Per l’identificazione del casale di Marsanello, nel Capo di Leuca

 

di Pierluigi Cazzato

 

Scorrendo le fonti documentarie angioine e aragonesi che riguardano la Terra d’Otranto, capita spesso di trovare la menzione del casale di Marsanello/Marzanello; l’abitato, oggi scomparso, viene citato da diversi autori ma manca ancora di una sicura individuazione e di una precisa localizzazione.

Carmela Massaro ha proposto di identificare questo casale con Marzano, altro toponimo che compare spesso nelle fonti medievali, il quale era collocato “iuxta territorium Minervini, iuxta casale Murtule” (tra il territorio di Minervino e il casale di Murtule, nei dintorni di Castro)1.

A nostro parere, invece, esistevano due centri abitati distinti: Marzano/Marzanello era una casale dell’entroterra idruntino, mentre un altro Marsanello si trovava nell’attuale territorio di Alessano, precisamente sul versante sud-orientale della serra di Montesardo, in una zona, denominata “Mercanti” sulla cartografia IGM (fig.1), che ha restituito ceramica di epoca basso medievale. Di seguito, attraverso l’analisi dei dati storici ed archeologici e grazie all’ausilio della toponomastica, cercheremo di dimostrare la fondatezza di tale ipotesi.

 

Fonti storiche

Le più antiche notizie scritte, che abbiamo a disposizione su Marsanello, risalgono all’inizio del Trecento. Alcune informazioni si trovano nell’opera di Scipione Ammirato Storia della famiglia dell’Antoglietta la quale riporta un paio di cenni tratti dall’archivio angioino: nel 1301 Enrico dell’Antoglietta fu signore di “molte Castella e Feudi“, tra i quali “San Dano, Pulsanello, Giuliano, Marsanello, […] e Baliano”, ancora nel 1333, suo figlio Nicolò possedeva i casali di “Pulsanello, Marzanello, Iuscianello, Baliano, Barbarano, Santo Dano, Boniliano e Pulsano2. Da altra fonte, i Notamenta del De Lellis, abbiamo conferma che nel 1303 ad Enrico fu concessa “pars casalium Pulsanelli, Iuvanelli, Mansanelli, Baliani, Barbarani, Sanctae Danae, Doriliani, Pulsani, in Idronti“, possesso confermato nel 1304 per i centri di “Ariliani, Baliani, Sancti Donati (S. Dana), Pulsanelli et Marsanelli3.

Tra le località infeudate ai dell’Antoglietta, quelle che si possono identificare con certezza si trovano tutte in un’area geografica ben definita, a sud del territorio di Alessano: S. Dana, Giuliano, Baliano-Valiano, Barbarano, Pulsano (nei dintorni di Gagliano) e Arigliano. Pare plausibile, quindi, che anche gli altri villaggi, incluso Marsanello, ricadessero nella stessa zona a formare un feudo territorialmente coeso.

Indizi in tal senso si ritrovano anche nel XV secolo, infatti tra i beni feudali concessi a Jacobo de Lantolio (dell’Antoglietta) nell’anno 1494 c’erano: “certa parte casalis Juliani; casale vulgariter dicto Marsanello; pro vaxallis habitantibus in Specla, in casali Pati, in Gagliano ed in casali Baliani; Arignani et Gagliani; orti tre nominati Santo Nicola in Casali Arigliani; territorio nominato Campo del Guiczano in pertinenze Gagliani; et pro territorio Baliani pro tiraggio; territorio in pertinenza Santo Dana, pheudo inabitato in Palaczano; pheudo sito in tenimento Santi Prancatii; casali Rofiani, Salve et tabola lomabardello; pheudo de Regiano; pheudo inabitato di S. Andrea in pertinentis Neretoni4.

Dopo quasi due secoli, la maggior parte dei possessi appartenenti ai dell’Antoglietta, incluso il nostro casale di Marsanello, si concentrava ancora nella parte più meridionale del Capo di Leuca. D’altra parte il casale di Marzano/Marzanello, citato dalla Massaro, pare abbia avuto una storia feudale diversa. Esso faceva parte dei possessi dei de Cerasolo già dal XIII secolo, come apprendiamo da un regesto dei registri angioini datato 1284 in cui Roberto de Cerasolo, in seguito alla morte del padre Guglielmo, ebbe l’assicurazione dei vassalli di “Chardiniani (Castrignano dei Greci), Salparicii, Morigini, Marzanelli, Michanelli (Miggianello), Turchareoli, Griptalis et S. Donati5. Nel 1329 Roberto de Sambiase ereditò dalla madre Filippa de Cerasolo parte di questi beni inclusi vassalli in Marzano e in Marzanello. Nel 1462 una parte del casale di Marzano apparteneva a Roberto Ventura, barone di Palmariggi6.

Ulteriori prove a favore della nostra ipotesi si possono trovare nei manoscritti facenti parte dell’archivio del Principato di Taranto. Grazie ad alcuni registri di natura fiscale, sappiamo che nel 1458 il casale di Marsanello era tassato per dieci fuochi e l’anno seguente solo per tre7; ma il documento per noi più interessante è senza dubbio il quaternus di Nucio Marinacio, erario del principe Giovan Antonio Orsini del Balzo per il territorio che andava da Lecce a S. Maria di Leuca, redatto nel 1462. Il testo, pubblicato integralmente da Serena Morelli8, riporta le tasse pagate del piccolo centro nell’anno della decima indizione (1461-1462):

Marsanelli pro focularibus tribus extaliate de summa foculariorum decem ad ducatum auri unum per foculare: tr XVI gr X

pro ipsis focularibus tribus ad tarenum unum, grana quatuor pro foculare: tr III gr XII

pro precio salis thomulorum quinque ad racionem predictam: tr X

pro cedulis et apodixis extaliate: tr II

unc I tr II gr II9.

moneta dell’imperatore Costanzo II

 

Dunque il casale era tassato per 3 fuochi, su un totale di 10, e pagava all’erario una somma totale di 1 oncia, 2 tarì e 2 grani. Il fatto che sette fuochi non fossero tassati era dovuto o alla estrema povertà di questi contribuenti (che li faceva ricadere tra i nullatenenti, perciò esenti da tasse), o perché erano tassati nei feudi vicini.

Quest’ultimo caso era molto frequente nei centri del Capo di Leuca, ad esempio il paese di Giuliano venivano conteggiati 38 fuochi, ma solo 19 erano annoverati tra coloro che versavano le imposte nel suddetto casale, mentre l’altra metà degli abitanti proveniva dai paesi circostanti in cui continuava ad essere tassata: “duo sunt Montisardii, duo Pati, duo Arelliani, unum Barbarani, sex Cursani, tria Galliani et tria Marsanelli10.

Questo tipo di mobilità della popolazione era molto comune nell’estremo sud della penisola salentina e riguardava diverse località, tutte pertinenti ad un ristretto ambito territoriale: Arigliano, Barbarano, Castrignano del Capo, Corsano, Gagliano, Giuliano, Meliano (Maliano nei pressi di Tiggiano), Montesardo, Morciano, Patù, Presicce, Pozzo Mauro (nei dintorni di Presicce), Ruggiano, Salignano, Salve, S. Dana11. Si trattava, con tutta evidenza, di spostamenti a corto raggio, che interessavano casali confinanti o vicini, legati probabilmente a motivi di natura economica. Da ciò si può ragionevolmente dedurre che anche il feudo di Marsanello, più volte citato nei registri fiscali del Principato di Taranto, era ubicato nel Capo di Leuca e non nell’entroterra idruntino.

Nel Cinquecento il nostro casale scompare dalle fonti e fu probabilmente all’inizio di questo secolo che esso venne abbandonato. Alla fine del XVII secolo il toponimo ricompare nei documenti, per la precisione in un atto notarile del 1688 in cui Stefano Farati dona al fratello una vigna in località di Morsano, sita nel feudo di Montesardo12.

 

Toponomastica

Tracciamo l’evoluzione del toponimo secondo le fonti fin qui esaminate: XIV sec. Marsanello, Marzanello, Mansanello (probabile errore di trascrizione); XV sec. Marsanello; XVII sec. Morsano. Quest’ultimo nome, probabile corruzione di epoca tarda di quello originario, si è conservato ed è in uso ancora oggi, infatti, ai piedi della serra di Montesardo, lungo il tragitto di un’antica carraia che da Macurano portava a S. Dana, esiste un vasto terreno seminativo denominato in dialetto locale Morsanu Piccinnu (Morsano Piccolo) e, poco più avanti, un altro denominato Morsano Ranne (Morsano Grande)13. Il primo termine appare un toponimo di origine prediale e un piccolo insediamento rurale di epoca romana, che si trova poco distante e di cui ci occuperemo più avanti, confermerebbe tale ipotesi; le qualifiche di “grande” e “piccolo” possono far pensare a due centri abitati contigui ma distinti come avveniva di frequente nel Salento medievale, per esempio citiamo i casi di Casaranum Magnum-Casaranum Parvum, Matinum Magnum-Matinum Parvum oppure Miggiano-Miggianello, Tabelle-Tabelluccio, Pulsano-Pulsanello14.

Nel Basso Salento ritroviamo lo stesso toponimo a Gemini: “Masseria Moresano”, da far risalire al cognomen latino Mauricius/Maurisius/Mauritius15.

località “Morsanu piccinnu”

 

I resti archeologici

Come già in precedenza accennato, sul versante orientale della serra di Montesardo, lungo un antico asse viario che collegava Macurano e S. Dana, in località Morsanu Piccinnu (località “Mercanti” sulla cartografia IGM), è stato individuato un piccolo uliveto, 30 m x 10 m circa, che ha restituito abbondanti resti ceramici e vitrei risalenti al Basso Medioevo (fig.2).

Quasi tutti i reperti, seppur raccolti in superfice, si presentano in buono stato di conservazione, è probabile che essi siano rimasti sotto terra fino a pochi anni a dietro e poi riemersi solo con l’impianto dell’uliveto (che potrebbe avere circa 30 anni). Si tratta di alcune antiche fosse di rifiuti come chiaramente si legge sul terreno, infatti in mezzo alla caratteristica terra rossa si distinguono due zone di terreno più chiare in cui è concentrata la maggior parte dei frammenti fittili.

carraia Macurano-S.Dana

 

Una ricognizione condotta nel marzo 2020 ha permesso di riconoscere i seguenti reperti: abbondanti resti di tegole ad impasto chiaro; numerosi orli, pareti ed anse riferibili ad anfore acrome o dipinte a bande strette (decorazioni a fasce semplici, motivi a spirale e “a uccelli” dipinte in nero, bruno e arancio); due orli di bacino dipinto a bande strette; alcuni fondi di ciotole di ceramica invetriata policroma (RMR); frammenti di tazze e ciotole in invetriata monocroma (verde); un frammento di piatto in ceramica graffita; diversi fondi di coppe in maiolica o protomaiolica; abbondanti resti di ceramica da fuoco invetriata e non; tre fornelli di pipa fittile; diversi frammenti in vetro; un chiodo in ferro; resti faunistici. La maggior parte dei reperti si colloca tra la fine del XII e il XVI secolo.

Inoltre, in prossimità della discarica antica, su di un banco di roccia affiorante, si distinguono almeno 7 buche di palo di varie dimensioni, le più grandi misurano circa 30-35 cm di diametro. In base ai rinvenimenti si può ipotizzare l’esistenza di strutture abitative pertinenti ad un piccolo insediamento di età basso medievale.

buche di palo

 

buche di palo

 

A circa 200 m, in direzione nord-est, dal sito medievale, è stata rinvenuta un’altra zona di interesse archeologico; grazie all’indagine condotta da Danilo Ammassari una ventina di anni fa, è stata riconosciuta un’area, 160 m x 90 m circa, che ha restituito vari frammenti fittili di epoca romana (sigillata African red slip, ceramica da fuoco, ceramica a pasta grigia sovra dipinta di nero) che farebbero pensare alla presenza, in antico, di un’abitazione tardo romana di V-VI secolo16.

Ulteriori ricerche sono state condotte dallo scrivente nel 2021, in questa occasione sono stati rinvenuti: una selce; pochi frammenti di ceramica sovra dipinta di nero; numerosi orli e pareti di ceramica da cucina del tipo Illyrian cooking ware; abbondante ceramica sigillata; una decina di pareti di Late Roman Amphora; una moneta in bronzo dell’imperatore Costanzo II (emissione del 350-51 d.C.)17; poche pareti di ceramica da cucina di età bizantina “tipo Apigliano”; rari frammenti ceramici di età medievale (ceramica acroma, dipinta a bande, RMR) e post-medievale. Attraverso l’analisi dei nuovi rinvenimenti è possibile ampliare le conclusioni dell’Ammassari; di sicuro la piccola fattoria di epoca romana, probabilmente sorta già tra il II e il III secolo d.C., mostra tracce di frequentazione che vanno oltre il VI secolo, il che porta a supporre che il piccolo insediamento continuò ad essere abitato anche nella prima età bizantina.

Bisogna aggiungere che tutta l’area circostante presenta tracce di ceramica basso medievale; vi sono inoltre, inseriti in diversi muretti a secco, grandi blocchi squadrati in calcare locale di varie dimensioni, sicuramente cavati in antico. Ben evidenti sono i segni della carraia che giungeva da nord-ovest (da Macurano) e portava verso sud. Purtroppo la costruzione della linea ferrata, con il suo terrapieno, ha sconvolto parzialmente la topografia della zona e rende difficile la corretta interpretazione di tutti i dati rilevati.

carraia Macurano-S.Dana

 

Conclusioni

Tutti gli elementi fin qui raccolti dimostrano con chiarezza come, sul versante orientale della Serra di Montesardo, sia esistito un piccolo villaggio di epoca basso medievale e come esso sia da identificare con il casale vulgariter dicto Marsanello, più volte menzionato dalle fonti documentarie a partire dall’età angioina. L’abitato sorse nei pressi di un precedente insediamento rurale romano che continuò ad essere frequentato almeno fino al VII secolo.

Il periodo della sua formazione appare incerto, i resti ceramici più antichi risalgono all’epoca sveva ma è probabile che il villaggio medievale si sia formato precedentemente; rimane dubbio se ci sia stata un’effettiva continuità d’insediamento tra l’epoca tardoantica e il Basso Medioevo. All’inizio del XIV secolo esso era incluso stabilmente tra i possedimenti feudali della famiglia dell’Antoglietta e nel secolo successivo faceva parte del Principato di Taranto. Si trattava di un piccolissimo casale con meno di 50 abitanti, un micro-villaggio come molti che all’epoca punteggiavano tutto il Capo di Leuca. Plausibilmente esso fu abbandonato tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. Se, accanto a Marsanello, sia esistito anche il casale di “Marsano Grande” resta una questione aperta che necessita di ulteriori indagini.

blocchi antichi

 

Alcune considerazioni aggiuntive

Proviamo ora ad inserire il piccolo casale di Marsanello nel contesto geografico del Capo di Leuca di fine Medioevo. Dalle fonti, sappiamo che sotto gli Angioini esistevano, in questa parte estrema della penisola salentina18, almeno 14 centri abitati: una metà di questi ha avuto vita ininterrotta fino ai giorni nostri (la civitas di Alessano, le terre di Gagliano e Montesardo, i casali aperti di Arigliano, Corsano, S. Dana e Tiggiano), all’altra, invece, è toccata una sorte differente ed è scomparsa nell’arco di poco meno di due secoli.

Di questi sette insediamenti non più esistenti, tre vennero abbandonati tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento (si tratta Mesano e Pulesano, nel feudo gaglianese, e Provigliano, sulla serra dei Cianci), mentre i restanti risultano ancora attestati in alcuni registri fiscali prodotti dalla burocrazia orsiniana databili alla metà del XV secolo; infatti, negli anni 1450/1460, oltre a Marsanello, erano ancora esistenti ed abitati i centri di Macurano (ai piedi della collina di Montesardo), di Meliano (Tiggiano, località Matine) e di Valiano (tra Corsano e Gagliano). Ad eccezione di quest’ultimo che sarà abbandonato solo intorno al 1580, questi insediamenti non sono più attestati o risultano disabitati già nel Cinquecento, perciò il loro abbandono è da collocare tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. Per riepilogare:

Risulta evidente come, in un lasso di tempo relativamente breve (il secolo e mezzo circa che corre tra la fine del Trecento e l’inizio del Cinquecento), quasi la metà dei centri abitati della parte orientale del Capo di Leuca rimase disabitata, ma quali furono le cause che determinarono la fine di così tanti piccoli casali, nell’ultimo scorcio del Medioevo, rimane una questione aperta.

Spesso si è fatto riferimento alle virulente epidemie che colpirono la zona o alle incursioni dei Turchi divenute più frequenti dopo la presa di Costantinopoli (1452) per spiegare lo spopolamento di tante località e non c’è dubbio che la grande crisi del XIV secolo contribuì notevolmente al rimodellamento del paesaggio agricolo e insediativo di queste contrade.

Di sicuro sappiamo che le grandi carestie del primo Trecento e la peste nera degli anni 1348-50 provocarono un pesante crollo demografico anche in Terra d’Otranto. Alla crisi seguì una stagnazione demografica, almeno fino alla metà del XV secolo, con una riduzione dei villaggi abitati e della terra coltivata, ma allo stesso tempo lo spopolamento portò ad una maggiore disponibilità di risorse pro capite e quindi ad un miglioramento delle condizioni materiali della popolazione sopravvissuta, che a sua volta comportò una lenta ma costante ripresa economica. All’abbandono di casali aperti corrispose anche la redistribuzione del popolamento in centri ripianificati, protetti da mura e fossati, le cosiddette terre.

La popolazione salentina, che durante il Medioevo aveva risieduto sul terreno che coltivava, venne spostata all’interno dei borghi murati per agevolare lo sviluppo delle monoculture, molti feudi così spopolati si trasformarono in latifondi in mano alla nobiltà locale. La nascita degli insediamenti fortificati sicuramente rispondeva a delle questioni di carattere difensivo ma, allo stesso tempo, era funzionale ad un nuovo tipo di organizzazione del territorio agricolo che puntava sulla specializzazione colturale (l’olivo) e sulla messa in pratica di economie di scala19.

Si può dunque ipotizzare che anche i centri qui presi in esame, nella seconda metà del Trecento, siano andati incontro ad una forte ridimensionamento, ed è probabile che la prima fase di abbandoni sia da ricollegare ai processi sopra descritti. E’ noto, per esempio, che Gagliano venne munita di mura proprio all’inizio del Quattrocento.

Probabilmente, dopo la scomparsa dei casali di Mesano e Pulesano, i cui territori vennero inglobati nel feudo gaglianese, la terra de Galliano accolse nuovi abitanti (provenienti dai villaggi abbandonati) aumentando la propria consistenza demica e divenendo uno dei centri più importanti dell’estremo Capo di Leuca. Fu in questo periodo, inoltre, che, nel territorio da noi esaminato, si affermò la coltivazione massiccia dell’olivo, probabilmente a discapito della vite, che in poco tempo s’impose come monocultura. Ne troviamo traccia nel “Quaderno della bagliva di Alessano”20, registro fiscale dell’anno indizionale 1462-63, dove viene rendicontato tutto l’olio esportato annualmente dalla civitas Alexani, il quale ammontava a 1406 staia e mezzo. Si trattava di un notevole surplus destinato al mercato estero e al commercio in tutto il Mediterraneo se è vero che, già nel 1425, Durante, ebreo alessanese, era coinvolto nella vendita di 1200 staia d’olio sulla piazza di Alessandria d’Egitto21.

In seguito a queste trasformazioni, nella seconda metà del XV secolo i “micro-casali” della zona appaiono in difficoltà (per esempio Marsanello si era ridotto a soli tre fuochi tassabili su dieci totali, gli altri sette, probabilmente, erano troppo poveri per pagare le tasse); il loro dislocamento era stato, in passato, funzionale allo sfruttamento intensivo del territorio agricolo, in particolare alla coltivazione della vite, ma, verso la fine del Medioevo, esso si rivelò poco compatibile con il nuovo assetto agrario che si stava compiendo.

Tanti minuscoli villaggi, distanti tra loro meno di un paio di chilometri22, costituivano quasi un impedimento fisico alla creazione di grandi estensioni monocolturali in mano ai feudatari del luogo e mal s’inserivano nei processi economici che stavano cambiando il paesaggio rurale del Capo. Questa trasformazione si compì definitivamente nel corso del Cinquecento, quando la costruzione di innumerevoli frantoi ipogei ci testimonia l’avvenuto cambiamento del sistema agricolo ed economico salentino, ormai riconvertito alla produzione e commercializzazione del cosiddetto “oro liquido”.

Non è un caso se nel XVI secolo non si trovino più testimonianze su tanti centri documentati fino a pochi decenni prima. Molti di essi vennero abbandonati e al loro posto sorsero delle masserie più adatte al nuovo sistema agricolo: così accadde a Meliano (masseria Catti), a Macurano, dove, oltre alla masseria fortificata, restano diversi frantoi scavati nella roccia, e più tardi a Valiano. Altri, invece, si spopolarono gradualmente e scomparvero senza lasciare tracce evidenti della loro esistenza, proprio come avvenne al nostro casale di Marsanello.

In conclusione, anche il ristretto territorio da noi preso in esame pare confermare, grosso modo, le stesse dinamiche riscontrabili nel resto del Salento. Infatti se alla crisi del Trecento può essere imputata la prima fase di spopolamento, a cavallo tra XIV e XV secolo, le trasformazioni del sistema insediativo, agricolo ed economico che si compirono nel corso del Quattrocento paiono esser stati i fattori che determinarono gli abbandoni alla fine del Medioevo.

carraia Macurano-S.Dana

 

Note

1 C. Massaro, Sulla frammentazione dei poteri nel Mezzogiorno tardomedievale: alcune riflessioni su Muro Leccese, in Itinerari di Ricerca Storica, XXXIV/2 (2020), p. 132 e nota 67.

2 S. Ammirato, Storia della famiglia dell’Antoglietta, Firenze, 1846, pp.24-26.

3 M. Ciardo, La storia di Gagliano del Capo. Dall’età Romana al Medioevo, Tricase(Le), 2004, p.18.

4 ASNa; Sommaria, Partium, vol.39, a.1494 foll. 6-7, et appendice p.545, in R. Fino, Il Capo di Leuca e dintorni tra realtà, storia e leggende, Galatina(Le), 2004, p.10.

5 R. Filangieri, I registri della Cancelleria Angioina, vol. XXVII, Napoli, 1979, p.76.

6 I manoscritti di Carmelo Sigliuzzo, a cura di F. Ruppi, Lecce, 2010, pp. 198-200.

7 ASNa; Diversi, II numerazione, reg. 240, cc. 48v e 134, in C. Massaro, op. cit., 2020, p. 132 e nota 67.

8 S. Morelli, Il quaderno di Nucio Marinacio, erario del principe Giovanni Antonio Orsini da Lecce a Santa Maria di Leuca, anno 1461-1462, Napoli, 2013.

9 Ibidem, p. 59.

10 Ibidem, pp. 48-49.

11 Nel dettaglio: Arigliano aveva 3 fuochi de corpore, mentre 4 erano dislocati a S. Dana, 2 a Giuliano, 1 a Patù; Barbarano ne aveva 20 de corpore, 1 a Ruggiano, 2 a Patù, 4 a Salve, 3 a Giuliano; Gagliano 71 de corpore, 10 a Castrignano del Capo, 3 a Giuliano, 6 a Patù, 4 a S. Dana, 2 a Salignano; Montesardo 54 de corpore, 1 a Salignano, 1 a Barbarano, 3 a Meliano, 1 a Puteo Magno, 1 a Castrignano,1 a Morciano; Patù oltre ai 2 fuochi a Giuliano ne aveva 4 a Salignano; Presicce 1 a Montesardo.

12 A. De Meo, S. Fracasso, A. M. Giustapane, D. Ragusa, Per un posto in paradiso. Donazioni e testamenti ad Alessano nel Seicento, Lecce, 1994, p. 98.

13 Testimonianza orale raccolta in loco.

14 Il Sigliuzzo (op. cit., p. 227), trattando del casale di Pisanello, propone un’interpretazione diversa: ” Il villaggio di Pompiniano, nei dintorni di Muro, mentre era in pieno declino nel 1378, aveva assunto il nome di Pupignanello e Plusano, nei dintorni di Gagliano del Capo, ridotto agli estremi nel XIV secolo, figura ripetutamente sotto il nome di Pulsanello. Fenomeno identico si sarà verificato prima ancora dell’avvento dei Normanni per il villaggio di Pisano che, ridotto a poche famiglie, per la sua piccolezza avrà assunto il diminutivo”.

15 A. Marinelli, Contributo alla storia della romanizzazione del Salento, in Ricerche e Studi VIII, Quaderno n.8 del Museo Archeologico provinciale Francesco Ribezzo di Brindisi, Brindisi 1975, p. 157. Anche per questa località è attestata una frequentazione che va dall’età ellenistica a quella tardoantica (vedi: C. De Mitri, Inanissima pars Italiae. Dinamiche insediative nella penisola salentina in età romana, Oxford, 2010, p. 103).

16 D. Ammassari, Carta archeologica del territorio a sud di Alessano I.G.M. 223 I SE) e analisi strutturale della chiesa di Santa Barbara a Montesardo, Tesi di laurea in Topografia Antica, Lecce anno accademico 2005-2006, pp. 93-94.

17 Emissione appartenente alla serie FEL TEMP REPARATIO, diritto: testa diademata di Costanzo; rovescio: soldato munito di lancia che sottomette cavaliere barbaro; probabile coniazione della zecca di Costantinopoli. Il reperto è stato consegnato alle autorità competenti.

18 Ci occuperemo nello specifico della sua zona più orientale considerando gli attuali territori comunali di Alessano, Corsano, Gagliano e Tiggiano.

19 Una più ampia analisi di queste dinamiche si trova in: P. Arthur, Verso un modellamento del paesaggio rurale dopo il mille nella Puglia meridionale, in Archeologia Medievale vol. XXXVII, 2010, pp. 215-228; G. Muci, Analisi quantitative per l’interpretazione delle dinamiche socioeconomiche in atto tra Medioevo ed Età Moderna nel basso Salento, in Atti del VII Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, vol.1, Lecce, 2015, pp. 65-70; P. Arthur, B. Bruno, G. Fiorentino, M. Leo Imperiale, G. Muci, M. R. Pasimeni, I. Petrosillo, M. Primavera, Crisi o resilienza nel Salento del Quattordicesimo secolo?, in Archeologia Medievale, vol. XLIII, Firenze, 2016, pp. 48-50.

20 ASNa, Sommaria, Dipendenze, I serie, n°643/1.

21 R. Segre, Documenti di fonte veneziana sugli ebrei in Puglia, in Sefer yuhasin 6 (2018) 93-121, Università Orientale di Napoli, p. 98.

22 Ricostruendo i percorsi antichi, possiamo stimare il tempo di percorrenza in circa 30-40 minuti a piedi (considerando lo stato delle strade dell’epoca). Queste sono le distanze rilevate tra Marsanello e gli abitati confinanti: Marsanello – Macurano, distanza 1.63km, tempo di percorrenza a piedi 20 min.; Marsanello – S. Dana, 1.580km in 18 min.; Marsanello – Valiano, 1.560 km in 20 min.

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