Salento: l’ingarbugliata matassa di un coronimo

di Armando Polito

Anticipo qui, in parziale e pure sintetico estratto da un lavoro ben più ampio, articolato e complesso, attualmente in fase di rifinitura, un tentativo di fare almeno chiarezza su un problema in cui le velleità di soluzione definitiva hanno propiziato una congerie confusa di congetture sovente campate in aria e di vere e proprie gratuite invenzioni che nulla hanno da spartire con la vera conoscenza e che non sembrano indenni da vera e propria malafede. L’ampio corredo di immagini ha il compito di documentare senza rischio di errori, magari solo di trascrizione. Insomma, ho fatto metterci la faccia col ritratto e, laddove questo non era disponibile, col frontespizio e il ritaglio dal libro, a gran parte degli autori citati, prima che l’intelligenza artificiale si scateni a mettere in circolo falsi, anche manoscritti, così ben confezionati da ingannare critici molto meno ingenui e troppo frettolosi di quelli che, ad esempio, nel 1984 rimasero beffati dalle false teste di Modigliani.

Preliminarmente, intanto, va detto come tutte le fonti antiche, sia latine che greche (l’ordine è cronologico e ne darò conto nel lavoro completo), registrano non il coronimo, ma solo l’etnonimo (o etnico), cioè Sallentini o Salentini le latine, Σαλλεντῖνοι (leggi Sallentìnoi) o Σαλεντῖνοι (leggi Salentìnoi) le greche. In teoria analogica, aprioristicamente si dovrebbe supporre che il nostro etnico col suffisso sia derivato di un toponimo piuttosto che di un coronimo, per cui padre dell’etnico latino sarebbe un *Salentum o un *Sallentum (come per Tarentini da Tarentum) e di quello greco un *Σαλλέντoν  (leggi Sallènton) o *Σαλέντoν (leggi Salènton). La voce latina, pur congetturale, ha avuto fortuna da quando illegittimamente è nata, fino ai nostri giorni, come proverò, partemdo proprio da questi, con quanto segue.

Sallentum è stato dal 1977 il titolo di una rivista quadrimestrale di cultura e civiltà salentina.

 


E, via via, ancor più suggestivo per chi non conosce il latino, poteva mancare come titolo in quella produzione in cui è difficile dire se prevalga l’intento divulgativo-artistico o quello commerciale, anche se opposto è il parere espresso da Marco Albano nell’ultimo dei suoi recentissimi e competenti commenti ad un mio post abbastanza datato1.

 

E poteva Salentum non essere sfruttato da una linea di profumi? E bisogna pure ringraziare chi ha avuto l’idea e rinunziato, forse appena appena in tempo, a fare concorrenza all’Acqua di Colonia con la sua Water of Salentum, con tutti i rischi che l’ignoranza, questa volta del latino, faccia prevalere il significato metaforico di water su quello letterale …

Ancor più sorprende, perciò, incontrarlo accoppiato con un nesso, questo sì attestato dalle fonti antiche in riferimento all’etnico2, in una pubblicazione di taglio, almeno si presume, scientifico.

 

Tuttavia nella scelta di far comparire in bella vista Salentum probabilmente avrà influito la testimonianza di Antonio De Ferrariis alias il Galateo (1444-1517), nel cui De situ Iapygiae, Perna, Basilea, 1558 (pubblicazione postuma di un’opera già terminata nel 1511), Salentum ricorre tre volte, e precisamente alle pp. 13, 94 e 126: Inde Iapygium promontorium, quod alii Salentinum, alii Salentum, Graeci Acram Iapygiam appellant (Poi il promontorio iapigio, che alcuni chiamano salentino, altri salento. i Greci punta Iapigia)

Hinc ad XII millia passuum Soletum, alii Salentum dicunt. (Da qui [Gallipoli] a 12 miglia Soleto, altri la chiamano Salento); Soletum, quod veteres Graeci Salentum vocant (Soleto, che gli antichi Greci chiamano Salento).

Dalla prima citazione si evince che già ai tempi del Galateo Salentum era usato come forma aggettivale alternativa a Salentinum, e non sostantivata ad indicare l’attuale estensione, essendo sia Salentinum che Salentum riferiti inequivocabilmente da promontorium  (la penisola è altra cosa), che ha il suo esatto corrispondente nel greco ἄκρα (leggi acra).

Nella seconda ricorrenza Salentum è sinonimo, anzi variante, di Soletum e non ha nulla da spartire col precedente, riferendosi inequivocabilmente all’attuale Soleto, il che vale pure per la terza citazione. Inoltre, per quanto riguarda la prima attestazione, è da escludere che ai tempi del Galateo Salentum designasse estensivamente la penisola e non il Capo di S. Maria di Leuca, perché un letterato del suo calibro l’avrebbe senz’altro precisato.

Per la precisione, però, debbo dire che il primo Salentum del Galateo è anticipato cronologicamente da due fasulle ricorrenze antiche che, sopravvissute per alcuni decenni nelle edizioni dei relativi autori, sono definitivamente fuori gioco3.

Mi pare doveroso, per quanto dispersivo, dopo le immagini precedenti, soprattutto quelle di … balocchi e profumi, dedicarne due all’umanista salentino.

 

Le sue orme, passo dopo passo, quasi a testimonianza del prestigio di cui godeva il letterato di Galatone, sono ricalcate in Nomenclator omnium refum propria nomina variis linguis explicata indicans di Adriaen de Jonghe (1511-1575), latinizzato in Hadrianus Iunius, italianizzato in Adriano Giunio. L’opera fu pubblicata per la prima volta per i tipi di Christophe Plantin ad  Anversa nel 1567 e il suo prestigio è testimoniato dalle numerosissime ristampe che seguirono, anche per i tipi di altri editori.

 

Adriano Giunio in un’incisione del coevo Theodor de Bry. Nella cornice Hadrianus Iunius Hornanus (dalla città tedesca di Hoorn, dov’era nato) Medicus. In calce un distico elegiaco, nella cui teascrizuiione ho aggiunto la virgola mancante dopo probitate.   

Invidiam vincis studio, probitate, labore./Gratia nunc meritis reddita digna tuis.

(Vinci l’invidia con l’applicazione, con l’onestà, con la fatica. Ora è reso ringraziamento degno dei tuoi meriti)

 

Nel Nomenclator a p. 395 si legge: Salentinum, Apul(iae) prom(ontorium) quod et Iapygium, et Salentum. ἄκρα Ἰαπυγία. Capo de S. Maria

(Salentino, promontorio dell’Apulia  che [è detto] anche Iapigio e Salento. Promontorio iapigio. Capo di s. Maria)

La trascrizione che ho fatto non è funzionale solo al banale scioglimento delle due abbreviazioni ma alla formulazione di qualche dubbio legato proprio alla scrittura di alcune voci. Premesso che nei testi in latino è ancora oggi in vigore l’uso dell’iniziale maiuscola per tutte quelle parole (anche avverbi) che derivano da nomi propri) noto che l’unica parola di tale tipo che non rispetta la regola è ἰαπυγία (leggi iapiughìa), ma ci può pure stare per la indisponibilità tipografica delle maiuscole greche, come mostra ἄκρα (leggi acra) che è preceduto dal punto.

Pone, invece, problemi d’interpretazione grammaticale proprio Salentum: infatti se è indiscutibile il valore aggettivale di Salentinum e Iapygium, attributo di promontorium, quell’et, congiunzione coordinante, unisce a Salentum ai precedenti aggettivi (per cui assume un valore aggettivale, oppure ha già assunto un valore sostantivato?

Molto probabilmente proprio il ricordo del Galateo di un duplice Salentum (uno promontorio, l’altro la città di Soleto) ha propiziato la contaminazione  con la più tarda fonte antica, cioè Stefano di Bisanzio (VI secolo). Nel suo  Ἐθνικά leggi Ethnicà) si legge: Σαλλεντία, πόλις Μεσσαπίων. Τὸ ἐθνικὸν Σαλλεντῖνος (Sallentìa, citta dei Messapi. L’etnico è Sallentino). Proprio quello che io ho tradotto con Sallentìa (trascrizione fonetica di Σαλλεντία) fu alla base dell’invenzione della città di Sallènzia, che, come vedremo, avrà una fortuna strepitosa. come si sia passati dal greco  Σαλλεντία (leggi, conformemente alla precedente trascrizione fonetica, Sallentia) a Sallènzia è presto detto.

Il suo inventore, del quale fra poco conosceremo l’identità, non lo ha spiegato ma ha seguito un procedimento che suppone un intermediario latino, che nella fattispecie sarebbe (uso il condizionale perché è parola non attestata) Sallèntia, con sistole (accento ritratto risetto alla pronunzia della parola greca nel pieno rispetto della prosodia latina).

Dal questo presunto latino Sallèntia così pronunciato secondo la lettura scientifica e Sallènzia secondo quella ecclesiastica il passaggio a Sallenzia. Qualcuno mi potrebbe chiedere come mai Sallènzia e non Sallenza, visto che il latino patièntia ha dato pazienza e non pazienzia. La risposta è facile: pazienza, prima di diventare pazienza, era stata pazienzia4 e in base a questo è nata Sallènzia.

Se il suo processo di formazione basato sull’analogia è semplice da ricostruire, risulta più complicato individuare l’inventore di Sallenzia.

Questo toponimo, infatti, ricorre la prima volta in Descrizione, origini e successi della provincia d’Otranto, il cui manoscritto originale, posseduto da Michele Tafuri,  fu pubblicato per i tipi della Stamperia dell’Iride a Napoli nel 1855.

L’opera, come si legge nel frontespizio, è di Girolamo Marciano (1571-1628) con le aggiunte di Domenico Tommaso Albanese (1620-16859). A p. 68:

 

Lascio giudicare al lettore quanto valore abbia la contaminazione arbitraria, confusa e probabilmente, nemmeno fatta in buonafede (rispettoso di essa non è nemmeno il frutto di un cieco amore per una terra che non ha certo bisogno di nobilitare con favolette le sue origini) tra Idomeneo (l’attore del brano) e la testimonianza di Stefano. Fosse solo questo il problema, perché questa invenzione, portato di una cultura umanistica un po’ piena di sé (fenomeno non raro, e non solamente nei secoli XVI-XVII) ha dato vita fino ai nostri giorni ad una serie di superfetazioni nell’affannoso tentativo di identificare la fantomatica città di Sallènzia con una attuale, per lo più sulla scorta esclusiva di assonanze e consonanze fonetiche, metodo consigliabile a chiunque sia disposto a correre il rischio di scrivere fesserie. Non posso, però, sorvolare sul coinvolgimento del nome di Servio inserito in un contesto così tortuoso da farlo sembrare aver detto il mai detto.

Ecco gli estremi dell’imbroglio: Servio (IV-V secolo d. XC.) nel suo commento ai verso 400 del libro III dell’Eneide di Virgilio (I secolo a. C.) et Sallentinos obsedit milite campos (e assedia con i soldati le campagne salentine) così si esprime: Omnis Italia coacta in angustias scinditur in duo promontoria, Bruttium et Sallentinum (Tutta l’Italia sviluppata strettamente si divide in due promontori, il bruzio e il salentino).

Se la manipolazione ad uso personale del frammento sallustiano, vera e propria levatrice di Sallenzia, appare antipaticamente criminale, la situazione si allenta. per così dire, nel tragicomico pensando a quanto si legge poco prima a p. 63:

 

Quel certo scrittore moderno, contro il quale non è dato sapere se dal Marciano o dzll’Albanese vengono lanciati dardi velenosi è  Cristoforo Scanello  alias il Cieco da Forlì (XVI secolo), autore, fra l’altro, di Chronicha universale della fidelissima, et antiqua regione di Magna Grecia, overo Giapigia divisa in tre parti cioe di Terra di Otranto, terra di Bari, et Puglia piana, s. n., Venezia, 1575.

Le pagine non sono numerate e riproduco passim i dettagli bersaglio delle frecce di cui sopra.

 

 

Con un troppo facile gioco di parole, peccato che il peccatore, del quale era stata ricordata la colpa ma non citato il nome, non poteva neppure replicare con un appropriato da quale pulpito viene la predica!, essendo morto da tempo. Do appuntamento a chi fosse interessato ad altre amenità del genere col lavoro completo del quale ho detto all’inizio, ma, per fornire un’idea di come talora anche l’autorevolezza metta a repentaglio un riconosciuto prestigio, non posso fare a meno di riportare quanto si legge in Isaac Voss (1618.1689), Observationes ad Pompeum Melam de situ orbis, Vlacq, Hagæ-Comitis, 1658.

A p. 166:

(Le campagne salentine e i lidi salentini: sembra che i campi salentini l’abbia preso da Marone e pure assedia con l’esercito le campagne salentine. Ma invero talvolta è  accettato il nome tanto di Calabri quanto di Salentini. E così anche non inopportunamente qui ha imitato Virgilio, i cui campi salentini distano lungamente da qui; oppure, se si è espresso correttamente, bisogna dire che queste parole di Pomponio vanno riferite alla campagna salentina propriamente detta in cui ci fu la città di Salento o Salenzia. Per altri questa città si chiama Soleto o Solento, ma di uso indubbiamente corrotto da Salento. Per il grammatico  è Σαλλεντία (leggi Sallentìa) forma senz’altro romana. sembra che per i Greci sia stata Σαλόεις (Leggi Salòeis). Come Υδρόεις (leggi Iudròeis) Hydrentum, così da Σαλόεις Salentum. E così i grammatici antichi affermano correttamente che i salentini sono così chiamati dal mare, poiché la loro penisola è bagnata da tanti mari).

Sostanzialmente il Voss contamina i dati di Varrone e di Verrio Flacco, facendo diplomaticamente valere la sola motivazione geografica, che in Verrio si era estesa, anche se non distintamente, a quella commerciale o politica.

Al funambolismo fonetico prima stigmatizzato appartiene, poi, la trafila Υδρόεις>Hydrentum, già difettosa in partenza. Υδρόεις, aggettivo che significa ricco d’acqua, il cui accusativo è ὑδρόεντα (leggi iudròenta), la cui forma contratta ὑδροῦντα (leggi iudrùnta) è derivato il latino Hydruntum=Otranto, non Hydrentum, che non è attestato nemmeno nel più scalcinato dei manoscritti. Su questa trafila per analogia è stata ricostruita l’altrettanto fasulla Σαλόεις (presunta forma aggettivale dal già citato σάλος)> σαλοῦντα (leggi salunta), che in latino avrebbe dato Saluntum e non Salentum).

Dopo il famoso capitano Salento del Cieco da Forlì. rimane da individuare la prima attestazione dell’omonimo coronimo, tenendo conto che la sua origine senz’altro dotta, dovrebbe teoricamente aver rallentato il passaggio dal latino Salentum alla forma volgare.

Stando a quanto emerso, mi pare di poter concludere che Salentum è un’invenzione dotta rinascimentale (se non presente in precedenti glossari o in manoscritti) passata poi al volgare Salento. Di quest’ultimo le prime attestazioni finora rinvenuto risalgono al XVII secolo, entrambe in testi del 1621 in onore dello stesso personaggio.

I loro titoli sono tanto lunghi che, per fare più presto, ne riproduco, affiancati, i frontespizi.

 

Da p. 117 del primo il dettaglio che ci riguarda:

 

Da p. 31 del secondo un sonetto di Cesare di Leone:

 

E da p. 37 un altro sonetto, di Giulio Cesare Guarino:

 

Una successiva attestazione in poesia è in un brano in prosa, la prima in versi è in Varia diversorum opera latina in morte Illutrissimae Dominae Beatricis de Aquaviva Aragonia.

In calce mancano editore, luogo e data e pure il colophon è assente. Presumibilmente la stampa avvenne nel 1637, anno della morte di Beatrice.

La raccolta, altro dettaglio insolito, si apre nello stesso frontespizio con un componimento di Francesco Antonio Belli, rettore del collegio dei Gesuiti di Lecce, autore di una delle quattro apologie per il poema eroico del Grandi apologie (le altre furono di dall’arcidiacono Giovanni Camillo Palma, dal chierico teatino Tommaso Del Bene e da Giovanni Pietro D’Alessandro), tutti protagonisti della cultura salentina di quegli anni.

A p. 24 uno dei parecchi sonetti del dottor Carlo Schito:

 

Altre testimonianze poetiche, più di peso per il nome dell’autore, sono contenute nell’ottava 41 del poema eroico Il Tancredi del leccese Ascanio Grandi pubblicato per i tipi di Pietro Micheli a Lecce nel 1632 e nell’ottava 58 del quarto canto del poema sacro La Vergine desponsata dello stesso autore uscito sempre per i tipi dello stesso editore a Lecce nel 1639.

 

Salento è ancora nella tragedia La Hidrunte espugnata da Turchi nell’anno 1480 di Girolamo Pipini, Pietro Micheli, Lecce, 1646.

 

Dal primo atto:

 

Non riuscendo a resistere ad un attacco di campanilismo acuto, chiudo la carrellata col neritino Antonio Caraccio (1630-1702) e le ottave 27 del canto XII e 23 del XIII de L’imperio vendicato, Tinassi, Roma, 1690.

 

 

Mi pare che quanto finora prodotto mi autorizzi a concludere che il coronimo Salento nacque nell’ambiente dei letterati salentini citati a proposito dell’opuscoletto, tra i quali sembrerebbe ergersi, al di là di una strettissima cronologia,  quell’Ascanio Grandi che nell’ottava prima riportata e che replico colloca, credo non a caso, in testa Salento e in coda Idume, del quale, come ho avuto occasione di sostenere5, era stato  molto probabilmente il padre.

 

Mi piace chiudere con gli attributi che il coronimo si è visto aggiungere nel tempo.

Cominciarono nel 1621 i già citati Cesare Di Leone e Giulio Cesare Guarino con il bel Salento, poi fu la volta del Grandi con il gentil Salento6 e il bel Salento7, riciclati nel secolo successivo dalle due accademie leccesi, quella degli Speculatori (o degli Spioni) e quella dei Trasformati, in persona, per la prima, col gentil Salento, di Giusto Palma8, che di quell’accademia era il principe, col bel Salento in persona di Francesco Longo9 e di Francesco Errico Viva9; per la seconda, sempre col bel Salento, in persona di Antonio Cini10.

Da allora è sopravvissuto solo il bel Salento, cui si è affiancato in tempi recenti Grande Salento, presagente la Regione Salento, emula ritardataria della Padania ed espressione di velleitaria e squallida aspirazione a nuove poltrone più che di nobile spirito di servizio. Non ci sarebbe da meravigliarsi, perciò, se la sua realizzazione comportasse l’accelerazione, anziché , quanto meno, il rallentamento, di quel processo già in atto e che ci sta portando a giocarci non solo il bel Salento ma anche lo slogan ecologicamente turistico Salentu, lu sule, lu mare, lu ientu, con una terra destinata a vedere immolata al neocolonialismo con la sua bellezza specchiata nei pannelli solari, il suo mare stuprato dalle trivelle, il suo vento accoltellato dalle pale eoliche, pronto ad accollarsi, grazie ad illuminati contratti segreti, le spese di smaltimento dei pannelli quando in breve saranno diventati obsoleti e, a conferma della nostra ospitalità, ad accogliere le scorie nucleari, nostre e altrui. E magari i responsabili di tanto sfacelo, in un gemellaggio con chi da opposto punto cardinale ha a cuore l’economia differenziata mentre culla un sogno pontificale, passeranno alla storia. Quale? Sempre la stessa, altro che la ciceroniana magistra vitae, specialmente in tempi, come i nostri, in cui il suo studio è considerato una perdita di tempo e si fagocitano le fesserie di sedicenti esperti e intellettuali, sponsorizzandole col passaparola, ad infettare cervelli sempre più restii a pensare, sia pure con la parziale autonomia che la vita sociale richiede. E un parruccone incipriato, nonché personaggetto (vedi link iniziale) sconterà nell’Inferno le sue colpe secondo la legge del contrappasso  e in ossequio ai sacro canone turistico che privilegia non la cultura, ma la culinaria. Tanto, sempre per cul iniziano …

_________________

 

1 https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/06/16/leucasia-una-sirena-salentina-no-unaltra-bufala-e-lo-dimostro/

2 Marco Terenzio Varrone (I secolo a. C.), in un frammento citato da Probo (I-II secolo d. C.), In Vergilii Bucolica, VI, 3: Salentini dicti quod in salo amicitiam fecerint (chiamati Salentini perché avrebbero fatto amicizia in mare); VERRIO FLACCO (I secolo a. C.-I secolo d. C.) autore del De verborum significationenm opera della quale ci resta l’epitone di Paolo Diacono (VIII secolo): Salentinos a salo sunt appellati (Salentini così sono chiamati dal mare). Per fortuna il codice Farn. LVII ci ha conservato un frammento (QU. XV, 137) che con ogni probabilità riporta il testo originale: Salentinos a sale dictos, Cretas, et Illyricos, qui cum Locrensibus navigantes societatem fecerint, eius regionis Italiae, quam d[icunt ab eis] (Chiamati Salentini dal mare i Cretesi e gli Illirici che navigando avrebbero fatto un accordo con i Locresi, di quella regione d’Italia, che [chiamano da loro]. Purtroppo nel frammento la lacuna coinvolge proprio il dettaglio che ci interessa e l’integrazione generalmente proposta di certo non li risolve.

3 Cito le due più datate. In un incunabolo del 1470 contenente l’epistolario di Cicerone (data ricavata dalle righe iniziali, nome dell’editore e stampa non ricavabili nemmeno dal colophon pressoché illegibile,  nel testo di una delle lettere ad Attico si legge: Quis Salentum leges Locris scripsisse non dixit? (Chi non ha detto che Salento scrisse le leggi a Locri?). Quel Salentum per Zaleucum (questa la lezione corretta) dà un’idea dei rischi dai quali non sono immuni nemmeno i testi a stampa e potrebbe essere un indizio, anche se qui è un onomastico e non un toponimo, che il volgare Salento fosse già da tempo in circolazione ed avesse suggestionato il copista del manoscritto al quale si era rifatto il libro a stampa.

 

Stessa genesi ha il presunto Salentum di Tito Livio che ai legge in Titi Livii Patavini historici clarissimi quae extant Decades cum Epitome, In aedibus Ascensianis in illustri Parrhisiorum Academia, impensis Ioannis Parvi et ipsius Ascensii, 1510, s. p.): Romani victores ad vicum Maronitarum Salentum appellatum posuerunt castra (I Romani vincitori posero l’accampamento  presso un villaggio chiamato Salento).

Il brano, però, riguarda un episodio della guerra contro Antioco III e la lega etolica, per cui questo Salentum è solo un evidentissimo caso di omonimia. Inoltre, pur essendo il commento (e, si presume, la scelta del testo) di Marco Antonio Sabellico, uno dei letterati più famosi di quel tempo, il Salentum (non è dato sapere da quale codice fu letto) già a partire da un’edizione, ancora parigina,  del 1543 (Titi Livii Patavini scriptoris clarissimi ex XIIII decadibus historiae Romanae ab Urbe condita, Ex officina Michaelis Vascosani, 1543) risulta emendato nella lezione definitiva, cioè Salen.

4 Un esempio illustre limitatamente al periodo qui coinvolto. Da Giorgio Vasari, Le vite de più eccellenti architetti , pittori, et scultori italiani, s.n., Firenze, 1550, p. 16:

5 https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/18/alle-fonti-dellidume-idronimo-inventato/

6 Il Tancredi, ottava 71 del canto VI, 30 del IX, 29 del X; I Fasti, ottava 6 del canto VIII; La Vergine desponsata, ottava 58 del canto IV.

7 Al primo verso  di un suo sonetto in Pompa accademica celebrata nel dì primo d’ottobre natale dell’Augustissimo Imperadore Carlo VI Re di Spagna per l’anno MDCCXXI nella sala del castello di Lecce …, Mazzei, Lecce, 1721, p. 51.

8 Al verso 12 di un suo sonetto in Componimenti vari degli Accademici Speculatori di Lecce in rendimento di grazie alla Maestà di Ferdinando IV Re delle due Sicilie per la concessione della Sua Real Protezione e del Giglio d’Oro, s. n., s. l., 1777 (data desunta dall’Avviso iniziale), p. 95.

9 In Raccolta di componimenti in lode di Sua Eminenza il Cardinale D. Arrigo Erriquez …, Viverito, Lecce, 1754, s. p.; ad un suo epigramma in distico elegiaco (Salentum puerum; Juvenemque; Hispania; Fratrem/Roma videt nunc pro tempore; at inde Patrem) fa seguire questa versione: Te vide Arrigo il bel Salento, e poi la Spagna al sen ti accolse,/quello t’ebbe fanciullo/questa adulto nel fior degli anni tuoi./Roma or Fratello d’alti Eroi t’ammira,/indi a chiamarti Sommo Padre aspira.

10 In una sua canzone dedicata a Fulgenzio Gemme in Meditazioni sopra i principali articoli della nostra fede, Micheli, Lecce, 1667, s. p.

 

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