di Gilberto Spagnolo
Il rapporto privilegiato che i Gesuiti, in un lontano passato, ebbero con Novoli, non fu solo l’amicizia con la famiglia Mattei (uno dei figli di Alessandro, Giangeronimo, si fece anche gesuita)1, ma è rappresentato anche dal fatto che a quest’ordine “militante” ha dato il suo figlio certamente più insigne (vissuto ai tempi di Alessandro II Mattei) ovvero Francesco Guerrieri, al quale ho già dedicato in passato alcune ricerche con notizie e documenti inediti sulla sua vita e sulla sua intensa attività letteraria2.
Per una minima e adeguata conoscenza del dotto padre gesuita, ritengo necessario anzitutto riassumere brevemente alcune fondamentali notizie bio-bibliografiche.
Secondo una testimonianza da lui stesso fornita nei confronti di san Bernardino (ritrovata negli Atti processuali o processo informativo sulla santità del Capo dei Gesuiti che la Curia vescovile di Lecce indisse nel 1619; e nei Processi Remissoriali che la Sacra Congregazione dei riti ordinò si tennero a Napoli, Lecce e Carpi fra il 1623-1624)3 il Guerrieri «sive Verierius ut ipse scripsit nomen suum» nacque a Novoli (allora denominata S. Maria di Nove) nel 1563 da Stefano Verriero e da Catterina Ruggi4. Morì a Casalnuovo (l’attuale Manduria) durante una missione, in odore di santità (secondo quanto ha lasciato scritto il Da Lama) il 1 novembre del 16295.
Divenne gesuita il 2.11.1582. Professo di tre voti a Nola il 10.10.1599, insegnò per lunghi anni rettorica e lettere greche agli studenti gesuiti di Napoli e in altri luoghi della Campania, a Chieti e in Puglia (certamente a Taranto e a Lecce), dedicandosi poi alla predicazione e alle missioni popolari. Pupillo di san Bernardino Realino (a cui poi egli stesso si unì con grande entusiasmo)6, gran letterato, eccellente scrittore, valoroso ministro della parola di Dio, ricordato ad esempio da Girolamo Marciano nella sua Descrizione di Terra d’Otranto come «filosofo, teologo, poeta, ed oratore illustre e lume nell’età nostra della greca e latina lingua in questa provincia»7 o dal padre Bonaventura Da Lama (che nella I Parte della sua Cronica ne descrive stupendamente la morte avvenuta «colloquiando con S. Antonio di Padova» – il suo nome di battesimo era Padovano, posto dai genitori perché erano devoti di tale santo) come «uomo esemplarissimo e dottissimo [… ] molto stimato dai primi letterati della Provincia e del regno per l’eloquenza greca e latina, Sensi della Sagra Scrittura, Concilii e Santi Padri, e più per l’Arte poetica»8. O ancora dall’Infantino che nel parlare di Suora Gio Donata Monticella, ricorda il Guerrieri come suo confessore e «huomo insigne sì nelle latine, e greche lettere, come di vita santissima, per mettere in ciò qualche considerazione le ordinò, che non scendesse più alle grate senza sua licenza»9.
Il Guerrieri fu amico di Torquato Tasso (tale amicizia è testimoniata da alcune lettere)10 che soleva celebrarlo presso i dotti come «l’idea dell’eloquenza e della sapienza»11. Il poeta spesso frequentava le sue lezioni o gli inviava talvolta versi in latino per eventuali correzioni, come quelle apportate all’elegia Ad Juventutis Napolitanae Principes, di cui una copia si ha nel Codice Palatino 224 – f. 68, della Biblioteca Nazionale di Firenze e su cui l’Abate Saverio Gualtieri letterato napoletano (che conservava l’originale) ebbe modo di annotare «da un ms. di propria mano dello stesso padre Guerriero che conservasi nella Biblioteca del Collegio Napolitano dei PP. della Compagnia di Gesù»12.
Ma egli fu amico anche del grande Galileo Galilei, del bolognese Claudio Achillini, del veronese Girolamo Vida13 e di tanti illustri personaggi, amicizie queste che attestano la grande stima in cui era tenuto nel mondo dei dotti, la meritata venerazione in cui l’avevano i contemporanei. Lo stesso Tasso scrisse un sonetto in sua lode che cominciava «Hai col nome Guerrier, guerrier l’ingegno», andato perduto insieme ad altre lettere conservate presso l’archivio del collegio dei gesuiti di Napoli, durante la loro espulsione avvenuta nel 176714.
Numerosi epigrammi in greco e in latino compaiono poi in opere di autori del suo tempo che lo conobbero ed ebbero modo di apprezzarlo15 (tra i salentini ad esempio Giulio Cesare Infantino16, Peregrino Scardino17, Girolamo Marciano, Filippo Formoso di Torre S. Susanna18). Scrisse in latino inoltre diverse opere tra cui si ricordano: a) Oratio Habita Lupiis in funere Serenissimae Margaritae Austriacae Hispaniarum («con sonoro applauso recitata nella Cattedrale di Lecce»); b) Oratio dicat in instauratione Studiorum; c) Epistolae graecae et latine; d) Carolus sive de Virtute Theologica Dialogus Francisci Verieri e Soc. Iesu a Carolo della Monaca editus (stampato nel 1633 dopo la sua morte); e) De Animum ornatum oratio Habita, in coll. Napolitano 1603; f) De Judiciis; g) molti trattati di diversi argomenti e soprattutto di eloquentia, nonché commenti e annotazioni sugli scrittori antichi greci e latini; altri epigrammi editi ed in editi19.
A questo sommario elenco della sua produzione letteraria, va anche aggiunto un lunghissimo poema in versi in latino, rimasto inedito e depositato presso la Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma, nel fondo Mss. Gesuitici 1638 (3767), così indicato: Vereri Francesco d.C.d.G. Ignatius Heroicum Poema in XII libros distinctum, dedicato a Giovanni Antonio Albricci III, ultimo di questa nobile famiglia feudataria di Salice ed altri feudi di Terra d’Otranto, figlio di Giovanni Antonio Albricci II e di Giulia Farnese, mecenate e uomo «di chiara intelligenza e di animo liberale»20, in amicizia anche con Alessandro Mattei II21.
Pubblicato in Defensor Civitatis. Modernità di padre Bernardino Realino Magistrato, Gesuita e Santo, a cura di Luisa Cosi e Mario Spedicato, Edizioni del Grifo, Lecce 2017, pp. 325-348 e in G. Spagnolo, Memorie antiche di Novoli. La storia, le storie, gli ingegni, i luoghi, la tradizione. Pagine sparse di storia civica, pp. 23-40, Novoli 2024.
Note
1 Archivio di Stato Di Lecce, not. L. Lombardi, Lecce 46/38, a. 1665 f. 38 (in O. Mazzotta, I Mattei Signori di Novoli (1520-1706), cit., p. 21 n. 35.
2 Cfr. G. Spagnolo, Novoli, origini, nome, cartografia, toponomastica, cit.; Id., “Il principe perfetto”. Giovanni Antonio Albricci Terzo Testimonianze dall’Ignatiados, poema eroico inedito di Francesco Guerrieri illustre letterato salentino, cit.; Id., Bernardino Realino il santo di tutte le virtù (Brevi note sulla deposizione del P. Francesco Guerrieri al Processo Remissoria/e di Lecce degli anni 1623-1624), cit.; Id., Storia di Novoli. Note e approfondimenti, cit.; Id., Un cartografo in età barocca. Frate Lorenzo di Santa Maria de Nove, cit., (nell’appendice iconografica vengono pubblicati alcuni epigrammi inediti del Guerrieri).
3 Questo documento è contenuto nel volume 645 (ff. 772-803) presso APG ed è datato 22 gennaio 1624. Una grande massa d’informazioni scaturiscono da queste carte processuali. Questi ultimi tre processi si svolsero lungo un periodo di circa un anno e con essi furono interrogati complessivamente ben 438 testi: 191 a Napoli, 239 a Lecce e soltanto 8 a Carpi (53 sacerdoti e 14 fratelli coadiutori gesuiti, 9 religiosi di altri ordini, 28 sacerdoti secolari, 47 religiose di diversi ordini e congregazioni, 287 laici, dei quali 153 uomini e 134 donne). Il periodo leccese (dal 4 luglio 1623 al 17 luglio 1624) è ovviamente il più ricco in quanto il Realino trascorse nella città di Lecce ben quarantuno anni e sette mesi (vi era giunto partendo da Napoli, dopo una settimana di viaggio, circa le ore 15 di domenica 19 dicembre 1574, in compagnia del fratello Alfonso Solòrzano), destando nella città “una primavera spirituale (che) come un immenso palpito diffondeva intorno per il Salento ampi soffi di vita” e un “rigoglio di vocazioni” che troverà la massima espressione in personaggi appunto come Francesco Guerrieri, Claudio Seripandi, Bernardino Piccinni, Bernardo De Angelis, Sabatino De Ursis, Gian Domenico Bilanci ed altri (per queste notizie e per un ulteriore approfondimento consultare M. Gioia, Per una biografia di San Bernardino Realino S.I. (1530-1616). Analisi delle fonti e cronologia critica, in “Archivum Historicum Societatis Iesu”, v. XXXIX, Roma 1970, e la bibliografia (vastissima e fondamentale) ivi citata; Id., Introdusse la Compagnia a Lecce S. Bernardino Realino, in “Societas”, a. XLI, nn. 4-5 Napoli, luglio-ottobre 1992, p. 97 e ss.; F. Iappelli, Gesuiti a Lecce: 1754-1767, ivi, p. 104 e ss.; G. Barrella, I Gesuiti nel Salento, cit.; Id., Profili Gesuitico-Salentini (1574-1767), estratto da M. Volpe, I Gesuiti nel Napoletano, vol. III, Napoli 1915; Id., La Compagnia di Gesù nelle Puglie (1574-1767, 1835-1940), Roma 1941; G. Broia, Cenni biografici del B. Bernardino Realino, Apostolo, Taumaturgo Compatrono della città di Lecce, Lecce 1927; Id., Il beato Bernardino Realino compatrono della città di Lecce, Torino 1930; Promotore Appulo del culto del B. Bernardino Realino, fasc. XX-XXI, Lecce 1928. La testimonianza processuale del padre Francesco Guerrieri è in APG, vol. 645, ff. 772-803.
4 All’epoca il Guerrieri aveva 61 anni e questo lo si ricava dalla sua stessa deposizione in quanto, a domanda, così risponde: «Mi chiamo Francesco figlio di Stefano Verriero e di Cattherina Ruggi, sono di Santa Maria di Nove, castello vicino a Lecce da sei miglia, sono d’anni 61 e Religioso della Compagnia di Gesù professo, et ho fatto voto di povertà, e anco del commune della mia Religione» (vol. 645, f. 772). Dopo aver risposto inizialmente a ciò che verteva sulla sua «esatta individuazione umana e cristiana», il Guerrieri fornisce quindi informazioni biografiche sul Realino. Difficilmente avremmo saputo l’anno di nascita del Guerrieri (diverse fonti sono completamente discordanti tra loro) se non fosse esistito questo documento anche perché, l’Archivio Parrocchiale Novolese conserva i registri dei battezzati a partire dal Quinterno del 1571 in cui, tuttavia, è riportato l’unico documento autografo del Guerrieri (a Novoli) e che attesta il battesimo di uno schiavo negro, un certo Mattia, ad opera dello stesso padre «[…] fu battezzato da me Francesco Guerrieri sacerdote della Compagnia di Gesù secondo il rito della chiesa nel giorno di S. Paolo Eremita 15 di gennaio 1603». Quinterno di tutti li battezzati incominciando dall’anno del Sig(nore) 1571. In S(an)ta Mari(a) di nove, f. 119v.
5 Una bella descrizione della morte del padre Francesco Guerrieri (già da me pubblicata in Novoli, origini etc.) è in B. Da Lama, Cronica de’ Minori Osservanti Riformati della Provincia di S. Nicolò, in Lecce, dalla stamperia di Oronzo Chiriatti, 1723-1724, parte I, pp. 134-137. Si veda anche G.A. Patrignani, Menologio di Pie Memorie d’alcuni religiosi della Compagnia di Gesù dall’anno 1538 fino all’anno 1728, in Venezia, presso Niccolò Pezzana, MDCXXX, Tomo IV, pp. 10-11.
6 Qualche mese prima di morire (in odore di santità) nel luglio 1629, scrisse da Taranto la seguente lettera al Realino già morto da 14 anni, consegnandola ad un nobile giovane che andava a visitare il suo sepolcro in Lecce: «Non è cosa inaudita o padre Bernardino Realino, che si scrivano lettere a chi già morto in terra, si crede vivere in Cielo. Tanto, fra gli altri, praticò Teodosio il giovane con San Gio: Crisostomo che di fatto acconsentì a quanto in quella carta gli si chiedeva. Parte di qua il presente Giovane a gittarsi sul fortunato terreno, che cuopre le tue ossa, per quivi trovar la salute, che da più mesi li han consunta le malattie. Questi, perciò, mentre nella nostra Compagnia guadagnava i cuori di tutti, e prometteva a tutti una segnalata riuscita, fu da’ nostri Superiori rimandato a suoi genitori: ma con certa promessa, che l’avrebbero a braccia aperte nuovamente accolto in Religione, qualora, cola più libera cura della casa paterna, riparasse al suo male. Adunque, Padre mio, Padre di tutti, che vivente un tempo tra noi, a me particolarmente promettesti che assai meglio m’avresti favorito dal Cielo, odi benigno questi miei voti: e dalla luce dove tu (com’è la nostra opinione) dove tu abiti, stendi la mano a sollevare di terra questo Giovane, ed a corroborarlo in salute. Tutti entreranno a far parte del favore, e i nostri Padri, e i suoi, Congiunti, ed anche, alcune città intere in quest’angolo d’Italia, dov’esso è conosciuto. Così, Padre amatissimo, ci consoli susseguentemente Iddio, col farci vedere, mediante l’opera del suo Vicario in terra, autenticate e distese per l’Universo, le tue glorie: onde più da vicino ti rivediamo su gli altari, e possano a te ascendere, in un colle pubbliche preghiere i nostri incensi. Viva in eterno il tuo spirito a Dio, e viva non dimentico dei nostri bisogni». Non sappiamo chi fosse questo giovane ma dalla descrizione che fornisce il padre Guerrieri si può intuire che certamente doveva essere un personaggio che godeva di una certa fama: «[…] ed anche Città intere in quest’angolo d’Italia, dov’esso è conosciuto».
7 G. Marciano, Descrizione, origini e successi della Provincia d’Otranto. Con aggiunte del filosofo e medico Domenico Tommaso Albanese, cit., Napoli 1855, p. 472.
8 B. Da Lama, Cronica…, cit., parte I, p. 134. Al Santo di Padova il Guerrieri dedicò anche alcuni epigrami: «[…] dopo aver presentito la sua morte per mezzo di Sant’Antonio di Padova che gli apparve e da lui antecedentemente commentato con vari epigrammi».
9 G.C. Infantino, Lecce sacra, appresso P. Micheli 1634, p. 178. Domenico De Angelis lo aveva inoltre inserito nel suo Catalogo degli autori, che si conterranno nella Prima Parte dell’Istoria de’ Scrittori Salentini col nome di Francesco Guerrero.
10 F. Schinosi, Istoria della Compagnia di Giesù appartenente al regno di Napoli, in Nap. nella stamperia di Michele Luigi Muzio, MDCCXI, parte II, p. 189. Si veda anche A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, vol. II, Ermanno Loescher, Torino 1895, p. 351, il quale riporta il testo della seguente lettera: «Fra Giovanni Francesco Cozzarelli al Padre Francesco Guerriero. Napoli. Il Signor Torquato Tasso sta bene; ed a quest’ora mi ha mandato il suo servidore con un viglietto, ch’io gli rimandi i suoi versi. Vostra Reverenza si privi del suo gusto per contento e sanità dell’autore; quale in quella indisposizione in cui giace, potrebbe entrare in altri noiosi pensieri, e dannevoli alla salute, quando non s’adempisce il suo desiderio. Di grazia, glieli mandi subito; e quando ella li volesse vedere più a lungo, io li tengo di buono carattere, mandatimi stamane dall’istesso autore. Con che le prego da Dio ogni contento. Di casa (Ottobre 1594)».
11 F. Schinosi, Istoria, cit., parte II, p. 189: «Nella quale congiuntura, Torquato Tasso, havendolo alcune volte udito, il chiamò Idea dell’eloquenza, e della Sapienza. E celebravane di poi l’una, e l’altra, presso i primi letterati di quel secolo, sì con la sua voce, sì con la sua penna, ed in Napoli ed in Roma: dove per questi stessi tempi andò Torquato a finire i suoi giorni».
12 Ivi: «[…] dove per questi stessi tempi andò Torquato a finire i suoi giorni. Un’anno prima che nel 1595. Ciò gli avvenisse, scrissegli quelle lettere, che tuttavia conserviamo, piene di somme lodi, e di strette preghiere, onde voleva corretti dal nostro Padre alcuni suoi componimenti. Tra’ quali, l’Elegia intitolata Ad Iuventutis Neapolitanae Principes, scritta di mano propria del Tasso, si rimase in nostro potere, una con la originale correzione del Guerrieri, a cui mancò il tempo di mandargliela, perché all’altro mancò il tempo di vivere». Si veda anche P. Serassi, Vita di Torquato Tasso, in Bergamo, stamperia Locatelli MDCCXC, p. 248 (II ed. tomo III), e A. Solerti, Vita, cit., vol. II, pp. 789-790 e p. 801 alla nota 4.
13 S. Santagata, Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al regno di Napoli, Napoli 1706-11, parte IV (1707), p. 507 (anno 1629).
14 F. Schinosi, Istoria, cit., parte III, p. 189 in nota.
15 Epigrammi sono ad esempio nell’opera di Scipione Capece, De Principiis Rerum Libri Duo, Neapoli, apud Io. Iacobum Carlinum e Antonium Pacem, 1594; in De Perscribendis Epistolis Libellus, di Aloisio Antonio Santorello, Neapoli, apud Josephum Cacchium, M. D. LXXXXI; in De Teate Antiquo Marrucinorum in Italia Metropoli Libri Tres, di Lucio Camarra, Romae, ex typographia Dominici Manelfii, 1651; in I pregi e le glorie de’ Letterati di Giovanni Manfredi Tarentino, in Roma, per Nicolò Angelo Tinassi, MDCLXXXII, in Vita della B.V. Maria di Lorenzo Maselli, Neapoli 1606; in Historia della Vita, Miracoli, Traslatione e Gloria dell’Illustrissimo Confessore di Christo S. Nicolò Arcidiacono di Mira e patrono della città di Bari di Antonio Beatillo Barese, in Napoli, nella stamperia de gli Heredi di Tarquinio Longo, 1620; in Historia della vita, morte, miracoli, e traslazione di Santa Irene, Neapoli 1609, dello stesso Beatillo.
16 G.C. Infantino, Lecce sacra, cit., p. 178.
17 P. Scardino, Epigrammatun Centuria, Neapoli, apud Constantinum Vitalem, 1603, p. 110. Ma anche lo stesso Scardino dedica al Guerrieri il seguente epigramma Dum rapis è Lethes Verreri gurgite / Athenas /. Nec finis antiquum Romae obijsse Decus / Argolica Latia agnoscit te lingua parentem / Namq; haec, delicijs crescit., illa tuis; / Utraq; quum patrios lusus, vocesq; requirat / Blandula in amplexus itq; reditq; tuos / Tà bellas Pater hand genuit per sàecula natas / Tam bellum natae non habuere patrem (p. 29).
18 P. Formoso, Carmina, ad illustrissimum excellentissimum Dominum D. Io. Antonium AlBricium Farnesium Vetranae Principem, Salicis Marchionem, Turris Susanniae Dominum, Lycii, apud Petrum Michaelem, 1631 (una copia di questo rarissimo testo è conservata presso la Biblioteca dell’Università di Lecce). Il poeta così si rivolge al Guerrieri: «Adm. rever. patri Francisco Verrerio Iesuitae. Tarenti docenti. Arcadia exortus veteres perrexit Athenas Iuppiter, has leges edocuitque suas. Urbem quò clarae Matrem Virtutis honorant, Doctorem faciunt & super astra Deum. Sic viret aebolio contermina terra Galeso, Verreri, ingenio, Moribus, arte tuis. Laus sua utrumque manet, sede eò te gloria maior, Quò sophiae praebes sanctius ipse genus».
19 Cfr. De Backer A. Sommervogel, Biblioteque de la Compagnia de Jesus, Bruxelles, Paris 1890-1909, Il. III, p. 1915, T. IX p. 446, T. XII p. 1110. Altri epigrammi s’incontrano nel carteggio epistolare tra il Realino e il Guerrieri, conservato in APG, vol. 657, ff. 122r e v, 123v-124r, 128r-128v. Riporto ad esempio quello che trovasi a carta 122, datato 24 gennaio 1599: «Dulcis Amor Jesu dignum te reddat amore / Vereri, ò dignum me quoque reddat Amore / Que vero scribis menti gratissima nostrae, / Praesentem faciunt te mihi. Scribe igitur / Scribe, licet raro id permittant tempora, crescit / Dum mora, crescit amor. Pulcraque rara. Vale» (è dedicato dal Realino al Guerrieri). Il Realino, ancora, in una lettera del 21 agosto 1607 (Lecce), loda l’epistola del Guerrieri e, insieme, la sua «insigne mente», la sua modestia che avrebbe bisogno – dice – di un encomio non umano ma angelico.
20 Di quest’opera inedita e manoscritta del Guerrieri ho già dato ampia informazione in Il Principe Perfetto. Giovanni Antonio Albricci III, cit., pp. 41-54. Tra le opere scritte dal Guerrieri, il manoscritto dedicato all’Albricci, è certamente quella più importante. Si tratta infatti di un lunghissimo poema di versi in latino così indicato: «Vereri Francesco d.C.d.G. Ignatius Heroicum Poema in XII libros distinctum». Sono in tutto 161 carte. Alle carte 7 e 8r vi è la lettera dedicatoria a «Exc: mo Io: Antonio / Albricio / Veteranensium Principi». L’Albricci all’epoca aveva solo 16 anni «[…] Quod si in tam tenera es aetate tantus: annos videlicet natus vix sexdecim». Trad.: «[…] Che se pur in così tenera età tu sei tanto grande: certamente hai appena sedici anni», ma il Guerrieri glielo dedica (oltre ai motivi di far parte della stirpe Farnese per parte di madre e per i vincoli di amicizia che a lui lo legano) soprattutto per le doti dell’animo, del suo ingegno veramente singolari, per la sua morigeratezza, per la diligenza con cui coltivava tutte le arti liberali, tanto da essere già in così tenera età (secondo lo stesso padre profondamente colpito da queste doti in un fanciullo di appena 16 anni) «un esempio di principe perfetto», un principe ammirato per il modo di cavalcare, per come trattava le spade, suonava la lira, competente nella pittura, e soprattutto, nelle lettere latine e greche e in filosofia.
21 Nel 1625, Alessandro Mattei II, fece da testimone, assieme all’Albricci, alle nozze di Maria Paladini con Giovanni Enriquez (primogenito di Gabriele, anch’egli dotato di vasta cultura ed eccellente dottrina, nonché di spiccate virtù civiche). Cfr., G. De Nisi, Salice terrae Hidrunti. Storia aneddotica dal X al XX secolo, Ostia MCMLXVIII, p. 46.
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