di Francesco Fedele
Situata dentro l’abitato, essa aveva un altare mediocremente ornato, sul quale si poteva ammirare un affresco con l’immagine della Madonna delle Grazie. Così A. Putignano ci introduce alla descrizione della cappella di San Vito, larga circa 15 palmi e lunga circa 26, e dell’avvicendarsi di situazioni di degrado e di ricchezza e prosperità. Dalle stesse descrizioni del Putignano evinciamo come, in più Visite Pastorali, la cappella si rivelò angusta ed in condizioni non idonee al culto; così fu realizzato un primo restauro nel 1646 da parte di Angelo Pinto, che si curò di reintonacare le mura dell’edificio, rimpiazzare il tetto in canne con uno in travi di legno, provvederlo di adeguati paramenti, sostituire la pavimentazione ed affrescare la chiesetta con nuove immagini di santi, tra cui quella del titolare Vito.
Appena qualche anno dopo, però, mons. Luigi Pappacoda dovette constatare (…). A mons. Pappacoda non rimase che porre la drastica alternativa: o il definitivo restauro o l’immediata demolizione. Nonostante ciò la struttura rimase inalterata e non fu demolita, fino a quando non si provvide ai necessari restauri, tra cui il Pappacoda aveva sottolineato in particolar modo l’aggiunta di finestre per ovviare alla scarsa luminosità dell’ambiente.
Inizialmente nella cappella di San Vito si tenevano Messe aliquando ex devotione populi e ogni anno in occasione della festa del santo si teneva una processione. Il culto di San Vito andò progressivamente perdendosi in favore di quello della Madonna delle Grazie, il cui quadro era sull’unico altare esistente.
Nel ‘700, poi, nessuno si curò che la chiesa fosse in condizioni decorose; l’unica preoccupazione era ovviamente che nessun laico potesse svolgervi attività non consone alla fede. Nello stesso periodo la cappella risultava dotata del singolo altare con il quadro della Madonna delle Grazie, dell’affresco seicentesco di San Vito, di un tetto in canne sorrette da travi e di tre finestre. Fu questo, nonostante la noncuranza delle sue condizioni, il periodo di maggiore splendore per la chiesetta, tanto da indurre i prelati che la visitavano ad esprimere la loro piena soddisfazione.
Nel secolo successivo iniziò per la cappella di San Vito un periodo di irreversibile degrado: dapprima risultò scarsa in quanto ad arredi sacri, per poi arrivare a difettare di attenzioni anche da parte del Clero del paese. Nei primi del ‘900 era comunque ancora efficiente per il culto, ma poco tempo dopo fu trovata in pessimo stato, utilizzata come “deposito” di cadaveri. Così mons. Gennaro Trama ben pensò di vendere l’edificio e utilizzare i ricavati di tale vendita nel finanziamento delle costruzioni della nuova parrocchiale della SS. Ausiliatrice. Fu così che terminò la storia della cappella di San Vito, annoverata da G. Chirizzi tra gli edifici religiosi più antichi di Monteroni, demolita subito dopo la vendita.
Interessante grazie