di Gilberto Spagnolo
… e chi ci distingue da’ Salvaggi, e da’ Barbari, se non che la disciplina e la Scuola?
Gio. Angiolo Duca
Le brevi note di questo contributo continuano una personale ricerca, iniziata qualche anno fa, su una particolare fonte documentaria per la Storia di Terra d’Otranto, con la segnalazione di numerose e inedite “allegazioni giuridiche” (databili in massima parte al secolo XVIII, a firma di importanti autori come il Rogadeo, il D’Afflitto, il Tommaseo e riferite a numerosi centri di Terra d’Otranto)1, fonti di inestimabile valore perché (come è già stato ampiamente scritto) “spesso costituiscono i materiali più antichi dell’informazione bibliografica” che impegnavano operatori del diritto dell’epoca per risolvere lunghe controversie familiari e feudali2. La loro importanza è stata già opportunamente messa in evidenza dagli studi del Volpicella3, del Chiarelli4, e soprattutto dal De Capua5 e dal Paone6. Il primo (il De Capua) con la registrazione di ben 1873 anonime allegazioni forensi della Biblioteca Comunale di Bitonto e che, legate con altre 944 anonime allegazioni in 141 volumi erano forse appartenute alla privata libreria di Giandomenico Rogadeo7; il secondo con la catalogazione delle allegazioni forensi conservate nella Biblioteca Provinciale di Lecce facenti riferimento a ben quarantacinque centri salentini8. Ancor più recentemente con Giancarlo Vallone che, attraverso di esse (allegazioni rarissime di illustri e meno illustri giuristi della fine del Seicento e gli inizi del Settecento) ha ricostruito minuziosamente “la vicenda del casale di S. Pietro in Lama” oggetto “di una secolare contesa tra il vescovo di Lecce e i civili del paese, o l’Amministrazione Civile di Lecce”9.
D’altra parte, le antiche allegazioni (è bene sottolinearlo) erano veri e specifici studi preparatori su materiale documentario fornito dai nobili e feudatari solo a questi giuristi che avevano appunto libero accesso ai vari archivi, dai quali invece restavano esclusi “gli antiquari, gli storici, gli storiografi e gli eruditi”10.
L’acquisizione di una sconosciuta e molto rara allegazione settecentesca (periodo, questo, di maggiore fortuna di tale genere di pubblicazioni) permette di ricostruire in quest’ottica, le fasi salienti di un conflitto giuridico di una certa importanza (considerato anche e, soprattutto, il motivo del contendere ovvero “L’educazione e la Scuola”, nonché i documenti, a volte antichissimi, e le testimonianze prodotte per l’occasione) che vede coinvolte l’Università di Alessano (difesa dall’avvocato D. Gio Angiolo Duca) per la restituzione dei beni appartenenti al “Monistero della Congregazione Celestina, divisato sotto il titolo di S. Angiolo” e conseguente aggregazione a quella di “S. Maria in Bethlehem intra oppidum” della stessa congregazione posto nella terra di Mesagne.
L’allegazione in questione, ricordata dal Moschettini nel suo scritto Della Brusca malattia degli ulivi di Terra d’Otranto11, fu data alle stampe a Napoli il 6 novembre del 1788 dall’avvocato Gio Angiolo Duca12.
La lunga e intricata vicenda che emerge dettagliatamente dalle sue pagine, ebbe inizio nel 1616, allorquando il Monastero di Alessano sotto il titolo di S. Angelo13, assieme ai monasteri di S. Pietro d’Ugento, S. Arcangelo di Brindisi, S. Bartolomeo di mesagne extra oppidum, in forza delle bolle di Papa Paolo V e di Urbano VIII, fu aggregato a quello di S. Maria in Bethlehem intra oppidum della stessa congregazione posto nella terra di Mesagne14.
Esistendo in Alessano tale monastero, i Religiosi Celestini, che vi dimoravano, educavano la gioventù nella Religione, nelle lettere, e nello stesso tempo erano “coadjutori del Parroco”. Nello stesso tempo i Padri Celestini avevano l’obbligo di mantenere la chiesa ornata decentemente con altari, colle lampade accese e di farvi, quotidianamente celebrare una messa per l’anima dei benefattori “ed altre in soddisfazione de’ legati e specialmente di quello istituito e fondato da Isabella Legari; che per tradizione sapevasi, che il detto monistero aveva anche quivi l’obbligo di fare assistere dai suoi PP. moribondi e d’insegnar la grammatica, e la morale: che poi tal monistero si ridusse in Grancia…”.
Nel 1750 il monastero di Mesagne ottenne la facoltà da Roma con breve Ponteficio di vendere i beni dell’abolito monastero che erano in Alessano. Cosa che avvenne infatti nel 1759, ovvero con la vendita di una porzione per 37555 ducati e grana 25, mentre l’altra rimase invenduta per mancanza di compratori.
Intanto, di quegli anni si sa che la campana era stata trasportata in altro luogo, che la chiesa era dismessa “dismessi gli altari, e i sacri Arredi, con rimaner quella Chiesa a guisa di spelonca, e profanata: che n’erano caduti a terra infraciditi, e lacerati i quadri: che si erano alla chiesa medesima, occupati i lumi ingredienti colle fabbriche de’ particolari: e che il Vescovo l’aveva interdetto”.
La soppressione del Monastero privò inevitabilmente “de’ benefizj spirituali e morali” dei religiosi, la popolazione di Alessano che rivolse di conseguenza la sua supplica al re Ferdinando IV per chiedere che “i beni dell’abolito Monistero, insieme co’ frutti percepiti di poi da essi P.P. Celestini, dovessero convertirsi in fondo di una casa di educazione, e di scuole, da istituirsi in quella città”.
La stessa Università di Alessano fece intendere che la controversia poteva essere risolta e compromessa, qualora i PP. Celestini avessero prestato “l’opera delle Scuole Normali in detta città; e quindi implorò d’insinuarsi alla Religione Celestina, che dovendo la medesima essere riconoscente verso di quella città per li beni alienati del soppresso Monistero e per le rendite, percepite, e che tuttavia percepisce da’ beni rimasti, fosse pronta a destinare due, o più soggetti per erigere colà le Scuole Normali”15.
La supplica dell’Università di Alessano fu subito trasmessa alla Regia Udienza di Lecce, la quale, a sua volta, dopo averne essa Udienza “preso diligente informo” fece apposita relazione che con “Regal Dispaccio del 6 novembre” rimise al parere della “Regal Camera” di S. Chiara. In quell’occasione, l’avvocato Angiolo Duca difese già allora con apposita allegazione data alle stampe il 31 dicembre dello stesso anno (ma non ritrovata), l’Università di Alessano, fondando la sua difesa sulle ragioni “della Regalia, della ragion sacra, sulla pubblica ragione”.
Il Sacro Regio Consiglio, nominato commissario il Caporuota Paoletti, fece notificare ai Celestini la richiesta dell’Università di Alessano, i quali immediatamente si opposero costringendo il Paoletti a congelare la causa e a non prendere alcun provvedimento; fino all’anno 1783, allorquando, l’Università di Alessano ricorse nuovamente al Sacro Regio Consiglio.
Rimessa questa nuova supplica con Reale Dispaccio del 13 marzo 1787 al Presidente D. Francesco Peccheneda16 (delegato delle scuole normali), per un necessario parere, quest’ultimo sentite le ragioni di entrambi i contendenti e il parere dello stesso avvocato delle scuole normali D. Francesco Azzariti17, a seguito del rifiuto dei Celestini di accogliere quanto proposto dall’Università di Alessano, informò immediatamente il Re al fine “di prendere dalla M.S. le convenienti sue sovrane deliberazioni”18.
Intanto era morto il Paoletti e il nuovo commissario Marchese Patrizj aveva rimesso gli atti all’avvocato della corona D. Diodato Targiani il quale fece istanza che la causa, data l’importanza per la Regalia e per “li pubblici diritti”, fosse al più presto esaminata. In tale occasione, lo stesso avvocato Angiolo Duca fece una nuova “erudita, e fatigata allegazione” che assieme ad una “introduzione” e alla copia della relazione fatta sulla causa stessa dal Presidente D. Francesco Peccheneda, Delegato delle Scuole Normali, a S.E. il Marchese Caracciolo Segretario di Stato19, costituisce lo scritto complessivo oggetto del presente lavoro.
Le ragioni esposte dall’avvocato Angiolo Duca a sostegno dell’Università di Alessano sono anzitutto introdotte da un prezioso e importante capitolo sulla “Necessità della Pubblica Educazione”, utilissimo per capire, in età illuministica, la sostanza ideologica e pedagogica dell’epoca e che il Duca scrive, con una ricchezza documentaria e bibliografica, per dimostrare “quanti e quali ottimi vantaggi apportino le pubbliche scuole” e come in ogni tempo (a partire da Carlo Magno) sia costantemente riconosciuta “l’obbligazione degli Ecclesiastici tutti a mantenere le scuole pubbliche, per ammaestrarvi la Gioventù nella religione e nelle lettere e nel costume civile’’20. Esse vertono quasi esclusivamente sul tema giurisdizionale e sono tese a sostenere, in maniera direi “appassionata”, quattro nodi fondamentali:
1) L’unione del monastero di Alessano a quello di Mesagne fu fatta senza il Regio Assenso ovvero senza l’assenso indispensabile del sovrano; né tantomeno con il consenso della popolazione che si ritrovò anzi profondamente danneggiata dalla perdita degli “importanti benefici morali, ai quali eran tenuti i Celestini e quella Popolazione avea giusto dritto: onde manifestatamente sì fu lesiva quella unione, e recò un segnalato danno”21; 2) tale unione, eseguita irregolarmente e mancante di Regio Assenso comprometteva la Regalia22; 3) la popolazione di Alessano conservava intatto ogni suo diritto sull’abolito monastero e sui suoi beni al fine di istituirne una pubblica scuola, in quanto essendo ignota la fondazione spettavano al pubblico di Alessano i diritti che competono ai fondatori “poiché i Monasterj per lo più si fondano o da qualche particolare, o dal pubblico; e l’oggetto, per lo quale si fondano, non è altro, se non quello di beneficiare la cittadinanza del luogo, in cui viene fondato. Sicché mancando il Fondatore, succede al padronato il Pubblico del Luogo, ove il Monistero è posto; e perciò egli ne diviene il Fondatore”23; 4) infine, osserva Angiolo Duca, se l’unione fu nulla, perché irregolare ed ingiusta; insufficiente perché pregiudicò la Regalia; se il padrone del Monastero abolito è lo stesso popolo di Alessano, “ed i beni, da che cessò il Monistero, ne sono divenuti di quel Pubblico, per impiegarne i frutti in pubbliche opere di pietà”, ne consegue che i Padri celestini dovevano rilasciare tali beni e restituire tutti i vantaggi maturatisi dal giorno in cui avvenne la stessa unione24.
Sul fronte dei Celestini (la parte avversa), si sostenevano, invece, rivendicando anch’essi tramite il loro avvocato (il cui nome non è ricordato) con una “memoria manoscritta” le proprie ragioni all’interno soprattutto di un discorso giuridico, i seguenti punti che controbattevano quelli pocanzi delineati dell’avvocato Angiolo Duca e cioè: 1) il pubblico di Alessano poteva vantare diritti sull’abolito monastero soltanto se fosse stato fondato realmente dall’Università o dai Cittadini o se, si fosse assunto realmente “il peso dell’istruzione della gioventù” (cosa questa che non si rilevava da alcuna documentazione); 2) l’unione dei quattro monasteri fu “canonica e regolare” e tale fu riconosciuta dagli stessi Alessanesi con il “silenzio di tanti anni” (e a testimonianza vengono citate altre unioni di Monasteri della stessa Religione Celestina eseguite sempre in virtù delle bolle di Paolo V e di Urbano VIII; 3) essendosi interposto l’exequatur alle Bolle di Roma per l’alienazione dei beni, vi era concorso di conseguenza, del Regio Assenso; 4) infine, le ricchezze dell’abolito monastero così come sono state indicate dall’Università di Alessano e di quello di Mesagne, erano “esagerate” ed ammontavano (a detta dei Celestini) realmente a circa 700 ducati annui25.
Lo stato del conflitto giurisdizionale s’interrompe in questo documento legale con il parere del delegato delle Scuole Normali D. Francesco Peccheneda fatto a conclusione della sua relazione al Segretario di Stato Caracciolo, datata 16 luglio 178826. Il Peccheneda sollecita una tempestiva decisione della real Camera trattandosi “di una causa della massima importanza per la Regalia non meno che per li pubblici diritti”, con l’ascoltare in tale Tribunale l’avvocato della Corona consigliere Caporuota D. Didato Targiani, e l’avvocato delle scuole normali D. Francesco Azzariti e invitando a fare gli stessi. “Le parti convenienti in detta Real Camera in difesa della Corona, e dell’opera delle Scuole”.
E poiché l’Università di Alessano nella sua seconda supplica implorava “che all’istituzione delle Scuole Normali provvedessero non solo i Celestini ma anche gli altri Ordini Religiosi presenti in Alessano ovvero i Conventuali e i Cappuccini”27, il Peccheneda perorandone apertamente la causa e credendo pienamente nelle loro ragioni così chiudeva “con rispettoso sentimento” il suo scritto diretto al segretario di Stato Marchese Caracciolo: “… inclinerei nel rispettoso sentimento, che siccome per la Terra di Arienzo S.M. ha voluto che gli Agostiniani, ed i Domenicani, obbligati col dispaccio del 1778 a tener le scuole pubbliche, le tengano Normali, e che vi concorrino ancora i Verginiani, prestandosi a ciò fare i loro Religiosi, così si degni di prescriverlo per Alessano; ordinando Sovranamente, che que’ PP. Conventuali, e Cappuccini, compresi anche nel Dispaccio del 1778, mandino subito dopo la mutazione in questa città due soggetti de’ migliori per convento, per istruirsi nel Metodo delle Scuole Normali, perché possano indi, precedente l’approvazione sovrana, metter queste in piedi ne’ rispettivi chiostri, seguendo le istruzioni, e gli Ordini, che dalla Delegazione di esse Scuole verranno loro dati: coll’espressa dichiarazione, che que’ Religiosi, i quali saranno impiegati in queste Scuole, non debbano esser affatto pregiudicati in tutti quelli ascensi, ed onorificenze, che riceverebbero, se continuassero a servire la propria Religione anzi debbano agli altri essere preferiti, come coloro, i quali si consacrano ad un’opera pubblica, e di vantaggio della nostra Sacrosanta Religione, e dello Stato”28.
Non sappiamo, non disponendo al momento di altri documenti oltre alla memoria di Angiolo Duca, quali furono le “giuste” deliberazioni del Tribunale e del sovrano; ma vogliamo presumere (e nello stesso tempo augurarci) che la lunga e coraggiosa lotta dell’Università di Alessano, fatta in nome dell’educazione e dell’Istruzione, avesse ottenuto le scuole e quegli “indubbi benefici morali e sociali” richiesti, nonché quanto le era stato ingiustamente tolto, nel suo camino contro gli abusi di quei secoli e verso la conquista della libertà.
In “Bollettino Storico di Terra d’Otranto”, 9, Congedo Editore, Galatina 1999 e in G. Spagnolo, Memorie antiche di Novoli. La storia, le storie, gli ingegni, i luoghi, la tradizione. Pagine sparse di storia civica, pp. 547-555, Novoli 2024.
Note
1 G. Spagnolo, Fonti bibliografiche per la storia di Terra d’Otranto: memorie legali dei secoli XVIII e XIX (Con un’appendice su altri luoghi pugliesi), in “Lu lampiune”, IX, n. 3, 1993, pp. 5-12; Id., Vicende Salentine in due sconosciute memorie legali del secolo XVIII, in “Lu Lampiune”, XIII, n. 2, 1997, pp. 79-83; Id., Fonti bibliografiche per la storia di Terra d’Otranto: memorie legali dei secc. XVIII e XIX (Campi, Squinzano, Galatina, Gallipoli, Lequile, Francavilla), in “Lu Lampiune”, XV, n. 2, 1999, pp. 183-187.
2 M. Paone, Memorie legali Salentine, in “Brundisii Res”, XIII, Brindisi 1981, p. 91.
3 L. Volpicella, Bibliografia storica della Provincia di Terra di Bari, Napoli 1884-87 (in cui vengono riportate numerose allegazioni giuridiche riferite ai centri della provincia barese).
4 G. Chiarelli, Abusi feudali e un processo per magia nella “Franca Martina” del secolo XVIII, in Studi di Storia Pugliese in onore di Nicola Vacca, Galatina 1971, pp. 27-44 (grazie ad una coppia di memorie legali ad opera di Ascanio Centomani, l’autore rese noto un importante episodio della storia della sua città).
5 D.A. De Capua, Fonti per la storia di Puglia: le memorie legali della Biblioteca Comunale di Bitonto, in Studi in onore di Giuseppe Chiarelli, V, Galatina 1980, pp. 67-119 (con un’introduzione di Michele Paone che all’epoca aveva scelto, delle 1873 allegazioni registrate dallo scomparso De Capua, quelle relative alla Puglia). Questo tipo di ricerca mi ha consentito, ad esempio, di rintracciare un’importante fonte documentaria su Racale, ovvero l’Apprezzo del Regio Tabulario Gennaro Pinto del 10 dicembre 1682 (in corso di stampa).
6 M. Paone, Memorie legali salentine cit., pp. 91-109.
7 D.A. De Capua, Fonti per la storia della Puglia, cit., p. 68.
8 M. Paone, Memorie legali salentine, cit., p. 91.
9 G. Vallone, Conflitti giurisdizionali nel Salento, in San Pietro in Lama. Storia, società, territorio e religiosità di un feudo del Vescovo, Galatina 1998, pp. 291-331 (studio fondamentale per l’impostazione data allo stesso saggio e per le riflessioni preminentemente di natura “antiquaria” e “giuridica” sulle memorie legali).
10 D.A. De Capua, Fonti per la storia di Puglia, cit., p. 71 (dall’introduzione di M. Paone).
11 C. Moschettini, Della Brusca malattia degli ulivi di Terra d’Otranto. Sua natura, cagioni, effetti. Dissertazione, Napoli MDCCLXXXIX, presso Vincenzo Mazzola-Vocola (2° edizione), p. 8 alla nota 2. Il Moschettini cita la nostra allegazione e in particolare il cap. III per evidenziare come “il detto Autore da buon Cittadino dimostra colla ragion pubblica, dedotta dagli stessi Ecclesiastici, Regolari Istituti, l’obbligo de’ Preti, Frati, e Monaci a mantener pubbliche Scuole”. Per cui l’autore salentino si chiede “Perché non si potrebbero dunque anch’essi applicare all’Agricoltura con insegnarla, ed esercitarla? Non è certamente loro disdicevole l’accoppiar l’orazione alle fatiche manuali, come prescrissero, ed essi medesimi praticarono, S. Girolamo, S. Agostino, S. Benedetto ecc.”.
12 La memoria legale reca l’intestazione: “Per la città di Alessano nella causa co’ PP. Celestini di Mesagne sulla Pubblica Educazione e Su’ doveri degli Ecclesiastici sì Regolari che Secolari A TENER PUBBLICHE SCUOLE NON CHE Sulla precisa obbligazione de’padri suddetti ad aprire in Alessano le Scuole Normali, in Real Camera di S. Chiara 1788. È posseduta da una Biblioteca privata. La copia esaminata si compone di 96 pagine numerate con una introduzione, sette capitoli (di cui il primo, ritengo per svista tipografica, mutilo delle pagine 17-18-19-20 e 33-34-35-36) e la trascrizione integrale dell’importante relazione fatta sulla stessa causa dal delegato delle Scuole Normali D. Francesco Peccheneda. Ad esse si riferiscono le citazioni riportate nel testo, quando non vi è altra indicazione.
13 Alla fine del ‘500, il monastero di S. Angelo aveva due soli monaci e agli inizi del ‘600 i vescovi alessanesi già precisavano che il monastero era piuttosto “un ospizio” (Cfr. S. Palese, Alessano e la sua chiesa maggiore, Galatina 1975, pp. 49-50, con riferimenti alla Relazione del vescovo Nicola Antonio Spinelli, datata Alessano 13 aprile 1613).
14 Di tale aggregazione si ha comunque menzione nel testo di A. Profilo, Vie, Piazze. Vichi e Corti di Mesagne, ragione della nuova loro denominazione, ristampa anastatica, con introduzione, appendice, indici e tavole di Domenico Urgesi, Fasano 1993, p. 187. Scrive ancora il Palese che morto l’unico monaco celestino che per anni aveva abitato presso il monastero di S. Angelo, finì la presenza di quest’antica famiglia religiosa nella diocesi (Palese, Alessano, cit., p. 50, con riferimento alla relazione ad limina del vescovo Placido Padiglia datata Roma 6 dicembre 1639).
15 Angiolo Duca al Capitolo VII ricorda che il Monastero della città di Alessano aveva “duc. 5000 in beni stabili, com’essi PP. hanno asserito; e ne han i medesimi introitato l’annua rendita di duc. 250. Si ha il Monistero di Mesagne appropriato questi frutti fin dall’anno 1626, allorché seguì la descritta Unione; onde già sommano duc. 405.000”.
Dal Profilo sappiamo ancora che il monastero di Mesagne con l’aumento delle rendite dei soppressi monasteri e con i legati e donazioni di cittadini mesagnesi, il 19 maggio 1634, grazie al suo fondatore mesagnese e abate celestino D. Pietro Paolo Leopardi, fu dichiarato abaziale per “beneplacito del fastoso Cardinale Maurizio di Savoia protettore dell’Ordine” (Profilo, Vie, Piazze, cit., p. 187).
16 Angiolo Duca nella sua introduzione sottolinea così i meriti del Peccheneda; “Questo dotto Magistrato, ch’è il Delegato delle Scuole Normali, nelle molte cariche, delle quali è stato, ed è onorato dal Re N.S., ha sempre appalesato, ed inalterabilmente dimostra, la più esatta giustizia, ed il più sincero zelo per lo pubblico bene “ (p. 8). Elogi al Peccheneda sono rivolti inoltre dal già citato Moschettini nelle sue considerazioni per un più ampio sviluppo dell’agricoltura del Regno: “e se la utilissima istituzione delle Scuole Normali si renderà generale per tutto il Regno, com’è da sperarsi dall’anima beneficentissima del nostro Re, sempre intento a promuovere tutto ciò, che può influire alla felicità della Nazione, si aveva da per tutto la istruzione pubblica dell’agricoltura per li giovanetti in forma di Catechismo, che di già sento di starsi componendo in Napoli, per ordine del Caporuota D. Francesco Peccheneda, Delegato zelantissimo delle dette Scuole Normali” (Moschettini, Della Brusca malattia degli ulivi di Terra d’Otranto, pp. 10-11 alla nota 3). La Biblioteca Provinciale di Lecce, di Francesco Peccheneda conserva due memorie legali riguardanti controversie giuridiche che interessano i centri di Gallipoli e Martina Franca. Il Peccheneda è autore anche di un’ampia dissertazione storico-giuridica in difesa dei diritti del governo della città di Sansevero sull’amministrazione e i beni del famoso monastero benedettino di S. Lorenzo: Ragioni della Città di Sansevero sul Monistero di donne monache sotto il titolo di S. Lorenzo della medesima Città contro alle pretensioni della Curia Vescovile, Napoli 1764, pp. LXXXIII (dal catalogo n. 4/1998 della Libreria Antiquaria Bruno Pucci di Napoli).
17 “Questi animato del medesimo zelo, non trascura fatica, ed attenzione, per istabilirsi la utilissima opera delle dette scuole” (Gio Angiolo Duca, 8, alla nota 2). All’Azzariti era sembrata “molto chiara la ragione dell’Università, e giusta, e discreta la domanda dalla medesima ora fatta al trono, di voler, cioè che i PP. Celestini di Mesagne in controcambio de’ beni del soppresso Monistero appropriatisi, mettessero in piedi, e mantenessero in Alessano le Scuole Normali per l’educazione della gioventù” (92).
18 Angiolo Duca non perde occasione, per dare maggiore credito alle sue tesi, di esaltare e di lodare il suo amabilissimo re Ferdinando IV, “beneficentissimo Sovrano”, particolarmente sensibile al problema dell’educazione e dell’istruzione nel Regno tanto che (come scrive lo stesso Duca) “dopo aver fatto istruire in Rovereto due Religiosi Celestini (P. Alessandro de’ Conti Gentile e D. Lodovico Vuolo) dell’ultimo Metodo Normale, è tutto clementissimamente intento ad istituire le scuole in amendue le Sicilie, per esservi istruiti i suoi popoli; e in S. Leuce, luogo di Regali delizie, le ha aperte per quella delizia maggiore, che il suo pietoso animo percepisce nel profittevole ammaestramento della Gioventù, e nel pubblico bene”. D’altra parte, sotto le spinte illuministiche dell’epoca che riproponevano un conflitto fra i due poteri politico e religioso nel campo dell’educazione, tale sovrano si distingueva “avendo nell’anno 1768 espulsi da’ suoi Dominj li PP. della di poi estinta Compagnia di Gesù, Clementissimamente si degnò di far impiegar le rendite de’ beni di detta Compagnia nel mantenimento delle Scuole, che fece aprire in quei luogji, dove esistevano Case di detti PP.” (Angiolo Duca, 82). Per avere un’idea sullo stato dell’istruzione nel Regno di Napoli nel periodo di tale conflitto tra l’Università di Alessano e i Celestini di Mesagne si veda A. Zazo, L’Istruzione pubblica e privata nel Napoletano (1767-1860), in SOLCO II, (1927). Preziosi e più ampi riferimenti possono ritrovarsi inoltre nel recente studio di L. Ingrosso, L’istruzione a Campi nel sec. XVII. I Padri Scolopi, in “Lu Lampiune” XV, n. 2, 1999, pp. 23-36. Per avere un’idea quantomeno analitica, dell’Educazione e dell’istruzione nel Settecento, si veda M.A. Manacorda, Storia dell’Educazione, Roma 1997. Lo stesso Manacorda rileva infatti che la soppressione dei Gesuiti stimola l’iniziativa statale. A Napoli, già nel 1768, Ferdinando IV su ispirazione del ministro Tanucci, dichiara che “fra le cure principali della sovranità, importantissima è quella che riguarda l’educazione della gioventù e la direzione degli studi” e obbliga i conventi ad aprire le loro scuole ai laici (p. 62).
19 “Questo Ministro di Stato ha sommamente a cuore la buona educazione Nazionale, per quella cultura di spirito, della quale è doviziosamente provveduto” (Angiolo Duca, 96).
20 Notevole, questa dissertazione, per abilità dialettica e copiosità di dottrina, per gli ampi riferimenti di carattere pedagogico, storico (in particolare sulla nascita delle scuole e sulla loro evoluzione), letterari, giuridici e di varia erudizione (costituisce il capitolo I dell’allegazione e va da pag. 12 a pag. 52.
21 Ampie e numerose le “prove” del Duca a dimostrazione che nella fondazione dei Benefici, dei Monasteri e delle chiese era indispensabile il consenso del Sovrano. In questo capitolo (ma anche nei successivi), per usare un’espressione di G. Vallone, “l’argomento antiquario e quello giuridico sono sviluppati in parallelo e con uguale profondità” (Vallone, Conflitti giurisdizionali nel Salento, p. 303).
22 Angiolo Duca sosteneva in particolare per questa ragione che il monastero di Alessano “non erasi un Beneficio semplice; ed i Monaci Celestini, che lo possedevano, avevan l’obbligo d’istruire il popolo nella santa Religione, di ammaestrar la gioventù nelle lettere, e di esser coadjutori del Parroco.
Con quale dunque giusta facoltà lo abolirono, con unirlo al Monastero di Mesagne? E questa ingiusta unione, contraria a’ Canoni, ed allo Spirito della Chiesa, può mai più sussistere, senza rimanerne pregiudicati i dritti del Re, ch’è il protettor de’ Canoni, e della Chiesa? (72).
23 Angiolo Duca cita a questo proposito gli esempi di Gregorio X che estinse le ‘Religioni de’ Mendicanti, con riserbarne i beni in sussidio della Terra Santa, o de’ poveri, o in altri pii usi ne’ rispettivi luoghi”; di Clemente V che abolì l’ordine dei FF. Umiliati distribuendone i loro beni per “più usi”; di Urbano VIII che abolì la congregazione dei PP. Berettanti e la Religione de’ FF. de’ SS. Barnaba, ed Ambrosio, e riserbò i di loro beni all’amministrazione, e disposizione degli Ordinarj, per applicarne le rendite ad altri pii luoghi situati nella medesima Città, ove esistevano detti beni, e Conventi; di Innocenzo X che abolì la Religione delle Scuole Pie, di S. Basilio degli Armeni, dei Chierici Regolari del Buon Gesù di Ravenna, la Congregazione de’ Canonici Regolari di S. Gregorio in Alga, beneficiando dei loro beni i luoghi stessi dove erano situati (80).
24 Lo stato dei beni del Monastero di Alessano è già ricordato alla nota 15 di questo stesso contributo.
25 Tali ragioni difensive dei Celestini di Mesagne sono sinteticamente espresse nella relazione di Francesco Peccheneda (90-91).
26 Occupa le pagine 87-96. Del Caracciolo, ministro di stato, il Duca ricorda che “ha sommamente a cuore la buona educazione Nazionale, per quella cultura di spirito, della quale è doviziosamente provveduto” (96).
27 Cfr. S. Palese, Alessano e la sua chiesa maggiore, 49-55; Id., Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa ad Alessano tra XVIII e XIX secolo, estratto da Oronzo Gabriele Costa e la tradizione scientifica meridionale nell’Ottocento, II, Alessano alla fine dell’antico regime, Galatina 1993, pp. 54-55.
28 Pp. 94-95 della memoria di Angiolo Duca.
29 Trovo solo che nell’aprile 1797 lo stesso convento dei celestini di Mesagne ospitò il re Ferdinando IV e il suo seguito, ovvero il Generale Acton segretario di Stato e suo primo ministro (Cfr. Profilo, Vie, Piazze, cit., p. 187, che, comunque, non spiega la ragione della visita del Sovrano). Il monastero dei Celestini di Mesagne, soppresso il 13 febbraio 1807, fu adibito a sede della Sottointendenza e delle scuole (Cfr. O. Mazzotta, I Conventi soppressi in Terra d’Otranto nel decennio francese (1806-1815), Bari 1996, p. 133; ma anche A. Profilo, Vie, Piazze cit., p. 188). Nonostante le ricerche fatte, nessuna notizia bibliografica si è riusciti a rintracciare invece su Angiolo Duca e né il Giustiniani lo ricorda nelle sue Memorie Degli Scrittori Legali del Regno di Napoli.