di Roberto Lupo
Chi si approccia al fenomeno del tarantismo, non può non prendere in considerazione la figura di De Raho, ”medico dei tarantati” della prima metà del secolo scorso.
Francesco De Raho studia presso l’Università di Roma; nel 1906 consegue la laurea in Medicina e Chirurgia. Rientra, quindi, a Lecce, città natale, per esercitare la professione medica.
Si trova ad affrontare, così, la sintomatologia clinica del tarantati, presenti nel contesto salentino. Ne approfondisce gli aspetti biologici e ambientali. In verità al tema del tarantismo s’era appassionato già nel corso degli studi, tanto da farne argomento della tesi di laurea.
De Raho sostiene che il fenomeno, una reazione devastante con scosse e tremori del corpo dovuta secondo la tradizione popolare al morso del ragno, vada inquadrato “nell’isteria in senso lato”.
È un’impostazione che incontra l’interesse del mondo accademico romano, e non solo. Anche a livello internazionale gli studi di medicina si mostrano particolarmente attenti al tema della “Isteria”. Una scelta decisamente vincente: la sua tesi, verrà successivamente pubblicata con il titolo “Il tarantolismo nella superstizione e nella scienza”. Il saggio assumerà una rilevanza fondamentale per l’interpretazione del fenomeno: ancora oggi viene citato dagli studiosi della materia.
Francesco De Raho non si limita, tuttavia, ad esercitare con passione la professione medica. Appartiene a una famiglia di facoltosi proprietari terrieri, i baroni De Raho. Ragioni patrimoniali lo indurranno a intraprendere l’attività imprenditoriale nel settore agricolo, a cui finirà per dedicarsi in modo prevalente.
La conoscenza delle condizioni di vita del mondo rurale lo indurranno ad affrontare le relative problematiche secondo un punto di vista che va oltre l’aspetto prettamente clinico del fenomeno.
Per De Raho le radici del tarantismo vanno ricercate nel vissuto esistenziale e nel contesto sociale ed economico del tarantato. Un’espressione adottata dalla tradizione e dalla cultura salentina per risolvere situazioni di criticità emergente. Si tratta di un’intuizione che in qualche modo anticipa l’interpretazione del fenomeno come “sistema simbolico”, con cui più tardi si definirà la questione del tarantismo. L’obiettivo dichiarato da De Raho è rimuovere le implicazioni che il fenomeno ha assunto con la magia, la superstizione o le false credenze religiose, che condannano il tarantato all’emarginazione sociale e alla sofferenza fisica.
In sintonia con lo spirito illuminista e il pensiero positivista dominante, al medico preme formulare un giudizio sul tarantismo, libero da “credenze superstiziose” e in tal modo emancipare i tarantati da una condizione che interferisce in maniera negativa sulla condizione di salute. Per tanto s’impegna a fornire elementi di rigore scientifico alla sua trattazione: cita fonti autorevoli a sostegno della sua tesi, allega la descrizione di una serie di casi clinici direttamente osservati.
Infine esegue una vera e propria sperimentazione, facendo “mordere dalle tarantole raccolte molte cavie”. Il riscontro che gli animali “nulla presentavano degno di nota”, è riportato come prova a sostegno della sua tesi: l’azione tossica del morso del ragno non può essere ritenuta responsabile della sintomatologia del tarantismo.
De Raho intende, così, porre fine alla “ciarlataneria” sulla tossicosi da morso di ragno e alle tesi “assurde, per cui si scorgeva sempre nell’insorgere e nella natura dei fenomeni morbosi, l’influenza di forze occulte anzi addirittura diaboliche”. Il medico lamenta che “ molti giudicarono per induzioni vaghe su poche osservazioni altrui, in parte erronee ed esagerate, ed immaginarono, poiché la nevrosi per se stessa ne dà agio, cose ancora più favolose e più sorprendenti”. In sintesi, si propone di “razionalizzare” l’approccio al tarantismo. Classificato tra le Nevrosi, il tarantismo può ottenere il riconoscimento da parte della medicina ufficiale.
Ragione, Progresso e Scienza avrebbero sottratto i tarantati dal retaggio delle epidemie morali del medioevo, dalla stregoneria, dalla superstizione e dalla false credenze religiose.( cfr F. De Raho, Il tarantolismo nella superstizione e nella scienza, Besa ed.)
Lo stesso De Martino gli riconosce il merito di aver messo a profitto dei tarantati il sapere appreso sui libri di Charcot, di Gilles de la Tourette e di Pierre Janet” (cfr E. De Martino, La terra del rimorso). Un riconoscimento, che probabilmente ha contribuito alla maggiore notorietà di De Raho rispetto a quella di altri medici salentini che pure hanno mostrato interesse e dedizione per i tarantati. Al contempo, però, De Raho avverte anche il pericolo che inquadrare il fenomeno come isteria, poteva essere soggetto a trattamenti terapeutici anche severi, basti pensare all’uso delle “cure elettriche”. Una certa critica, infatti, ritiene che tale impostazione abbia favorito un’eccessiva medicalizzazione del fenomeno.
Le doti umanitarie, l’empatia verso la sofferenza e la formazione classica di Francesco De Raho rientrano nella figura del “medico umanista”, a lungo presente nella tradizione meridionale.
Un clinico e un intellettuale radicato nel territorio salentino, ma aperto e sensibile al clima culturale dell’epoca. Un testimone del tarantismo del primo Novecento, quando il fenomeno è ancora pienamente attuale e conserva buona parte delle caratteristiche della tradizione popolare originale, ma comincia a risentire del contraccolpo della cultura razionalista, che scardinerà le radici magiche e popolari, preparandone il suo epilogo.
Nota. Il tema del presente contributo è trattato dall’autore R. Lupo in Tarantismo senza tarantati, Musicaos Ed.: tutti i diritti di copyright sono riservati.