La larva convivialis di Vereto ovvero della romanizzazione del Capo di Leuca

tratto da https://www.didatticarte.it/Blog/?p=14774

 

di Pierluigi Cazzato

 

Attraversando le esposizioni del Museo Archeologico Provinciale Sigismondo Castromediano di Lecce si possono scoprire alcuni peculiari reperti antichi che stupiscono e incuriosiscono anche il visitatore non appassionato di archeologia. Mi viene subito in mente lo splendido disco aureo proveniente dagli scavi di Roca (età del Bronzo Finale, XII/XI secolo a.C.), che fa bella mostra di sé in una delle sale principali del museo, oppure le famose Veneri di Parabita che, dopo millenni, restituiscono ancora il senso di quella che fu la religiosità delle genti salentine di epoca neolitica.

Tuttavia ci sono certi reperti che restano più nascosti, magari nell’angolo di una teca poco illuminata, ma non per questo sono da considerare meno importanti dal punto di vista storico e, soprattutto, meno affascinanti. Così, se si ha la pazienza di osservare con attenzione le decine di vetrine espositive del museo leccese, una volta arrivati alla sezione dedicata agli scavi di Vereto, s’incontra una vera rarità archeologica.

Si tratta di un piccolo manufatto di epoca romana, uno scheletro in bronzo alto appena una decina di centimetri, monco e un po’ deforme, che desta quasi il ghigno di scherno dell’osservatore. In realtà questo bronzetto è uno dei pochi esemplari esistenti al mondo di larva convivialis (se ne contano solo 10 esemplari sparsi tra Europa e Stati Uniti1), un oggetto che costituisce, a mio avviso, una chiara testimonianza di quanto la comunità veretina, una volta entrata nell’orbita romana, si fosse pienamente integrata nel sistema socio-culturale dell’Urbe. Inoltre questo strano reperto, all’apparenza poco significativo, offre l’opportunità di far luce, in modo parziale e non definitivo come spesso accade nella ricerca storica, su un periodo fondamentale della storia del Capo di Leuca: l’epoca della romanizzazione e della latinizzazione della penisola salentina.

Innanzi tutto occorre partire dall’uso e dal significato che a tali oggetti veniva attribuito nell’antica Roma; è noto che le larvae conviviales, o scheletri da banchetto, erano delle marionette snodabili in metallo, in genere argento o bronzo; esse rappresentavano degli oggetti di prestigio, infatti venivano usate esclusivamente sulle tavole delle classi più agiate durante i ricchi banchetti che caratterizzavano la vita sociale delle élites cittadine. Erano utilizzate in un particolare gioco di carattere conviviale e servivano per ricordare ai convitati la caducità della vita e, quindi, per esortali a godere a pieno dei suoi piaceri e dei suoi momenti lieti. Questo rituale, che a noi può apparire un po’ macabro, viene puntualmente descritto da Petronio nel Satyricon, nel famoso racconto della cena di Trimalcione, ricchissimo liberto romano, la cui mensa diventa teatro di scene comiche e grottesche che offrono uno spaccato unico della società dell’epoca. In uno dei suoi passi si legge:

 “[…] Subito furono portate delle anfore di cristallo accuratamente sigillate al cui collo erano appese delle etichette con questa scritta: FALERNO OPIMIANO DI CENTO ANNI. Mentre noi leggevamo attentamente l’etichetta, Trimalcione batté le mani e disse: << Ahimè! Dunque il vino vive più a lungo dell’omuncolo! Ma allora non indugiamo a scolarcelo! Il vino è vita. […]>>. Mentre noi tracanniamo e osserviamo attoniti tutto quel ben di dio, arriva un servo con uno scheletro d’argento costruito in maniera tale che le giunture delle articolazioni e delle vertebre permettevano qualunque tipo di movimento. Dopo averlo buttato a più riprese sul tavolo facendogli assumere varie posizioni grazie alla sua struttura mobile, Trimalcione aggiunge: <<Ahimè, miseri noi, che cosa da nulla è un pover uomo. Noi tutti saremo così quando l’Orco (nda: divinità degli inferi) ci prende. Ma allora viviamo, finché possiamo stare bene>>2.

Questo brano ci da una visione realistica di quello che era il senso della vita e della morte presso una parte della società romana, l’alta borghesia nello specifico. Una società in cui, a partire del I secolo a.C., si diffonde il topos letterario della brevità dell’esistenza umana, tema centrale della filosofia epicurea.

Da Lucrezio al carpe diem di Orazio, nella letteratura latina vi è un susseguirsi di inviti a godersi la vita, di esortazioni a essere consapevoli che nulla dura in eterno e a cogliere l’attimo. In questo contesto filosofico-culturale s’inserisce il gioco dello scheletro da banchetto, un rito “di moda” nelle mense delle classi più agiate che serviva da monito, memento mori, e da incitamento a partecipare consapevolmente alle cose belle della vita3.

tratto da: https://www.didatticarte.it/Blog/?p=14774

 

Dunque la larva convivialis di Vereto si colloca in un preciso contesto culturale di stampo prettamente latino. Essa proviene da una tomba scoperta nel 1961 nel territorio di Patù, in località Mariane, manca del braccio destro e della parte inferiore delle gambe4; dando per buona la datazione di I secolo d.C.5 che le attribuisce la Garcia Barraco, allora appare più chiaro come anche nell’estremo lembo sud-orientale della Penisola le élites locali, una volta passate sotto il giogo romano, si fossero precocemente latinizzate assumendo gli usi e i costumi dei conquistatori, ricalcandone i modi di pensare e, probabilmente, abbandonando l’uso della lingua messapica a favore del latino.

La penetrazione romana del Salento meridionale iniziò già nel III secolo a.C. (al 280 a.C. risale l’iscrizione della vittoria su Tarentini, Sanniti e Sallentini, al 267 a.C. quella sui soli Sallentini, al 266 a.C. quella del trionfo su Sallentini e Messapi), ma si trattò di un’occupazione piuttosto precaria tanto che le guerre annibaliche portarono diverse defezioni nel campo degli alleati di Roma: alcune città messapiche passarono presto con il condottiero africano, altre invece, rimaste fedeli, vennero assediate e distrutte dalle truppe puniche (in questo contesto si colloca la distruzione di Castro-Castrum Minervae e probabilmente anche del centro fortificato messapico di Montesardo). Tuttavia dopo le guerre sociali dell’inizio del I secolo a.C. l’antica Messapia sembra integrarsi nel sistema economico di Roma, infatti, con il passaggio dalla Repubblica all’Impero, cominciò a prendere forma, attraverso la colonizzazione agraria, il modello di organizzazione territoriale che caratterizzerà il Capo di Leuca per diversi secoli.

Nel Liber Coloniarum appaiono due notizie relative alla limitazione agraria del Salento: la prima senza data ma che in genere si colloca in età augustea, mentre la seconda è riferibile con certezza all’epoca di Vespasiano (69-79 d.C.) e menziona esplicitamente il territorio di Veretum6. Probabilmente proprio in questo momento la città più meridionale della regio secunda Apulia et Calabria (quest’ultimo era il nome con cui i Romani definivano il Salento, solo in epoca bizantina, alla fine del VII secolo d.C., esso andò a designare l’odierna Calabria7) diventava municipium8.

esemplare di larva convivialis esposto nel Museo Castromediano di Lecce

 

Dunque in epoca imperiale la città veretina, chiamata da Strabone Ouerhton policnh (oppidum Veretini), sembra integrata in modo completo nel sistema romano sia dal punto di vista politico, sia da quello economico come pure da quello culturale. Ne possiamo ricavare l’immagine di un piccolo centro attivo e vivace alla periferia dell’Impero, municipio sicuramente periferico rispetto a Roma ma ancora centrale nell’ambito dei commerci mediterranei, nello specifico per i collegamenti tra Grecia e Sicilia (funzione fondamentale che gli scali salentini, in particolare Otranto, conserveranno fino alla conquista araba di Siracusa 878 d.C.9), per questo aveva a disposizione due porti: quello di S. Gregorio e quello di Leuca con la grotta santuario della Porcinara10.

I collegamenti terrestri le erano garantiti da una strada para litoranea che collegava i principali centri della Calabria romana: attraverso la “via Salentina” si risaliva la costa ionica verso Uzentum fino a Tarentum, mentre a nord-est, verso Castrum Minervae e Hydruntum, portava quella che dai moderni viene chiamata ” via Traiana Calabra”11.

Da tutto ciò risulta chiaro che l’antica città messapica si era ben inserita nel sistema politico ed economico romano ed in questo contesto la nostra larva convivialis diviene una spia evidente di quanto, in epoca imperiale, la società veretina si fosse profondamente romanizzata accogliendo quei rituali di convivialità, dunque modi di pensare e di espressione attraverso i simboli, propri della civiltà romana. Si aggiunga inoltre che, come ci testimoniano le iscrizioni ritrovate nel territorio di Patù, sotto l’Impero era esclusivo l’uso della lingua latina indice che probabilmente il messapico non si parlava più12 sostituito dall’idioma dei conquistatori.

Già sotto i primi imperatori di Roma, Vereto era ormai un tipico municipium di stampo latino e i suoi abitanti erano diventati dei perfetti cittadini romani, avendone adottato le idee e i rituali nonché la lingua. E’ da supporre che tale profonda romanizzazione non fu una caratteristica del solo centro cittadino e delle classi più agiate ma, con ogni probabilità, essa coinvolse tutto l’ager Veretinus e la sua popolazione rurale. Un altro reperto proveniente da Patù e la toponomastica del Capo di Leuca ci autorizzano a formulare un’ipotesi del genere.

Nella chiesa di S. Giovanni Battista presso la Centopietre si trova ancora oggi un cippo romano che reca scolpita un’iscrizione latina databile al I/II secolo d.C., già pubblicata dal Mommsen nell’Ottocento. Oltre a documentare l’istituzione della municipalità veretina, infatti viene citata la magistratura del decurionato, essa fornisce lo spunto per fare ulteriori riflessioni. Riporto di seguito l’iscrizione come viene trascritta dal Daquino:

M.FADIO M.F.

VALERINO

POST MORTEM

  1. FADIUS VALERIANO PATER

ET MINA VALERIANA MATER

  1. D. D. D. (Locum Decreto Decurionis Dant)13

L’elemento per noi di maggiore interesse è il gentilizio Fadius. Questo nomen, che si ritrova anche in un’iscrizione proveniente da Rudiae, pare essersi conservato nel circondario come toponimo prediale, nella tipica forma terminante in -ana/-ano. Infatti, a pochi chilometri da Patù, in agro di Alessano, ritroviamo il nome “Faggiana-Fasciana” (Masseria Faggiana sulla cartografia IGM, località Fasciana/Fascianella negli atti notarili del Seicento, Fasciana nella parlata locale) che pare derivare da un fundum/predium Fadianum (= fondo, terreno, proprietà di Fadius14). Quindi si tratterebbe di un classico toponimo prediale cioè derivante dal nome personale o di famiglia del proprietario del terreno agricolo nei pressi del quale si è sviluppato, in seguito, un piccolo abitato.

Nello specifico, in antico il predium latino aveva il significato originario di “bene di garanzia” ma ben presto assunse comunemente quello di “possedimento terriero”, sinonimo di fundum. Si possono fare due ipotesi circa il nome all’origine del prediale: potrebbe essere quello del primo colono romano che ebbe in concessione il terreno che era stato strappato ai precedenti possessori attraverso la conquista militare oppure, più probabilmente, quello del proprietario che lo deteneva verso la fine dell’età imperiale, quando si formarono grandi latifondi gestiti da manodopera libera e servile.

Durante il Tardo Antico e l’alto Medioevo su questi latifondi crebbe il numero dei servi i quali, organizzandosi intorno ad un nucleo di case e capanne, diedero vita a delle comunità rurali autonome, i casali15. Questi piccoli nuclei abitati conservarono il nome del predium sul quale erano sorti ma a causa delle invasioni barbariche (prima la guerra greco-gotica, poi i Longobardi e infine gli Arabi furono la causa delle ripetute devastazioni che funestarono le campagne salentine) molti di essi scomparvero.

Una volta superata quest’epoca difficile, nel basso Medioevo, i nomi dei casali sopravvissuti vennero registrati e conservati nei documenti che sono giunti fino a noi. Dunque mi pare corretto affermare che i toponimi prediali sono delle vere e proprie “epigrafi incise nel suolo” capaci di testimoniare il grado di romanizzazione di un territorio.

Una volta appurato il significato di questa particolare categoria di toponimi, ritorniamo ad occuparci del circondario veretino facendo un elenco dei possibili prediali che si sono conservati intorno al territorio di Patù:

*Alessano: da un predium Alexianum, dal nome di origine greca Alexios, Alexis da cui il latino Alexianus e Alexionus attestati a Lupiae e Rudiae16.

*Arigliano: forse da Arellius o Aurelius, non documentato nelle iscrizioni latine del Salento17; il dialettale Trijanu invece presuppone un predium Atrilianum dal nome Atrilius18. In provincia ritroviamo sia una masseria Arigliani (nel territorio di Lecce) sia la località Trojano (Cavallino)19.

*Barbarano: dal cognomen Barbarus, poco attestato nell’antica Calabira ma molto comune a Roma e in Africa20.

*Bolano: contrada tra Corsano e Tiggiano, come l’omonima località ligure potrebbe derivare dal nomen Bolanus21 o da Volius.

*Cagniano/Cagnianello: località compresa nel feudo di Montesardo (strada vicinale Cagnani) ed attestata nel Seicento22, come Cagnano presso Porto Cesareo, pare  derivare dal nomen Canius o Caninius23.

*Castrignano: dal nomen Castrinius non attestato nelle iscrizioni salentine24.

*Corsano: dal nomen Curtius che compare sia nel Salento (Rudiae) sia in Puglia. A Poggiardo troviamo la contrada Cursane25.

*Cosensano: località presso Salignano citata negli atti notarili seicenteschi26.

*Gagliano: deriva dal nomen Gallius abbastanza comune localmente27.

*Giuliano: dal nomen Iulius o dal cognomen Iulianus molto diffusi in tutte i municipia salentini: Rudiae, Valesium, Lupiae, Hydruntum, Callipolis, Neretum e Uzentum28. Si tratta di uno dei rarissimi gentilizi imperiali (membri della gens Iulia furono Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone) presenti nella provincia.

*Macurano: forse dal nomen Magurius o dal cognomen Maioranus29 o dal gentilizio Maculus30. L’insediamento rupestre che porta ancora questo nome risulta frequentato da epoca bizantina31 ed è stato un casale durante il Medioevo.

*Malianu: contrada nel feudo di Tiggiano, vi si trovava un casale medievale attestato nelle fonti angioine (XIII-XIV secolo d.C.) con diversi nomi: Mamillani, Mammillani, Mammillari, Manimillani, Millani; nel Cinquecento si trasformò in Movigliano32 o Manigliano33. Il toponimo Magliano è frequente in tutta Italia34 e pare derivare da Malius/Mallius o Manlius35 oppure dal gentilizio Aemilius attestato a Vaste. In questa località si trova un’ampia area di frammenti fittili di età imperiale (II-V secolo d.C.) riconducibile ad un piccolo insediamento di carattere agricolo.

*Mardano: altra contrada tiggianese menzionata sulla cartografia IGM, il prediale deriverebbe dal nomen Martius attestato in Puglia ma non nel Salento36.

*Misciano: casale scomparso nel feudo di Gagliano37. Il toponimo Miggiano è assai diffuso in tutta la penisola salentina, deriverebbe da un nomen Maedius/Medium attestato in Puglia; tra l’altro nel 1310, le Rationes Decimarum della diocesi di Otranto citano Meyanum38.

*Morciano: potrebbe venire dal gentilizio Marcius39.

*Morsanu Ranne: come Masseria Moresano, nei pressi di Gemini, parrebbe un prediale che viene dal cognomen Mauricius/Maurisius/Mauritius40; nei testamenti del Seicento viene indicata semplicemente come Morsano41. Una ricognizione di superficie della zona, che si trova tra Montesardo e S. Dana lungo un asse viario antico, ha messo in luce un piccolo insediamento romano di carattere agricolo (sono stati rinvenuti abbondanti frammenti fittili databili tra l’età repubblicana e il V secolo d.C. e una moneta in bronzo dell’imperatore Costanzo II del 350-51 d.C.) e uno di età medievale (ceramica del XII-XIII d.C.).

*Porcigliano: contrada di Alessano come attestano i documenti del Seicento42, similmente agli omonimi casali che si trovavano in agro di Ostuni e di Lecce , pare derivare dal cognomen Porcilius43.

*Provigliano: casale medievale (nel XIII-XIV secolo viene indicato con il nome Priviliani) in territorio di Alessano, conserva i resti (frammenti di anfore e di ceramica da cucina) di una piccola fattoria romana di epoca imperiale44. Potrebbe derivare da Privius/Provius che però non mi risulta attestato nell’onomastica latina.

*Pulsano: la località, indicata col dialettale Prusano, si trova a Gagliano nei pressi della chiesa di S. Francesco, ha restituito ceramica romana databile tra il I secolo a.C. e il IV d.C. e una moneta di Costantino. Fu casale durante il Medioevo45. Potrebbe derivare dal cognomen Publicius attestato di frequente nelle iscrizioni salentine46.

*Ruggiano: dal nomen Rusius/Rudius, che a sua volta deriva dalla citta di Rudiae47, attestato nelle iscrizioni brindisine48.

*Salignano: dal gentilizio Salonius49 o Salinius50.

*Spiggiano: masseria sita tra Presicce e Ruggiano, fu casale tra il XII e il XIV secolo d.C.51.

Deriva dal nomen Spedius attestato da un’iscrizione brindisina52.

*Tiggiano: forse da Attidius che non risulta attestato nelle iscrizioni latine53 o dal gentilizio Tidius54.

*Tigliano: località di Patù55, forse da un Attilius.

*Turtigliano: contrada del feudo di Patù citata nei testamenti del Seicento56, potrebbe derivare da Rutilius o Tutilius.

*Vagliano: masseria in territorio di Alessano, fu casale, conosciuto con il nome di Baliano/Valiano, abbandonato alla fine del Cinquecento. Nei suoi dintorni rimangono le tracce di un insediamento romano, probabilmente una piccola fattoria databile tra il II e il V secolo d.C.57, e di una successiva presenza bizantina. Potrebbe derivare da un fundum Valianum dal nomen Vallius58.

 

Se ne ricava che dei 27 possibili prediali elencati almeno 5 (Malianu, Morsanu, Provigliano, Pulsano e Valiano) hanno conservano ancora sul loro territorio le evidenze archeologiche di piccoli insediamenti rurali di epoca romana, in genere databili tra II e V secolo d.C., nonché le prove di una successiva frequentazione in età medievale. Alla luce di questo, credo di poter affermare, con la dovuta cautela, che la maggior parte di questi toponimi trae origine da un praedium.

Ne consegue che in epoca romana l’area in questione, la parte centro-orientale dell’estremo Capo di Leuca, è stata sottoposta ad un’organizzazione agraria profonda e capillare, con latifondi appartenenti a famiglie che in genere risiedevano a Brindisi e a Roma, ed affidati in gestione a contadini di stato servile59.

Le tracce archeologiche di questo sistema agrario sono ancora ben evidenti sul territorio, infatti numerosi sono i siti che conservano i resti (frammenti fittili) di piccole villae romane ed ancora visibili sul terreno sono i segni della centuriazione antica. Tale sistema di sfruttamento dello spazio agricolo durò per diversi secoli tanto da lasciare evidenti tracce nella toponomastica locale. Esso influenzò anche il successivo popolamento del Capo di Leuca, visto che le popolazioni rurali aggregandosi intorno alle fattorie romane diedero vita ai villaggi del primo Medioevo, i casali.

In conclusione mi sembra che i dati fin qui messi in luce permettano di fare alcune considerazioni. Prima di tutto bisogna sottolineare ancora una volta che la romanizzazione dell’antica Calabria fu profonda e duratura, essa coinvolse non solo le élites cittadine ma anche la popolazione rurale. Occorre inoltre ribadire che il latino era la lingua che si parlava in modo corrente anche tra i ceti sociali più modesti infatti “[…] nessuna regione come il Salento ha oggi restituito un numero così elevato ed impressionante di iscrizioni servili e delle classi sociali inferiori, tutte incise sulla tenerissima pietra locale e con una scrittura assai sciatta, incline alle forme corsive, e con evidenti influssi dialettali: tutto questo dimostra che anche i ceti più bassi avevano imparato ad esprimersi in latino […]”60.

Da ciò ne consegue che l’ellenizzazione delle nostre contrade fu un fatto essenzialmente di epoca bizantina al quale ha contribuito non poco il monachesimo greco61. Rimane da approfondire questa fase di passaggio dalla lingua latina a quella greca che si dovette compiere in un lasso di tempo compreso tra la guerra greco-gotica (metà del VI secolo d.C.) e la seconda conquista bizantina (fine del IX secolo d.C.). Purtroppo le iscrizioni salentine di questo periodo sono scarsissime e non ci permettono di fare ulteriori valutazioni in merito62.

Il secondo punto che intendo evidenziare è la continuità tra gli insediamenti rurali di epoca romana e i villaggi medievali; credo infatti che, in quest’area del Salento meridionale in modo particolare, la maggior parte dei casali che ritroviamo nelle fonti angioine siano sorti in prossimità di un predium. La toponomastica, supportata dalle evidenze archeologiche, mi pare ci possa condurre ragionevolmente a questa conclusione, anche se rimane ancora da chiarire cosa avvenne in età bizantina. Di sicuro la metà del VI secolo d.C. rappresenta un momento di cesura in cui numerosi siti romani furono abbandonati. Altri invece sopravvissero e diventarono dei veri e propri centri abitati ancora esistenti.

Resta da fare un’indagine sul campo per ciascuna località per verificare caso per caso questa continuità insediativa63 in modo da comprendere meglio i motivi per i quali alcuni insediamenti ebbero maggior fortuna rispetto ad altri destinati a scomparire.

La visita al museo leccese e la “scoperta” della larva convivialis di Vereto mi ha offerto lo spunto per fare questo breve excursus sulla romanizzazione del Capo di Leuca e mi concede l’opportunità di fare un’ulteriore riflessione: un tempo essa ricordava agli antichi veretini che nulla è eterno e gli invitava a godere delle cose belle della vita, mentre oggi il piccolo scheletro da banchetto rammenta a noi moderni quanto il nostro territorio sia ancora ricco di importanti testimonianze storiche e ci esorta a prendercene cura e a valorizzarle prima che esse scompaiano. Penso che la vocazione turistica del Capo di Leuca sia innegabile ma l’offerta culturale proposta al visitatore troppo povera e legata ai soliti stereotipi salentini.

Allora perché non creare un piccolo spazio espositivo dove raccogliere i reperti di Vereto, sparsi chissà tra quanti musei, oppure quelli degli scavi di Leuca, Salve, Montesardo? Di certo servirebbe ad ampliare la proposta culturale del nostro territorio e permetterebbe di presentarci al visitatore in un modo un po’ diverso rispetto al solito “mare, sole e musica popolare”. E forse potrebbe anche servire a renderci consapevoli di quanto sia culturalmente stratificato e ricco di storia il luogo in cui viviamo, con l’auspicio che ci insegni a prendercene cura e a godere delle sue bellezze prima che esse vengano cancellate dell’ineluttabile scorrere del tempo.

 

Note

1M. E. Garcia Barraco, Larvae conviviales. Gli scheletri da banchetto dell’antica Roma, Roma 2020, pp.54-65.

2Petronio, Satyricon, XXXIV, 8 (traduzione in M. E. Garcia Barraco, op. cit., p.27).

3M. E. Garcia Barraco, op. cit., pp.9-34.

4C. Daquino, I Messapi e Vereto, Manduria (Ta) 1991, p.231.

5La datazione del manufatto rimane controversa: sul cartiglio del museo il corredo funebre viene datato agli inizi del IV secolo a.C., il Daquino definisce la tomba come messapica, De Mitri la colloca nel II secolo a.C. (cfr. C. De Mitri, Inanissima pars Italiae. Dinamiche insediative nella penisola salentina in età romana, Oxford, 2010, p.100) mentre Garcia Barrano data l’opera al I secolo d.C.

6A. Marinelli, Contributo alla storia della romanizzazione del Salento, in Ricerche e Studi VIII, Quaderno n.8 del Museo Archeologico provinciale Francesco Ribezzo di Brindisi, Brindisi 1975, pp.135-136. Le due differenti opere di limitatio sono state evidenziate anche dalla moderna ricerca archeologica, infatti si riconoscono due aree di centuriazione: una sulla costa adriatica da Acaya fino a Tricase (ma molto probabilmente giungeva fino ad Alessano), l’altra sul versante ionico nel territorio compreso tra Gallipoli e Castrignano del Capo (cfr. G. A. Neglia, Il paesaggio del Salento leccese. Struttura naturale e forme di antropizzazione, in Messapia. Forma del territorio e delle città del Salento meridionale, a cura di F. Defilippis e M. Montemurro, Modugno (Ba) 2006, pp.3-7.

7V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente: Otranto in epoca bizantina, in Studi sull’Italia bizantina, a cura di M. Di Branco e L. Farina, Roma 2022, pp.146-147.

8Un’iscrizione di epoca imperiale, proveniente da Patù, attestata l’esistenza di un Venerius servus Rei Publicae Berentinorum (cfr. Daquino, op. cit., pp.232-233; C. De Mitri, op.cit., p.25).

9V. von Falkenhausen, op. cit., pp.139-151.

10C. Daquino, op. cit., pp.131-150.

11G. Mastrocinque, Le città della Calabria tra l’età repubblicana e la prima età imperiale: aggiornamenti per uno sguardo d’insieme, in Annales de arqueologia cordobesa numero 30, Cordoba 2019, pp.79-80.

12“A quanto pare le guerre annibaliche che hanno interessato la Puglia […], con le conseguenze di recessione economica e sociale che ne sono conseguite, hanno sancito al contempo anche un progressivo declino della cultura scritta locale, che venne nel corso del II e I secolo rimpiazzata da quella latina nel processo di romanizzazione (cfr. S. Marchesini, Epigrafi messapiche del Salento, in Idomeneo, n. 19, 69-78, Lecce 2015, p.72).  Già Ennio, padre della letteratura latina ma nativo di Rudiae, si vantava di parlare tre lingue: il greco, l’osco e il latino tacendo dell’idioma natio (cfr. C. Daquino, op. cit., p.66).

13C. Daquino, op. cit., pp.217-218.

14A. Marinelli, op. cit., p.150; circa i processi linguistici che da Fadius portano a Fasciana/Fascianu cfr. G. Alessio, Problemi di toponomastica pugliese, in Archivio Storico Pugliese, 1953, pp.240-242.

15M.G. Valogiorgi I toponimi di origine prediale nella geografia della Toscana, in Rivista di Storia dell’Agricoltura, anno XXII, n.1, Firenze 1982, pp.161-162.

16A. Marinelli, op. cit., p.142.

17G. Susini, Fonti per la storia greca e romana del Salento, Bologna 1962, p.203.

18G. Rohlfs, Dizionario toponomastico del Salento, Ravenna 1986, p.126.

19P.Salamac, Toponomastica rurale del territorio leccese, Lecce 1993, pp.14 e 101.

20A. Marinelli, op. cit., p.144.

21S. Di Meo, Il sito incastellato di poggio di Bolano – Prime indagini archeologiche, https://www.academia.edu/36227379/Il_Sito_incastellato_del_Poggio_di_Bolano_Prime_indagini_archeologiche

22A. De Meo, S. Fracasso, A. M. Giustapane, D. Ragusa, Per un posto in paradiso. Donazioni e testamenti ad Alessano nel Seicento, Lecce 1994, pp.73 e 112.

23A. Marinelli, op. cit., p.146.

24A. Marinelli, op. cit., p.148.

25A. Marinelli, op. cit., p.149.

26A. De Meo, S. Fracasso, A. M. Giustapane, D. Ragusa, op. cit., Lecce, 1994, p.107.

27A. Marinelli, op. cit., pp.151-152.

28A. Marinelli, op. cit., pp.153-154.

29A. Marinelli, op. cit., pp.155-156.

30D.Ammassari, Carta archeologica del territorio a sud di Alessano I.G.M. 223 I SE) e analisi strutturale della chiesa di Santa Barbara a Montesardo, Tesi di laurea in Topografia Antica, Lecce anno academico 2005-2006, p.14. Tuttavia sembra più convincente l’ipotesi che ricollega il toponimo al latino mucro/mucronis, punta, estremità aguzza, strapiombo sul mare, dunque un toponimo che deriva dalla morfologia del territorio e non un prediale.

31S.Calò, Paesaggio di pietra. Gli insediamenti rupestri delle Serre Salentine, Roma 2015, pp.101-108.

32S. Musio, Casali e Feudatari del territorio di Tricase. La dominazione angioina (Secoli XIII-XV), Tricase (Le) 2007, p.23 e nota 37.

33A. De Meo, S. Fracasso, A. M. Giustapane, D. Ragusa, op. cit., Lecce, 1994, p.69.

34G. Rohlfs, op. cit., p.83.

35A. Marinelli, op. cit., pp.156.

36A. Marinelli, op. cit., p.157.

37M.Ciardo, La storia di Gagliano del Capo. Dall’età Romana al Medioevo, Tricase(Le) 2004, pp.9-11.

38A. Marinelli, op. cit., p.155.

39G. Susini, op. cit., p.204.

40A. Marinelli, op. cit., p.157.

41A. De Meo, S. Fracasso, A. M. Giustapane, D. Ragusa, op. cit., Lecce, 1994, p.98.

42A. De Meo, S. Fracasso, A. M. Giustapane, D. Ragusa, op. cit., Lecce, 1994, p.121.

43G. Rohlfs, op. cit., p.103; G. Colella, Toponomastica pugliese dalle origini alla fine del Medioevo, Trani 1941, p.307.

44 P. Cazzato, L’area archeologica di Provigliano e l’antico popolamento sulla Serra dei Cianci, in Controcanto, anno XIX, numero 1, Alessano (Le) 2023, pp.3-10.

45M.Ciardo, La storia di Gagliano del Capo. Dall’età Romana al Medioevo, Tricase(Le) 2004, pp.7-9.

46A. Marinelli, op. cit., pp.160-161.

47A. Marinelli, op. cit., p.161.

48G. Rohlfs, op. cit., p.107.

49A. Marinelli, op. cit., p.162.

50G. Susini, op. cit., p.205.

51I manoscritti di Carmelo Sigliuzzo, a cura di F. Ruppi, Lecce 2010, pp.274-279.

52A. Marinelli, op. cit., p.163.

53G. Susini, op. cit., p.206.

54G. Rohlfs, op. cit., p.124.

55G. Rohlfs, op. cit., p.124.

56A. De Meo, S. Fracasso, A. M. Giustapane, D. Ragusa, op. cit., Lecce, 1994, p.61.

57P. Cazzato, Valiano. Dalle origini alla scomparsa di un casale del Capo di Leuca, in Controcanto, anno XVIII, numero 3, Alessano (Le) 2022, pp.3-12.

58G. Susini, op. cit., p.206.

59A. Marinelli, op. cit., p.138. “Dall’epigrafia abbiamo così, per la regione apula e salentina, una migliore conoscenza della compagine sociale dell’età imperiale romana […]; infatti moltissime sono le attestazioni di servi […] (il che) fa pensare che si trattasse di schiavi impiegati con diverse mansioni, nell’ambito di un’organizzazione prediale tanto sviluppata tecnicamente quanto socialmente conservativa.” G. Susini, Problematica dell’epigrafia classica nella regione apula e salentina, in Atti del I Convegno Associazione Comuni Messapici, Peucezi e Dauni, Bari 1969, p.48.

60G. Susini, Note di storia antica ed epigrafia salentina, in Studi Salentini XVIII, Lecce 1964, p.235.

61P. Stomeo, Lingua e cultura greca nel Salento (tradizioni e ipotesi), in Studi Salentini LV-LVI, Lecce 1979, p.14.

62Secondo il Panarese “i cognomi greci, le strutture morfo-sintattiche greco-bizantine amalgamate con quelle preesistenti romanze che attestano, nell’area magliese, una lunga fase di bilinguismo, in cui il romanzo alla fine riuscì a prevalere sul griko” (cfr. E. Panarese, Il toponimo “Maglie” e l’oronimia salentina, in Contributi. Rivista della Società di Storia Patria per la Puglia – Sezione di Maglie, Anno I, n.2, Galatina (Le) 1982, p.14).

63Ad esempio sia il centro di Alessano sia quello di Corsano appaiono strettamente legati con la viabilità in uso in epoca imperiale, ciò avvalora l’ipotesi che ambedue i paesi siano sorti da un precedente abitato romano.

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