di Fabio Cavallo
In un contesto sociale fortemente secolarizzato, qual è il nostro tempo, il 15 agosto rimanda inevitabilmente a gite fuori porta, bagni al mare e picnic su spiagge, insomma ad un giorno completamente dedito allo svago e al relax.
In tempi passati – almeno fino alla metà del Novecento – prima ancora che il turismo di massa prendesse piede nel nostro Salento, il giorno ferragostano era legato alla ricorrenza liturgico-mariana dell’Assunta.
La vigilia e il giorno della festività erano scanditi da pratiche devozionali molto sentite e partecipate, tra queste la recita delle “centu cruci e delle centu Avemarie”, una sorta di lungo Rosario inframmezzato da una prece dialettale che recitava così:
Penza, anima mia, ca hai murire.
Penza, anima mia, ca hai trapassare,
alla valle te Giosafatta imu scire,
lu ‘nimicu ne vene a tentare.
Vabbanne nimicu!
Vabbanne te l’addha via,
can u n’hai spartire nenzi
cu l’anima mia
ca centu cruci mi fici a nvita mia
lu giurnu te la Vergine Maria.
Si nota, sùbito, nei versi il chiaro riferimento alla morte e alla salvezza dell’anima. È molto probabile che tale devozione sia mutuata da un antico rito liturgico di origine ortodossa in cui prevaleva il concetto di “dormizione della Vergine Maria” anziché di assunzione in cielo di Maria, tipica della Chiesa occidentale. In sostanza, mentre la Chiesa occidentale metteva in risalto la “risurrezione” di Maria, quella orientale considerava un fatto naturale e degno di venerazione anche la “morte” della Madonna.
Altro motivo potrebbe rientrare in una caratteristica della Chiesa ortodossa e cioè quella di ripetere frequentemente il segno della Croce, sia durante le liturgie, che davanti le icone sacre. Si spiega, così, il rito delle “centu cruci”, praticate nel giorno dell’Assunta.
Tale consuetudine era molto diffusa nel territorio dell’antica diocesi di Nardo che, guarda caso, ha la chiesa Cattedrale intitolata alla Vergine Assunta.
Anche Casarano non si sottraeva a questo rito e la sera del 14 agosto la popolazione si ritrovava sul sagrato della chiesa della Madonna della Campana, in collina, dopo aver pellegrinato a piedi dal centro del paese fin su l’altura.
Il rito si concludeva con la recita del Rosario delle 100 Ave Maria, alternate ad altrettanti segni di croce, quasi ad esorcizzare e combattere il Maligno. Venivano, così, soddisfatti due requisiti peculiari di quel giorno: il pellegrinaggio, tipico delle ricorrenze legate all’espiazione e la preghiera comunitaria.
Dopo decenni di oblìo, la locale parrocchia di San Domenico ha recuperato questa antica tradizione, facendola propria e proponendola all’attenzione dell’intera comunità.