installazione di poco meno di 5 mila Mw di potenza entro il 2016.
L’obiettivo “minimo” fissato dal Pear, prevede l’installazione di almeno 200 MW, cioè il doppio del risultato raggiunto fino ad oggi. Questo vuol dire che siamo solo a metà dell’obiettivo considerato minimo. Ora come allora la crisi del mercato è affrontata dagli agricoltori vendendo ciò che hanno avuto dai loro padri per ricavare energia.
Allora la situazione cambiò. E oggi? Cosa faranno gli olivicoltori di oggi con un prezzo dell’olio di 300 euro al quintale?
*Dottore Agronono
Bibliografia
L’Agricoltura Salentina del 1918
Marcello Scoccia Capo Panel ONAOO Rilevazione prezzi del 02 e 03 Aprile 2010 TN 13 Anno 8
Disciplinare Consorzio di tutela DOP Terra d’Otranto
UNAPROL FILIERA OLIVICOLA ANALISI STRUTTURALE E MONITORAGGIO DI UN CAMPIONE DI IMPRESE
Il melograno appartiene all’ordine delle Mirtali e alla famiglia delle Punicaee.
La specie più interessante al riguardo della produzione dei frutti è il melograno coltivato (Punica granatum). Un’altra specie utilizzata a scopo ornamentale e caratterizzata da frutti piccoli, è il melograno da fiore (Punica nana).
La pianta è un arbusto cespuglioso e spinescente, alto 4-5 m a foglie caduche. Presenta una radice robusta, un tronco nodoso e ramificato, dotato di rami spinosi. Le foglie sono piccole, opposte sui rami e intere. I fiori sono molto vistosi, singoli o in gruppo all’estremità dei rami e sono di colore variabile anche se principalmente sono rossi.
Il frutto (balausta) è rotondo, con buccia dura e coriacea e con polpa e la parte centrale fusi insieme. All’interno della balausta, il frutto è diviso in tanti loculi all’interno dei quali si trovano i veri frutti di forma poligonale, di colore rosso e di sapore acidulo. All’interno dei frutti, ci sono i semi legnosi e duri.
Il melograno preferisce terreni profondi e freschi, ma si adatta bene anche nei terreni poveri, salini e alcalini. Non sopporta i terreni troppo argillosi e pesanti, perchè soggetti al ristagno idrico e all’asfissia radicale. Il melograno si adatta ai climi temperato-caldi e anche a quelli subtropicali, ed è proprio in questi ambienti dove produce e si sviluppa abbondantemente. Resiste bene ai freddi invernali anche di qualche grado sotto lo zero, ma subisce danni rilevanti a temperature inferiore tra -10 °C e -15 °C.
La propagazione del melograno, avviene prevalentemente per talea, utilizzando rami di 1-2 anni ben lignificati. Oltre alla talea, il melograno si
Perché l’olivo di cultivar “coratina” nel Salento leccese produce due anni e al terzo anno non da frutto?
di Antonio Bruno
Nel Salento leccese l’olivo dilaga, è presente prepotentemente e caratterizza il Paesaggio rurale costituendo un vero e proprio patrimonio.
E’ ormai noto che è opportuno legare la produzione al territorio per valorizzarla in termini di tipicità che da maggiore identità all’olio e che lo caratterizza. E tutti siamo al corrente che le varietà che nel corso dei secoli si sono affermate nel Salento leccese sono la Cellina di Nardò e l’Ogliarola di Lecce.
La cultivar di olivo più famosa è la Coratina
L’Unaprol (Unione nazionale dei produttori olivicoli) ha rilevato attraverso un’Analisi del 2008 che in ambito nazionale la cultivar che le aziende olivicole intervistate hanno dichiarato con la maggiore frequenza è la “coratina”, che ha totalizzato il 16% di citazioni.
Nel Salento leccese i primi alberi di Coratina negli anni 80
Questa indagine trova riscontro nel Salento leccese in cui alcuni produttori negli anni 80 hanno impiantato alberi di olivo di cultivar Coratina suggestionati dalla “fama” dell’olio ottenuto da queste olive. E ancora oggi vi è chi impianta alberi di questa cultivar.
L’alternanza di produzione della coratina nel Salento leccese
Ma come dice il mio Direttore Generale Vincenzo Provenzano “Non c’è rosa senza spine” e dopo circa 30 anni di esperienza dei pionieri che impiantarono negli anni 80 gli alberi di Coratina nel Salento leccese si è giunti alla conclusione che la Coratina in questo territorio presenta una alternanza di produzione che con le normali pratiche agricole della nostra zona non risulta superabile.
Ma cos’è l’alternanza di produzione?
E’un fenomeno che caratterizza in modo rilevante l’olivo in quanto annate molto produttive (anni di carica) sono seguite da altre poco produttive (anni di scarica).
Per quali motivi si verifica?
Questa tendenza è da attribuire, più che alle condizioni climatiche dell’annata, allo stato di nutrizione conseguito nelle annate precedenti, il quale influenza la produzione di ogni pianta. Le cause dell’alternanza sono complesse in quanto concorrono diversi fattori tra cui: condizioni climatiche sfavorevoli, potature e concimazioni errate, vigoria della pianta, carenze idriche, attacchi parassitari, raccolta delle olive troppo ritardata e la predisposizione della cultivar, nonché l’età dell’albero (le piante giovani sono più recettive all’alternanza di quelle adulte).
Nell’areale di diffusione gli olivicoltori sono riusciti ad avere dagli alberi di coratina una moderata alternanza di produzione. Per questo motivo è bene riportare le caratteristiche di questo albero da ciò che si è osservato nel suo areale di diffusione.
Come viene coltivato l’olivo di varietà Coratina nel suo areale di diffusione
Principali sinonimi: «Cima di Corato», «Racioppo di Corato».
Areale di diffusione: tra il sud-est della provincia di Foggia ed il nord-ovest della provincia di Bari, nei territori di Andria, Barletta, Bisceglie (parte), Canosa, Cerignola, Corato, Minervino Murge, Molfetta (parte), Ruvo di Puglia (parte), San Ferdinando, Trani, Trinitapoli.
Superficie approssimativa: 60.000 ha.
Tendenza: stazionaria.
Giacitura prevalente: pianeggiante o leggermente ondulata.
Tipi prevalenti di suolo: calcare da medio ad elevato, falda assente, profondità variabile, naturalmente ben drenati, struttura da fine a media, scheletro da assente a medio, fertilità media, poggianti su sottosuolo sabbioso del Pleistocene.
Precipitazioni annue: 500-600 mm.
Portamento dell’albero: tra assurgente ad espanso.
Angolo d’inserzione delle branche primarie: regolare.
Chioma: mediamente densa, isodiametrica.
Sesti d’impianto: regolari e normali (7-9 m).
Densità di piantagione: 150-220 alberi per ettaro.
Altezza dell’albero: 3-4 m.
Turno di potatura: annuale.
Alternanza di produzione: moderata.
Modalità di raccolta prevalenti: manuale (brucatura) e meccanica (vibratori).
Caratteri distintivi della coltivazione nell’areale di diffusione: potatura accurata e molto ben bilanciata. Grazie al moderato vigore, indotto anche da un ambiente non eccessivamente fertile, gli alberi presentano sviluppo in genere ridotto, rendendo l’esecuzione delle operazioni di potatura e raccolta meno drammatica rispetto ad altre forme. Tra quelle illustrate è la forma d’allevamento che più si adatta concettualmente ai canoni di una moderna olivicoltura.
La Coratina ad Andria
Caratteristica dell’allevamento della cultivar «Coratina». in irriguo, in agro di Cerignola; in asciutto, in agro di Andria.
Con oltre 17.000 ettari di uliveti, 2.000.000 di alberi che producono la pregiata varietà d’oliva Coratina, 50 frantoi e numerose aziende imbottigliatrici, Andria rappresenta da sola il 3,5% della produzione di olio extravergine d’oliva di tutta Italia. I suoi frantoi ricavano 150.000 quintali di olio, quanto la produzione dell’intera Toscana. A tanta quantità corrisponde una qualità di livello superiore. La raccolta delle olive inizia ad autunno inoltrato quando sono mature ma ancora verdi e viene condotta con il sistema della brucatura a mano. Questo consente di ottenere un olio a bassissima acidità e resistente all’ossidazione, dal colore giallo con vividi riflessi smeraldini, estremamente fragrante con un piacevole retrogusto amarognolo e leggermente pizzichino.
La Coratina a Carpignano Salentino
Mi sono recato a Carpignano Salentino presso l’Azienda Carmine Sicuro che ha 350 alberi di Olivo cultivar Coratina. L’oliveto è irrigato con turni di irrigazione ogni 10 giorni. Concimazione: Azoto a Base Organica con microelementi per via foliare. Azoto a base organica ovvero a base di amminoacidi a basso e medio peso molecolare derivanti dall’ idrolisi di sostanze proteiche di origine animale. Non si può definirlo come un generico “ concime azotato ” perché di fatto è una miscela naturale e stabile di strutture complesse ( peptidi, peptoni, amminoacidi ) che sono alla base di complesse funzioni fitoregolatrici del metabolismo delle piante. Sono eccellenti veicolanti organici, da aggiungere al momento di qualsiasi concimazione, in quanto hanno effetti di tipo chelante-complessante nei confronti di tutti gli elementi.
Lotta integrata a cura dei Dottori Agronomi del CODILE (Consorzio di Difesa delle Produzioni Intensive della Provincia di Lecce)
La lotta integrata è riconosciuta e regolamentata dall’Unione Europea, la lotta integrata è un metodo di coltivazione mista, che cioè utilizza sia la chimica che i metodi naturali di difesa dai parassiti.
Potatura: Una potatura leggera ogni 6 anni
Alternanza di produzione: L’oliveto produce due anni e poi per un anno non da alcuna produzione
Raccolta: A Novembre con l’ausilio dello scuotitore raccolgono il 30 – 40 % delle olive.
Caratteri distintivi della coltivazione nell’areale di Carpignano Salentino: la potatura viene effettuata solo ogni sei anni e la raccolta non è anticipata per tutto il prodotto
Le tecniche per attenuare l’Alternanza di produzione dell’olivo
Per attenuare questo fenomeno è indispensabile mantenere il giusto equilibrio tra attività vegetativa e produttiva della pianta, il quale può essere garantito praticando varie operazioni colturali tra cui una razionale concimazione ed irrigazione, una potatura da effettuare ogni anno adeguando la fruttificazione alla vegetazione della pianta, una regolare lotta antiparassitaria (soprattutto contro la mosca dell’olivo) ed una raccolta anticipata.
La risposta alla domanda “Perché l’olivo di cultivar coratina solo nel Salento leccese presenta una forte alternanza di produzione” è la seguente:
Perché al contrario di quanto si fa nell’ordinario nell’areale di produzione invece di effettuare una potatura accurata e molto ben bilanciata ogni anno si preferisce intervenire ogni 6 anni e perché si raccoglie anticipatamente solo il 30 – 40 % delle olive invece di praticare la raccolta anticipata per tutto il prodotto.
Conclusioni
Se si applicasse una corretta tecnica di gestione la cultivar di olivo “coratina” darebbe produzioni di 40 – 80 chili di olive per pianta e considerando una media di 60 chili di olive per pianta e una densità d’impianto di 200 piante per ettaro si avrebbe una produzione dai 120 ai 150 quintali di olive per ettaro.
Considerando che l’Azienda Sicuro ha venduto le olive di coratina a 45 euro al quintale e che queste olive sono molto richieste dal mercato si avrebbe una resa per ettaro annuale di circa 7.000 euro per ettaro.
Ma quali i costi?
Qualcuno potrebbe farmi l’obiezione che tale reddito ha per contro dei costi annuali per potatura e raccolta diversi da quelli che si hanno con la tecnica adottata oggi nel Salento leccese. Ma quali sono questi costi? Vediamoli insieme:
Voce di Costo Euro per ettaro all’anno
Irrigazione, Concimazione 250
Trattamenti fitosanitari 250
Potatura (100 ore per ettaro e operaio a euro all’ora) 1000
Frangitura (5 Euro al quintale) Le maggiorazioni di costo
E’ evidente che dai conti fatti la spesa in più è quella di 1000 euro per ettaro per la potatura e di 600 euro in più per la raccolta. In due anni si spendono in più 3mila euro ma in compenso si ha la produzione di olive nel terzo anno che compensa abbondantemente tale maggiore spesa.
Bibliografia
A GODINI – F. CONTÒ, L’Olivicoltura marginale in Puglia
Alberto Grimelli, ANNO DI CARICA, ANNO DI SCARICA
UNAPROL, FILIERA OLIVICOLA ANALISI STRUTTURALE E MONITORAGGIO DI UN CAMPIONE DI IMPRESE
Alberto Grimelli, Intensivo contro superintensivo. Facciamo un po’ di conti
“quando impararono a coltivare l’olivo e la vite, i popoli del Mediterraneo cominciarono ad uscire dalla barbarie“
Tucidide nel V secolo a.C.
L’olio d’oliva deodorato di provenienza africana o spagnola mette in crisi la produzione dell’olio lampante prodotto nel Salento leccese. Questa «invasione barbarica» provoca danni incalcolabili all’economia della penisola salentina infatti in questo 2010 le olive rimangono sugli alberi o per terra. C’è il pericolo reale per l’intero ecosistema degli uliveti secolari, che rischia di morire ed essere soppiantato, magari da «coltivazioni intensive» di pannelli solari. In questa nota alcune considerazioni sulla indissolubilità Ambiente del Salento leccese e Olivo!
Il Sorgo Dura (Sorghum vulgare): nel 1910 dall’Eritrea al Salento leccese grazie a due fratelli
di Antonio Bruno
L’origine della pianta del Sorgo viene individuata nelle zone tropicali dell’Africa centro-orientale e nelle montagne della Cina centrale e occidentale. Per il consumo umano, il sorgo è al quinto tra i cereali più importanti prodotti nel mondo dopo grano, riso, mais e orzo.
Si tratta di un’importante fonte di calorie e proteine per un segmento importante del popolazione umana nei tropici semi-aridi (Axtel et al., 1981); è cresciuto in tutti i paesi del mondo, tranne che nella parte fredda nord-occidentale d’Europa. I maggiori paesi produttori di Sorgo sono gli Stati Uniti, India, Nigeria, Argentina, Messico e Sudan (Dirar, 1991).
Ogni anno nel Salento leccese per la grande siccità che a a partire dai mesi di aprile – maggio giunge sino alla fine di settembre inizio ottobre si ricorre all’uso dell’acqua che viene smunta dalla falda profonda. Da più parti si grida al rischio desertificazione per la salinizzazione della falda conseguente al suo uso non sostenibile in quanto si emunge molta più acqua di quanta se ne accumula dopo le piogge autunno invernali.
Per questo motivo sarebbe opportuno l’utilizzo di piante da foraggio che sono resistenti alla siccità e quindi mi è sembrato opportuno divulgare le prove fatte nel 1910 nel Salento leccese dal Dott. Giuseppe Elia con il Sorgo Sorghum vulgare (Dura) da semi arrivatigli da un suo fratello che in quel periodo era residente in Eritrea. I semi che gli fece pervenire erano di tre varietà: Mascellai, Gheirai e Carda che, in Eritrea, erano molto poco esigenti di acqua tanto che bastavano le nebbie e le brinate per permettergli di vivere e di produrre.
I semi furono seminati su due appezzamenti del Signor Antonio Corina, uno molto vicino a Martano, terreno molto profondo di medio impasto e fertile, e l’altro a metà della strada che da Carpignano salentino porta a Borgagne, poco profondo ciottoloso e poco fertile.
Nel primo appezzamento la semina è avvenuta in buche distanti 50 centimetri tra le file e nella fila, mentre nell’altro fu seminato a spaglio. Nel primo terreno le piante nel mese di settembre raggiunsero l’altezza di circa 4 metri con un accestimento di 8 germogli a pianta i culmi però divennero durissimi e al bestiame si poté dare solo il fogliame. Nel secondo appezzamento a semina più fitta e a terreno più magro si ebbero piante che non andarono oltre gli 80 centimetri ma essendo più tenere hanno fornito foraggio sia da foglie che dai culmi. Il sorgo è stato tagliato prima della fioritura dopo di che si è avuto un ricaccio che fece procedere ad un secondo sfalcio.
Dalle prove di Martano si poté inoltre constate che i bovini nutriti con il sorgo davano latte di qualità eccellente e che comunque il sorgo rappresenta un alimento ad alto valore nutritivo. Prima di farlo mangiare dal bestiame il Sorgo è stato fatto appassire per un giorno e poi è stato spezzato con il trincia foraggi. Siccome la produzione di sorgo era stata superiore al fabbisogno estivo quella in eccesso fu insilata e si diede successivamente al bestiame registrandone una buona appetibilità, mentre le prove di essiccamento diedero un essiccato che non risultò gradito al bestiame.
Oltre che questi due campi sperimentali di Sorgo furono istituiti altri campi sperimentali sempre di Sorghum vulgare (Dura) a Monteroni di Lecce, presso il Signor Edoardo Chiarella, a Gallipoli presso il Consorzio Antifillosserico, a Lecce presso il Signor Francesco Russo e presso il comizio agrario, a Galatina presso il Signor Domenico Zamboni, a Surbo presso il Signor Duca Francesco Lopez y Royo, a Cavallino presso il Signor Commendatore Francesco Marangi, a Trepuzzi presso i signori fratelli Guerrieri, a Salice Salentino presso il Signor Raffaele Avv. Bernardini, a Monteroni di Lecce presso il Signor Conte Pasquale Romano, a Castrì di Lecce presso il Sig. Dott. Alfonso Didonfrancesco. Alcuni di questi campi furono seguiti dal Dott. Attilio Biasco Direttore della sezione circondariale di Tricase ed altri dal Dott. Enrico Viola Direttore della sezione circondariale di Gallipoli.
Le intuizioni dei colleghi Dottori Agronomi che operarono nel secolo scorso nel Salento leccese sono state profetiche, infatti a un secolo di distanza, un team di ricercatori internazionale, ha descritto il genoma del sorgo, svelando i segreti che permettono alla pianta erbacea di resistere alla siccità.
Questi nuovi risultati, pubblicati sulla rivista Nature, hanno gettato luce su una preziosa fonte di cibo, foraggio e biocarburante ed hanno importanti implicazioni per l’agricoltura nelle regioni più aride. Noi Dottori Agronomi facciamo sempre più fare ricorso a una agricoltura sostenibile per non devastare le risorse naturali che devono essere a disposizione anche dei nostri figli.
Il sorgo rappresenta una coltura che non sfrutta la falda, salvaguardandola dalla salinizzazione che porterebbe senza dubbio alla completa desertificazione del Salento leccese ed è per questo motivo che ne consigliamo fortemente la coltivazione.
Bibliografia
Schede Colturali Edagricole scolastico – I Cereali primaverili estivi ed estivi
L’Agricoltura Salentina
MANUALE DI CORRETTA PRASSI PER LA PRODUZIONE INTEGRATA del SORGO
*Adam E. Yagoub1, Abdel Moneim E. Suleiman1 and Warda S. Abdel Gadir2: EFFECT OF FERMENTATION ON THE NUTRITIONAL AND MICROBIOLOGICAL QUALITY OF DOUGH OF DIFFERENT SORGHUM VARIETIES
Valeria Aiello: Il codice anti-siccità Nel DNA del sorgo il segreto della resistenza all’ariditàhttp://www.valeriaaiello.it/news/ilcodiceantisiccita.htm
Tutti sono consapevoli che senza l’acqua non è possibile pensare alla vita. Gli insediamenti delle persone umane sono sempre avvenuti nei pressi dei corsi d’acqua che consentivano una semplicità di approvvigionamento. Io vivo nel Salento leccese che è caratterizzato dall’assenza di corsi d’acqua superficiali. In questa terra il carsismo provoca la dissoluzione delle rocce calcaree, determina l’infiltrazione delle acque nel sottosuolo, più specificamente nel basamento carbonatico della penisola, dove si forma una potente falda, detta falda di fondo, sostenuta dalle acque marine di intrusione continentale e quindi l’acqua è nascosta nelle viscere della terra e sino al secolo scorso i miei antenati ne ignoravano anche l’esistenza.
Ecco che mi chiedo e vi chiedo come possa essersi sviluppata la civiltà in questa terra senz’acqua?
Nell’800 l’acqua dolce del Salento leccese era raccolta con cura, veniva conservata e usata con grande parsimonia. L’acqua necessaria in quel periodo era ottenuta per una metà dalle falde superficiali, attraverso lo scavo di pozzi, e per la restante parte dalla raccolta dell’acqua piovana nelle cisterne.
Ma vediamo di capire qual’era la cura che si aveva per l’acqua nel Salento leccese: si costruivano delle cisterne nel tufo e poi venivano ricoperte lasciando un apertura che permetteva la raccolta delle acque. Nella zona della “Grecìa salentina”, nei comuni di Martano, Soleto, Martignano, Calimera, Sternatia, Zollino, Corigliano d’Otranto, Melpignano e Castrignano, siccome risulta assente la falda superficiale, si raccoglieva l’acqua piovana in cisterne dette “pozzelle”.
Cosimo De Giorni nel 1872 così descrive le cisterne dette pozzelle: ” Se in un terreno costituito da strati relativamente permeabili, si pratica uno scavo e le pareti si circondano di muratura composta di pietre filtranti e il fondo si copre di argilla o bitume o altre sostanze impermeabili, allora le acque piovane si verranno a raccogliere e depositare negli strati inferiori e dureranno un tempo abbastanza lungo. Nel caso delle pozzelle lo strato permeabile è costituito dalla rozza muratura e dalle marne ferruginose, lo strato impermeabile è formato dalle argille. Ho voluto osservare da vicino codeste costruzioni in quelle pozzelle nelle quali l’acqua raggiungeva un livello relativamente inferiore. Le volte sono costituite di pietre informi di leccese bastardo e di calcare compatto disposte le une sulle altre senza cemento a mo’ delle pareti dei muri che delimitano e circondano i fondi rustici, e così dalla base fino alla bocca del pozzo”.
Nei territori vicini a Lecce si raccoglieva l’acqua dilavante sui tetti, avendo cura di non far confluire nella cisterna di raccolta le prime acque autunnali che ruscellando sui tetti polverosi dopo il periodo estivo divenivano cariche di polveri e altre sostanze che erano trasportate dall’acqua.
L’acqua piovana delle precipitazioni atmosferiche successive veniva invece accumulata nella cisterna. In alcuni casi l’acqua piovana che scendeva dai tetti veniva canalizzata in cataletti di zinco o di mattoni e convogliata nella cisterna principale. Questa cisterna era divisa trasversalmente dall’alto in basso da un muro a secco che, come noto, se lasciato senza intonaco, è molto poroso. Questo muro a secco faceva da “filtro” perché l’acqua passando attraverso questo muro dalla cisterna principale a quella secondaria più piccola risultava filtrata e da qui poi veniva attinta per essere utilizzata. Sistema ingegnoso e assolutamente in linea con i sistemi di filtraggio delle acque utilizzati oggi.
La quantità d’acqua nella cisterna, oltre a dipendere dalle precipitazioni atmosferiche stagionali, era funzionale alla superficie dei tetti e alla loro rifinitura. Infatti è intuitivo che una più ampia superficie di tetti era in grado di raccogliere più acqua piovana. Il limite di allora era rappresentato da case piccole e soprattutto coperte in malo modo da mattoni e legno, se non addirittura di paglia e fango. I tetti così ricavati non erano sufficientemente impermeabili e quindi con una scarsa efficienza nella raccolta dell’acqua piovana.
In alcuni casi si raccoglieva l’acqua piovana canalizzandola dalle aie, che però presentavano una grande dispersione e soprattutto non garantivano l’igiene necessaria.
Vi era l’abitudine di disinfettare l’acqua mettendo nelle cisterne calce viva. Nel caso della raccolta dalle aie, essendo l’acqua carica di materiale organico, produceva cattivi odori che i contadini dell’800 mitigavano immergendo nelle cisterne piante odorose come ad esempio la menta, il timo ed il rosmarino. E’ del tutto evidente che l’acqua raccolta dalle aie era inutilizzabile per scopi potabili ed era invece disponibile per l’irrigazione delle piante.
Nel Salento leccese nel periodo del ‘600 e ‘700 vi fu un grande insediamento di conventi dei più disparati ordini religiosi che spensero la sete delle popolazioni più povere di allora. Come dici? La spiritualità e le preghiere furono la causa dell’approvvigionamento di acqua? No! I conventi avevano grandi superfici di tetti che captavano le piogge e che riempivano di acqua le cisterne dei conventi. Tale quantità era più che sufficiente per i religiosi che donavano l’esubero ai poveri contadini, che così spensero la loro sete.
Con l’avvento della rivoluzione francese e con l’abolizione degli ordini religiosi alle popolazioni del Salento leccese venne a mancare l’acqua dei conventi e la sete aumentò. Le opere di bonifica arrivarono molto più tardi e quindi l’assenza dell’acqua determinò la povertà di queste terre che vivevano di agricoltura.
Oggi con un gesto semplice, ruotando una manopola o alzando una leva, dal rubinetto viene fuori l’acqua, pura, incontaminata e potabile. E’ importante che tutti siamo consapevoli che questo semplice gesto è il frutto degli sforzi e dell’ingegno delle donne e degli uomini del Salento leccese che oggi ha acqua in abbondanza. Ma insieme a questa consapevolezza vi è un pericolo che è rappresentato dall’utilizzo smodato della risorsa che potrebbe esaurirsi. Ma questa è un’altra storia che presto vi narrerò.
Bibliografia
P. Papadia – P. Sansò: Le pozzelle del Salento leccese
Mario De Lucia – Franco Antonio Mastrolia: Società e risorse produttive in Terra d’Otranto durante il XIX secolo.
Cicoria selvatica oppure nel Salento leccese Cecora resta o ancora Cecureddhe per l’etnia dell’estremo Sud Salento. Cichorium intybus L. è conosciuta sin dal neolitico, raccolta dalle donne e usata come cibo ma anche come farmaco.
Dalla Nuova Zelanda semi da cui si ottengono Cicorie con alto contenuto delle sostanze medicinali.
Mio padre la comprava pagandola a caro prezzo e non la chiamava mai singolarmente cicoria selvatica ma al plurale: le cicorie selvatiche (cecore reste). Ricordo invece che mia zia Maria a Chiavenna, in provincia di Sondrio, armata di coltello ne raccoglieva, indisturbata, a borse. Le donne della valle le chiedevano perchè mai raccogliesse quell’erba e lei, schiva, diceva che era molto apprezzata dai suoi conigli, anche se, mia zia Maria, non ha mai allevato conigli in vita sua.
A Lecce si festeggia ogni anno la sagra di queste piante gustose e selvatiche “la Sagra della cecora resta” , anche se il mio amico Leonzio in quel di Frigole, le semina e le raccoglie e quindi gli strappa quel selvatico
Nei primi anni del 900 nel Salento leccese e in Italia ci furono delle frodi come quelle descritte nel libro del grande Dottore Agronomo, Italo Giglioli “Concimi, mangimi, sementi e sostanze antiparassitarie Commercio, frodi e repressione delle frodi” pubblicato nel 1905. Le frodi che erano più usate riguardavano il peso sia per confezioni o pesate che contenevano minore quantità di prodotto rispetto a ciò che era dichiarato sia per contenuto in umidità, la qualità attraverso l’introduzione nella merce buona di sostanze inerti o di poco valore oppure vendendo a prezzi esagerati sostanze che si pubblicizzavano a composizione segreta.
Altra frode riguardava le mescolanze di concimi che venivano vendute a prezzi molto più alti rispetto al prezzo dei concimi semplici, ma c’era anche la frode che riguardava l’ambiguità della denominazione del Concime, come ad esempio denominando un concime come l’anidride fosforica “acido fosforico”, frodando l’acquirente con merce meno ricca.
Per questi inconvenienti gli agricoltori del Salento leccese dei primi anni del 900 si consorziarono in un Sindacato agricolo, che garantiva prodotti attraverso analisi chimiche. Nel 1910 per diventare socio del Sindacato agricolo salentino bastava acquistare un azione del costo di 10 Lire e pagare Lire 0,50 di tassa di ammissione.
Cosa accade oggi con il cibo, con gli alimenti frutto della terra? Vi riporto un dialogo di ieri in Via Foscarini, 16 – angolo Via S. Grande (nei pressi del cinema Santa Lucia) con una persona che era li:
Erano tutti assiepati, c’era tanta gente e mentre in fondo alla sala il Sindaco della Città di Lecce Paolo Perrone e il Presidente della Provincia di Lecce Antonio Gabellone facevano i discorsi di rito per l’inaugurazione del negozio. Una signora accanto a me mi fa: “Bella iniziativa! – e poi aggiunge – Non se ne poteva più di questi prodotti provenienti dalla Cina – io le chiedo a cosa si riferisse e lei mi dice – Sono andata in un Ipermercato di Lecce (lei fa il nome che io invece ometto di scrivere) e ho comprato una confezione di aglio che la cui etichetta lasciava leggere che proveniva da un paese del Salento leccese (anche qui la signora ha detto di quale paese si tratta), ma poi giunta a casa ho letto meglio e ho realizzato che quell’aglio era stato confezionato nel paese del Salento leccese ma prodotto in Cina!”. La signora poi mi ha chiesto del negozio e quando le ho detto che li in Via Foscarini, 16 – angolo Via S. Grande (nei pressi del cinema Santa Lucia) i prezzi dei prodotti sono scontati del 30% rispetto al prezzo indicato dal servizio SMS CONSUMATORI 47947, istituito dal Ministero delle Politiche Agricole la signora è andata in visibilio!
Non so se il comportamento del distributore della confezione di aglio, descritto dalla signora di ieri possa definirsi “frode”, certo è che le informazioni contenute in etichetta erano sicuramente fuorvianti.
Domenico Coluccia della Agricola Nuova Generazione Società Cooperativa di Martano del Salento leccese penso debba capire che questa strategia del “low cost” che significa “a basso costo” ha necessità di essere maggiormente pubblicizzata, perché ai Salentini leccesi deve essere chiaro che in Via Foscarini, 16 – angolo Via S. Grande (nei pressi del cinema Santa Lucia) si potranno acquistare prodotti del territorio spendendo il 30% in meno .
Mi ha fatto molto piacere ricevere questa e mail:
Gent.mo Dott.Agronomo Antonio Bruno,
volevo congratularmi con lei riguardo la splendida iniziativa del primo Farmer’s Market, alias dal “Produttore al Consumatore”…dei prodotti tipici esclusivamente della regione Salento. Ho ricevuto la sua @mail tramite il gruppo Speleo Trekking Salento di cui faccio parte e ne sono orgogliosa (lo dico da pugliese amante del nostro territorio tutto, dal Gargano al Salento) e che grazie a loro sto scoprendo una zona della mia amata Puglia che non conoscevo.
Mi rincresce non esserci all’inaugurazione in quanto sono rientrata a Bari, la città dove vivo, ma mi auguro di visitarlo quanto prima e, soprattutto di fare pubblicità…passa parola…via @mail ect . Con l’augurio che notizie positive come queste siano sempre più frequenti nel salento, magari sarà la volta buona di un Gruppo di Acquisto Solidale (G.A.S)
Con tanto di avvisi via email tramite un addetto come succede orami da un pochino di tempo qui a Bari.
Distinti saluti e …ad majora!
Maria Rita Di Bari
Domenico Coluccia della Agricola Nuova Generazione Società Cooperativa di Martano del Salento leccese penso debba fare tesoro dei suggerimenti della Signora Maria Rita di Bari. Soprattutto sulla dicitura “dal produttore al consumatore” che a mio modesto avviso andrebbe aggiunta a Farmer’s Market.
A Natale puoi!
A Natale puoi acquistare cibi genuini del Salento leccese;
A Natale puoi pagare il 30% in meno;
A Natale puoi essere certo di ciò che mangi se ti recherai in Via Foscarini, 16 – angolo Via S. Grande (nei pressi del cinema Santa Lucia).
Buon Natale!
Per i Consiglieri della Regione Puglia per spiantare un Olivo Monumentale basta il silenzio assenso
di Antonio Bruno
«I popoli del Mediterraneo cominciarono ad uscire dalla barbarie quando impararono a coltivare l’olivo e la vite» (Tucidide, V secolo a.C.)
Mi dispiace in questo ultimo scorcio di 2011 dover rimpiangere il codice babilonese che regolava il commercio dell’olio d’oliva, un’attività a cui per millenni è stata attribuita straordinaria importanza. Addirittura mi trovo a vergognarmi se penso ai Greci che furono i primi a regolamentare la coltivazione dell’olivo, i cui alberi dominavano la rocciose regioni rurali della Grecia e divennero i pilastri della società ellenica; pensate amici miei che erano così sacri che chi ne abbatteva uno era condannato alla morte o all’esilio. La coltivazione era protetta ed incentivata: ad Atene si poteva incorrere in severe sanzioni, passibili anche di condanna a morte, se si violavano le leggi promulgate da Solone a difesa degli olivi.
C’è un fantasma che si aggira nella Regione Puglia
Invece nella Regione Puglia c’è un nemico da battere. Sapete chi è? Ma i
Per reddito di 2,40 Euro al chilo cercasi foglie di vite del Salento leccese
di Antonio Bruno
Nel Salento leccese c’erano 60mila ettari di vigneto e ne rimangono appena 5mila. Con i contributi allo snellimento si è determinato l’abbandono di questa coltivazione che ha caratterizzato per secoli il bel Paesaggio agrario del nostro territorio.
Ieri a Bari grazie al Dott. Giuseppe Lamacchia i 220mila proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese soci del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” sono in condizioni di usufruire di un servizio fornito dall’Ufficio ICE di Bari e dall’Ufficio ICE di Riyadh a vantaggio dei produttori pugliesi di uva, che ha dato l’avvio alla creazione di un nuovo filone di esportazione ovvero quello delle foglie di vite.
Ma che cosa fanno in Arabia Saudita con le foglie di vite della Puglia?
Gli involtini in foglie di vite, sono uno dei più tipici antipasti greci amati in Bulgaria, Romania, Albania…, è tradizione di tanti paesi, ma ha origini ignote
Gli involtini preparati con le foglie di vite sono un piatto dell’est Europa. Si mangiano in Bulgaria, dove si chiamano “sarmi”, in Grecia dove il loro nome è dolmadakia, in Albania, Romania, Macedonia e nei paesi limitrofi. In questi
Il Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” garantisce la salute umana con le analisi di tipo ecotossicologico brevettate dal Prof. Trifone Schettino dell’Università del Salento
di Antonio Bruno
Al Convegno Internazionale del 3 giugno 2011 “i 100 laghi del Salento leccese” che si terrà presso il Palazzo dei Principi Gallone di Tricase ci sarà la relazione del Prof. Trifone Schettino dell’Università del Salento. L’attività scientifica del prof. T. Schettino è ben documentata da più di 100 pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali peer-review. E’ titolare del Brevetto “Metodo per la valutazione enzimatica della tossicità di matrici acquose ambientali” Codice MI2008A00813 ; richiesta estensione internazionale PCT . Abbiamo chiesto al prof. Schettino notizie sulle analisi da effettuare nel caso di utilizzo delle acque reflue in agricoltura.
I CENTO LAGHI DEL SALENTO LECCESE IL RIUSO DELLE ACQUE REFLUE DEPURATE NEI TERRITORI DEI CONSORZI DI BONIFICA
La Confederazione Italiana Agricoltori di Lecce in collaborazione con il Centro Internazionale di Cooperazione Culturale e Scientifica ( CICC ), l’Associazione Dottori in Scienze Agrarie e Forestali della Provincia di Lecce (Adaf Lecce) il Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, quest’ultimo Ente che opera attivamente in Puglia sulla base del Codice Ambientale predisponendo progetti per il riuso delle acque reflue, consapevoli che la sfida a cui si deve rispondere è l’incremento delle risorse idriche disponibili, in considerazione della circostanza che l’A.N.B.I. (Associazione Nazionale delle Bonifiche) insiste nel richiedere un Piano nazionale di invasi medio-piccoli collinari e di pianura , hanno inteso riflettere insieme sul tema del riutilizzo delle acque reflue .
Prendendo atto che è stato proposto, in più sedi, il progetto “Invasi dalle cave del Salento leccese” la Confederazione Italiana Agricoltori di Lecce, il
Il riuso degli avanzi in modo che la produzione agricola plachi la fame di tutti
di Antonio Bruno
Mia padre all’arrivo dei primi caldi di maggio mi diceva “Maggio adagio!” quando gli chiedevo se potevo togliermi finalmente la maglia di lana. Solo che lui continuava con “Giugno adagio”, “luglio adagio” tanto che alla fine io gli chiedevo: “Ma papà, quando potrò togliermi la maglia di lana?”
Ma a parte il rituale della maglia di lana maggio è il mese che decreta la fine dell’inverno, che che ne dicesse mio padre, insomma un mese che annuncia la stagione dei raccolti, la stagione dell’estate.
Certamente è la stagione delle produzioni che la terra ci regala, per la vita delle donne e degli uomini che sono sulla faccia della terra.
La produzione della terra, del globo, è un inno contro lo spreco a cui siamo costretti ad assistere perché non vediamo più i campi pieni di spighe che piegate dal peso dei semi aspettano di essere raccolte. Mi verrebbe da dire che c’è necessità di tenere presente la povertà e la crisi per impedire a tutti i costi che 4.000 tonnellate di cibo buono da mangiare siano buttate via ogni giorno nella nostra Italia.
Eppure mia madre non buttava nulla, ciò che avanzava veniva utilizzato sempre. Siamo in tempo di crisi; è vitale essere parsimoniosi con il cibo. Ma attenti! La prima cosa che dobbiamo fare è riconquistare il rapporto con quello che diventerà la pasta o il pane oppure la pietanza che ci verrà servita fumante a tavola.
Prima di tutto dobbiamo cercare i cibi genuini e non risparmiare sul prezzo che è la paga giusta del lavoratore che li ha ottenuti; la paga del contadino
Gli ambientalisti del Salento leccese scrivono al Governo per impedire che l’olio di oliva lampante venga bruciato
di Antonio Bruno
Lettera aperta – appello urgente indirizzata al Governo
– al Ministro delle Politiche Agricole ed Alimentari, Giancarlo Galan; – al Ministro per lo Sviluppo Economico, Paolo Romani; – per conoscenza al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
Gentili Ministri,
Vogliono bruciare il nostro “sacro” olio d’oliva per alimentare le centrali a biomasse della speculazione della Green Economy Industriale, la stessa che sta devastando impunemente il nostro Paese con pannelli e pale eoliche nelle campagne!
Vi scriviamo con la massima urgenza dal Salento, confidando nella vostra già ampiamente dimostrata sensibilità, nonché sulla vostra lungimiranza ed intelligenza. Il gap che separa Roma e le stanze del Ministero dalla realtà rurale, paesaggistica ed economica pugliese, ci costringe ad essere diretti con voi nell’esposizione della grave problematica, al fine di superare le cortine di mala informazione che mielano e stemperano la realtà, spesso, come in questo caso, a puro fine speculativo per gli interessi di alcune lobby, in pieno contrasto con il vero bene comune dei cittadini e persino con principi costituzionali.
La lobby della Green Economy Industriale ora vuole pure bruciare tutto l’olio d’oliva del Grande Salento, del sud della Puglia, la cosiddetta anche Terra d’Otranto, comprendente grossomodo le province di Lecce, Brindisi e Taranto, l’antica Messapia, per fare costruire lucrose speculative e nocive centrali a biomasse oleose! La stessa lobby politico-imprenditoriale trasversale che ha devastato la campagna di Puglia con mega torri eoliche falcidia uccelli e stupra paesaggio, e con morti deserti sconfinati di pannelli fotovoltaici.
Non un solo albero è stato piantato contro il “climate change” in Salento, contro la desertificazione, ma i suoli sono stati strappati all’agricoltura e alla vita, e desertificati artificialmente al fotovoltaico.
Non credete a quanti parlano, oggi, strumentalmente, di posti di lavoro in meno a seguito del recente intervento del Governo nella materia dei FER (impianti da Fonti d’Energia Rinnovabili, sole, vento e biomasse), figuratevi che numerosi esposti di extracomunitari in Provincia di Lecce, ed inchieste in quella di Brindisi, denunciano lo sfruttamento inumano e al nero di forze lavorative sottopagate di emigranti nell’installazione degli impianti di fotovoltaico.
E’ quello della Green Economy Industriale un mercato drogato da iperincentivazioni pubblica e di rapina!
Chiedetevi quanti posti di lavoro di abitanti della Puglia si perderanno per la cancellazione del paesaggio e quindi del turismo e del settore agro-silvo-pastorale!
Chiedetevi il costo di beni come il suolo, l’orizzonte, l’identità storica, la qualità di vista, lo stato di salubrità di un’intera regione che vengono cancellati! Ed il caso Puglia è null’altro che il caso Italia!
Chiediamo il vostro aiuto, perché sia posto fine a tutto questo scempio falso-green, a favore dei rimboschimenti seri e massicci del Salento. A partire
Da Giacinto Donno, magister del passato, una lezione per il futuro!
di Antonio Bruno
Il patrimonio olivicolo italiano è stimato in 150 milioni di piante distribuite su una superficie di più di 1 Milione di ettari. La Puglia vanta il più alto numero di aziende olivicole, infatti sono più di 267mila. Dagli sforzi, dalla creatività e dai sacrifici di queste donne e uomini vengono fuori più di 222mila tonnellate di olio, quasi una tonnellata in media ad azienda, che rappresenta il 37% della produzione Nazionale di olio d’oliva. Le percentuali sono il risultato di una media basata su dati ISTAT e ISMEA relative alle campagne olearie dal 2002 al 2008.
Per fare quest’olio ci vuole l’acqua che dopo essere stata a contatto o dentro le olive, diviene “Le acque di vegetazione dei frantoi oleari” che costituiscono da sempre un problema ambientale importante per le industrie molitorie, che in Italia raggiungono le 6.000 unità e rappresentano un problema per la nostra Regione perché più della metà delle acque di vegetazione dei frantoi oleari sono concentrate in Puglia.
Partecipo a tanti convegni in cui Imprenditori Agricoli Professionali si accaniscono in un piagnisteo e in lamentazioni struggenti e passionali in cui si dichiarano vittime delle norme assurde che riguardano le acque di vegetazione divenute un problema che, a loro dire, prima non esisteva, e
La tutela del paesaggio e dell’ambiente, la valorizzazione dei prodotti tipici e la sinergia fra agricoltura e turismo che sono settori vitali per l’economia del Salento leccese; settori ricchi di opportunità di sviluppo. L’agricoltura partecipa all’offerta di ospitalità del Salento leccese con l’agriturismo e sostiene la tutela del paesaggio e dell’ambiente naturale.
Al tempo dei Romani la penisola del Salento leccese era circondata dalle paludi. Oggi dopo la bonifica, che è il prosciugamento delle zone paludose realizzata per cancellare la malaria, è rimasto poco della superficie di paludi che erano nel nostro territorio. Per continuare una riflessione iniziata con la dott.ssa Jolanda De Nola la mattina del 9 gennaio 2011 presso la Masseria Visciglito che è in prossimità dell’abitato di Strudà del Salento leccese nella quale pare abbia fatto sosta Ottaviano Augusto, di ritorno dall’Albania, prima di entrare nella città di Lupiae (Lecce), tenterò di dare una risposta alle domande che seguono: Ma com’era il Salento leccese delle paludi? Dov’erano e quanto si estendevano le zone che oggi si definiscono “ecosistemi acquatici di transizione”?
è con piacere che vi comunico che il dott. Giuseppe Lamacchia, Direttore della Sede regionale per la Puglia e la Basilicata dell’Istituto per il Commercio Estero, mi ha assicurato che estenderà ai Consorzi di Bonifica di Puglia l’invito alle prossime riunioni sul progetto foglie di vite in salamoia. Segue la mail del Dott. Lamacchia
—-Messaggio originale—-
Data: 7-feb-2011 14.01
Ogg: Risposta- Progetto foglie di vite in salamoia per l’Arabia Saudita
Bari 28-01-2011 Prot. P. 122
Gentilissimo dott. Bruno,
nel ringraziarLa per l’interessamento e l’entusiasmo dimostrati, La informo che, allo stato attuale, il progetto foglie di vite in salamoia è appena avviato ed occorrerà del tempo per mettere a punto le tecniche ideali di produzione.
Il nostro obiettivo è quello di stimolare una fase sperimentale per consentire alla filiera di raggiungere un livello qualitativo al top dell’offerta internazionale, essendo l’unico modo per riuscire ad entrare nel mercato con un certo grado di competitività.
Ovviamente, grazie alle capacità ed alla tecnologia alimentare attualmente presenti in Italia e, quindi , in Puglia, i protagonisti della filiera saranno sicuramente capaci di recuperare il “ritardo” di secoli di tradizione nella produzione e commercializzazione di questa tipologia di prodotto.
Grazie all’impegno e all’entusiasmo dimostrati dal gruppo di lavoro, ed all’iniziale disponibilità finanziaria messa a disposizione da ICE e Regione Puglia, si è riusciti a scrivere solo le prime pagine di un libro che potrebbe rivelarsi fondamentale per l’agricoltura pugliese.
Ovviamente, a questo punto ci sarà bisogno del coinvolgimento di tutti e di maggiori e ben più importanti risorse, necessarie per avviare una fase sperimentale finalizzata a mettere a punto sia le tecniche di coltivazione che di trasformazione industriale, e questo al fine di automatizzare al massimo la
La cura per il Rhynchophorus ferrugineus, meglio conosciuto come il punteruolo rosso, che sta infestando le piante del Salento leccese esiste? Sembra di si, infatti la soluzione dovrebbe essere l’adozione del Metodo Metwaly. Questo metodo, brevetto internazionale per le miscele adottate e le apparecchiature, è stato messo a punto dall’Agronomo Nabawy Metwaly, del Cairo, che lo ha introdotto in Italia alcuni anni fa. Il medoto dell’agronomo egiziano consiste nell’applicazione dell’endoterapia che, nel caso della lotta al punteruolo rosso della palma, a detta dell’agronomo egiziano, può essere utilizzata con successo sia come forma di lotta preventiva riguardo agli attacchi del parassita sia per la cura delle piante infestate.
L’acqua di pioggia e i reflui depurati nelle cave esauste e nelle doline da crollo pure, fresche e dolci acque dei 97 laghetti del Salento leccese
di Antonio Bruno*
È stato pubblicato, il 22 luglio scorso, dalla Regione Puglia, un avviso pubblico per la selezione di interventi volti al recupero ambientale di cave dismesse. Si tratta di risorse derivanti da fondi europei destinati al risanamento e riutilizzo ecosostenibile delle aree estrattive. Grazie ad una proroga, il termine ultimo per la consegna delle domande di ammissione a contribuzione finanziaria è scaduto alle ore 13 del 19 novembre 2010, se ci fosse un’ulteriore proroga il Consorzio di Bonifica “Ugento e Li foggi” potrebbe presentare il progetto sintetizzato in questa nota.
Le ultime campagne olivicole sono risultate caratterizzate dalla diffusione sempre più grave della lebbra dell’olivo. L’incidenza di tale fitopatia ha contribuito a compromettere ulteriormente un comparto, come quello olivicolo, già gravemente colpito da una dura crisi di mercato. La situazione della malattia si è aggravata e la virulenza riscontrata è eccezionale. Per dare l’informazione ad un settore che troppo spesso ha sofferto della mancanza di una comunicazione efficace a misura dei propri operatori la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e il Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” hanno organizzato alcuni incontri tecnici sulla lebbra del’olivo, Colletotrichum gloeosporioides, Colletotrichum acutatum, che si terranno:
sabato 11 dicembre alle ore 18 ad Ugento (Lecce) presso la Sala conferenze del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” S.P. 72 Ugento – Casarano Km. 2 domenica 12 dicembre 2010 alle ore 18 presso la Sala conferenze della Cooperativa Nuova Generazione Via Provinciale per Borgagne km 1 a Martano (Lecce).
La sfida del Sud Est: come proteggere il Salento leccese dalle alluvioni?
di Antonio Bruno
E’ pesante il bilancio dei danni provocati dal maltempo che il 3 novembre 2010 ore si abbattuto sul Salento leccese. Tanti gli allagamenti e i conseguenti disagi. In questa nota una proposta per uscire dall’emergenza alluvioni.
Sei proprietario di un pezzettino di Pianeta terra? I tuoi antenati o gli antenati dei proprietari dai cui lo hai acquistato hanno piantato gli alberi d’olivo che ora tu custodisci? Come dici? Più forte prego! Hai detto si? Bene allora fai attenzione perché quanto è scritto potrebbe essere per te una opportunità.
Un pomeriggio di primavera, la brezza leggera che accarezza il viso della mia famiglia: io, mia moglie e mia figlia in bicicletta. Sotto le ruote antichi tratturi, immersi nella natura ancora selvaggia e incontaminata si snodano nella campagna di San Cesario di Lecce e i fiori esplosi in questa primavera sono per noi il segno della vegetazione sorprendente accanto alla gariga dove indico alla mia piccola Sara le meravigliose orchidee, gli anemoni di varie specie e colorazioni, le maestose agrimonie, le praterie di arisari (Arisarum vulgare) e altre meraviglie della flora spontanea salentina.
“Papà guarda in fondo! C’è un lupo!”, è la voce di mia figlia Sara, guardo meglio e gli dico che è un albero d’olivo!
E’ bello guardare le mille facce e forme che dal tronco degli olivi si materializzano sotto i nostri occhi. Ecco perché nei giorni scorsi presso la sede del GAL (Gruppo di Azione Locale) Capo di Leuca insieme all’on. Antonio Lia che ne è il Presidente quando Agri Colture guidata dall’amico Angelo Amato ha presentato il progetto “adotta un albero d’olivo” c’è stata una grande emozione da parte dei presenti, un brivido che ha percorso la sala del meraviglioso Castello Gallone di Tricase costruito nel 1661 da Stefano II Gallone, primo Principe di Tricase che volle fare tante stanze quanti i giorni dell’anno e una sala detta “del trono”, tanto grande da contenere più di mille persone.
Se hai un albero secolare, Agri culture lo fa adottare, e a chi avrà quell’albero viene dato l’olio che si ricava dalle olive che quell’albero secolare produce spremute da un frantoio mobile sotto i tuoi occhi. Queste donne e uomini che dalla Francia, Germania, Svizzera, Olanda e Norvegia ma anche del Salento leccese, di Milano o di Forlì verranno a vedere sgorgare dal frutto l’oro liquido e poi, si porteranno a casa, un pezzo di storia del Mediterraneo carico di influenze riconducibili alle dominazioni e ai popoli stabilitisi in questi territori che si sono susseguite nei secoli: messapi, greci, romani, bizantini, longobardi, normanni, albanesi, francesi, spagnoli.
Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nel suo sito chiarisce le disposizioni circa il divieto di abbattimento di olivi nei casi di espianto con zolla o spostamento e questo deve far riflettere gli “innamorati dell’olivo” che cercano di portarsi a casa la pianta secolare.
Mi rivolgo a te che abiti nel nord Europa, che ami questa pianta e che hai pensato di acquistarla per piantarla nel tuo giardino.
Non farlo! La uccidi per amore! Lei non riesce a vivere alle tue latitudini. Invece se ti rivolgi a me scrivendomi, potrai adottarne una e venirti a prendere l’olio che vedrai sgorgare sotto i tuoi occhi da un frantoio mobile che lavorerà le tue olive, in tua presenza e sotto al tuo albero, nostro ospite, perchè se non lo sai noi del Salento leccese siamo così ospitali che chi ha l’avventura di frequentarci non può più fare a meno di noi e ci trona a trovare spessissimo.
L’adozione a distanza di un albero d’olivo è un atto di solidarietà verso la madre terra che garantisce ai custodi delle piante un reddito e che ti permette di portare a casa l’olio che proviene da quell’albero che tu hai adottato.
L’adozione a distanza di un albero d’olivo mette in condizione, i custodi del Paesaggio rurale, di potersi prendere cura dei loro campi, che sono un pezzettino del nostro Pianeta e di poter sostenere le spese necessarie per la crescita degli alberi e delle piante, evitando così che, sotto la pressione delle difficoltà economiche, si giunga alla disgregazione del Paesaggio rurale e alla distruzione degli olivi perché non più convenienti dal punto di vista economico.
Settimane fa a Tricase un vivace gruppo di “Custodi del Paesaggio” ha riempito l’incontro di suggerimenti, annotazioni e non sono mancate neppure le domande e le raccomandazioni. Ai custodi del territorio presenti, che rappresentavano aziende d’eccellenza, abbiamo fatto presente, in onore del 1 maggio festa del lavoro che abbiamo festeggiato, che stando al rapporto presentato alla Camera dei Deputati, in agricoltura il tasso di irregolarità è cresciuto dal 20,9% del 2001 al 24,5% del 2009 con una crescita costante del fenomeno e una preoccupante diffusione, soprattutto da noi al Sud dove il tasso complessivo di irregolarità raggiunge il 25,3% ma con punte estreme in Campania (31,0%) e Calabria (29,4%) e che l’iniziativa di Agri Colture può contribuire a dare un reddito legale ai lavoratori insistendo nella battaglia per l’emersione delle irregolarità e per il maggior uso di nuovi strumenti di assunzione come i cosiddetti vaucher che per ora vengono usati pochissimo nel Salento leccese.
Fresco di legalità, è scritto sui sacchetti distribuiti oggi nelle piazze di Roma, Bologna e Rosarno.
Dentro a quei sacchetti, verdure fresche e sane perché depurate da quelle contaminazioni mafiose che troppo spesso avvelenano i territori.
L’olio d’oliva di Agri Colture, lo stesso olio della dieta mediterranea, che fa mangiare correttamente la tua famiglia perché assaporandolo e mangiandolo porti nel tuo corpo un equilibrato apporto di nutrienti che contribuiscono a ridurre il rischio di sovrappeso ed obesità.
Olio d’oliva “Fresco di millenni di storia”, l’olio di Agri Colture, l’olio di quell’albero di olivo, che ha un suo carattere, che è diverso da quello dell’olivo che gli è cresciuto accanto per secoli.
L’olio d’oliva che tu e i tuoi figli metterete nelle pietanze per impreziosirle e riempirle di sapore e di gusto e che inonderà il tuo corpo e quello dei tuoi familiari di millenni di saggezza.
Più volte, riportando le annotazioni che provengono dalla bibliografia, ho fatto riferimento alla gravissima crisi che alla fine del 1800 inizi ‘900 attraversava l’olivicoltura del Salento leccese che nel 1905 non era derivata da un problema di mercato ma dalle avversità, specialmente dalla Brusca parassitaria causata da un fungo appartenente alla divisione Ascomiceti (Stictis panizzei). Questo fungo nel 1905 attaccò duramente dli oliveti di Cavallino, Lizzanello, Vernole, Martano e Melendugno nel Salento leccese. Si notarono le manifestazioni in
Le notizie servono, fanno accendere la curiosità. La curiosità di donne e uomini di una terra che, come un virus, contagia quelli con cui viene a contatto e determina azioni motivate dalla sete di sapere, di capire, per ottenere ciò che è più vicino possibile alla nostra natura.
Perché quella donna che andava in giro a raccogliere il cibo è presente e viva dentro di me e dentro di te che leggi. Il suo anelito alla ricerca di nuovi frutti, alla scoperta di nuovi sapori ed odori, è il mio stesso anelito, è il tuo
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