Brindisi quando era Brandicio, col suo porto celebrato in una poesia del XIV secolo

di Armando Polito

La mappa dI Brandici,  della cui esistenza nulla avremmo saputo senza  la scoperta e divulgazione di Vito Ruggiero1, ha colpito ancora, ma si tratta di uno di quei colpi, che lungi dal tramortire, fungono, al contrario, da stimolo per aggiungere ai margini di un  mosaico un fieri un’altra tessera, per quanto, come le mie due precedenti2, modesta. Esse  erano entrambe  connessa con la variante Brandicio lì presa in esame:  nella prima  ne fornivo la testimonianza cartografica tratta da una pubblicazione tedesca del 1546, che qui per comodità di chi legge replico nella seconda tentavo di risolvere il problema dell’ esatta lettura di Brandici, fatalmente correlata alla pronuncia Brandìci oppure Bràndici.

Oggi la testimonianza relativa a Brandicio sarà esclusivamente letteraria, più specificamente poetica e in questo fa coppia il col più noto Brandizio dantesco: Vespero è già dove sepolto/è ‘l corpo, dentra al quale io faccio ombra:/Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto (Purgatorio, III, 25-27).

Se a Firenze si cantava Brandizio, a Lucca un cinquantennio dopo la futura Brindisi era Brandicio e il cantore si chiamava Contino Lanfredi.  Un manoscritto custodito nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Barb. lat. 3953) ci ha conservato un canzoniere (noto col nome di Canzoniere di Nicolò de’ Rossi, letterato trevigiano vissuto a cavallo dei secoli XIII e XIV, che ne fu il compilatore) della lirica italiana delle origini, che alle pp. 127-206 contiene una raccolta di sonetti, due dei quali sono del Lanfredi. Mi accingo a presentare quello che riguarda il nostro tema e lo farò nel modo più suggestivo (ma non allo scopo di suggestionare …), cioè proprio con la riproduzione dell’intera pagina 149 (ogni facciata di ciascuna carta reca un numero progressivo) e del dettaglio di nostro interesse.

Il sonetto rimase inedito fino al 1661, quando fu pubblicato da Leone Allacci3 nel volume del quale riproduco il frontespizio.

A . p. 289 si legge la sua trascrizione.

Se rispetto all’originale le iniziali maiuscole, le virgole e stella per stela appaiono come normali adattamenti integrativi all’uso del tempo, mi sorprende non poco la lettura di alcune parole, precisamente quelle che ho evidenziato con la sottolineatura. Dato lo spessore del trascrittore, non escluderei in alcuni casi un errore di composizione tipografica, anche perché la stampa non brilla certo per nitidezza. Tuttavia ve ne sono alcuni non imputabili a tale motivo e che, oltretutto, renderebbero problematica un’interpretazione che, come mostrerò, mi  appare più che chiara. Degli errori proporrò più avanti il mio emendamento

1 e la tramontana

quel la è come un pesce fuor d’acqua perché introduce lo scompiglio metrico di un dodecasillabo (verso che nulla ha a che fare col sonetto, che è composto di endecasillabi). Oltretutto contrasta senza ragione con l’assenza dell’articolo per gli altri venti, creando un’arbitraria asimmetria

2 e la stella

ne vien fuori un  dodecasillabo,  quand’ è chiarissima la lettura et stela, che ripristina la regolarità metrica. 

3 planeta et elementa

nel manoscritto è chiaramente planeti et elementi

4 onne

sarebbe interessante sapere quale congruenza potrebbe avere col contesto questa parola che, per assimilazione dal latino omne(m) ha dato vita a ogni; oltretutto nel manoscritto si legge chiaramente oime.

5 ad ussita

si tratta dell’unico verso che risulterebbe dodecasillabo anche se lo scioglimento dell’abbreviazione dovesse comportare la lettura, più aderente al contesto per il significato, avversita (senza accento, come le altre parole tronche) nel manoscritto) per ad ussita.

A distanza di 242 anni l’intero manoscritto veniva pubblicato4 col testo del sonetto emendato secondo le osservazioni appena fatte ai punti 3, 4 e 5 (oltre poeto per porto che piò valere come errore di stampa), ma senza punteggiatura e note di commento di natura interpretativa.

Diciassette anni dopo ecco come il sonetto si presenta in Aldo Francesco Massèra (a cura di). Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Laterza, Bari, 1920, v. I, p. 143.

Non mi pare molto rispettoso del passato e della scienza la modernizzazione che balza evidentissima in la luna, il sole (per la luna cum lo sole) e in vizio (per vicio), che ha introdotto, per ragioni di rima, Brandizio (per Brandicio) con una strizzata d’occhi a Dante. Con tutto il rispetto per il curatore del volume, giudico l’operazione un vero e proprio stupro del documento originale, al pari degli altri pubblicato senza ombra di riferimento alla fonte e senza una sola parola di commento.

Di seguito la mia trascrizione, con la sola integrazione della punteggiatura che nell’originale si limita al solo punto fermo e col mantenimento dell’assenza dell’accento sulle parole tronche) (oime e vertu). Tutto il resto è nelle note di commento.

Contino Lanfredi di Lucha

Vento a levante e di meridiana,       

ostro, zafiro, aquilone et altino,

maistro, greco, siroco e garbino

a libezo, ponente et tramontana.a

La luna cum lo sole et stela dianab,

planeti et elementi, oime tapinoc,

par che sian contrari al meo caminod

per mare, per monte e per via planae. 

Et en questa adversita no so noviciof

ma sempre steti su questa malazag

po che cognovi la vertu dal vicio.h 

Che pro? Parole son da coser azai:

eo crederei nel porto de brandicio

perire en nave en tempo de bonazal

a Quasi una descrizione in versi della rosa dei venti: levante spirante da est; ostro da sud; zefiro (zafiro nel manoscritto) da nord-nordovest; aquilone da nord-nordest; altino (alias altano) da sud-est; maistro (maestrale) da nord-ovest; greco (grecale) da nord-est;  siroco (scirocco) da sud-est; garbino da sud-sudovest;  libezo (libeccio) da sudovest; ponente da ovest; tranintana da nord.

b Diana è il nome della stella che appare all’alba.

c pianeti ed elementi naturali, ohimè tapino

d variante antica di cammino

e variante antica di piana, dal latino plana(m)

f e in questa avversità non sono novizio (non è la prima volta che mi trovo)

g ma sempre ho opposto resistenza in questa cattiva situazione

h poiché ho conosciuto la virtù dal vizio

i Che beneficio (c’è)? Le parole sono filo da cucire. Coser è dal latino consùere=cucire insieme; aza , come l’italiano accia è dal latino acia(m)=gugliata (pezzo di filo che s’infila nella cruna dell’ago per cucire).

l sono convinto che morirei nel porto di Brindisi su una nave in tempo di bonaccia.

Il sonetto (rima: ABBA ABBA CDC DCD) è un bell’esempio di quel filone letterario che ha il nome di poesia burlesca, etichetta che col suo burlesca nell’immaginario collettivo assume connotazione negativa. E l’assume a torto, perché, laddove aleggiano la dissacrazione, purché, come qui, mai volgare, e l’ironia, almeno la banalità è scongiurata.

Ma dove sarebbe questa presunta dissacrazione? Sta tutta in ma sempre steti su questa malaza/po che cognovi la vertu dal vicio. Qui è sintetizzato il discorso morale sviluppato dalla patristica e continuato per tutta l’età medioevale, basato sulla contrapposizione peccato/virtù, che può diventare alternanza condanna/riscatto. Così la resistenza, ligia a quel principio, alle prove della vita metaforicamente impersonate dai venti, inizialmente sbandierata con toni quasi da martire, viene quasi di colpo vanificata o, quanto meno, messa in discussione (Che pro? Parole son da coser aza5), col vittimismo che trova la sua consacrazione nei due versi finali, in cui nemmeno il porto di Brindisi, da sempre proverbiale per la sua sicurezza, sarebbe in grado di proteggerlo dai pericoli.

Al di là di quanto emerso dalla sua lettura, la poesia, a mio parere, è ancora più importante perché ci consente di retrodatare la variante Brandicio al XIV secolo cioè ben prima del 1546 della mappa tedesca e dei numerosi volgarizzamenti del XV secolo. Essa, tenendo conto dell’origine lucchese del suo autore, fa pensare ad una variante tirrenica ancora viva pure sul versante adriatico nel secolo XVI, come conferma anche la sua presenza ripetuta cinque volte nel Portolano del mare, nel quale si dichiara minutamente del sito di tutti i porto, quali sono da Venezia in Levante e in Ponente: et altre cose utilissime, et necessarie a i Naviganti, Zanetti & C., Venezia, 1576, passim. E questa originaria tirrenicità fa intravedere un possibile filo sottile che legherebbe il lucchese (e già  presumibilmente pure fiorentino) Brandicio del XIV secolo con quello della mappa tedesca del 1546, nonché col Brandici degli Annali veneti6 di Domenico Malipiero6 (1445-1513), che precede di 43 anni quello della mappa veneziana del 15387, già figlio di un padre (Brandicio) ancora vivente, anche se molto anziano, come avevo ipotizzato nel contributo di nota 2. Brandici, infine, dopo la celebrazione poetica del 1522, per la quale vedi la nota 6, ha nel 1540 l’onore grammaticale  di essere scelta come esempio di traduzione dall’italiano in latino (cosa normalissima in quel tempo …): Con ciò fusse cosa che tu andassi verso Brandici/Cum Brundusium versus ires8

________________

1 https://www.fondazioneterradotranto.it/2024/05/14/brandici-la-piu-antica-e-rara-mappa-di-brindisi-che-brindisi-non-conosce-gli-aspetti-topografici-della-carta/

2 https://www.fondazioneterradotranto.it/2024/06/04/a-proposito-di-brandici/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2024/06/27/brandici-o-brandici-questo-e-il-problema/

3 (1586 circa-1669) teologo e grande studioso della letteratura bizantina.

4 Il canzoniere Vaticano Barberino Latino 3953 (già Barb. XLV. 47), a cura di Gino Lega, Romagnoli-Dall’Acqua, Bologna, 1903. Il sonetto è a p. 161.

5 Questa metafora rivive nelle locuzioni intessere un discorso, tirare le fila di un discorso, annodare le fila di un discorso e perdere il filo del discorso.

6 Vi sono sette ricorrenze e la più antica si riferisce al 1495 (edizione a cura di Francesco Longo in Archivio storico italiano diretto da Giovanni Pietro Vieusseux, Firenze, 1843, tomo VII, p. 339. A riprova, però, della sua ufficialità nonché fiorentinità già nel XV secolo valga quanto sto per documentare. Nel Comento sopra la Comedia di Dante di Cristoforo Landino (1424-1498) uscito per i tipi di Nicholò di Lorenzo della Magna a Firenze nel 1481 si legge branditio nella serie cdei versu citati e brandizi nel commento.

Sei anni dopo nell’edizione uscito per i tipi di Bonino de Boninis di Ragusa nel 1487 si legge ancorabranditio nella serie dei versi citati e brandizi nel commento.

Dieci anni dopo, ancora vivente il Landino, l’edizione uscita per i tipi di Piero di Giovanni di Quarengio a Venezia nel 1497 mostra brandicio nella citazione e, nel commento, brandici nella replica del verso e nel margine della pagina.

 

Tenendo conto del luogo di edizione (Firenze per la prima e più antica, Venezia per le successive) Brandici si direbbe adattamento al veneto della voce fiorentina.

Per quanto concerne, infine, le testimonianze poetiche di Brandici, la più antica da me finora reperita è in Libro o vero cronicha di tutte le guerre de Italia, s. n., Venezia, 1522, s. p.: e nel Reame Brandici e Otrento.

7 Naturalmente, a parte Brandici, la carta mostra la sua natura anche linguistica inequivocabilmente veneta in EL VER, SCOIO GRANDO, SCOI DE VORA (quest’ultimo, secondo me, variante di FORA (=fuori) e, con il loro tipico scempiamento, TORE DI CAVALI e LE TORE DEL PORTO. Curioso, infine, è che un errore (LARSENALE; va bene mangiarsi lo spazio, come altrove, ma pure l’apostrofo …), dunque un errore, sfocia, paradossalmente nell’ipercorrettismo di IM PUGLIA.

8 Francesco Priscianese, Dela lingua romana, Zanetti, Venezia, 1540, p. CCLXXVI.

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