L’area archeologica di Provigliano e l’antico popolamento sulla Serra dei Cianci

 

di Pierluigi Cazzato

In Puglia, l’alta densità di piccoli centri urbani è una caratteristica peculiare della provincia di Lecce. Soprattutto nella sua porzione meridionale, paesi e frazioni sorgono a breve distanza tra loro tanto che alcuni di essi formano, ormai, un unico agglomerato urbano (vedi il caso di Acquarica del Capo e Presicce). Nel Basso Medioevo la densità degli insediamenti umani, come ci testimoniano le fonti documentarie angioine e aragonesi e l’odierna toponomastica, era notevolmente maggiore, infatti esistevano numerosi piccoli e piccolissimi villaggi che furono abbandonati a causa di diversi fattori. Uno di questi casali medievali era Provigliano, un piccolo abitato aperto che si trovava sulla Serra dei Cianci, a circa 1,3 Km a sud-ovest rispetto all’antico centro di Alessano, l’odierna piazza O. G. Costa, in un territorio di antica frequentazione umana (fig. 1).

 

Fonti storiche

La certa identificazione del casale di Provigliano nei documenti della Cancelleria Angioina ancora disponibili risulta alquanto problematica. Nella Cedularia Terrae Idronti (1378) viene citato due volte il toponimo Priviliani: Riccardo di Petravalda veniva tassato per certe parti dei casali di Pomarici (Basilicata), Pistici (probabilmente è da leggere pristicij=Presicce) Sorbo (vicino Salve) e Priviliani1, mentre Nicolò figlio del fu Aimoncito di Sangiorgio, doveva pagare una certa somma per alcuni beni feudali posseduti nei casali di Barbarano, Presicce, Bergiano(?) e Priviliani2. Per il Sigliuzzo questo toponimo si riferisce al casale scomparso di Principano (nel territorio di Tricase); infatti secondo la sua ipotesi, esso era il nome originario di un feudo nei pressi di Depressa la cui denominazione in seguito cambiò in Principani, come si evincerebbe dalla documentazione angioina del XIV secolo. Nello specifico, agli inizi del Trecento, lo studioso di Presicce identifica quattro famiglie che hanno possedimenti nel suddetto feudo: i Teotino che vengono citati come possessori, già nel 1301, dei casali di Specla de’ Presbiteri (Specchia), Teotini (Tutino) e Principani (successivamente, nel 1332, a Giovannuzzo Teotini vennero confermati i possessi, che erano stati del padre morto nel 1307, di 1/3 dei casali di Teotini e Priviliani e 1/5 di Specla de’ Presbiteri); i Pedravalda che nel 1316, con Riccardo de Petravalda (omonimo del personaggio incontrato nella Cedularia, probabilmente si tratta di nonno e nipote), possedevano quote feudali di Pompiniani (vicino Gemini), Presicij, Surbi (dintorni di Salve) e Priviliani; i Sangiorgio che nel 1326, con Guitzardo Sangiorgio, detenevano quote di Barbarano e Presicij, con vassalli in Rugiani, Priviliani e Salve mentre suo fratello Nicolò (lo stesso della Cedularia o parente omonimo), nel 1336, aveva vassalli in Corsano, Presicij, Priviliani e Rogiani; i de Bellante che tra il 1316 e il 1338, con Giovanni II de Bellante, erano possessori della quarta parte dei casali di Corsano, Gagliano e Priviliano3.

L’errata identificazione del Sigliuzzo deriva, a nostro parere, da un errore di trascrizione di un toponimo dalla grafia poco chiara, infatti, confrontando le vicende feudali dei Teotino da lui riportate con quelle che ci fornisce il Musio, il sospetto sorge legittimo perché l’autore tricasino, citando la notizia che nel 1318 Joanne Theodino pagava 15 tareni pro tertia parte Casalis Tutini certa parte Specle de Presbiteris ex casalis Plumiliani, ci fornisce una differente versione del nome4. Tra l’altro, il Vallone, che ricostruisce in modo approfondito le vicende della casata dei Teotino, non cita mai il casale di Principano, ma anzi ci riporta l’interessante notizia che nel 1335 avvenne uno scontro tra le famiglie dei Petravalda e dei Teotino nei feudi di Specchia e Montesardo, proprio il territorio su cui insisteva il feudo di Provigliano5.

Dunque è nostra opinione che il toponimo in questione si riferisca alla contrada alessanese e a sostegno di questa ipotesi si può notare che la maggior parte dei casali sin qui citati si trovano sul versante occidentale della Serra dei Cianci, con alcuni di essi molto prossimi alla zona di nostro interesse. Inoltre, in seguito, il toponimo Priviliani, o una sua corruzione, non verrà mai più utilizzato per indicare una parte del feudo di Depressa. Dello stesso parere è il Montefusco, per il quale il feudo di Provignano nel 1378 apparteneva al solito Riccardo di Petravalda, poi fu concesso, da Ladislao d’Angiò-Durazzo, alla famiglia Monforte che lo detenne per tutto il Quattrocento. Infine, nel 1564, Ettore Monforte lo vendette a Valente Grassi6.

Nel XVI secolo esso era ormai diventato un feudo rustico appartenente a Benedetto Grasso di Nardò7. Per il secolo successivo si ricavano altre informazioni da alcuni atti notarili, donazioni e testamenti, rogati in Alessano: nel primo, datato 26 ottobre 1679, Paolo Romano dona al capitolo di Alessano “una possessione di olive e seminativa con pagliaio, calcara e cisterna, sita nel feudo di Alessano in località Provigliano8; nel secondo l’abate Pietro Ventruto lascia in eredità alla nipote Franceschina Marco una “possessione seminativa e di olive, sita […] in località Provigliano9.

Un documento tardo fornisce un quadro parzialmente diverso delle successioni feudali: si tratta del manoscritto Breve Istoria della Famiglia delli Grassi di Martano, cittadini di Alessano (dal tardo medioevo al sec. XVIII) pubblicato dal compianto Antonio Caloro10. Ne è autore, nel 1881, il padre gesuita Antonio Grassi che redige la storia della sua casata utilizzando le “antichissime memorie esistenti nella casa dei Signori Grassi“. Nel tracciare la discendenza dei Grassi “Patritij di Alessano” si fa riferimento ad un documento del Duecento dove si legge: “Guillelmus Grassus sicut ipse dixit tenet in Alexano feudum trium militum et augmento obtulit milites sex11 [trad. “Guglielmo Grasso, come egli stesso ha dichiarato, ha in Alessano un feudo (che comporta il servizio) di tre militi e con l’aumento (per la mobilitazione generale) ha portato sei militi”], per poi aggiungere: “Il feudo che possedeva Guglielmo Grassi dicon alcuni che fusse stato Provigliano, che perché distrutto trecento anni sono dalli Turchi in una scorreria, secondo che attesta in un antichissimo manoscritto la buon’anima del mio Avo, si ritirarono in tutto e per tutto in Alessano che poco era distante dall’accennato feudo, senza però defraudare della solita coltura i campi feudali, delli quali fino a questi ultimi tempi furono padroni“. Nella stessa opera viene riportata la notizia che nel Cinquecento le sorelle Aurelia e Marina Grassi ricevettero in dote ” alcune possessioncelle rimaste là in Provigliano […] che furono picciol’avanzo di un gran patrimonio…12.

 

Toponomastica

Nel corso dei secoli il nome è stato scritto attraverso l’uso di diverse grafie (o trascritto secondo differenti interpretazioni):

XIV secolo: Priviliano, Principano?, Plumiliano?

XVI secolo: Provignano

XVII secolo: Provigliano

Il toponimo Provigliano, seppur leggermente modificato, si conserva ancora oggi sia nella denominazione della strada rurale Rovigliane-Lacco13, sia nel termine Pruvuliane che identifica un fondo agricolo ubicato sulla via che dal Calvario di Alessano porta alla chiesa di S. Marina a Ruggiano14. Esso pare di chiara origine prediale, fatto assai comune in tutto il Capo di Leuca, e potrebbe derivare da un cognomen Privius/Provius che però non ci risulta attestato nell’onomastica latina.

area medievale, blocco lavorato

 

Evidenze archeologiche

Alcune ricerche, condotte dallo scrivente nei mesi di settembre e ottobre del 2022, hanno permesso di localizzare, con una certa precisione, l’area interessata dall’insediamento medievale all’incrocio della strada comunale Donniche con le vie Mortiti e Donniche-Chiuse (Fig.2).

 

Una prima ricognizione di superficie ha permesso di individuare un’ampia area di frammenti fittili, di circa 130×130 m, che interessa un terreno seminativo e parte di un uliveto confinante. Nello specifico si tratta di: alcuni frammenti databili tra I secolo a.C. e I secolo d.C. (due pareti di ceramica ad impasto grigio, di cui uno presenta tracce di vernice nera, ed una parete d’impasto rosso dipinta di nero, alcuni frammenti di terra sigillata italica); abbondante ceramica di epoca Imperiale e Tardoantica (tre orli di pentole “tipo San Foca” e altre pareti con lo stesso tipo d’impasto, pareti e orli di terra sigillata chiara non meglio identificabile, fondi e pareti di ceramica africana da cucina, un puntale di anfora ad impasto rosso, tre pareti di Late Roman Amphora) e scarsi resti ceramici medievali (alcuni frammenti di ceramica acroma, uno di RMR e uno d’invetriata verde) e post-medievali. Diversi sono i resti di anfore e di ceramica da cucina che non sono stati identificati. Tutto il terreno, inoltre è disseminato di innumerevoli lacerti di tegole di varia fattura e di moltissime scorie di fusione di diversa dimensione. I resti rinvenuti in quest’area fanno ipotizzare l’esistenza di un piccolo insediamento agricolo romano (fattoria) databile tra la fine dell’età repubblicana e il V secolo d.C.

Durante una seconda ricognizione, effettuata nei terreni confinanti a nord-ovest del podere oggetto della prima indagine, è stata individuata un’ulteriore area (circa 250 m2) di concentrazione di frammenti ceramici riferibili, nella gran parte, al XIII/XIV secolo d.C. L’uliveto in questione, attualmente incolto, ricoperto da una fitta vegetazione e in condizioni di scarsa visibilità, ha restituito: molti resti di ceramica invetriata (tra cui un orlo di piatto di ceramica RMR, invetriata policroma e monocroma verde e vari altri frammenti molto consunti non meglio identificabili), pareti di piccole anfore sia acrome sia dipinte a fasce strette (su una di esse è ben riconoscibile la decorazione a spirale), ceramica da cucina e resti di tegole con impasto chiaro. Pochi sono i rinvenimenti, tra cui due frammenti di pipa fittile, attribuibile all’età moderna; sporadico il ritrovamento di un grattatoio in selce chiara databile all’età preistorica. Tutti i dati raccolti ci indicano che su questa zona sorgeva il villaggio medievale di Provigliano, o quantomeno una parte di esso.

pajara, in primo piano uno dei grandi blocchi di epoca romana

 

Una terza indagine è stata eseguita nel febbraio 2023 e ha consentito di localizzare una nuova area di interesse archeologico a circa 50 metri a nord dalle precedenti. In un terreno con numerosi banchi rocciosi affioranti è stata rinvenuta una piccola costruzione in pietra, in parte ricoperta da arbusti e rovi, con la copertura crollata: in apparenza una tipica costruzione contadina salentina (pajara) realizzata a secco con pietre locali di medie e piccole dimensioni che ad un esame più attento rivela degli elementi del tutto peculiari. Infatti nella parte anteriore della pajara (l’entrata è rivolta verso sud-ovest) si nota la presenza di grandi blocchi di calcare tenero (pietra calcarenitica che chiaramente non è stata cavata in loco) ben lavorati e squadrati (dimensioni: 135x68x40 cm; 60x50x40 cm; 75x60x50 cm).

pajara, il corridoio d’ingresso e l’arco di volta

 

L’ingresso è scandito da un corridoio (costituito da una specie di dromos, lungo circa due metri e largo 105 cm, a cui segue un ambiente più piccolo, 80×105 cm,) ed una porta, con la sua volta in precario equilibrio, che sono stati realizzati con la messa in opera di grossi blocchi tufacei fissati con zeppe di pietra. Entrando, ai lati della porta, si notano due croci incise (una per stipite). L’ambiente interno, che misura circa 310×290 cm, è parzialmente ingombro di terra e pietrisco ma si distinguono ancora bene le nicchie che si trovano sulle pareti: su quella destra vi è una nicchia voltata, sul fondo se ne apre un’altra con architrave, mentre sulla parete sinistra ci sono due nicchie architravate sovrapposte. Esaminando la costruzione dall’interno si possono distinguere tre diverse tecniche di costruzione: nella parte inferiore (si vede bene sulla parete anteriore) sono stati messi in opera solo grossi blocchi tufacei con l’ausilio di zeppe litiche; la parte intermedia è stata realizzata con tufi teneri e calcari duri locali di medie dimensioni legati con bolo; infine la parte superiore e la copertura parzialmente crollata é stata costruita a secco utilizzando le piccole pietre appiattite (chiancareddhe) che si trovano in abbondanza nella zona. Sembra evidente che i grandi blocchi di calcarenite appartenessero ad un edificio antico, probabilmente romano. Qui si ipotizza essi che siano stati riutilizzati in età medievale per realizzare un edificio di culto, o una struttura per accogliere i pellegrini, i cui miseri resti sono stati inglobati, in epoca moderna, nella costruzione della pajara ancora in piedi. La spoliazione di edifici antichi per la costruzione di luoghi di culto medievali, d’altra parte, e già ampiamente documentata nel Capo di Leuca. Ne troviamo esempio sia nella chiesa di S. Giovanni Battista a Patù e sia in quella di di S. Pietro a Giuliano, nella cui prima fase di costruzione, databile alla seconda metà del X secolo, sono stati riutilizzati materiali provenienti da un edificio di culto o una tomba monumentale di epoca romana, messi in opera con una tecnica simile a quella utilizzata nella piccola costruzione di Provigliano15.

pajara, interno

 

stipite con croce graffita

 

Quadro ambientale e sintesi storica

Facendo una sintesi dei dati sin qui raccolti, si può tentare di ricostruire il contesto storico-ambientale che vide la nascita, l’effimero sviluppo e l’abbandono del casale di Provigliano. Esso sorgeva nel pieno della Serra dei Cianci, ad un’altitudine di circa 160 s.l.m., su di un terreno roccioso (calcari di Altamura) e pietroso, non particolarmente adatto alla coltivazione dei cereali. Come spesso accade nel Salento, l’abitato medievale si trovava in prossimità di un precedente sito di epoca romana, databile tra la fine dell’età repubblicana e il V secolo d.C., che era posto in prossimità del tracciato della via Salentina, che l’Uggeri colloca poco lontano a est, in contrada “i Turchi”16. Probabilmente si trattava di un piccolo insediamento stabile di carattere agricolo, una villa rustica dedicata allo sfruttamento delle risorse agro-pastorali della zona.

Sula genesi del casale medievale poco si può dire, certo è che i dati archeologici, confortati dalle fonti scritte, ci indicano che già nel XIII secolo era un centro attivo. Prestando fede alle memorie della famiglia Grassi, già all’epoca di Guglielmo il Buono, esso era inserito nel sistema feudale normanno costituendo probabilmente un suffeudo di Alessano17. Era un piccolissimo abitato aperto (senza mura), probabilmente a carattere sparso e con abitazioni distanti tra loro, come altri che si trovavano nella zona. Esso tuttavia possedeva un luogo di culto che costituiva il punto di aggregazione della sua popolazione e il centro della vita comunitaria. Il piccolo villaggio contava pochi abitanti e, vista la povertà del suolo, l’economia doveva essere di tipo misto: la produzione dei cereali era limitata e i terreni rocciosi circostanti erano probabilmente coltivati ad uliveto e vigneto; inoltre dovevano essere importanti le attività pastorali e di sfruttamento delle risorse silvestri. Nel XIV secolo i registri angioini documentano la sua parcellizzazione feudale, infatti il suo territorio era diviso tra diverse famiglie (Teotino, Petravalda, Sangiorgio, de Bellante) che detenevano quote del feudo. Il casale ebbe vita breve visto che per tutto il XV secolo non sono state rintracciate testimonianze scritte, e quando, nel Cinquecento, ricompare nelle fonti risulta essere già un “feudo rustico”, quindi non abitato permanentemente. La ceramica suggerisce che fu probabilmente abbandonato tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo. Circa le cause del suo abbandono nulla si può affermare con certezza se non che, ancora oggi, la contrada a est di Provigliano porta il nome de “i Turchi”.

Allargando l’indagine al territorio circostante, si può parzialmente ricostruire il tessuto insediativo che caratterizzava Alessano verso la fine del Medioevo (all’incirca tra XIII e XV secolo). Oltre alla citta sede vescovile e la terra di Montesardo, una serie di casali si disponevano intorno alla fertile piana di Macurano (Macurano, Corsano, Tiggiano, Mamillano/Meliano, S. Dana e Valiano, quasi tutti attestati dalle fonti angioine). Tuttavia esistevano altri abitati di cui non possediamo notizie documentarie18 ma che hanno lasciato tracce sul terreno: nella periferia settentrionale di Alessano, in via Vigna la Corte, un sito, purtroppo sconvolto da scavi, ha restituito ceramica databile tra VI e XII sec.; a est di Montesardo, località Mercanti, invece è stata individuata una concentrazione di abbondante materiale ceramico di XII-XV secolo, nei pressi della quale si trova un banco roccioso con buche di palo ancora evidenti19. Se ne ricava un paesaggio fittamente abitato, con un’alta densità di insediamenti umani, piccoli e piccolissimi villaggi che hanno attraversato i secoli dell’epoca di mezzo con alterne fortune (fig.3). Si può mettere ora a confronto il sistema insediativo basso medievale con l’organizzazione del territorio di epoca romana e tardo antica (IV/VI secolo)20. Salta subito all’occhio come alcuni abitati medievali siano sorti in prossimità di un precedente sito romano. Ma ancora più manifesto è il fatto che essi si trovino tutti lungo le strade in uso in età tardoantica.

 

 

Conclusioni

L’analisi sin qui condotta offre la possibilità di proporre alcune ipotesi interpretative circa il popolamento del Capo di Leuca in età medievale. Prima di tutto qui si vuole porre l’attenzione sulla densità degli insediamenti umani nel territorio preso in esame: osservando la distribuzione dei casali nel Salento (circa 360 tra XII e XIII secolo) si nota come essi si concentrassero nella parte sud-orientale della penisola, in particolare tra Otranto e Leuca; in questa specifica zona gli abitati umani, spesso di piccolissime dimensioni, si trovavano a poca distanza l’uno dall’altro e il territorio a loro disposizione era esiguo. Di certo, questo stato di cose fu determinato dalla morfologia del territorio fatto di piccole pianure, con suoli profondi e facilmente arabili (i più adatti alla cerealicoltura), incastonate tra le serre; con uno spazio così limitato da dedicare alla coltura estensiva dei cereali, l’agricoltura, per forza di cose, era di tipo intensivo e un ruolo molto importante dovevano rivestire la vite e l’ulivo21, coltivazioni che richiedevano un’abbondante manodopera (soprattutto la vite) e un grosso investimento iniziale. Quindi solo un sistema insediativo fatto di piccoli casali sparsi in modo capillare garantiva la presenza in tutta l’area della forza lavoro necessaria a questo tipo di economia rurale.

Secondo la nostra ipotesi, questo tessuto insediativo medievale ricalca in parte il precedente sistema di insediamenti rurali tardo-romani, come testimoniato dalle evidenze archeologiche e dall’abbondante toponomastica prediale ancora viva in età normanna, e molti villaggi appaiono in qualche modo legati alla vicinanza delle vie di comunicazione di epoca precedente e “devono al maggiore o minore uso di esse la loro nascita, il loro sviluppo, il loro abbandono e la loro rinascita22. Ciò sembra manifesto nel caso di Provigliano, nato accanto ad una villa rustica romana, in prossimità dell’asse viario che collegava Vereto a Castro ed Otranto. Per esso, non si può certo parlare di una continuità insediativa visto che mancano totalmente le evidenze archeologiche per il periodo che va dal VI all’XI secolo, tuttavia non si deve escludere a priori una frequentazione di tipo temporaneo con un riuso, anche parziale, delle strutture romane abbandonate in quest’epoca buia23. Pare evidente che la viabilità antica e probabilmente anche ciò che rimaneva delle strutture romane, con la disponibilità del loro materiale da costruzione da reimpiegare, abbiano costituito un fattore d’attrazione per i primi abitanti di Provigliano.

Allo stato attuale delle conoscenze, non si può determinare con precisione quando sorse Provigliano ma queste strutture preesistenti, in particolare la strada romana, appaiono determinanti nella scelta del luogo su cui impiantare il casale, più della disponibilità di risorse ambientali circostanti. Nel Medioevo, inoltre, a questo antico asse viario, che da nord-est portava verso sud-ovest, se ne aggiunse un secondo, con andamento trasversale rispetto al precedente, da nord-ovest verso sud-est24. Era il collegamento che dal Salento centrale faceva giungere i pellegrini a Leuca ed era nota come “la via misteriosa” (perché i viandanti che la percorrevano recitavano i Santi Misteri ma anche perché nascosta tra la boscaglia dell’antico bosco del Belvedere e delle serre ancora coperte da una fitta vegetazione). Il suo percorso si ricostruisce in questo modo: il punto di raccolta era presso S. Pietro in Galatina, da qui ci si dirigeva verso il casale di Sombrino per poi salire alla chiesa rupestre della Coelimanna di Supersano, si attraversava la Serra di Ruffano per giungere alla chiesa di S. M. della Serra e al cenobio del SS. Crocefisso proseguendo verso S. M. della Strada di Taurisano (l’Odigitria, colei che indica ai pellegrini la via, per proseguire verso Leuca); l’ultimo tratto passava da Cardigliano, dalla Serra dei Peccatori a quella dei Cianci per arrivare alla Madonna della Scala, da qui portava a Montesardo, per poi scendere verso l’insediamento in rupe di Macurano e arrivare alla cripta di S. Apollonia (S. Dana); infine si percorreva l’ultimo crinale della serra per poi scendere verso il casale di Prusano (Convento dei Minimi di Gagliano) e finalmente giungere a S.M. di Leuca25. Nel tratto tra la Madonna della Scala e Montesardo, presumibilmente, l’itinerario dei pellegrini attraversava il territorio di Provigliano. In questo contesto si può provare a collocare il piccolo edificio di culto che abbiamo individuato in quest’area; infatti dal Catasto Onciario (1744) si evince che nel feudo di Alessano esisteva una zona denominata “S. Maria del Mortito”26 ed ancora oggi la strada rurale che viene da nord-ovest porta il nome di “Mortiti”. Ci sembra dunque logico ipotizzare che i resti architettonici rinvenuti nelle nostre ricognizioni appartenessero ad una chiesa dedicata al culto mariano collocata lungo il percorso devozionale che si snodava sulla serra in epoca medievale.

Proprio facendo riferimento all’antica via di pellegrinaggio si può cercare di far luce circa l’origine del nostro casale. Il Sigliuzzo ritiene che la chiesa di S. Maria della Scala, che si trova a circa 1,8 km a nord-ovest di Provigliano, fu la prima emanazione della grancia di S. Eustachio di Alessano27 e fu costituita intorno al X o XI secolo. La sua più antica attestazione risale al 1218, quando papa Innocenzo III riconobbe all’abbazia di Casole il possesso di alcune chiese tra cui quella di S. Maria di Alessano (la denominazione “della Scala” compare solo nei documenti notarili del tardo XVI secolo28). Questa notizia, dunque, attesterebbe una “colonizzazione” di una parte della serra alessanese avvenuta in età bizantina (X/XI secolo?). Non crediamo di essere lontani dal vero immaginando che anche Provigliano si sia formato in quest’epoca, nell’ambito dei dissodamenti agricoli che furono caratteristici del periodo successivo alla riconquista bizantina operata da Basilio il Macedone (867-886). Età di pace e di relativa stabilità politica per tutto il Salento che conobbe una “forte espansione economica, commerciale e demografica29 e che vide la colonizzazione e messa a coltura di terreni mai prima coltivati o abbandonati.

Con la consapevolezza che solo nuovi dati provenienti dalla ricerca documentaria, toponomastica e archeologica potranno avvalorare o meno quest’ultima ipotesi, il nostro auspicio è che il lavoro qui portato a termine susciti l’interesse degli specialisti e degli appassionati di storia locale diventando il punto di partenza per nuove e più approfondite indagini storiche sul territorio di Provigliano.

grande blocco inserito nel corpo della pajara

 

Ringraziamenti

La stesura di questo scritto è stato possibile grazie all’aiuto e alla disponibilità di Antonio Ippazio Piscopello, lo ringrazio per l’enorme mole di notizie che conserva, forse un po’ troppo disordinatamente, e per la non meno grande pazienza nel metterle a disposizione degli altri. Inoltre ringrazio Raimondo Massaro, con le preziose notizie su S. Maria del Mortito, e Vincenzo Verardi, con le informazioni di carattere geologico, per il supporto che mi hanno fornito.

 

Note

1Riccardus de Petrovaldus pro certis partibus casalium pumarici, pisticii, sublii et priviliani” (cfr. P. Coco, Cedularia Terrae Idronti, Taranto, 1915, p. 21).

2Nicolaus filius quondam Aymonciti de Sancto Giorgio pro certi bonis phendalibus (sic!) in casalibus Barbarani Pristicii Bergiani et Priviliani” (cfr. P. Coco, ibidem, pp. 25-29).

3 I manoscritti di Carmelo Sigliuzzo. Volume I, a cura di F. Ruppi, Lecce, 2010, pp. 258-259. Per i de Bellante vedi anche: R. Spaventa, Fragmenta Corsani. Parcellizzazione feudale di Corsano (Lecce) tra XIII e XVII secolo, in “Il delfino e la mezzaluna”, Periodico della Fondazione Terra d’Otranto, anno II n°1, Nardò (Le), 2013, p. 9.

4 S. Musio, Casali e Feudatari del territorio di Tricase. La dominazione angioina(secoli XIII – XV), Tricase (Le), 2007, p. 85.

5 G. Vallone, Terra e potere nel Capo di Leuca, in I segni del tempo, a cura di M. Spedicato, Galatina (Le), 2008, pp. 70-78.

6 L. A. Montefusco, Le successioni feudali in Terra d’Otranto, Novoli (Le), 1994, pp. 385-387. Secondo l’autore le vicende feudali di Provignano sono sempre legate a quelle del feudo di Laurito.

7 M. A. Visceglia, Territorio feudo e potere locale. Terra d’Otranto tra Medioevo ed Età Moderna, Napoli, 1988, p. 262. Nel testo viene citato come ” feudo di Provignano (Alessano)”., purtroppo non viene indicata la fonte.

8 A. De Meo, S. Fracasso, A. M. Giustapane, D. Ragusa, Per un posto in paradiso. Donazioni e testamenti ad Alessano nel Seicento, Lecce, 1994, p. 80.

9 Ibidem, pp. 145-146.

10 A. Caloro, F. De Paola, Alessano tra Storia e Storiografia, tomo II, Trepuzzi (Le), 2013, pp. 114-189.

11 Il documento in questione, che si trova nel Catalogus Baronum, in realtà venne redatto nel 1181 sotto Guglielmo il Buono (1153-1189). Vedi: Catalogus Baronum, a cura di E. Jamison, Roma, 1972, p. 31.

12 A. Caloro, F.De Paola, op.cit., p. 136.

13 La strada porta dalla SP79 (Gallipoli-Alessano) al feudo di Presicce; cfr. A. I. Piscopello, Toponomastica rurale di Alessano e Montesardo, in Controcanto, anno XIII n°2, Alessano (Le), 2017, p. 5.

14 A. Massaro, La scomparsa del casale “Provigliano”, in Controcanto, anno II n°1, Alessano (Le), 2006, p. 13.

15 Per S. Giovanni Battista cfr. C. Daquino, I Messapi e Vereto, Manduria (Ta) 1991, p. 231; per S. Pietro cfr. M. Leo Imperiale, M. Limoncelli, M. De Giorgi, Due chiese bizantine nel Basso Salento: archeologia dell’architettura e decorazione pittorica, in Atti del IV Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, a cura di R. Francovich e M. Valenti, Firenze, 2006, p. 618).

16 L’autore ricostruisce il tratto di strada romana che da Vereto passa da Alessano e giunge alla Madonna del Gonfalone in questo modo: “la strada doveva […] fiancheggiare da est Ruggiano attraverso la serra della Calla, che sembra conservare il toponimo callis in ricordo della strada antica. In questo modo doveva convergere con l’andamento dell’odierna strada campestre dei Turchi per scendere ad Alessano…“. cfr. G.Uggeri, La viabilità romana nel Salento, Mesagne (Br), 1983, p. 304.

17 A. Caloro, Provigliano: un casale scomparso, Archivio Caloro, busta XXV, fasc. 874.

 18 Il Caloro, per esempio, cita i casali di Boceto e Armino che si trovavano nel territorio di Alessano (cfr. A. Caloro, op. cit.).

19 In un articolo di prossima pubblicazione, abbiamo proposto di identificare questo sito con il casale scomparso di Marsanello.

20 In tutti i siti romani riportati in fig.3 la ceramica romana ritrovata non va oltre il VI sec., gli unici che hanno restituito materiali che indicano una continuità di frequentazione tra Tardoantico e Basso Medioevo sono Valiano e quello di Alessano in via Vigna la Corte. Per quanto riguarda la viabilità, la via Salentina è stata ricostruita secondo l’ipotesi dell’Uggeri (cfr. supra, nota 13) mentre per i tracciati secondari ci si è avvalsi della tesi di D. Ammassari (cfr. D. Ammassari, Carta archeologica del territorio a sud di Alessano I.G.M. 223 I SE) e analisi strutturale della chiesa di Santa Barbara a Montesardo, Tesi di laurea in Topografia Antica, Lecce anno academico 2005-2006, pp. 26-32), della cartografia IGM del 1874 e di indagini sul terreno.

21 P. Arthur, Economic expansion in Byzantine Apulia, in Histoire et culture dans l’Italie byzantine. Acquis et nouvelles recherches, Ecole française de Rome, 2006, p. 390.

22 C. D. Poso, Il Salento normanno. Territorio, istituzioni, società, Galatina (Le), 1988, p. 196.

23 La cosiddetta squatter occupation, vedi P. Arthur, Villages, communities, landscapes in the byzantine and medieval Salento, in Paesaggi, comunità, villaggi medievali, Atti del Convegno internazionale di studio, Bologna 14-16 gennaio 2010, p. 548.

24 Prima della costruzione dell’attuale strada provinciale, anche la vecchia via che collegava Alessano a Presicce passava esattamente in questa zona.

25 P. Arthur, G. Gravili, M. Limoncelli, B. Bruno, M. Leo Imperiale, C. Portulano, E. Lapadula, G. Sarcinelli, La chiesa di Santa Maria della Strada, Taurisano (Le). Scavi 2004, in “Archeologia Medievale”, vol.XXXII, 2005, pp. 176-177; C. Sigliuzzo, Leuca e i suoi collegamenti nel basso Salento, in Nuovo Annuario di Terra D’Otranto, vol.I, Galatina (Le), 1957, pp .73-76; A. De Bernart, La chiesa do S. Maria della Strada a Taurisano e i pellegrinaggi nel Basso Salento, in S. Maria della Strada. Sulle tracce della memoria: rito, credenze e tradizione, a cura di A. Ciurlia, Taurisano (Le), 2000, pp. 31-38.

26 La notizia si trova in: F. Ruppi, S. Romano, I segni della Misericordia: percorsi mariani e antiche strutture di accoglienza nel Salento leccese, in Le vie della Misericordia. Arte, cultura e percorsi mariani tra Oriente e Occidente, a cura di M. S. Calò Mariani e A. Trono, Galatina (Le), 2017, p. 573.

27 La grancia di Sant’Eustachio, insieme a quella di Santa Maria del Casale (Corsano) e di San Tommaso d’Aquino (tra Salve e Morciano), nel 1639 faceva parte dei beni dell’Abbazia di Santa Maria de Lomito. Essa è da identificare con il complesso rupestre, localizzato sul versante orientale della serra dei Cianci, attualmente denominato “grotta della Principessa” (vedi R. Massaro, La chiesa di Santa Maria della Scala di Alessano, in Controcanto, anno XVII n° 3, Alessano (Le), 2021, p. 13).

28 C. Sigliuzzo, Cripte inedite e ricordi bizantini in Terra d’Otranto, in Nuovo Annuario di Terra D’Otranto, vol. I, Galatina (Le), 1957, p. 86.

29 P.Arthur, Verso un modellamento del paesaggio rurale dopo il mille nella Puglia meridionale, in Archeologia Medievale vol. XXXVII, 2010, p. 218.

‎02/‎03/‎2023

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