Il casale di Valiano, dalle origini all’abbandono

di Pierluigi Cazzato

A circa metà strada tra i comuni di Corsano e Gagliano sorgeva, fin quasi alla fine del Cinquecento, il casale di Valiano. Il toponimo si conserva ancora oggi (“Vagliano” sul Quadro d’Unione del comune di Alessano e “Masseria Vagliano” sulle carte IGM) e delimita una zona abbastanza ampia, al confine trai i territori di Alessano e Gagliano, compresa tra la serra di S. Dana e la marina di Novaglie (Fig. 1).

 

Da oltre mezzo secolo, questa località è oggetto di diversi studi storici e di alcune ricerche sul campo che hanno riportato in luce numerosi documenti d’archivio ed evidenti testimonianze archeologiche, inconfutabili tracce di una lunga frequentazione umana. Attraverso l’analisi delle fonti scritte e dei reperti materiali, il presente lavoro si propone di ricostruire gli eventi e le dinamiche che hanno portato prima alla nascita e poi all’abbandono del piccolo casale di Valiano e, allo stesso tempo, di aggiungere nuovi dati circa i modelli insediativi nel Salento sud-orientale tra Tardoantico e Medioevo.

 

Fonti storiche

Come avviene per tanti centri salentini, le prime notizie storiche sul casale di Valiano risalgono all’epoca degli Angioini, precisamente all’inizio del XIV secolo. Alcune informazioni si possono trovare nell’opera Storia della famiglia dell’Antoglietta di Scipione Ammirato, che riporta un paio di cenni tratti dall’archivio angioino: nel 1301 Enrico dell’Antoglietta fu signore di “molte Castella e Feudi“, tra i quali “San Dano, Pulsanello, Giuliano, Marsanello, […] e Baliano“; nel 1333, suo figlio Nicolò possedeva i casali di “Pulsanello, Marzanello, Iusciamello, Baliano, Barbarano, Santo Dano, Boniliano e Pulsano” e ancora nel 1371 Baliano viene computato tra i beni feudali appartenenti a Filippo dell’Antoglietta1. Sempre all’inizio del Trecento, nel 1322, due abitanti di questo villaggio risultavano essere vassalli del vescovo di Alessano (episcopus leocadensis habet duos vassallos in Valiano)2.

Non possediamo ulteriori informazioni fino al 1446, anno in cui venne redatto il Quaternus declaracionum principalis curie3, registro fiscale dell’amministrazione della contea di Lecce. Da questo documento apprendiamo che l’università di Balliani (il cui sindaco era Pietro Bacto) faceva parte dei possessi del principe di Taranto, Giovan Antonio Orsini del Balzo, il suo territorio, insieme a quello di altri casali circonvicini, ricadeva sotto la giurisdizione del capitano di Gagliano e all’erario gaglianese veniva pagato anche un diritto sulla vendita del vino (iure concordie taberne). Anche se all’epoca era infeudato ai del Balzo, sappiamo che altre famiglie vantavano diritti sul feudo di Valiano, infatti, nel 1466, re Alfonso d’Aragona concedeva a Nicola Conniger di Lecce “certa parte del casale di Castrignano del Capo cum vaxallis, redditibus, pertinentiis suis omnibus, et cum certo territorio nominato campo saracino de territorio dicti Castrignani, et di certi terreni siti in territorio Valiani, ubi dicitur Vigne marine, in feudum4; mentre, sempre nel XV secolo, Jacobo de Lantolio (dell’Antoglietta) possedeva “certa parte casalis Juliani; casale vulgariter dicto Marsanello; pro vaxallis habitantibus in Specla, in casali Pati, in Gagliano ed in casali Baliani; Arignani et Gagliani; orti tre nominati Santo Nicola in Casali Arigliani; et pro territorio Baliani pro tiraggio; territorio in pertinenza Santo Dana, pheudo inabitato in Palaczano; pheudo sito in tenimento Santi Pancratii; casali Rofiani, Salve et tabola lomabardello; pheudo de Regiano; pheudo inabitato di S. Andrea in pertinentis Neretoni5. Tuttavia il casale restò in mano alla famiglia del Balzo per tutto il Quattrocento: il 20 dicembre 1463 esso era annoverato tra i territori che Raymondo de Bautio aveva ricevuto in eredità dal padre6, mentre il 12 giugno 1494 un documento redatto a Napoli conferma il possesso del casale (scritto come Vagnano) a Giovan Francesco del Balzo, figlio di Raymondo, e ai suoi eredi7.

Nel Cinquecento i documenti a nostra disposizione aumentano in maniera considerevole e si fanno sempre più ricchi d’informazioni. Nel 1512-13 il casale contava tre fuochi, pagava le tasse in tre rate e il suo sindaco era Carlo di Cola Maso. Nel 1515-16 aveva ancora tre fuochi e pagava le tasse (5 once, 2 tarì e 3 grani) a Giovanni Pietro de Ragona, doganiere di Gagliano8.

Un relevio redatto il 28 aprile 1520, ci mette a conoscenza che Petruccio Conniger pagò una somma di 31 once, 4 tarì e 17 grani alla Regia Camera di Napoli, dopo la morte del nipote Giacomo Maria Conniger, per l’eredità di “due parti del Casale di Castrignano, con li vassalli nel feudo nom[inat]o Gallotta, e nelli Vassalli del Casale di Giuliano; certo pezzo di terra nom[inat]o Campo Saracino, e certi altri territorij, e vignali nel distretto di Valiano dove si dice Vigaio Marino in Prov[inci]a d’Otranto9.

Nel 1527-28 il casale contava 5 fuochi e nel settembre del 1531 pagava una tassa di 2 once, 2 tarì e 13 grana10.  Nel 1539 i fuochi erano saliti a 711. Al 2 ottobre 1551 è datato il relevio che Isabella de Capua, Principessa di Molfetta, pagò, dopo la morte della madre Antonicca del Balzo, per la contea di Alessano di cui faceva parte Valiano.

Quando, il 27 febbraio 1560, il figlio di Isabella, Andrea Gonzaga, Conte di Alessano, alla morte della madre, pagò il relevio ” per l’intrate feudali del Contato di Alessano” viene ancora citato il nostro casale. Allo stesso modo, se ne trova menzione nel relevio del 15 ottobre 1587 quando esso passò in eredità al principe di Molfetta Ferrante Gonzaga, figlio di Andrea12.

Un atto rogato dal notaio Antonio Minioti di Lecce ci conferma che il casale era ancora abitato nel maggio 156813. Al settembre 1580 risale una lettera indirizzata all’arcivescovo di Otranto in cui Valiano veniva conteggiato tra “q[ue]lli Castelli, dove si parla latino solam[en]te et li preti sono greci, et altri latini14. Dai protocolli del notaio Antonio Romano di Montesardo, apprendiamo che era disabitato già nel 1583, infatti, in data 24 gennaio, l’ultimo sindaco di Valiano, Cataldo Teco, estingueva un debito contratto l’anno prima dall’Università di Valiano con quella di Montesardo15. Questa circostanza viene confermata da un documento accessorio al relevio di Ferrante Gonzaga del 1587, esso contiene l’interrogatorio di Antonio Roccio “de casali Valiani, et ad presens habitantis in casali predetto Salvae” circa i beni prodotti nel feudo di Valiano nell’anno indizionale 1586-1587: sebbene il casale risultasse abbandonato da diverso tempo (“…al presente detto casale sia abbandonato, atteso à molti anno non ce habita persona alcuna…) e i suoi abitanti si fossero trasferiti altrove (“…non abitano in detto casale ma in diversi lochi…“, “tutti gli altri cittadini d’esso vanno dispersi, et fugendo, et non anno loco stabile“), tredici di essi continuavano a pagare tasse per due ducati, tre tarì e un grana16.

Ancora nel 1589 veniva conteggiato tra i casali appartenenti alla contea di Alessano che Ettore Brayda comprò dai Gonzaga17, mentre quando, nel 1618, fu venduto a Giovanni Ferrante delli Falconi era considerato feudo, quindi disabitato18.

Le Relationes ad limina, redatte tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, continuano a fornirci informazioni: quella scritta dal vescovo di Alessano Ercole Lamia, datata al 29 maggio 1590, ci informa che nella sua diocesi esisteva un beneficio ecclesiastico, chiamato arcipretura di Valiano, sine cura, di dieci ducati di rendita annua; nelle successive relazioni, del 1613, 1618 e 1621, il presule Nicola Antonio Spinelli ci conferma l’esistenza di tale beneficio: “Vi sono anche, sparsi in località diverse, quattro benefici semplici, che dai casali dove anticamente si trovavano, ora però distrutti, conservano la denominazione di arcipreture: sono quelli di Voluso, di Pul[e]sano, di Macurano e di Valiano” e che “[…] due chiese rurali sine cura […] che sono assegnate a titolo di beneficio, cioè quella del casale di Valiano e del casale di Voluro anch’essi distrutti, le cui chiese non esistono più19. Tuttavia possiamo presumere che nel 1661 la chiesa del Crocefisso di Valiano fosse ancora in piedi, è noto, infatti, che presso l’edificio religioso fu trovata una neonata abbandonata che fu portata a Montesardo “ratione territorij” e qui battezzata20. Da ciò si deduce che la località di Valiano, all’epoca, apparteneva alla Terra di Montesardo, circostanza che viene confermata dagli atti notarili della seconda metà del Seicento21.

Altre informazioni possono essere estrapolate dalla cartografia antica: una carta di fine XVI secolo, che contiene l’elenco dei centri abitati, con relativi fuochi, di Terra d’Otranto, ci informa che Valiano, all’epoca, aveva 126 fuochi (sic!)22. Il casale continua a essere menzionato, d’ora in poi sempre nella forma Vagliano, e localizzato con relativa precisione su molteplici cartine geografiche per tutto il Seicento e il Settecento23.

resti della chiesa di S. Martino

 

Toponomastica

Nelle le fonti sin qui citate il nome del casale risulta trascritto in differenti grafie:

  • XIV sec. – Baliano, Valiano
  • XV sec. – Baliano/Balliano, Vagnano, Valiano
  • XVI sec. – Valiano
  • XVII sec. Vagliano, Valiano.

La trascrizione più antica è quella di Baliano, rimasta in uso sino alla metà del Quattrocento. La variante Valiano è più tarda, ma si conserva pressoché inalterata nel dialetto locale (Valianu). Vagnano è un probabile errore di trascrizione mentre il più recente Vagliano (conservato sulla cartografia IGM) sembra essere la versione italianizzata del nome volgare. Il toponimo appare di chiara origine prediale e secondo il Susini potrebbe derivare dal nomen Vallius24.

Secondo una suggestiva ipotesi25, a questo toponimo sarebbe da ricollegare il nome del porto situato sulla vicina costa adriatica, infatti esso deriverebbe dalla contrazione dei termini novus e Vagliano, da cui, per contrazione, Novagliano (non attestato) e poi Novigliano (attestato nell’Ottocento26) ed infine l’attuale forma di Novaglie.

 

Evidenze archeologiche

Le prime ricerche archeologiche nell’area (fig. 2) risalgono agli anni ’60 del secolo scorso: è il professor Cosi ad informarci che, all’epoca, la chiesa matrice di Valiano, dedicata a S. Martino, era ridotta ad un cumulo di pietre nel quale praticò uno scavo portando alla luce della ceramica risalente “ai tempi di vita del paese”27. Sempre dallo stesso autore viene riportato che in un podere chiamato “Vigna la Croce” furono rinvenuti dei generici reperti funerari di cui non abbiamo nessuna ulteriore informazione, qui con tutta probabilità si trovava l’altra chiesa del casale28.

 

Un’altra ricognizione di superficie nella stessa zona è stata condotta circa venti anni addietro e ha portato al rinvenimento di diverso materiale ceramico: ceramica d’impasto di età messapica, ceramica invetriata di tipo RMR di XIII secolo, ceramica smaltata di XVI secolo e un folles in bronzo dell’Imperatore bizantino Romano I (919-944 d.C.)29.

Da Valiano provengono anche dei frammenti di ceramica d’impasto attribuibili a paioli; questa forma ceramica, che aveva probabilmente la funzione di braciere/scaldino, è abbastanza attestata in provincia di Lecce e si data tra la metà del X e la fine del XI secolo30.

Nuove ricerche sono state condotte di recente dallo scrivente allo scopo di estendere le indagini su di una zona più vasta. Le ricognizioni hanno permesso d’incrementare i dati a disposizione grazie all’individuazione di due altre aree con una grande concentrazione di frammenti fittili antichi. La prima è posta immediatamente a nord di “Vigna la Croce”, insiste in parte su un uliveto e in parte su di un vasto terreno incolto (circa 110 x 100 m)), nonostante le pessime condizioni di visibilità, è stato possibile riconoscere numerosi resti ceramici inquadrabili tra XIII e XVI secolo: diverse pareti acrome o dipinte a bande strette (decorazioni a fasce semplici dipinte in nero); alcuni fondi ed orli di ciotole in ceramica invetriata policroma (RMR); frammenti di ceramica invetriata monocroma verde; un frammento di piatto in ceramica invetriata; abbondanti resti di ceramica da cucina invetriata e non; frammenti in vetro.

Purtroppo i rovi e le sterpaglie che invadono la porzione nord-est del podere incolto non hanno permesso un’indagine più accurata ed estesa, tuttavia i resti portati in luce dimostrano che parte del villaggio medievale si estendeva in questa zona.

Spostandosi a 150m in direzione sud-est s’incontra la seconda concentrazione di frammenti ceramici, si tratta di un’ampia area, di circa 150 x 120 m, che ricade su vari terreni cinti da muretti a secco, che ha restituito diverso materiale archeologico: lacerti di laterizi, tegole e coppi d’impasto chiaro; pochissimi frammenti di ceramica a pasta grigia e dipinta di nero; numerose pareti di Late Roman Amphora dalla classica decorazione a pettine; orli e fondi di piatti e scodelle di ceramica sigillata africana e orientale; pareti e puntali pertinenti ad anfore da trasporto con impasto di colore rosso abbastanza depurato; ceramica di “tipo san Foca” di produzione orientale (Illyrian cooking ware); diversi frammenti di ceramica da cucina e di pareti appartenenti a grossi contenitori non meglio identificabili; molte pareti di pentole riferibili alle produzioni di “tipo Apigliano” (impasto rosso, pareti sia interne che esterne ricoperte da una patina grigia, presenza di scanalature orizzontali). Inoltre sono stati rinvenuti diversi resti metallici (una decina di scorie di fusione, un incavo di cucchiaio e un chiodino in bronzo, una moneta romana non identificata sempre in bronzo), due selci preistoriche (una lamella a dorso, probabile elemento di un falcetto, e un grattatoio), due orli di calici in vetro ed un frammento di osso inciso con motivi circolari.

Ad eccezione delle selci di epoca preistorica, la maggior parte del materiale recuperato ed identificato è databile tra II e VI secolo d.C. e ci porta a supporre l’esistenza di una piccola casa colonica o fattoria romana di età imperiale e tardoantica, tuttavia la presenza di ceramica di “tipo Apigliano” avvalora l’ipotesi che il sito sia stato frequentato sino alla prima età bizantina (VII e VIII secolo d.C.).

Nel settore nord-orientale, sul lembo estremo della serra, invece sorge una masseria del Seicento. Nel banco di roccia sottostante è stato scavato un grande ipogeo diviso in due ambienti più piccoli da un muro di pietre a secco; non è possibile determinare l’epoca della sua realizzazione ma fu certamente adibito a frantoio in età post-medievale. In tutta l’area circostante la masseria ci sono varie vasche scavate in antico nella roccia, quadrate o rettangolari, di diverse dimensioni.

masseria Vagliano, ipogeo

 

Sintesi storica

Il sito di Valiano sorge sull’estrema propaggine sud-orientale delle Serre Salentine, su una piccola altura (circa 130 m s.l.m.), costituita da calcari compatti (Calcari di Altamura), che domina l’area circostante, in particolare verso nord, in direzione Corsano, e a ovest, verso San Dana, si estendono delle zone abbastanza pianeggianti, relativamente ampie e facilmente arabili, costituite da uno strato geologico fatto di calcareniti e calcari grossolani (Calcarenite di Gravina) caratterizzati da un suolo, abbastanza profondo e fertile che ben si presta alla coltura dei frumenti nudi e dell’orzo31.

La frequentazione umana, anche se sporadica, è attestata sin da epoca preistorica e protostorica, come ci documentano le selci e la ceramica messapica, e probabilmente fu favorita, oltre che dalla fertilità del suolo, da una sufficiente disponibilità di risorse idriche. Al volgere dell’era volgare la presenza dell’uomo nella zona diventò più assidua e stabile, infatti, in epoca romana imperiale, qui sorse una piccola fattoria e con ogni probabilità lo sfruttamento delle risorse ambientali si fece più sistematico ed intensivo.

All’inizio dell’Impero, questo territorio, facente parte dell’ager Veretinus (pertinente al municipium di Vereto), fu diviso in centuriae che vennero assegnate ai veterani dell’esercito per impiantarci la propria azienda agricola32. Questo tipo d’insediamento è abbondantemente documentato in tutta la penisola salentina, in particolare nella zona compresa tra i comuni di Alessano, Corsano, Gagliano e Tiggiano si contano diversi siti del genere, indice che in età repubblicana il territorio venne organizzato sistematicamente e che, tra II e VI secolo d.C., esso era caratterizzato da una fitta rete di piccoli insediamenti di carattere agricolo distanti tra loro meno di un paio di chilometri (Fig.3).

 

In genere, tutti i siti si trovavano sui terreni che garantivano i raccolti migliori, a volte su piccoli balzi di quota e in presenza di banchi di roccia affiorante. Si trattava di case/fattorie che punteggiavano, ad intervalli regolari, la piana posta tra la Serra dei Cianci e la costa adriatica, ben inserite nel sistema produttivo e commerciale del Mediterraneo romano (prova ne siano i numerosi frammenti ceramici riferibili ad anfore commerciali di svariato tipo).

La piccola villa rustica di Valiano si collocava perfettamente all’interno del sistema di organizzazione del territorio romano; oltre ai cereali, si può immaginare che qui si producessero anche olio e vino, e che vi si svolgesse una qualche attività artigianale legata alla lavorazione del metallo. L’insediamento era collegato con le aziende agricole vicine attraverso un antico asse viario (che partendo da Alessano e, passando per Corsano, giungeva qui, poi piegava a ovest verso San Dana, lambendo una statio romana, e infine si dirigeva a sud in direzione di Gagliano) e forse era in comunicazione con il vicino approdo di Novaglie che ne costituiva il porto.

Alla metà del VI secolo una serie di avvenimenti sconvolse l’organizzazione degli insediamenti umani in tutto il Salento, prima la guerra greco-gotica (535-554) e la peste del 541, poi la successiva invasione longobarda (568-571), con la conquista di quasi tutta la penisola italiana, sancirono la fine definitiva del mondo tardoantico con la distruzione del sistema economico che lo caratterizzava e la conseguente “disgregazione di quel tessuto insediativo che era espressione di specifiche modalità di sfruttamento del territorio33. Questa cesura si riscontra anche nel territorio oggetto del nostro esame, dove i siti di età romana non restituiscono ceramica che va oltre il VI secolo. In questo contesto, Valiano, con la sua relativa abbondanza di resti di VII e VIII secolo, rappresenta un’eccezione. Probabilmente, anche in epoca bizantina, il piccolo abitato rurale continuò a svolgere la funzione di una modesta azienda agricola (chorion/grancia?) mentre la maggior parte delle villae del circondario erano state abbandonate.

La frequentazione di età bizantina, in questa fase, sembra insistere sulla stessa identica area occupata in epoca romana, mentre i reperti archeologici più tardi (la moneta di X secolo e i resti di paiolo) provengono dalla zona di “Vigna la Croce”, forse segno che l’abitato si era spostato progressivamente verso nord. Una riorganizzazione del centro potrebbe essere avvenuta subito dopo la cosiddetta “riconquista bizantina”, messa in opera dall’imperatore Basilio il Macedone (867-886), periodo in cui assistiamo ad una fase di grande sviluppo economico in cui si vengono a formare quei centri abitati che, più tardi, i documenti normanno-svevi ed angioini porteranno finalmente alla ribalta della storia34.

Con la conquista messa in opera dai cavalieri d’oltralpe guidati da Roberto il Guiscardo si determinò certamente un cambiamento politico radicale in tutta la Terra d’Otranto ma l’organizzazione territoriale, insediativa ed economica non subì grandi variazioni nel passaggio dalla dominazione bizantina a quella normanna35. Indiscutibilmente, però, sotto i nuovi dominatori, si diffuse in tutto il Salento, in aree di più o meno recente messa a coltura, un tipo di abitato rurale che ricopriva una funzione prettamente agricola: il casale. Si trattava sempre di “un piccolo villaggio rurale aperto, cioè non circondato da mura e non fortificato e può essere considerato l’insediamento più funzionale per uno sfruttamento intensivo delle terre. Non doveva essere molto diverso dal chorion bizantino, al quale lo si può accostare per struttura e funzioni, ma senza dimenticare comunque la diversa situazione storica e la profonda modificazione in senso feudale del regime delle terre e dei rapporti sociali, intervenuta con l’insediamento normanno36.

Per quanto riguarda Valiano, anche se le evidenze archeologiche di XII secolo sono assenti, si può supporre una sostanziale continuità insediativa tra chorion bizantino e casale bassomedievale. Quest’ultimo, nel XIII secolo, si formò lungo la vecchia strada di età romana, probabilmente come un esiguo nucleo di capanne intorno ad un modesto edificio di culto, le sue caratteristiche rimasero prettamente agricole anche se non si possono escludere altre sue eventuali funzioni.

Come accade a tanti casali salentini, nonostante fosse un centro già attivo e, probabilmente, in fase di sviluppo, solo all’inizio del XIV secolo Valiano compare nelle fonti documentarie che ci restituiscono però poche informazioni. Al tempo, insieme ad altri micro-villaggi della zona, esso risultava infeudato alla famiglia dell’Antoglietta e due suoi abitanti erano vassalli del vescovo di Alessano. Dopo oltre un secolo di assenza, a metà Quattrocento il nostro casale ricompare nelle fonti: appartenente alla Contea di Lecce, e dunque inserito nei possessi dei del Balzo, Valiano era sottoposto alla giurisdizione del capitano di Gagliano; esso aveva il proprio organo di autogoverno (universitas) ed un sindaco; la famiglia dell’Antoglietta vantava ancora diritti sui suoi abitanti mentre ai Conniger erano stati assegnati alcuni terreni in suffeudo.

Dunque le fonti documentarie, suffragate dalle evidenze archeologiche, ci testimoniano che esso aveva superato indenne l’epocale crisi del Trecento e la peste bubbonica del 1348-51, eventi che avevano causato una pesante crisi demografica, con relativa riorganizzazione degli abitati umani, in gran parte del Salento e determinato la scomparsa di diversi casali della zona.

Valiano riuscì a sopravvivere anche alle trasformazioni di carattere agricolo ed economico che interessarono la Terra d’Otranto tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età Moderna. In una fase contrassegnata da nuovi abbandoni, il nostro casale invece sembra crescere costantemente: tre fuochi fiscali venivano conteggiati nel 1512, cinque nel 1527, sette nel 1539 e addirittura tredici nel 1586, dopo che la sua popolazione si era dispersa. Il suo feudo era ancora in possesso dei del Balzo e poi passò, insieme alla Contea di Alessano, ai Gonzaga; tuttavia la famiglia Conniger di Lecce, che possedeva altri feudi nel Capo di Leuca, continuava a vantare diritti su alcune vigne del casale situate in prossimità della costa adriatica (vigaio marino/vigne marine).

 

Il casale aveva due edifici di culto costruiti in pietra ed un clero sia latino e sia greco (però si parlava solo il latino); l’economia agricola si basava sui cereali ma una certa importanza rivestiva anche la coltivazione dell’ulivo e della vite. Nonostante che all’inizio del Cinquecento il Capo di Leuca abbia subito un radicale modifica del suo assetto agricolo ed insediativo, con il passaggio da uno sfruttamento intensivo ad uno di carattere più estensivo37, non pare che il casale di Valiano abbia risentito negativamente di questi cambiamenti, anzi, esso sembra pienamente inserito nella nuova organizzazione economica, infatti possiamo ricostruirne la vitalità e l’operosità per quasi tutto il XVI secolo, attraverso i numerosi passaggi di proprietà e la tassazione cui era sottoposto, fino alla sua misteriosa scomparsa avvenuta tra il 1580 e il 1582.

Nel corso del Basso Medioevo, il casale di Valiano aveva dimostrato un certo grado di resilienza, attraversando indenne diversi momenti di crisi demografica e di cambiamenti economici. Sicuramente esso aveva subito gli effetti di questi avvenimenti, che avevano causato la scomparsa di oltre il 40% dei centri abitati del territorio circostante (fig.4), ciò nonostante in pieno Cinquecento la sua popolazione era in fase di crescita e non vi è nessun elemento che faccia supporre che l’abitato fosse in crisi.

L’abbandono del sito, e la dispersione dei suoi abitanti nei paesi vicini, furono, quindi, dovute ad un singolo evento traumatico. Il professor Cosi segnala che tra gli anni 1561 e 1595, nel Capo di Leuca, solo 4 paesi su 25 mostrano un calo demografico: Gagliano, Arigliano, Patù e Morciano; perciò ipotizza che la distruzione di Valiano sia da porre in relazione ad una scorribanda saracena che coinvolse anche i succitati casali38.

Pur in mancanza di prove certe, pare plausibile attribuire la scomparsa del casale ad una scorreria turchesca, di cui non è rimasta nessuna documentazione, che avvenne negli anni successivi la battaglia di Lepanto (1571), l’epocale vittoria delle galere europee contro la flotta ottomana, che fu celebrata enormemente nel mondo cristiano ma che in realtà ebbe scarsi risultati dal punto di vista politico-militare, infatti essa non pose fine alle drammatiche incursioni dei corsari musulmani lungo le coste dell’Italia meridionale.

Dopo la distruzione del casale il territorio di Valiano non fu completamente abbandonato, poco più a nord, infatti, venne costruita una masseria con annesso frantoio ipogeo; è evidente che qui si continuò a sfruttare il potenziale agricolo delle campagne circostanti nell’ottica di una nuova organizzazione territoriale che puntava ad un miglioramento della resa agricola.

Come già accennato, tra la fine del Medioevo e la prima Età Moderna, tutta la Terra d’Otranto subì un mutamento economico e insediativo: nelle aree scarsamente abitate o soggette a spopolamento si crearono le prime masserie, sedi di lavoratori stagionali che risiedevano nei paesi fortificati delle vicinanze. Esse erano destinate, nella maggior parte dei casi, alla monocoltura dell’ulivo e alla produzione dell’olio, “l’oro liquido” salentino esportato sui mercati di tutto il Mediterraneo, che costituiva un investimento economico sicuro e remunerativo per l’aristocrazia locale.

Conclusioni e ringraziamenti

Per lungo tempo la piccola altura di Valiano è stata sede di un abitato umano che nel corso dei secoli ha dato ospitalità a diverse comunità di uomini che si sostentavano attraverso lo sfruttamento delle risorse ambientali che offriva il territorio circostante. Pur conservando una funzione prettamente agricola, la struttura dell’insediamento ha subito diverse modifiche a causa dei rivolgimenti politici e per adattamento alle trasformazioni economiche e sociali che hanno interessato la Terra d’Otranto nel lungo lasso di tempo che va tra la fine dell’Impero Romano ed il Rinascimento.

Oggi, al contrario, questa contrada appare abbandonata e in stato di degrado: terreni incolti in cui i rovi la fanno da padrone, uliveti devastati dalla xylella, muretti a secco ed edifici rurali in rovina, rifiuti sparsi ovunque. Un desolante quadro d’incuria che ci spinge a reclamare più attenzione per una località così ricca di storia e ad impegnarci a valorizzare le sue potenzialità.

Potenzialità storiche ed archeologiche che questo scritto ha inteso sottolineare, ma anche di carattere ambientale e paesaggistico che meritano un adeguato riconoscimento ed una pronta tutela. Secondo noi la contrada di Valiano costituisce una “risorsa culturale” di sicuro valore per tutto il Capo di Leuca (la cui “offerta culturale”, a nostro avviso, appare assai modesta), ha però bisogno di cura e di conservazione. Sperare nella sensibilità delle istituzioni comunali ci sembra utopia, crediamo, dunque, che sia diritto e dovere dei cittadini, delle associazioni private e delle comunità locali occuparsi in prima persona di questi luoghi.

In quest’ottica appare meritoria l’opera di restauro degli edifici e ripristino dei terreni della masseria Vagliano portata avanti da Claudio Riso e Valentina Cancelli, che ringrazio per avermi fatto visitare la loro proprietà con l’annesso ipogeo. Devo anche ringraziare Mauro Ciardo per le preziose informazioni che mi ha fornito, sul campo e sui testi. Infine una menzione speciale va ad Antonio Ippazio Piscopello, senza il suo incoraggiamento, la disponibilità e l’aiuto nella ricerca bibliografica questo lavoro non sarebbe stato possibile.

l’altura di Valiano, sullo sfondo la masseria

 

Note

*L’articolo originale (Valiano: dalle origini alla scomparsa di un casale del Capo di Leuca) è stato pubblicato sulla rivista Controcanto, anno XVIII, n° 3, 2022. I contenuti sono stati parzialmente rivisti, corretti ed aggiornati in base alle recenti scoperte.

1 S. Ammirato, Storia della famiglia dell’Antoglietta, Firenze (ristampa), 1846, pp. 24-26 e 40. Da altra fonte, i Notamenta del De Lellis, troviamo conferma che nel 1303 ad Enrico fu concessa “pars casalium Pulsanelli, Iuvanelli, Mansanelli, Baliani, Barbarani, Sanctae Danae, Doriliani, Pulsani, in Idronti“, possesso confermato nel 1304 per i casali di “Ariliani, Baliani, Sancti Donati (S. Dana), Pulsanelli et Marsanelli” (in M. Ciardo, La storia di Gagliano del Capo. Dall’età Romana al Medioevo, Tricase (Le), 2004, p. 18).

2 A. Ferraro, Castrignano del Capo e i suoi documenti, Castrignano del Capo (Le), 2004, p. 117.

3 ASNa, Sommaria, Diversi, n°170, cc. 208v e 209v.

4 A. Ferraro 2004, op.cit., pp. 7-8.

5 ASNa, Sommaria, Partium, vol. 39, a. 1494 foll. 6-7, et appendice p. 545, in R. Fino, Il Capo di Leuca e dintorni tra realtà, storia e leggende, Galatina (Le), 2004, p. 10.

6 I beni feudali includevano: la terra di Specchia, Montesardo cum forensibus suis lo casale di Santo Dana, Baliano, Maturiano (Macurano), parte delli casali di Sagliano (Salignano), Castrignano, Patu, Juliano, Rugiano, Triano (Arigliano), Tutino, Craparica, Neviano, Melesano, et Rufiano de provintia terre Idrunti (ASNa, Museo, 103A. stip. 4/4, Repertorio di Terra d’Otranto, cc. 153-157v; in A. Ferraro, Salignano e i suoi documenti, Lucugnano (Le), 2001, p. 84)

7 ASNa, Pergamene di Castelcapuano, vol.VI, p. 126v, in M. Ciardo, op. cit., 2004, p. 3.

8 M. Ciardo, op. cit., 2004, p. 3.

9 M. Ciardo, ibidem, 2004, p. 4.

10 M. Ciardo, ibidem, 2004, p. 4.

11 A. Ferraro, op. cit, 2001, pp. 107-108.

12 M. Ciardo, op. cit., 2004, pp. 4-5.

13 G. Cosi, Frammenti di storia salentina tra ‘500 e ‘700, Alessano (Le), 2001, pp. 25-27.

14 M. Ciardo, La storia di Gagliano del Capo. Il Cinquecento, Tricase (Le), 2005, pp. 72-73. Nella stessa condizione si trovavano Alessano, Montesardo, Patù, Ruggiano e Gagliano. A Castrignano invece si parlava greco e latino.

15 G. Cosi, op. cit., 2001, pp. 25-27.

16 A. Caloro, F. De Paola, Alessano tra storia e storiografia. Tomo II. Le fonti documentarie, Trepuzzi (Le), 2013, pp. 87-88.

17 R. Fino, op.cit., p. 222.

18 I manoscritti di Carmelo Sigliuzzo, a cura di F. Ruppi, Lecce, 2010, p. 278.

19 A. Caloro, F. De Paola, op. cit., pp.250-281. Le relazioni del 1618 e del 1621 sono quasi identiche a quella del 1613

20 G. Cosi, op, cit., 2001, p.26, dai registri parrocchiali di Montesardo.

21 A. De Meo, S. Fracasso, A. M. Giustapane, D. Ragusa, Per un posto in paradiso. Donazioni e testamenti ad Alessano nel Seicento, Lecce, 1994, pp. 72 e 89.

22 G. Cosi, op, cit., 2001, p.27.

23 C. Daquino, Casali scomparsi nel Capo di Leuca, in Lu Lampiune, Anno XV – n.3, 1999, pp.126-127.

24 G. Susini, Fonti per la storia greca e romana del Salento, Bologna 1962, p. 206.

25 Ipotesi suggerita dall’amico Mauro Ciardo.

26 G. Arditi, La corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, Lecce, 1885, p.22.

27 G. Cosi, op. cit., 2001, p. 26. I resti dell’edificio, ancora parzialmente visibili, si trovano a circa 200m a sud-ovest della masseria, consistono in conci di calcare tenero legati da bolo rosso. Nell’angolo posto a nord-ovest fino a pochi anni fa si potevano vedere due fosse granarie (purtroppo oggi ricoperte dai rifiuti e dalla solita inciviltà che caratterizza le nostre contrade).

Vigna la Croce

 

28 Il toponimo potrebbe derivare dalla Chiesa del Crocefisso. Il podere si trova 30m a ovest rispetto alla chiesa matrice. Anche qui si notano i miseri resti dell’antico edificio di culto. Secondo Rocco Fino (vedi: Il Capo di Leuca e dintorni tra realtà, storia e leggende, Galatina (Le), 2004, pp. 195-199.) negli anni ’80 del secolo scorso, il podere era denominato Ortu masciu (orto grande), al suo interno c’erano due cisterne (oggi solo una di esse è ancora visibile) mentre molte altre, secondo la testimonianza di un contadino locale, erano state interrate nel passato.

29 M. Ciardo, op. cit., 2004, p. 2.

30 P. Arthur, M. Leo Imperiale, M. Tinelli, Apigliano un villaggio bizantino e medioevale in Terra d’Otranto. I reperti, Galatina (Le), 2015, pp. 43-45 fig. 26.

31 G. Muci, Analisi quantitative per l’interpretazione delle dinamiche socioeconomiche in atto tra Medioevo ed Età Moderna nel basso Salento, in Atti del VII Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, vol.1, Lecce, 2015, pp. 67-70. Nella fig. 2 è riportata la carta del Salento diviso un rapporto all’attitudine dei suoli alla coltivazione del frumento; Valiano si trova nel pieno della zona S1: “terreni idonei alla classe colturale, che in condizioni ottimale garantiscono il massimo del raccolto“.

32 La centuratio del territorio salentino avvenne in due fasi distinte: una probabilmente in età graccana e una durante il regno di Vespasiano, il quale assegnò diverse terre ai veterani. Tracce della centuriazione romana sono ancora visibili in territorio di Alessano (vedi: D. Ammassari, Carta archeologica del territorio a sud di Alessano (I.G.M. 223 I SE) e analisi strutturale della chiesa di Santa Barbara a Montesardo, Tesi di laurea in Topografia Antica, Lecce anno academico 2005-2006, pp. 32-34).

33 P. Arthur, M. Leo Imperiale, G. Muci, Il Salento rurale nell’Alto Medioevo: territorio, insediamenti e cultura materiale, in Dinamiche insediative nelle campagne dell’Italia tra Tarda Antichità e Alto Medioevo, Oxford, 2018, pp. 143-144.

34 P. Arthur, Verso un modellamento del paesaggio rurale dopo il mille nella Puglia meridionale, in Archeologia Medievale vol. XXXVII, 2010, pp. 218-219.

35 P. Arthur, ibidem, p. 218-221.

36 C. D. Poso, Il Salento normanno. Territorio, istituzioni, società, Galatina (Le), 1988, pp. 194-195. Lo stesso autore aggiunge che: “Dall’esame toponomastico e dai dati forniti dalla nostra documentazione appare subito evidente che un certo numero di nuovi insediamenti si formarono nel sito o in prossimità di antichi agglomerati rurali tardo-romani (villae) dei quali era rimasto il ricordo, come evidenzia l’abbondante toponomastica prediale romana ancora viva in età normanna; altri invece si svilupparono in corrispondenza di un centro religioso o di un luogo di culto (chiesa, cappella, monastero) che ha funzionato da polo di attrazione territoriale, come si desume dalla consistente diffusione di agiotoponimi accompagnati dalla determinazione geografica; altri infine appaiono in qualche modo legati alla vicinanza di grandi vie di comunicazione e devono al maggiore o minore uso di esse la loro nascita, il loro sviluppo, il loro abbandono e la loro rinascita. Dobbiamo tuttavia osservare che nel processo di creazione di nuovi villaggi non sempre queste tre tipologie di insediamento sono nettamente distinte tra di loro, anzi non è raro ritrovarle combinate insieme.” (C. D. Poso, op.cit., pp. 195-196). La prima e la terza tipologia insediativa appaiono combinate insieme, come ci attestano chiaramente i dati archeologici, nel sito di Valiano.

37 Una più ampia analisi delle dinamiche insediative che hanno caratterizzato il Salento nell’ultima parte del Medioevo si trova in: P. Arthur, op. cit., 2010, pp. 215-228; G. Muci, op. cit., 2015, pp. 65-70; P. Arthur, B. Bruno, G. Fiorentino, M. Leo Imperiale, G. Muci, M. R. Pasimeni, I. Petrosillo, M. Primavera, Crisi o resilienza nel Salento del Quattordicesimo secolo? in Archeologia Medievale, vol.XLIII, Firenze, 2016, pp. 41-55.

38 G. Cosi, Arigliano. Ricordi di un paese, Gagliano del Capo (Le), 2010, p. 26; per il confronto dei dati sulla demografia del Capo di Leuca M. A. Visceglia, Territorio, feudo e potere locale. Terra d’Otranto tra Medioevo ed Età Moderna, Napoli, 1988, p. 90).

cisterna scavata nel banco roccioso
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