di Marcello Gaballo e Armando Polito
Forse sarebbe stato più corretto sostituire il tra del titolo con del, poiché le uniche due fonti reperite risalgono a quei secoli. Tuttavia è legittimo supporre che nel secolo XVI la situazione non fosse diversa.
Conviene preliminarmente accennare alle modalità dell’istituzione in oggetto, che nel tempo rimasero comuni a molti luoghi, indipendentemente dall’autorità, laica o religiosa, deputata a far eseguire la sentenza. Di regola l’esecuzione, che era pubblica per servire da deterrente1, avveniva in un luogo appositamente attrezzato sito, se possibile, in una posizione elevata rispetto alla limitrofa strada, per consentire un’agevole visione del triste spettacolo, sempre al confine di una giurisdizione, all’entrata nel territorio di una città o di una signoria.
In casi eccezionali, di rilevanza religiosa (eresia, stregoneria) o politica (oppositori del potere in carica), l’esecuzione avveniva nella piazza principale della città e in questi casi veniva utilizzata una forca che potremmo definire portatile, a differenza della prima, che era fissa.
L’immagine che segue, un’incisione di Jacques Callot (1592-1635) custodita al Louvre, mette in rilievo già nel titolo la finalità primaria, diremmo quasi una prevenzione basata sull’errore e sul terrore,, dell’esecuzione pubblica: Supplicium Sceleris Fraenum (L’esecuzione capitale freno della sceleratezza).
Ulteriore sviluppo del concetto è nella didascalia: Voy, lecVteur, comme la Justice par tant de supplices divers, pour le repos de l’univers, punit des mechans la malice, par l’aspect de ceste figure tu dois tous crimes eviter, pour hereuse ment t’extempter des effectz de la forfaicture (Vedi, lettore, come la giustizia mediante tante esecuzioni capitali diverse per la tranquillità dell’universo punisce la malizia dei malvagi; grazie all’impatto di questa raffigurazione tu devi evitare tutti i crimini , con felice mente liberarti degli effetti della disonestà.
Ancora un’incisione, questa volta di Claes Janszoon Visscher (1586–1652) custodita nella National Portrait Gallery di Londra, offre un’eloquente idea di tre diversi tipi di esecuzione capitale.
Nel cartiglio , retto dalla Giustizia e dalla Fama, si legge: SUPPLICIUM de octo coniuratis sumptum in Britannia, diebus 30, et 31 Ja, stÿl. vet., vel Anno MDCVI Sumptum quidem separatim de quaternis, Sed tamen propter eandem omninp Supplicij rationem, hac tabella coniunctim expressum (Punizione inflitta in Gran Bretagna ad otto cospiratori nei giorni 30 e 31 gennaio secondo una vecchia usanza nell’anno 1606 invero inflitto separatamente in gruppi di quattro ma tuttavia per lo stessa finalità di punizione rappresentata congiuntamente in questa tavola). Da sinistra verso destra: apertura del torace con l’accetta ed estrazione del cuore (n. 1), impiccagione (n. 2), squartamento (nn. 3-8). Di seguiti i dettagli relativi al n.1 e al n. 2 e e per lo squartamento solo il n. 3.
Per Nardò la prima fonte è in una pergamena contenente un atto del 20 luglio 14432, nella quale si legge: … item asseruerunt et testificati sunt dicti inventatores limites seu fines et confinia dicti casalis procedere modo sub(scrip)to , videlicet incipiendo a partibua in quibus sunt furche de novo constructe in tenimento Neritoni, iuxta territorium prelibati casalis, que sunt posite iuxta viam ca(r)raliciam per quam itur Neritono Derneum, iuxta feudum nominatum de Fango3 … ( … parimenti i detti incaricati a fare l’inventatio asserirono e attestarono che i limiti, o territori e confini di detto casale3 procedono nel modo sottoscritto, cioè cominciando dalle parti in cui ci sono le forche costruite di recente nella giurisdizione di Nardò presso il territorio del casale prima esaminato4, che sono poste presso la via carrabile per la quale si va da Nardò all’Arneo, presso il feudo chiamato del Fango …).
Questa descrizione così precisa, indotta dalla necessita di descrivere dettagliatamente i confini del casale di Ignano, poco più avanti cede il posto ad un’altra citazione delle forche, la cui lapidarietà non suscita nessun rimpianto grazie all’esaustività della prima. lnfatti vi si legge: … dirigit per viam publicam usque ad patibulum seu furcas predictas…5 ( … va direttamente attraverso la via pubblica fino al patibolo o forche predette …).
La seconda testimonianza è in Libro d’annali de successi accatuti nella Città di Nardò, notati da D. Giovanni Battista Biscozzo di detta Città6. Vi si legge: A 20 agosto 1647 … nell’istessa notte fu ammazzato il Barone Pietrantonio Sambiasi a pugnalate, essendo questo d’anni 37, morto che fu l’appesero per piede alle furche mezzo della Piazza, e le teste delli preti, furono poste su il Sedile, e li corpi de medesimi distesi nella piazza attorno le furche.
Qui le forche (furche fa pensare al modello per esecuzioni multiple), appare non come strumento di esecuzione ma come componente di una macabra coreografia destinata a non essere mai desueta e che tecnicamente ha il nome di esecuzione postuma (eseguita in alcuni casi addirittura dopo la riesumazione!)8.
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1 Non a caso patibolo è dal latino patibulum, composto dalla radice del verbo patère (=essere aperto) e da un suffisso indicante strumento (come in conciliabolo, turibolo e non molti altri).
Forca, che è dal latino furca(m), usato estensivamente per patibolo, all’origine indicava un ramo biforcuto, poi, per somiglianza di forma l’attrezzo agricolo e quello utilizzato per l’impiccagione. Di questa voce, come s’è detto di origine agricola, straordinaria è la polisemia, cioè la pluralità di significati che essa ha assunto nel tempo e che già in origine era notevole, tanto che qui ci si limita a ricordarne solo alcuni. Nel latino classico, infatti, poteva designare, oltre alla forca e al forcone, anche il puntello, il palo di sostegno forcuto, il giogo, il patibolo per gli schiavi e, al plurale, le chele del granchio. Nel latino medioevale furca designava il diritto di erigere nel territorio di un feudo un patibolo e di procedere alle esecuzioni; il diminutivo fùrcula designava la parte del petto dove si diramano le vene epatiche; furco designava un campo che biforcandosi ne includeva un altro; la locuzione furca et rastrum designava il diritto spettante al padrone nei confronti di coloro che avevano l’obbligo di raccogliere con la forca o col rastrello il suo fieno; la locuzione furca putei designava la trave, posta in alto sul pozzo che regge l’attrezzatura necessaria per attingere l’acqua. E poi, più vicini al nostro tempo, forcella, forcina, forchetta,
fiocina, forcipe e le locuzioni inforcare la bicicletta, inforcare gli occhiali e pendaglio da forca.
2 La pergamena è pubblicata in Angela Frascadore, Le pergamene del monastero di S. Chiara di Nardo (1292-1508), Società di storia patria per la Puglia, Bari,1981, pp. 114-121.
3 Le pergamene …, op. cit., p, 120
4 È quello di Ignano.
5 Le pergamene …, op. cit., p, 121
6 Pubblicato da Nicola Vacca in Rinascenza Salentina, n. XIV, 1936, pp. 1-25.
7 Libro d’annali … op. cit., p. 16
8 Un’esecuzione postuma in senso lato per quanto riguarda il potere religioso può essere considerato il divieto di sepoltura dei morti in disgrazia non solo all’interno di una chiesa ma delle mura cittadine. A Nardò ad essi era riservata un’area in corrispondenza dell’attuale Osanna, di fronte a Porta San Paolo. Sono sempre le testimonianze scritte che ci informano di questo: il 17 aprile 1724 “fu uccisa Maria di Nardò dal fratello Carlo Fornaro in campagna, e proprio dentro la casa dei fratelli di Cantore, dirimpetto alla chiusa delle Stanzie”. L’ospedale di Nardò spese 45 grana “per farla portare in città e poi farla pregare fuori di Chiesa e proprio vicino alla Chiesa della Carità”. Il virgolettato si legge nel Carteggio dell’Ospedale S. Giuseppe-Sambiasi (1650-1938). Va ricordato pure a tal proposito che solo nel 1983 il nuovo codice di diritto canonico non contiene nessun riferimento ai peccatori pubblici e manifesti (tra essi erano anche i suicidi), ai quali l’articolo 1240 del vecchio canone proibiva il consueto funerale.