Ipazio: il restauro delle due sculture lignee di Tiggiano

di Andrea Erroi

“Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento

dell’opera d’arte nella sua consistenza fisica e nella duplice polarità estetica e storica,

in vista della sua trasmissione nel futuro.”

(Cesare Brandi)

 

Il termine restauro ha assunto nel corso dei secoli numerosi significati, a volte contrastanti fra di loro, in relazione alla cultura del periodo e al rapporto di questa con la storia, sicché è difficile darne una definizione univoca.

Certamente é condivisa la visione del restauro come attività volta alla manutenzione, al recupero, al ripristino e alla conservazione di manufatti storici, quali ad esempio un’architettura, un dipinto, una scultura.

Questo “momento metodologico” si inserisce nella storia naturale di un manufatto o bene culturale, che sin dalla sua genesi è sottoposto, come ogni materia, ad un graduale e lento processo evolutivo, che comporta necessariamente un degrado della materia di cui esso stesso è composto. Il manufatto, perciò, progettato e creato dall’artista, nato per assolvere un preciso compito, è inserito nell’ambiente che lo rende funzionale.

Ed é proprio il rapporto con il suo ambiente che influenza e accelera i processi di invecchiamento (alterazione) e in tale ambiente il bene può ricevere danneggiamenti diretti o indiretti. A grandi linee, i fattori di questo deterioramento possono essere distinti in: fattori fisici, chimici e biologici.

Il degrado comporta una difficile e spesso disturbata lettura del manufatto, che perde la sua funzionalità, cioè perde la sua capacità di comunicare, di educare, di portare alla fede, di affascinare, di testimoniare un momento importante della storia di una comunità, con il grave pericolo di “estinguersi”. È proprio di fronte a queste difficoltà oggettive che si rende necessaria un’azione che possa recuperare e riattivare un bene: e l’intervento di conservazione e restauro ha proprio il compito di adempiere a tali necessità.

Cosa significa, perciò, nel concreto conservare e restaurare?

Certamente il restauro non è portare agli “antichi splendori” un manufatto: non sarebbe possibile farlo, la sua materia è segnata da una storia, che non si può cancellare. Il restauro non è neppure ridare una forma ed una “veste cromatica” nuova al manufatto: negli anni passati, invece, era un’azione frequente quella del ricostruire o ridipingere statue, altari, affreschi, proprio perché era questa la concezione che si aveva di restauro e ancora oggi le nostre chiese e i nostri palazzi ne danno testimonianza.

Con questa premessa vorrei condividere il restauro di due preziose sculture che, pur raffigurando lo stesso personaggio, il santo vescovo Ipazio, presentano evidenti differenze tecniche ed estetiche.

Per la vivace comunità di Tiggiano il 19 gennaio è una data solenne. Si festeggia infatti il santo patrono, S. Ipazio. L’unica parrocchia in occidente ad aver eletto proprio protettore il santo vescovo di Gangra, il cui culto è diffusissimo in oriente.

Questa data, ogni anno, mi riporta inevitabilmente alla memoria i lavori di restauro eseguiti sui due preziosi simulacri del Santo: la grande scultura barocca, che mostra il santo a figura intera, con abiti vescovili, mentre calpesta un drago ed il busto di “Santu Pati Vecchiu”, la vecchia statua del santo, utilizzata fino al ‘700, quando fu soppiantata dalla nuova.

Le sculture si presentavano in precarie condizioni conservative e completamente ridipinte.

La grande statua settecentesca è collocata in una nicchia del transetto sinistro della parrocchiale. Realizzata in legno di tiglio, molto probabilmente a Napoli, raffigura il santo vescovo che calpesta il maligno, incarnato dal drago. Ai suoi piedi vi è, inoltre, un angelo che gli regge la mitra, che sovrasta un libro (elemento che era stato sottratto; individuato in alcune foto degli inizi del’900, è stato poi recuperato e ricollocato al suo posto). Il santo con la destra regge il pastorale e con la sinistra indica, come se volesse più ammonire che benedire; il moto della figura è accentuato dalle plastiche pieghe del piviale che svolazza in avanti.

La statua reca in testa una mitra di stoffa, sicuramente non originale e appostale durante la solennità, poiché S. Ipazio solitamente viene raffigurato sprovvisto di tale paramento che gli viene porto dagli angeli.

 

 

 

La vecchia statua, invece, raffigura il Santo a “mezza figura”, quel tipo di raffigurazione definita busto, generalmente riservata ai busti reliquiari o ai santi patroni.

Molto probabilmente, fu sostituito nel Settecento dalla nuova statua.

Prima del restauro, la statua era relegata nella cappella di S. Lucia (nello stesso comune) e conservata in una scarabattola. Il manufatto era  assai degradato e svilito da una grossolana ridipintura. Il simulacro propone il Santo Vescovo, ieratico, con lo sguardo fisso, la mano destra benedicente, mentre nella sinistra reca il pastorale; è abbigliato con piviale, stola e una mitria orlati da un gallone a rilievo. La veste è modellata con sottili pieghe verticali, inoltre indossa delle chiroteche. Lo scudo del piviale presentava una ridipintura con lo stemma   della famiglia Serafini-Sauli, feudatari di Tiggiano, ma si trattava di un’aggiunta posticcia, pertanto è stato rimosso con le operazioni di pulitura, che hanno rivelato una preziosa policromia con lamine d’argento meccato.

 

 

L’opera, realizzata in ambito locale nel XVI sec., è in legno di noce ed è probabilmente uno dei più antichi simulacri lignei della diocesi di Ugento.

Il lungo intervento di conservazione e restauro delle due sculture è stato preceduto da analisi e studi preliminari delle opere e dei materiali che le compongono, operazioni necessarie a redigere con la competente Soprintendenza il progetto stesso di restauro, che è consistito in un’operazione di disinfestazione dagli attacchi degli insetti xilofagi, pulitura delle superfici (con la rimozione dei numerosi strati di ridipinture sovrapposte),consolidamento e reintegrazione delle lacune e ricostruzione di piccoli particolari mancanti.

L’inesorabile azione del tempo, l’incuria ed i cambiamenti di gusto, hanno ridotto considerevolmente il nostro patrimonio storico artistico e quel che oggi ammiriamo sono solo i “resti”, testimonianze di un passato, sopravvissuto, a volte fortunosamente, ai mutamenti storici.

È un impegno comune riappropriarsi della memoria storica, conoscendo, tutelando e conservando quest’eredità, per poterla trasmettere alle generazioni future. 

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