Dialetti salentini: i proverbi del pane

di Marcello Gaballo e Armando Polito

L’immagine d’esordio si riferisce ad un pane di quasi duemila anni fa rinvenuto nel 1748 ad Ercolano nella Casa dei Cervi ed attualmente custodito nel Museo Archeologico Nazioanale di Napoli. Sullo spicchio centrale di sinistra si legge su due righe, impresso con un signaculum (timbro) CELERIS ˑ Q(UINTI) ˑ CRANI/VERI ˑ SER(VI)=Di Celere schiavo di Quinto Cranio Vero. Si suppone che il timbro avesse la funzione di evitare la confusione con gli altri pani portati per la cottura in un forno comune, pratica abituale fino agli ultimi decenni del secolo scorso, quando il pane veniva preparato in casa. Dopo questo primo riferimento al passato, tocca farne un secondo mediante i proverbi, depositari un tempo della saggezza popolare e che oggi, agli occhi di chi se ne occupa, sembrano aver fatto la fine dei nobili decaduti. Ma, fedeli anche alla sequenza del titolo, cominciamo col pane.

L’importanza di una parola si misura anche dai significati metaforici dei quali essa nel tempo si arricchisce. Così, dall’uomo non più semplice raccoglitore ma agricoltore, è entrata, oltre che nei proverbi,  in locuzioni come tenere a pane e acqua, buono come il pane, dire pane al pane e vino al vino, non è pane per i tuoi denti, non si vive di solo pane, per un tozzo di pane, mangiare pane a sbafo, panem et circenses per mantenere il potere ed altre, senza dimenticare la prima parte della sentenza biblica che ha posto le basi del maschilismo e delle future rivendicazioni femministe, il tu, uomo, guadagnerai il pane col sudore della fronte (vedi n. 13).      Ancora qualche anno, forse mese, e il pane, con cura sapientemente amorosa tramandata prer millenni da una generazione all’altra impastato, modellato e cotto, sarà con meccanico disprezzo sputato (per rispetto del lettore non usiamo un termine più volgare …) da una stampante 3D, asettica come sicuramente l’UE si sarà precipitata a stabilire con una delle sue strampalate direttive.

E così sarà anacronistica solo nella forma, purtroppo, la tavola di Francesco Gonin a corredo dell’edizione del 1840 del romanzo manzoniano, con la rappresentazione dell’assalto al forno delle Grucce. L’obsolescenza farà piazza pulita forse delle locuzioni prima ricordate (vi aggiungiamo la dialettale stamu ancora a ppane e ggranu, cioè siamo appena all’inizio) ma  i certamente dei proverbi, in primis i dialettali, che qui poniamo a futura memoria. Ciò a qualcuno apparirà come il parto di cervello con neuroni fuori controllo o manifestazione di una personalità perversa e pervertita. Forse per questo non siamo riusciti a resistere alla tentazione di comparare il tempo che è con quello che fu, consapevoli di passare come i soliti laudatores temporis acti, volgarmente detti nostalgici brontoloni. Questo vale, per ragioni anagrafiche,  soprattutto per uno dei due autori, ma entrambi sarebbero felici se altri, magari solo un pizzico meno perversi di loro …, integrassero questa piccola e inevitabilmente incompleta antologia con qualche proverbio che sicuramente ci sarà sfuggito o, cosa ancor più gradita, con osservazioni, soprattutto critiche, nel senso immeritatamente dispregiativo a priori che questa parola ormai ha assunto. E un’ultima immagine valga non solo ad esorcizzare il pessimismo ispirato dalla tavola del Gonin ma anche a dimostrazione che non siamo patetici brontoloni e barbosi parrucconi privi d’ironia, anche perché dalla serietà alla seriosità il passo è breve …

 

Le barre presenti nei proverbi in rima, hanno la funzione di separare i singoli versi.

1) CI FACE PANE E CCÒFANE1, ‘NDI2  SBAGLIA; CI PORTA CARROZZE PURU ‘NDI BBOCCA

Chi fa il pane e il bucato, ne sbaglia; pure chi guida le carrozze ne fa ribaltare

Nessuno è indenne dal commettere errori.

 

2) CI L’HA DDITTA CA LU PANE GGH’È3 MMODDHE? LU PANE È SSEMPRE TUESTU PI CCI FATÌA

Chi l’ha detto che il pane è molle (morbido)? Il pane è sempre duro per chi fatica (lavora)

 

3) CI MANGIA PANE E TTARICE4/LI SECRETI TI CASA NO LLI TICE

Chi mangia pane e ravanello, i segreti di casa non li dice

La dignitosa riservatezza del povero, cui fa da contraltare, soprattutto nei nostri giorni, la esibizionistica pubblicizzazione della beneficenza (quando c’è …)  del ricco.

 

4) CI MANGIA PANE ‘MPRUSCINUTU5 CACCIA LI TIENTI TI ORU

A chi mangia pane ammuffito spuntano i denti di oro

E i ragazzini di una volta ci credevano …

 

5) CI MI TAE PANE CHIAMU TATA6

Chiamo padre chi mi dà pane

 

6) CI NO CCÀMBARA7 TI NATALE O GGH’È8  TTURCU O GGH’È CCANE/O GGH’È MMOTU PUIRIEDDHU O NO TTENE MANCU PANE

Chi non mangia carne a Natale, o è turco o è cane, o è molto poverello o non ha neppure pane

Il cane che non mangia carne a Natale è un’invenzione ispirata da esigenze di rima.

 

7) CI TENE CORNE TENE PANE,/ CI TENE FIGGHE FEMMINE CU NNO DICA PUTTANE,/CI TENE FILI MÀSCULI CU NNO DDICA LATRI

Chi ha le corna ha pane, chi ha figlie femmine non dica puttane, chi ha figli mashi non dica ladri

A parte le corna, Il resto è un invito a non dare giudizi aprioristici.

 

8) CI TENE PANE CU SSI LU MANGIA/E CCI TENE PENE CU SSI LI CHIANGA

Chi ha pane, che se lo mangi e, chi ha pene, che se le pianga

Tutto articolato sul gioco di assonanza (pane/pene; mangia/chianga)..

 

9) CI VUEI CU CCANUSI L’AMICU FIDELE, HA MMANGIARE PANE TI SETTE FURNI

Se vuoi conoscere l’amico fedele devi mangiare pane di sette forni

Con una metafora, per così dire, cannibalesca si afferma che è necessario mettere alla prova parecchie persone per saggiarne prima l’amicizia e poi la fedeltà.

 

10) FURNU, SCIARDINU E MMASSARIA:/TRE MIGGHIA LUNTANA LA CARISTIA

Forno, giardino9 e masseria: tre miglia lontana la carestia

Un distico di endecasillabi perfetti, in cui metonimicamente e in un climax ascendente sono celebrati i cardini fondamentali di una sana alimentazione: il pane, la verdura, mentre la masseria li riassume con l’aggiunta della carne. È un inno, se si vuole alla dieta mediterranea ma anche ad un mondo non travagliato, come il nostro, da ben altri appetiti. Queste considerazioni salutistiche, però, sarebbero state banali in passato, quando l’ambiente era meno malato e l’agricoltura era l’attività, se non unica, primaria. Oggi, comunque, possiamo sollazzarci con antiche masserie convertite in agriturismo o in alberghi pià o meno di lusso e, per quanto riguarda il pane, di prodotti in cui la farina forse non può essere osservata nemmeno con un microscopio di ultima generazione.

 

11)  L’ARCU TI SERA:/O CHIOE O ‘NCERA:/L’ARCU TI MATINA:/PÌGHIA LU PANE E CCAMINA

L’arco (arcobaleno) di sera: o piove o incera (il cielo avrà il colore della cera)/: l’arco (l’arcobaleno) di mattina: prendi il pane e mettiti in cammino.

 

12) LI MARITI SO’ PANETTI ‘N PRIESTU

I mariti sono panetti in prestito

Potrebbe sembrare un’affermazione sprezzante, quasi come una sorta di rassegnazione al tradimento maschile (senza escludere lo scambismo, che forse a torto consideriamo un fenomeno recente) ma più probabilmente il riferimento, di natura tutt’altro che laica e materialistica, è alla parabola (Vangelo secondo Luca, 11) che recita: Poi aggiunse: – Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: – Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti – e se quegli dall’interno gli risponde: – Non m’importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli -, vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza. La parabola vuol sottolineare l’importanza della preghiera a Dio (l’amico), che prima o poi, se rinnovata (insistenza), sarà esaudita. rimane inquietante il dettaglio del prestito, che lì per lì farebbe pensare non tanto ad un’impraticabile anticipazione della figura dell’uomo-oggetto quanto all’aleatorietà della vita, ma, non essendo la premorienza del marito cosa scontata, quello che è un prestito diventa un dono grazia  dio somma bontà.

 

13) LI PENE CU LLU PANE S’IMPASTANU

Le pene al pari del pane si impastano

Rassegnata accettazione della vita con la similitudine in funzione lenitiva. Il proverbio, comunque, appare ispirato da In sudore vultus tui vesceris pane (Genesi, III, 19)=Nel sudore del tuo volto ti nutrirai di pane.

 

14) LU CIRIEDDHU TI CAMPA,/CA LU PANE TANTU TI BBÈNCHIA10

Il cervello ti campa (fa vivere), che  il pane intanto ti sazia 

Elogio dell’intelligenza (ti campa), ma va anche considerato che il cervello funziona solo se adeguatamente irrorato, il che dipende, arteriosclerosi a parte, dall’alimentazione, cioè dalla soddisfazione della fame (ti bbènchia). Vale la pena ricordare, in ordine cronologico, Esse oportet, ut vivas, edere, non vivere, ut edas (Cicerone, Rhetorica ad Erennium, IV, 28)=È necessario che tu mangi per vivere, non che viva per mangiare, Non di solo pane vivrà l’uomo (Luca, 4, 4)  e Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza (Dante, Inferno, XXVI, 119).

 

15) LU PANE CCATTATU11 NO TTI BBÈNCHIA12

Il pane comprato non ti sazia

Se ci si dovesse attenere al significato letterale, oggi tutti saremmo morti da un pezzo. Purtroppo è moribondo, se non già morto da tempo, il sentimento di intima soddisfazione nel creare, pur col sacrificio, qualcosa di nostro, il che è quello che metaforicamente il proverbio vuole esprimere. E poi, tra suggestioni pubblicitarie e additivi di ogni tipo, pure le papille gustative hanno perso la loro capacità critica e fra poco la perderanno anche i nostri amici animali con gradevolissime crocchette a caro prezzo a base di polvere lunare …

 

16) LU PANE NO CCALA TI CIELU

Il pane non cala dal cielo

Oggi, con il prevalere nella coscienza collettiva del diritto sul dovere (compreso lo sfruttamento folle delle risorse del pianeta in nome di un discutibile progresso asservito al consumismo, all’apparire e al profitto), dal cielo cominciano già a calare bombe d’acqua e simili …

 

17) LU PANE TI L’ADDHI TI ‘NDORA

Il pane degli altri ti odora (profuma)

In apparente contrasto con il n. 15, riguarda gli incontentabili ma ancor più i parassiti.

 

18) MACARI CA MANGI PERE E GGIRASE13;/MAR’A LLA ‘ENTRE CA PANE NO TTRASE14

Magari che mangi pere e ciliege, (è) ) amaro (guai) al ventre che (in cui) non entra pane

Ma allora non c’erano i McDonald’s …

 

19) MAI PANE A FFIGGHI TI ADDHI HA DDARE,/MAI SECRETI ALLA MUGGHIERE15 HA DDIRE,/MAI PATRUNU CU LLU CORE HA SSIRVIRE

Mai pane a figli d’altri devi dare, mai segreti alla moglie devi confidare, mai pasdrone devi servire col cuore

Sorprendente trilogia dell’indifferenza, della sfiducia e della mancanza di devozione, per quanto laica, in tutto, magari, in netto contrasto con quanto predicato dalla religione formalmente professata e praticata.

 

20) MAZZA E PPANELLA/FACE LA FIGGHIA BELLA,/PANE SENZA MAZZA/FACE LA FIGGHIA PAZZA

Mazza e pane fanno la figlia bella, pane senza mazza fa la figlia pazza

Una volta tanto, al bando alla solita similitudine animalesca, che rimane in il bastone e la carota. Il maschilismo, poi, insito in figghia potrebbe da qualcuno essere furbescamente giustificato da esigenze di rima (panella/bella, mazza/pazza).

 

21) MEGGHIU GGNORU PANE CCA GGNORA FAME

Meglio nero pane che nera fame

La filosofia della rassegnazione e dell’essere soddisfatti di quello che si ha, pensando che poteva andar peggio. È doveroso, però ricordare che quella filosofia consolatoria è stata vergognosamente sfruttata per secoli, mentre oggi, e non è certo un grande passo in avanti, prevale quella populistica del tutto è dovuto, ope legis.

 

22) PANE CU LL’UÈCCHI E CCASU SENZA UÈCCHI

Pane con gli occhi (fresco, ben lievitato)e cacio senza occhi (senza bolle d’aria, ma anche ben stagionato)

Se emmental non fosse stata una parola sconosciuta al tempo della nascita de detto, l’avremmo interpretato come una dichiarazione di guerra al formaggio svizzero..

 

23) PANE E ULÌE/MANGI PI TTRE DDIE16

Pane e olive: magi per tre giorni

Esaltazione del potere energetico dei due alimenti; il contrario di lu risu/’nn’ora ti mantene tisu (il riso un’ora ti mantiene in piedi)

 

24) QUANDU CATE TI SABBATU LU NATALE, INDI LA CAPPA E CCATTA17 PANE

Quando Natale cade di sabato, vendi la cappa (il mantello) e compra pane

La vendita del mantello per acquistare pane probabilmente allude al pericolo di carestia, ma non si comprende la connessione di questa con il Natale che cade di sabatom anche perché lo stesso invito rivolgono simili proverbi non salentini: per esempio, i toscani: Quando Natale viene in domenica, vendi la tonica per comprar la melica18 e Natale in venerdì vale due  poderi; se viene in domenica, vendi i bovi e compra la melica.

25) QUANDU LA ZZÌNGARA FACE LU PANE,/TOTTE LI ZZÌNGARE MANDA A CCHIAMARE,/CU LLA ‘IÙTANU A LLU SCANARE19, LU TIMPIRARE E LLU ‘NFURNARE

Quando la zingara fa il pane, manda a chiamare tutte le zingare, perché l’aiutino a spianare (la pasta), a temperarla (lavorarla) e a infornare

 

26) SI ‘NDI VONU PRIMA LI CUDDHURE20 TI LI PANETTI

Se ne vanno (si consumano) prima le ciambelle dei panetti

 

27) TI SANTA LUCIA A NNATALE/QUANTU ‘NCUÈFANI21 E FFACI LU PANE

Da santa Lucia a Natale (dal 13 al 25 dicembre) quanto (è il lasso di tempo sufficiente) perché faccia il bucato e il pane

 

28) TUMENICA SO’ LLI PARME/E ALL’ADDHA PANE E CCARNE

Domenica è la festa delle Palme e nella successiva (si potranno consumare) pane e carne

Abbandonato da tempo, il digiuno alimentare religioso sarebbe il tempo di farlo con gli altri laici, letterale e non …

 

29) LA SCIURNATA CCHIÙ LLONGA È QUEDDHA SENZA PANE

La giornata più lunga è quella senza pane

 

30) PICCA PANE E PPICCA PATERNOSCI

Poco pane e pochi Paternoster

Concezione utilitaristica della religione. Il retaggio è antico, perché nei èpemi omerici, per dare un esempio, si rimprovera spesso al dio di turno di non essere venuto in aiuto nono stante le preghiere rivolte e, soprattutto, le offerte fatte. Si tratta della versione abbreviata e resa anonima anche ad uso laico interpersonale di Santu Nicola, ci no mmi pruìti, Paternosci ti me no ‘ndi ‘iti

San Nicola, se non mi provvedi, Paternoster (preghiere) da me non ne vedi

 

31) PICCA PANE E PPICCA VINU,/PICCA ZZAPPA LU MARTINU

Poco pane e poco vino, Martino zappa poco

Giusta rivendicazione salariale ante litteram.

 

32 MAI CANIGGHIA22 HA FFATTU PANE

Mai crusca ha fatto pane

Tanto per restare al significato letterale, magari intervenisse solo la crusca (con le sue benefiche

fibre) nelle moderne sofisticazioni!

 

33) ‘NU GGIURNU A SCATTA23 PANZA E DDECE A PPANE E CRITENZA

Un giorno a scoppia-pancia e dieci a pane e credito

 

34) PANE CU NC’ESSA ALLU CUMIENTU, CA LI MÒNACI VONU E BBÈNINU

Che ci sia pane al convento, perché i monaci vanno e vengono

La convivenza sociale dovrebbe essere basata, purtroppo non lo è, sull’impegno e la collaborazione dei singoli.

 

35) SOTT’ALLA NEE PANE,/SOTT’ALLU SCELU FAME

Sotto la neve pane, sotto il gelo fame

 

36) LU SIGNORE TAE LU PANE A CCI NO TTENE TIENTI

Il Signore dà il pane a chi non ha denti

Spesso il bene tocca a chi non sa o non è in grado di apprezzarlo.

Una variante, in cui però friseddhe per la loro durezza rispetto al pane ha il significato metaforico di difficoltà, è Lu Patreternu tae li friseddhe a ccinca24 no lli rròsica (Il Padreterno dà le friselle a chiunqu non le rosicchiaa).

­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­_____________

1 Come l’italiano còfano,  è  dal latino còphinu(m)=cesta, a sua volta dal greco κόϕινος (leggi còfinos)], dal nome del grande contenitore di creta utilizzato per quello che era quasi un rito, con la collaborazione di tutti i membri della famiglia.

2 Più vicino al latino inde=di lì, rispetto all’italiano ne, che ha la stessa origine.

3 Da egli è (latino ille est) per aferesi e passaggio –gl->-gh– come in ‘ccugghire” rispetto a cogliere.

4 Da radice per metatesi a distanza.

5 Da ‘mpruscinire. La voce per il Rholfs deriva da in+fuliggine, come per ‘mpiddhuscinare. Se fuliggine va bene per quest’ultimo , appare evidente

la sua incongruenza fonetica con ‘mpruscinire, per il quale proponiamo lo stesso etimo di ‘mpuragnire (l’infettarsi di una ferita o piaga) e che ha alla base puro: ‘mpuragnire da in (privativo, non locativo come quello del Rohfs) + *puraneare e ‘mpruscinire da in (sempre privativo)+ *puriginire, dal classico purigare=purificare, pulire.

6 Dal latino tata=babbo, a sua volta dal greco τάτα (leggi tata) o τατᾶ (leggi tatà) o τέττα (leggi tetta), tutti con lo stesso significato.

7 Ccambaràre è per il Rohlfs (I° volume, lemma cammeràre, pag. 98) dal greco dialettale γαμαρίζω (leggi gamarìzo). Osserviamo che esso potrebbe essere connesso con il classico  γαμηλία   (leggi gamelìa)= banchetto nuziale; senonchè nel III° volume (pag. 906) alla voce cammeràre si legge: L’etimo proposto, cioè il neogreco dialettale γαμαρίζω, appartiene ai dialetti di Creta e dell’Asia Minore, mentre la forma magarìzo ‘io mangio di grasso’ è di più larga diffusione; si confronti ancora il latino tardo camaràre ‘sporcare’. Di questo verbo, però,  non ci risulta nessuna attestazione, se non il camaràre (variante di cameràre) di Plinio (Naturalis historia, X, 33) col significato inequivocabile di proteggere con qualcosa a forma di volta e che, in tutta evidenza, nulla ha a che fare col significato di sporcare.

8 Vedi la nota 2.

9 Sciardene erano detti i terreni a coltivazione orticole, senza per questo escludere la presenza di alberi.

10 Da bbinchiare, dal latino  inflare=soffiare dentro, gonfiare, con prostesi della preposizione  ab (=da); trafila: *abinflare>bbinflare (aferesi e geminazione di compenso)>*bbinplare>bbinchiare (usuale passaggio –pla->-chia-. Bbinchiare è usato anche nel significato di percuotere, connesso sempre con l’idea del gonfiare, prima conseguenza del pestaggio.

11 ‘Ccattare, come l’italiano accattare, è dal latino medioevale accaptare, a sua volta dal classico ad+captare (quest’ultimo intensivo di càpere=prendere). Stesso etimo hanno il francese acheter e il normanno acater.

12 Vedi la nota 8.

13 Ggirasa è dal latino medioevale cerasea(m).

14 Da trasire, che è dal latino transire, composto da trans=oltre+ire=andare.

15 Dal latimo muliere(m)=donna.

16 Plurale di dia, più fedele dell’italiano al latino die(m).

17 Vedi la nota 11.

18 Altro nome del sorgo; forma aggettivale dal latino milium=miglio.

19 Dal latino explanare, con esito –pla->-ca– (come per –cla– i n scamare, per cui vedi la nota al n. 393) invece del più regolare –pla->-chia-, che si è conservato, invece, in chianu (=piano) da planu(m).

20 Dal greco κολλύρα (leggi colliùra)=pagnotta.

21 Da ‘ncufanare, formato dalla preposizione in e da un denominale da còfanu,  per il quale vedi la nota al n. 137.

22 Dal latino canìia (=cose, cibo per cani), aggettivo neutro plurale  sostantivato da canis=cane.

23 Da scattare, che, come la voce italiana, è da un latino *excaptare, dal classico ex (con valore privativo) e captare (=tentare di afferrarere), conativo di càpere (=prendere); la voce salentina, oltre ad essere sinonimo di scoppiare, conserva pure il significato  conserva nell’uso  pure quello dell’italiana.

24 Come l’italiano chiunque, dal latino quicumque.

 

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3 Commenti a Dialetti salentini: i proverbi del pane

  1. Ci ippe pane campau
    Ma ci ippe focu mancu murìu.

    Proverbio che indica Na necessità di entrambe le cose

  2. Di seguito alcuni proverbi corsanesi in tema:
    Avoija manci pire e cirase, ammara a chira ventre ca pane nu trase.
    Ogni doja allu pane torna.
    U pane du cuvernu (Governo) centu anni lu manci e a n’ura lu cachi.
    Ci me dane pane chiamu tata.
    Meru de vutti, pane de ranu e lucerne de Turre.

    saluti
    P. Cazzato

  3. C’è un proverbio che ha attinenza col pane anzi con la panificazione che ho sempre apprezzato, non so se in questa sede sia appropriato, ma lo propongo.
    Strinci la farina
    quannu la matthra è china
    ca quannu lu funnu pare
    no te serve lu cavitare.

    Cioè: risparmia all’inizio dell’opera e fallo per tempo perchè verso la fine quando ti servono le risorse, il risparmiare non giova più

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