di Gilberto Spagnolo
Fu il tuo bacio, amore, a rendermi immortale
(Margaret Fuller)
Nessuno sa come sia nato il bacio, “il simbolo più potente dell’amore tra due persone”, quale sia stato il primo ad essere dato da uno dei nostri antenati e, probabilmente, non lo sapremo mai. Ma la storia che qui di seguito ci accingiamo a raccontare, ora che “in piena pandemia” sta cambiando pure l’amore, ora che la nostra vita emozionale è resa meno passionale e spontanea, certamente lo rendono ancora più “mitico” e prezioso.
Un atto rogato nell’ottobre 1650 dal pubblico notaio Michele Sedato di Taranto, conservato presso l’Archivio di Stato di Lecce1, ci descrive infatti un curioso e simpatico episodio accaduto nel casale di S. Maria de Novis (l’attuale Novoli) negli anni in cui era feudatario Giuseppe Antonio Mattei figlio di Alessandro II (umanista e mecenate)2, episodio in cui il protagonista eccellente è proprio il bacio e che ci rivela, nel contempo, uno spaccato di costume e di tradizione di cui attualmente non c’è più traccia.
È noto che quando “s’appressano le labbra chiuse a checchessia in segno d’amore e di riverenza”, ma anche in segno di amicizia e di riguardo tra amici, congiunti e consanguinei nell’incontrarsi dopo una lunga assenza e nello accomiatarsi, si compie l’atto comunemente definito del “baciare”.
Ai tempi d’oggi, tra due innamorati in particolare, un bacio dato “con le dovute cautele” costituisce sempre un gesto che rientra nella normalità dello stesso linguaggio amoroso, probabilmente suscettibile di ulteriori sviluppi ma non tale certamente da costituire un impegno di futuro matrimonio.
Qualche secolo fa invece le cose non andavano così, considerato quello che accadde appunto al chierico novolese Antonio Greco (fratello del reverendo D. Domenico Greco3 presente per suo conto al momento dell’atto) che fu costretto a pagare pesantemente un pudico bacio (non sappiamo poi quanto realmente) dato pubblicamente a Cecilia Sellitta, figlia di Giuseppe Sellitta e Francesca Pati di Lecce, e la cui storia emerge (seppur a grandi linee) dal documento in apertura citato e che si trascrive in sintesi qui di seguito (il titolo è Retrovenditio Vinearum prò clerico Antonio Greco di Terra Santa Maria De Novis).
Era l’8 ottobre, quarta indizione del 1650 e di fronte al suddetto notaio si presentano, da una parte, Cecilia Sellitta virginis in capillis (ovvero nubile) accompagnata dai suoi genitori, e dall’altra, il reverendo D. Domenico Greco de Terra Sanctae Mariae de Novis per conto del fratello chierico Antonio Greco.
Dopo i preliminari di rito, al solerte invito del notaio, la nostra povera Cecilia col cuore infranto e sconsolato comincia a raccontare coram nobis (al cospetto di tutti), come nell’anno 1646 il suddetto chierico Antonio pubblicamente li diede un bacio sub specie futuri matrimonii4, e perché veniva impedito da suoi parenti si ritirò e rifugiò in chiesa5, per il qual ritiramento essa Cecilia lo querelò nella Vescoval Corte di questa città di Lecce6, e perseguitò: ma perché conoscea aver poca ragione (il Greco) dopo alcuni mesi mediante trattato di persone da bene e timorose d’iddio, li fece la remissione et esculpatione, purché l’avesse (alla Cecilia) da donare ducati venti, quali non avendo di contanti, simulò di venderli, per detti ducati venti, siccome li vendette col patto de reemendo (ossia di ricompra), cinquanta quarantali in circa di vigne, situati e posti nel feudo di Santa Maria di Novole, nel luogo detto Lombardo7, giusta li beni del Signor Conte di Palmariggi, giusta li beni di notar Angelo Greco, via vicinale et altri confini; e confessò d’aver ricevuto esso clerico Antonio detti ducati vinti da detta Cecilia presentialmente e manualmente, si come il tutto appare da contratto rogato per notar Giordano de Giordano di Campi a’ 9 di ottobre del detto anno 1646, al quale etc.. Et volendo adesso il detto clerico Antonio in virtù del suddetto patto de reemendo sborzare li detti ducati vinti e pigliarsi le dette sue vigne, ne ha fatto richiedere essa Cecilia per le debite cautele, ideo hodie predicto die non vi etc. sed sponte etc. ipsa Cecilia retrovendit et titulo retrovenditionis iure proprio et in perpetuum dedit etc. eidem clerico Antonio absenti, et prò eodem Reverendo D. Domenico eius fratri etc. etc.. Stantes in domibus Domini Comitis Palmaricii, habitatis a Jo. Stefano Villa ianuense Litii commorante, sitis intus Litium in portaggio Rudiarum etc. etc….8.
Si concludeva così, dopo quattro lunghi anni, con un rude e venale risvolto economico, la storia d’amore di Cecilia, una storia che forse meritava ben altro epilogo considerati gli inizi. Non sappiamo le ragioni per le quali i parenti del Greco ostacolarono questo matrimonio, né tantomeno chi furono le persone da bene e timorose d’iddio che si adoperarono per convincere Cecilia ad accettare il pentimento di Antonio e ritirare la querela. Il fatto comunque che l’atto del notaio Sedato fosse stato rogato (come si evince alla fine del documento) nella casa leccese del Conte di Palmariggi sita nel Portaggio Rudiarum9, abitata dal Genovese Giovanni Stefano Villa (presente come teste insieme ad altri) farebbe supporre che lo stesso Conte avesse contribuito, con qualche suo intervento, a risolvere la controversia fra gli sposi mancati.
Certamente il ritrovamento dell’atto rogato dal notaio Giordano de Giordano di Campi avrebbe forse potuto gettare maggiore luce su questa vicenda, ma la sua irreperibilità unita allo scarno documento notarile del Sedato, ci costringe a congetturare una serie di possibili situazioni e non ci permette di gustare più a fondo l’evolversi particolareggiata della vicenda. Resta comunque il “bacio” e un matrimonio mancato, un bacio (quello di Cecilia ed Antonio) a cui dedichiamo nel concludere questa breve nota (anche per sdrammatizzare questo particolare contrasto d’amore) i versi di Enrico Bozzi, conosciuto come il Conte di Luna10:
LU ASU
È forte! Nu asu cce mme rappresenta?
do’ ucche ca se uniscenu . . . e ppercene
doppu lu primu cedhi se trattene,
cedhi se binchia e cchiù spamatu ddenta?
Do’ ucche ca se uniscenu! E cce bete?
intra lli musi cce pputenzia nc’ete?
Percè ccumienzi tuttu a tremulare?
Percè lu core nu llu puei frenare?
A nnanti a ll’ecchi toi scinde nu velu
E ssia, cce ssacciu, ca sì rriatu a ncelu. . .
E cccomu spiechi poi ca a dhi mumenti,
mentre cu nnu asu ue’ nde suchi l’arma,
mvece tte sienti nu presciu, na carma,
nu martiriu ntra ll’anima te sienti?
Lu sangu ntra lle ine se traugghia
E llu asu ddenta nu fuecu de mpugghia.
Cu ppienzi ca pe nnu asu tanti e ttanti,
ricchi, pezzienti, nobili e gnuranti
su ccapaci de tuttu. . . e quandu l’hanu,
lu penzieri camina cchiù lluntanu!. . .
Ah nu asu, nu asu ! E cci se scerra
lu nnutu ci ccappai tre giurni a rretu?
ci se scerra lu scigghiu e llu rreuetu
ci l’amore te dae quandu te nferra?
Ieu sprasemaa pe nnu asu de na stria:
ni lu cercaa, ma quidha nu mbulìa.
Purtaa na ucca comu na cerasa,
ma a lla raggione nu mbulìa cu ttrasa. . .
Purtaa na ucca de curadhu finu. . .
e ieu penzaa: me minu o nu mme minu?
E mme menai: lu diaulu m’ia tantatu!
maledezzione!!. . . ni fetia lu fiatu!
In www.spazioapertosalento.it, 14 febbraio 2022 e in G. Spagnolo, Memorie antiche di Novoli. La storia, le storie, gli ingegni, i luoghi, la tradizione. Pagine sparse di storia civica, Novoli 2024.
Note
1 Archivio di Stato Lecce, not. M. Sedato, Lecce 46/37, atto dell’8 ottobre 1650, ai ff. 197v.-199v.
2 Giuseppe Antonio Mattei, nato nel 1621, era uno degli undici figli della leccese D. Cornelia Condò e del conte di Novoli Alessandro Mattei II (l’umanista e mecenate che Girolamo Marciano definisce “uomo di singolar dottrina versato su tutte le scienze, nella greca e latina lingua eruditissimo, saggio e prudentissimo principe”, proprietario di un “museo del quale è ricchissimo di molti libri di tutte le scienze greche e latine che non ha pari nella provincia”. (Cfr. G. Marciano, Descrizione, origini e successi della Provincia d’Otranto. Con aggiunte del filosofo e medico Domenico Tommaso Albanese, Napoli 1855, p. 472). Il Mattei successe al padre Alessandro; fu designato erede dei feudi già nel 1633 e morì tra il febbraio e il novembre del 1656 (Cfr. O. Mazzotta, I Mattei Signori di Novoli – 1520/1706, Novoli 1989 pp. 32-33; L.A. Montefusco, Le successioni feudali in Terra d’Otranto. La Provincia di Lecce, Novoli 1994, p. 449). Giuseppe Antonio è autore di un epigramma con continui riferimenti alla classicità pubblicato in Lusus Iuveniles di Lucrezio Tafuri, stampato a Lecce dal Micheli nel 1637 (Cfr. G. Spagnolo, Storia di Novoli, Note e approfondimenti, Lecce, 1990 pp. 42-43). La scheda dei Lusus Iuveniles (giochi di gioventù) del Tafuri, con le relative indicazioni bibliografiche, è riportata negli Annali di Pietro Micheli, tipografo in Puglia nel 1600 di G. Scrimieri, Galatina 1976, pp. 42-43).
3 A Novoli, l’accesso alla carriera ecclesiastica fu privilegio di questa famiglia. La massima carica capitolare infatti, eccetto una brevissima parentesi, fu infatti nelle mani dei Greco per gran parte del 1600 e dei Mazzotta per tutto il 1700 (Cfr. M. De Marco, La Chiesa Matrice di S. Andrea Apostolo, in “Camminiamo insieme”, a. III, Novoli 1986, pp. 106-107; O. Mazzotta, Novoli nei secoli XVII -XVIII, Novoli 1986, pp. 106-107). Il chierico Antonio Greco e il fratello D. Domenico Greco figurano nell’elenco dei sacerdoti riportato nella S. Visita (la VI) del 1653 del Vescovo Luigi Pappacoda che descrive lo stato giuridico della Chiesa medesima e da cui si ricava la norma fondamentale che ha regolato la “Chiesa Ricettizia di Novoli” (Cfr. M. De Marco, La Chiesa Matrice di S. Andrea Apostolo cit., pp. 12-13).
4 È singolare, a tal proposito, ricordare (il volume fu stampato per la prima volta a Copenaghen alla fine del 1800 e poco dopo tradotto in inglese) la Storia del bacio di Kristoffer Nyrop (ed. Donzelli). Da questo libro (secondo una particolareggiata recensione di M. Francini) si apprende infatti che “secondo il diritto romano, baciarsi era un pò sposarsi. Il bacio, in sostanza, era considerato l’introduzione alla convivenza matrimoniale, un simbolo del matrimonio. Un preciso articolo di legge stabiliva infatti che al momento del fidanzamento, quando i due innamorati (i “contraenti” per dirla in gergo notarile) si scambiavano i doni, potevano baciarsi o no; ma se poi il fidanzamento si fosse rotto (o uno dei due “contraenti” fosse venuto a mancare), qualora i due si fossero baciati, solo la metà dei doni doveva essere restituita, se invece il bacio non c’era stato i doni dovevano essere restituiti tutti. Doveva trattarsi di un bacio ufficiale e presumibilmente poco appassionato, di cerimonia (ed è il caso, a quanto pare, di Cecilia e Antonio che appunto, come si legge nel documento notarile, “pubblicamente li diede un bacio sub specie futuri matrimonii”). È probabile, inoltre, che la formula con la quale, in certi paesi, oggi l’officiante invita lo sposo a baciare la sposa alla conclusione del rito, tragga origine proprio da quella consuetudine, che i Romani lasciarono in eredità al Medioevo passandola prima al Codice dei Visigoti e poi a quello dei Longobardi. Questa è la ragione per la quale “la donatio propter osculum” (lo scambio dei doni sancito dal bacio) sembra essere sopravvissuta più a lungo che altrove in Spagna e in Italia” (Cfr. M. Francini, Ad ogni bacio la sua storia, in “Quotidiano di Lecce”, 7 febbraio 1996.
5 Le chiese, in quell’epoca (secondo quanto risulta da un atto notarile) godevano infatti “del diritto di asilo”; gli ecclesiastici non erano sotto il controllo della giurisdizione civile e in caso di delitti comuni venivano giudicati da un tribunale ecclesiastico e scontavano la pena nelle carceri vescovili (Archivio di Stato Lecce, not. A. Tarantini, 69/3, a. 1720, c. 91).
6 Secondo quanto scrive O. Mazzotta, nella diocesi di Lecce (e quindi non solo a Novoli) specialmente nel 1600, il numero dei chierici era elevato e fra questi alcuni riuscivano a concludere la carriera sacerdotale ma molti rimanevano sempre chierici. Questo perché “i chierici, compresi i coniugati, oltre che vestire la talare, che era segno di distinzione, godevano di tutti i privilegi concessi al clero, primo fra tutti l’esenzione dai pesi fiscali” (Cfr. O. Mazzotta, Novoli etc. cit., p. 116).
7 Su questo toponimo (Lombardo, Lummarde, Lombarde) e la sua ubicazione (che può vedersi con chiarezza sulla cartina pubblicata a corredo di questo lavoro) cfr. G. Spagnolo, Novoli, Origini, Nome, Cartografia e Toponomastica, Novoli 1987, p. 59 e p. 125 (appendice sulle strade vicinali); P. Salamac, Saggio di antroponomastica e toponomastica novolese, in “Note di civiltà medievale 2”, Bari 1980, pp. 63-82. Il quarantale dovrebbe equivalere ad are 4 (Cfr. il saggio di A. Politi, Dialetto novolese a confronto, in “Lu Lampiune”, Ed. Grifo, a. XIII, n. 1, p. 114 (Quarantale vuol dire “quarantesimo”).
8 Da un documento notarile dell’8 febbraio 1656 risulta che il genovese Stefano Villa era creditore nei confronti del Mattei di ben 1252 ducati (debito risolto successivamente con una transazione di soli 500 ducati – Archivio di Stato Lecce, not. L. Mezzana, Lecce 46/35 a. 1656).
9 Filippo I Mattei, barone di S. Maria de Nove, successore di Paolo Mattei (primo Mattei barone di questo Casale), marito di Paola Bozzi dei baroni di Arnesano, fece edificare “nel portaggio di Rugge” una chiesetta “sotto il titolo di S. Andrea”, poi (fu detta) dell’assunzione della Vergine o Chiesa Nuova” su un suolo di proprietà della Basilica Lateranense di Roma (all’interno è presente lo stemma dei Mattei). La casa abitata dal Villa, di proprietà dei Mattei, con tutta probabilità è quella indicata da N. Vacca nell’appendice a Lecce e i suoi monumenti del De Simone a proposito di tale Chiesa e cioè “la casa dei Mattei era nel sito dov’è ora quella del Dott. Micheli preside del tribunale. Il palazzo, attualmente Guerra – Sellitto era quello di Teofilo di Marcantonio Zimara di Galatina, insigne medico, amico di Annibal Caro, che morì il 4 dicembre 1591” (L. G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, nuova edizione postillata da N. Vacca, Lecce 1964, p. 325 e pp. 577-578; cfr. M. Paone, Chiese di Lecce, vol. II, Galatina 1978, pp. 298-303; Idem, Palazzi di Lecce, Congedo Editore, Galatina 1978, p. 125. Il palazzo passò ai Guerra-Sellito allorquando gli Zimara si estinsero nella seconda metà del seicento (Ivi).
10 R. Roberti (a cura di), Ottocento poetico Dialettale Salentino, vol. II, Galatina, senza anno di stampa (ma 1954), p. 89 (poesia “Lu Asu” – il bacio) E. Bozzi (Il Conte di Luna), La Banda de la Lupa. Versi in dialetto leccese, Lecce, Stab. Tip. Giurdignano 1912, pp. 14-15. Nelle illustrazioni, la cartolina che riproduce l’opera pittorica “Il bacio” del pittore italiano Francesco Hayez (olio su tela del 1859 conservato alla Pinacoteca di Brera) è datata Lecce 10 febbraio 1939 (timbro postale) ed è indirizzata ad Antonia Piconese, deposito tabacchi greggi n. 9 Novoli (Lecce). Ad inviarla è la sua amica Ester con la seguente dedica: Ti auguro la più grande fortuna unita alla più bella felicità. Tua amica Ester (coll. privata). La cartolina postale su Venere fa parte invece della raccolta I giorni della settimana, 7 cartoline policrome, Ediz. Sborgi, Firenze (non viaggiata, inizio 1900). La cartolina è quella per il venerdì, giorno sacro a Venere che presso gli antichi era la dea della bellezza e dell’amore. (coll. privata). Infine, la cartolina “Lo Sposalizio, mese di aprile” fa parte della raccolta “I dodici mesi, dal Breviario Grimani”, 12 cartoline a colori, Edizioni Ongania Libreria artistica Internazionale, piazza San Marco Venezia, Inizio 1900 (coll. privata).