di Antonio Epifani
Parlare dell’Immacolata a Seclì è un buon pretesto per cercare di racimolare qualche notizia circa la citata chiesa, un tempo sede della confraternita omonima e luogo privilegiato dagli abitanti del posto per onorare la Vergine Maria, che da sempre veglia e protegge la piccola cittadina.
Per cercare di dare voce a questo vetusto edificio storico del paese, demolito alla fine degli anni ’60 del Novecento, per la costruzione dell’attuale chiesa parrocchiale, significativo risulta l’esame di alcuni documenti conservati nell’archivio parrocchiale, di altri custoditi nell’archivio diocesano a Nardò e di alcune foto d’epoca che ci permettono, almeno alle generazioni ultime, di conoscere e ravvisare quella chiesetta che ha visto le nostre bisnonne, nonne e mamme durante la novena dell’Immacolata che si svolgeva alle 5,30 del mattino.
La chiesa dell’Immacolata Concezione era caratterizzata da una facciata sobria, sormontata da un grande finestrone rettangolare che permetteva l’illuminazione dell’interno, e di un portale seicentesco con l’epigrafe latina che ci permette di avere contezza dei rimaneggiamenti che l’edificio ebbe intorno al 1650 per volere del Duca di Seclì, Antonio D’Amato.
L’interno a navata unica mostrava un altare maggiore con la tela dell’Immacolata Concezione,e sormontato dalla statua del Padre Eterno. La volta a botte era ricoperta da un cielo stellato che simulava il manto della Vergine, mentre l’aula liturgica con pianta asimmetrica ospitava un altare laterale con la statua dell’Immacolata di piccole dimensioni e una cappella che conservava la famosa “gondola”, ossia una bara utilizzata per le esequie dei defunti che non avevano la possibilità di usufruire di una degna sepoltura nel Camposanto. Termina la cerimonia funebre, la bara veniva riportata nella chiesa confraternale.
Il pavimento della chiesa era in terra battuta e ospitava alcune sepolture, occultate dai rifacimenti del primo Novecento.
Un campanile a vela posto a ridosso del muro esterno della chiesetta scandiva le funzioni religiose con le due campanelle intitolate alla Vergine Immacolata e a Sant’Antonio di Padova.
Avere contezza della struttura e della planimetria della chiesa risulta fondamentale per poter almeno immaginare quei luoghi frequentati dai nostri antenati e che purtroppo noi non abbiamo avuto modo di conoscere.
Grazie alle ricerche e allo studio dei documenti sappiamo che la chiesa originariamente era intitolata a San Nicola di Myra e questo è fondamentale perché stabilisce l’esistenza di un culto verso questo santo dell’Oriente che era vivo in Seclì, ma soprattutto ci dice che in età medievale quel luogo ancora oggi sacro per la piccola comunità ospitava una chiesa dedicata a San Nicola. Tra i beni che la chiesa possedeva una campana, una Croce in legno dorato e molti terreni in varie località quali: Candari, Vinci, Pedulaci, Piperi e altri. Le rendite di questi terreni erano destinati alla retribuzione dei sacerdoti e per la celebrazione di messe secondo la volontà dei donatari.
Che questa chiesa fosse il tempio maggiore della piccola cittadina lo si desume dalla visita pastorale del vescovo Mons. Ludovico de Pennis del 1452.
Oltre a questa chiesa ne risultano altre, quali Santa Maria di Castello e San Leonardo, che fino alle fine del 1800 faceva bella mostra di sé in pieno centro storico, nell’attuale vico Dante, già vico San Leonardo.
Il toponimo Cigli per molto tempo aveva causato confusione in termini di lettura toponomastica della visita pastorale. Ma l’attento lavoro di Antonio Sebastiano Serio ha portato alla luce, grazie anche ai rimandi topografici tipici della piccola cittadina di Seclì, a dire che tale luogo era di fatto Seclì, facente parte della diocesi di Nardò.
Tale denominazione dell’ edificio sacro ci porta inevitabilmente a dire e soprattutto a capire l’importante relazione che il vescovo di Nardò Mons. Antonio Sanfelice fece in occasione della sua visita pastorale a Seclì nel 1719, quando annovera e trascrive la dicitura presente sull’architrave del portone principale della chiesa, che recitava così: “Alma Parens Virgo dicatum est hoc tibi templum sic tibi tum dictum santaque Nicolae il sacro clero il pio signore D’Amato con carità fervente il tutto eresse”.
Appare chiara la vecchia denominazione dell’edificio, ma soprattutto l’intervento voluto da Antonio D’Amato, che di fatto commissionò i lavori di rifacimento della chiesa medievale e cambiò l’intitolazione della stessa.
Il 1649/50 fu importantissimo per Seclì perché oltre alla citata chiesa si intervenne sempre per volere del Duca alla commissione degli affreschi del palazzo ducale e del convento di Sant’Antonio, già Santa Maria degli Angeli extra moenia. La chiesa dunque non era soltanto la sentinella spirituale di Seclì, ma al suo interno operava la confraternita dell’Immacolata Concezione, molto probabilmente istituita alla fine del 1600.
Questa curava la formazione dei novizi con un percorso particolare fatto di confessione, dottrina e retta vita da cristiano e curava anche la novena e la festività della Vergine Immacolata, con la processione che prevedeva l’accompagnamento della statua al mattino, presso la chiesa Matrice, mentre la sera dell’otto dicembre la solenne processione cittadina terminava nell’omonima chiesa.
Interessante era anche il culto dei morti pocanzi citato e l’organizzazione della processione di Gesù Morto la sera del venerdì Santo e quella della Desolata il sabato Santo, all’alba.
I Fratelli dell’Immacolata curavano tali riti con le Sorelle del Sacro Cuore, a partire dagli inizi del 1900, quando tale pia unione fu istituita.
La nostra Parrocchia conserva lo statuto del sodalizio riordinato del 1864 che ci permette di appurare le notizie pocanzi formulate.
Di pregevole fattura è anche la statua processionale dell’Immacolata, realizzata agli inizi del XX sec., che andava a sostituire quella più antica e di piccole dimensioni. Anche lo stendardo, rifatto nel 1900 sancisce la presenza bella e importante del pio sodalizio che ha operato fino alla fine degli anni ’60 del Novecento.
La confraternita che vestiva un abito bianco con mozzetta celeste e medaglione con l’effige della Vergine Maria è citata anche in un documento dell’archivio di Stato di Napoli del 1777, dove la stessa chiesa viene identificata come sede del sodalizio e luogo pio laicale del paese insieme a quelli del Ss. Sacramento e del Rosario che operavano nella Matrice.
Altre attestazioni come quella dello Stato di Sezione del 1815 ci dicono che l’edificio era proprietà del comune di Seclì.
Ma significative rimangono le visite pastorali, in ultimo quella di Mons. Corrado Ursi che nel 1955 così vedeva la chiesa dell’Immacolata: Altare Maggiore fisso con la presenza di dieci candelieri e una Croce al centro. Si usa mettere fiori freschi e candele di cera. Il tabernacolo, riparato di recente risulta ancora indecente per l’uso liturgico che se ne deve fare. Vi è la porticina priva della chiave. Il confessionale è privo di stola violacea ma rispetta i canoni dettati dalla curia vescovile in termini di decenza. La chiesa è sprovvista di Reliquie, ma ha la statua dell’Immacolata in cartapesta e in buone condizioni. Da poco sono stati realizzate delle panche ad uso liturgico mentre le campane risultano rotte. Vi opera la Confraternita dell’Immacolata che solennizza la festività della sua titolare mentre il parroco può servirsene da padrone per usi e scopi liturgici.
Da queste poche informazioni ne deduciamo grandi ragionamenti, ma soprattutto insegnamenti. Una chiesa che stava senz’altro a cuore alla nostra gente, una chiesa che non era provvista di tutto il necessario apparato liturgico per via della popolazione semplice ma amorevole, caritatevole e sempre disponibile all’aiuto reciproco. Una chiesa che oggi non c’è più, ma che deve essere ricordata dalle giovani generazioni, perchè il suo ricordo non deve svanire, anzi deve vivere e vive nell’attuale chiesa parrocchiale intitolata come l’antica alla Madonna delle Grazie, ma che ancora oggi in virtù di quell’antico sodalizio la gente del posto chiama “subbra la Mmaculata”. Un ricordo che da pochi anni è sancito da una bella lastra commemorativa voluta dal popolo di Seclì e dal suo parroco, guida e pastore attento alle esigenze della piccola comunità a perenne memoria di una storia e di un culto che ha scandito la vita della piccola comunità.