L’arte di costruire nel Salento. Come si realizzavano muri e murature

di Mario Colomba

 

Escludendo il caso di roccia  (calcarenite) affiorante,  che si rinviene all’esterno dell’area del centro urbano, la muratura in fondazione veniva realizzata all’interno di scavi eseguiti a mano,  di larghezza pari allo spessore del muro da realizzare, nel terreno di riporto o vegetale, , estesi fino alla profondità del piano di sedime generalmente costituito da argilla sabbiosa con trovanti calcarei (lu critazzu o lu grugnu). Fino alla profondità di circa m. 1,50, lo scavo veniva eseguito con l’uso del piccone con cui veniva smosso il terreno compatto a strati successivi  dello  spessore di circa 15 o 20 cm.. Il materiale smosso veniva successivamente paleggiato oltre il bordo dello scavo ad una distanza inversamente proporzionale alla profondità della trincea. La portanza dello strato che costituiva il piano di sedime  era verificata dall’esperienza personale e dalle conoscenze  accumulate nello scavo di innumerevoli pozzi sia all’interno che all’esterno ed in prossimità della cinta muraria.

In campagna, un utile riferimento era costituito dai piccoli fabbricati rurali esistenti per lo più di un solo vano che con le loro lesioni, spesso contrastate da catene metalliche,  dimostravano l’esiguo spessore dello strato di argilla sabbiosa utilizzato come piano di sedime delle fondamenta e l’influenza negativa della sottostante argilla sottoposta alle alterne traversie di aumento o diminuzione del volume al variare delle condizioni igrometriche ambientali. In quelle località si diceva che “la terra camina  e perciò era sconsigliabile realizzare qualunque costruzione.

 

La muratura in fondazione

Nella esecuzione della muratura in fondazione generalmente venivano impiegati i conci più difettosi e non solo esteticamente, anche se ciò era evidentemente in contrasto con le più elementari regole di stabilità.

I muri in fondazione erano sempre muri doppi.

Preliminarmente veniva messo in opera il filare di conci di un singolo paramento che venivano allineati con l’uso della corda (fiorenzuola). Ogni due o tre conci disposti in fila (di verga) si dipartivano ortogonalmente gli elementi di legatura trasversale (di punta) di lunghezza pari allo spessore del muro o delle teste, estese, queste ultime, , solo  fino al limite interno del secondo paramento,  quando il muro aveva uno spessore ben maggiore dei due paramenti accostati.

Successivamente veniva quindi realizzato il secondo paramento, generalmente addossando i conci al limite dello scavo già praticato anche se di larghezza alquanto superiore al previsto, per evitare il rinfianco con materiale smosso, raramente costipato e quindi  soggetto a futuri assestamenti

Il nucleo centrale fra i due paramenti veniva riempito con materiale vario, battuto fortemente col martello da muratore e spianato superiormente con  malta  povera di calce o con murtieri già descritto,  previa abbondante bagnatura.

A volte, nella formazione geologica che costituiva il piano di sedime della fondazione,  si incontravano delle sacche di terreno vegetale che non poteva essere utilizzato come base portante; in questo caso, per evitare la prosecuzione dello scavo fino a quote indefinite, frequentemente si ricorreva alla costruzione di archi a sesto molto ribassato (valestre), che avevano la proprietà di scaricare orizzontalmente una componente del carico verticale ed erano  impostati sui bordi del terreno resistente per conseguire la continuità della struttura fondale. Durante la realizzazione delle murature in fondazione, specialmente quando il piano di sedime era a profondità maggiore di due metri dal p.c., si avvertiva, da parte degli addetti ai lavori, una sorta di anelito generale, in parte determinato dalla situazione di pericolo di seppellimento, nell’affrettarsi alla costruzione dei corsi successivi fino al raggiungimento della quota che permettesse, stando  in piedi, di avere   la testa al disopra del piano campagna e di poter respirare liberamente, sollevando dalla preoccupazione anche i compagni che effettuavano le prestazioni di servizio fuori terra.

 

La muratura in elevato

Questa era certamente l’operazione più importante e rappresentativa del perfetto equilibrio raggiunto sia con  l’ambiente esterno che all’interno dell’organizzazione produttiva caratterizzata da una marcata sinergia tra tutti gli addetti che concorrevano, ciascuno con la propria opera, alla realizzazione di quei manufatti che oggi lasciano incantato l’osservatore.

La buona qualità di una muratura era caratterizzata oltre che dalla perfetta piombatura  e dalla planarità della superficie esterna, dalla linearità e sottigliezza dei comenti che denotavano sia l’accuratezza della squadratura dei conci che la perfezione della posa in opera.

L’occhio esercitato e competente del maestro non mancava di rilevare l’andamento planimetrico ondeggiante del corso di muratura, che andava corretto non solo per motivi estetici ma soprattutto perché l’approssimativa planarità, che si evidenziava per l’andamento e spessore dei comenti, comportava concentrazioni di tensioni sui conci non perfettamente orizzontali.

Come avveniva presso le falegnamerie, nella lavorazione del legno, che veniva esposto quotidianamente all’esterno della bottega per lunghi mesi, per realizzare una stagionatura naturale nelle condizioni ambientali che si sarebbero riprodotte nel tempo sul materiale lavorato per realizzare  arredi o infissi, analogamente, nelle costruzioni in muratura, vi era una generale tendenza al rispetto dei normali cicli stagionali, senza forzare i tempi, evitando quella frenetica frettolosità imposta poi dai cicli di produzione di tipo industriale. In tal modo si dava il tempo necessario alle malte di solidificarsi lentamente,  in condizioni termo-igrometriche favorevoli, che ricorrevano specialmente nei mesi invernali (chi mura d’inverno mura in eterno).

In tema di sicurezza sui luoghi di lavoro, la carenza più eclatante, se si eccettua la mancanza assoluta di dispositivi di protezione individuale, era quella dei ponteggi di servizio. La disponibilità di legni era limitata a pochi tavoloni della lunghezza di m. 4,00 e dello spessore di cm. 5 e di alcuni murali della sezione di cm. 8×8 o 10×10, che, accoppiati fungevano da ponti di servizio per la costruzione dei muri semplici. Per i muri doppi non si usavano ponteggi. Spesso, per lavorazioni particolari eseguite su murature al disopra dell’altezza di m. 4,00 (p. es. posa in opera di cornicioni o mensole di balconi), si predisponevano nella muratura dei fori passanti (sbintati) di sezione quadrata (10×10) nei quali venivano infilati dei murali della lunghezza di m. 1,50, ottenendo delle mensole dello sbalzo di circa un metro su cui si appoggiavano i ponti di servizio che venivano, successivamente,  facilmente rimossi.

 

I muri semplici

venivano realizzati impiegando i conci (dello spessore di cm. 20) squadrati a perpedagno. Per ogni corso (linea) si mettevano  in opera per primi i due conci di angolo (cantoni), con l’uso del filo a piombo.

La piombatura del “cantone” consisteva nel verificare preliminarmente, con l’uso del filo a piombo,  la verticalità di quel concio, sia nella faccia che nella testa,  facendone ruotare, sul letto di malta fresca, a colpi di martello opportunamente dosati,  i corrispondenti assi orizzontali e successivamente la complanarità con il corso sottostante, spostandolo solo  orizzontalmente.

Ai due  “cantoni” veniva assicurata, con un chiodo per ciascuno, infisso sullo spigolo orizzontale superiore e inclinato di 45°, la corda che regolava l’allineamento dei conci successivi. Da notare che la costruzione avveniva disponendo all’esterno, rispetto all’operatore, la faccia migliore dei conci. La risarcitura dei giunti con la  malta (‘nzippatura) veniva effettuata,  per la faccia esterna contestualmente alla posa in opera dei conci,  mentre per quella interna si provvedeva successivamente, a volte, solo  prima dell’intonaco. Ne consegue un’utile osservazione: per i muri edificati sul limite di due proprietà, è proprio la faccia esterna sopradescritta che ne individua il confine, salvo il caso di accordi particolari tra vicini.

Casa Ferrazzi e palmenti verso la fine degli anni venti

 

I muri doppi

cioè muri a doppio paramento, (muraglie – muragghe) si realizzavano con le stesse modalità relativamente al paramento esterno. però, in questo,  ogni due o tre conci disposti “di verga” cioè longitudinalmente, veniva inserito un concio trasversale “di punta” che poteva essere esteso a tutto lo spessore del muro (tuttuno) o fino al filo interno del paramento interno (testa). Analogamente gli angoli delle murature doppie potevano essere “incatenati” a due teste oppure ad una testa (sècuta sùrici) cioè ciascuno dei due paramenti rimaneva slegato dall’altro in corrispondenza dell’angolo e ciò principalmente per risparmiare l’impiego di un secondo cantone che era la pietra angolare e che doveva essere lavorato a squadro anche sulla testa e che, nel caso di muratura di notevole spessore doveva avere una lunghezza adeguata per consentire lo sfalsamento dei giunti.

I conci dei paramenti venivano detti “curesce”, cioè cinte,  che non erano squadrati sulla faccia posteriore. Il nucleo centrale della muraglia, se superava lo spessore di cm. 20,  veniva riempito con una terza fila di conci che non venivano lavorati su nessuna faccia ma solo sugli assetti (cacciati a tagghia) ed a volte neanche su questi perché di altezza insufficiente, inferiore all’altezza dei conci del corso (asci a tagghia).

 

 

 

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Libri| L’arte del costruire a Nardò e dintorni – Il Delfino e la Mezzaluna – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

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