Il De instituendis principum liberis di Belisario Acquaviva duca di Nardò: confronto tra un manoscritto e la prima edizione a stampa

di Armando Polito

Chi ha la mia età ha vissuto in pieno il passaggio dall’analogico al digitale, una delle poche rivoluzione tecniche operate dall’uomo dopo i graffiti delle caverne, le tavolette di terracotta, il manoscritto e la stampa. Il duca di Nardò visse proprio nel periodo in cui il manoscritto, specialmente il miniato, aveva visto crescere il suo pregio editoriale, mentre trasmetteva alcune sue caratteristiche grafiche agli incunaboli e poi alle cinquecentine. Succede spesso che un’opera venga pubblicata postuma, perché l’autore non volle o non potè darla alla stampa, pur essendo questa già stata inventata. In questi casi l’ideale sarebbe poter disporre del manoscritto autografo, altrimenti bisogna operare come si fa con i testi antichi, cioè con la collazione delle copie conosciute e disponibili, avendo come obiettivo finale l’edizione critica.

Favorito anche dalla cronologia, il duca di Nardò1  di certo potè vedere e toccare una copia a stampa del suo libro, come non è difficile immaginare che senz’altro diresse le operazioni, quanto meno quelle iniziali. Non è dato sapere se la stampa fu condotta sull’autografo, di cui non c’è traccia, o, più probabilmente, su un testo finale materialmente realizzato, sotto la sua dettatura e controllo, da qualche scrivano ufficiale. Il testo, comunque, era già noto prima del 1519 e, come spesso avveniva all’epoca, almeno una copia manoscritta era stata oggetto di dono, naturalmente ad un personaggio importante, da parte di Belisario in persona.

Com’è successo per molti nostri manoscritti a causa di vicende che il più delle volte è impossibile ricostruire, il nostro attualmente è custodito nella Bodleian Library dell’Università di Oxford (MS. Rawl. C. 893). Sul suo sito risulta parzialmente digitalizzato e da lì ho tratto la copertina/frontespizio e l’incipit, mettendoli a confronto con le analoghe parti del libro a stampa.

1 LA COPERTINA-FRONTESPIZIO-DEDICA DEL MANOSCRITTO

REVERENDISSIMO DOMINO DOMINO FRANCISCO SACRO S(ANCTAE) R(OMANAE) E(CCLESIAE) CARDINALI SURRENTINO TITULI SANCTORUM IOANNIS ET PAULI COMPATRI ET DOMINO OBSEREVANDO BELISARIUS AQUAVIVUS DE ARAGONAQ MARCHIO NERITONI SE PLURIMUM COMMENDAT

(Al reverendissimo signore Don Francesco sacro cardinale sorrentino di Santa Romana Chiesa col titolo dei santi Giovanni e Paolo, compatriota e signore rispettabile, Belisario Acquaviva di Aragona marchese di Nardò si raccomanda moltissimo) 

Il testo appena letto ci rende edotti del titolo dell’opera, del nome dell’autore, che è pure il dedicante, del dedicatario e dei titoli di entrambi. Per quanto riguarda Belisario, poi, il titolo di marchese ci consente di datare il manoscritto anteriormente al 1516, anno in cui Belisario assunse il titolo di duca di Nardò. Lo stesso dettaglio consente di pervenire alla medesima datazione per un altro manoscritto, custodito nella Biblioteca Nazionale  di Napoli (cod. XII F 2),  del quale diede notizia Vincenzo Bindi2  citandone integralmente il titolo/dedica recita Beatissimo sanctissimo Leoni X Christianorum Patri Belisarius Aquavivus de Aragonea Neritinorum Marchio post pedum oscula beatorum humilissime se commendat (Al Beatissimo Santissimo Leone X Padre dei Cristiani Belisario Acquaviva d’Aragona dopo il bacio dei beati piedi umilmente si raccomanda). Quest’opera, il cui manoscritto il Bindi definisce bellissimo, non ebbe, a differenza di altre di Belisario, un’edizione a stampa, neppure postuma. Ciò avverrà a distanza di più mezzo millennio con la pubblicazione proprio del manoscritto napoletano: Belisario Acquaviva d’Aragona, Esposizione del Pater noster, a cura di Caterina Lavarra e Domenico Defilippis, Congedo, Galatina, 2016.

 

Riprendo il discorso interrotto relativo alla potenza del dedicatario del quale Belisario indica il solo nome, quasi il cognome fosse superfluo e bastassero i titoli ad integrarne l’identificazione e a renderlo antonomastico. Si tratta di Franciscus de Remolins (1462-1518), del quale appare evidente l’origine spagnola, per cui il sorrentino va inteso come riferito alla carica di arcivescovo metropolitano di Sorrento, da lui ricoperta dal 1501 al 1512, il che consente di collocare il manoscritto entro un intervallo temporale meno generico del prima del 1519, anno, dell’edizione a stampa, o del 1518, anno della morte del prelato; anzi, considerando che la nomina a cardinale avvenne nel 1503, l’intervallo prima indicato si riduce ulteriormente, passando da 1501-1512 a 1503-1512. Per avere un’idea, poi, della posizione di Francisco nella Chiesa e non solo, basta ricordare i rapporti strettissimi col papa Alessandro VI (a lui è indirizzata la lettera di Belisario citata in nota 3) e che fu vicerè di Napoli dal 1511 al 1513.

Di seguito, in rapporto cronologico proprio con questo periodo, il suo ritratto riprodotto da Domenico Antonio Parrino, Teatro eroico, e politico de’ governi de’ vicere del Regno di Napoli, de Domenico Antonio Parrino, Parrino & Mutii, Napoles, 1692, tomo I, p. 68.

 

La didascalia recita: D. Francesco Remolins Cardinal Sorrentino Luogot(enent)e Gen(era)le nel Regno di Nap(oli) 1512. Appena al di sopra lo stemma cardinalizio.

 

2 FRONTESPIZIO DEL LIBRO A STAMPA 

Si presenta incredibilmente scarno rispetto alla parte del manoscritto appena esaminata. Vi compaiono il titolo dell’opera e il nome dell’autore, senza gli altri dati (nome del dedicatario e relativi titoli) che già allora rendevano estenuante la lettura del frontespizio.

(Come educare i figli dei principi di Belisario Acquaviva d’Aragona duca dei Neritini)

Per gli altri dati bibliografici bisogna andare alla fine, cioè al cosiddetto colophon (che qui precede la marca editoriale), uno dei retaggi della scrittura manoscritta (per quanto riguarda la data manca solo il numero relativo all’indizione).

(Stampato a Napoli nella libreria di Giovanni Pasquet de Sallo nell’anno del Signore 1519 il 5 giugno).

Di solito il colophon non mostra alcuna tavola e questa si sarebbe collocata benissimo, se non come antiporta, almeno a corredo dello scarno frontespizio. Essa è, come s’è detto, la marca editoriale e mostra al centro una figura  in piedi, che sostiene la croce addossata ad un cerchio diviso in quattro settori in ognuno dei quali compare una lettera, in tutto da leggersi nella sequenza IPDS, acronimo di Iohannes Pasquet De Sallo. La croce reca alla sommità una bandiera in cui si legge ECCE AGNUS (le ultime quattro lettere appaiono tipograficamente impastate) e al di sotto ΑΩ (com’è noto, l’alfa e l’omega, la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, a simboleggiare il principio e la fine. La tradizione giovannea di entrambi (1, 29.36 e 19, 5) e in più l’ecoonomastica che si è voluto ravvisare in Iohannes hanno fatto identificare ad alcuni la figura centrale con S. Giovanni, mentre per altri rappresenterebbe Cristo.

Non sapremo mai se fu Belisario a volere o a tollerare che il colophon e l’editore avessero un impatto visivo, per quanto finale, maggiore rispetto al frontespizio; se così fosse, sarebbe un’ulteriore prova di umiltà, dopo quella dell’ipotetico declassamento  insito nel  marchese del manoscritto.

A quest’ultimo torno  con la carta contenente l’incipit. A fronte la corrispondente parte nel libro a stampa.

Anche qui la composizione della pagina appare molto più articolata ed accattivante, grazie alle miniature, mentre i caratteri conservano il più possibile l’aspetto della scrittura manoscritta. Si noti come al capolettera del manoscritto,  Q miniata  dell’iniziale Qum, ha il suo corrispondente a stampa in q annegante in uno spazio bianco, la cui area appare perfettamente uguale a quella occupata dalla miniatura. La scelta grafica del manoscritto sarà recuperata nell’edizione uscita per i tipi di Pietro Perna a Basilea nel 1578 (di seguito il dettaglio del capolettera).

Chiudo con una rapida descrizione degli dettagli più significativi.

Il capolettera (la C di CUM è su un pannello blu legato con un nastro al ramo di un albero.

La bordura della carta è su tutti i lati con motivi rinascimentali, candelabri e decori floreali.

Nel margine superiore due putti alati sullo sfondo di un cielo stellato reggono lo stemma del dedicatario (lo abbiamo visto prima nel ritratto).

Il medaglione a destra contiene una figura di uomo in combinazione classica: busto nudo e testa di profilo.

Nel margine inferiore: stemma della famiglia Acquaviva racchiuso in corona di alloro3.  A sinistra Marte seduto tra trofei di guerra e a destra Minerva, conformemente all’iconografia classica, con elmo, la destra che impugna una e la sinistra uno scudo su cui è raffigurato un volto. È evidentissima l’allusione all’uomo-tipo rinascimentale, qual era Belisario, capace di coniugare le competenze militari con quelle letterarie4.

 

In chiusura mi piace dare rilievo alla disposizione dei due stemmi: in alto quello del cardinale, in basso quello degli Acquaviva, come nel manoscritto si legge prima il nome del donatario e dopo quello del donante. È vero che tutto può essere casuale, ma lo è anche questo?

__________________

1 Visse dal 1464 al 1528 e fu prima marchese, poi, dal 1516 fino alla morte, duca di Nardò.

2 Vincenzo Bindi, Gli Acquaviva letterati, Mormile, Napoli, 1881, p. 123

3 Non mi meraviglierei se qualcuno si sentisse autorizzato dal dettaglio della corona di alloro a rimettere in campo l’esistenza, mai convincentemente provata, di una neritina Accademia del lauro fondata da Belisario. Sul tema vedi Armando Polito, Giovanni Bernardino Tafuri e la cinquecentesca Accademia del lauro di Nardò, Fondazione Terra d’Otranto, Nardò, 2022, n, 302 della collana Sallentina fragmenta.

4 Il duca di Nardò pubblicò nello stesso anno 1519 e presso lo stesso editore altri tre trattati: De venatione et de aucupio, Prefatio paraphrasis in economica Aristotelis e De re militari et singulari certamine e per i tipi di Giovanni Antonio Papiense de Caneto a Napoli nel 1522 Ad Adrianum VI. pontIficem opt. maximum Christianorum patrem sanctissimum. Un De praestantia Christianae religionis  viene citato a catena dagli storici, ma senza alcun dato documentario a partire dal XVII secolo, ma al momento non risulta reperito un solo esemplare a stampa, tanto meno manoscritto.

 

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