Autopsia di un proverbio salentino

di Armando Polito

LA BBONA MONGE, LA TRISTA PONGE

Pur essendo da anni un appassionato raccoglitore di proverbi, questo mancava alla mia collezione e probabilmente la lacuna non sarebbe stata colmata se un amico quasi un anno fa non mi avesse passato la sua collezione al fine, mi piace giocare con le parole, di operare una collazione, magari dopo colazione, dal momento che, lo sanno tutti, con la cultura non si mangia, ma senza cibo prima si sragiona, poi si muore.

Tra i proverbi che mi mancavano questo ha subito attratto la mia attenzione, perché, al momento di corredarlo della traduzione in italiano e di un breve commento, mi è parso subito evidente come non avesse troppo senso rendere monge con munge, nonostante sia un dato assodato (altro gioco di parola …) che la stragrande maggioranza degli antichi proverbi ha un’origine contadina, i moderni politica (basti pensare, l’avevo detto che ci sarei tornato, ma non è finita …, al tremontiano Con la cultura non si mangia).

Dopo qualche secondo di angosciosa (!) perplessità, l’illuminazione (!)  improvvisa, favorita da quello che da giovane ho considerato un’inutile e stupida fatica accettando di malavoglia, una delle tante imposizioni senza adeguata motivazione (oggi puoi motivare quanto vuoi, tanto …) alle quali in quei tempi non potevi ribellarti: l’impegno mnemonico, nella fattispecie riservato alla poesia. Senza quella che a me sembrava una tortura, non sarebbe affiorato nella mia mente né il foscoliano … e poi che nullo/vivente aspetto gli molcea la cura,/qui posava …1 né,  anteriore di 500 anni, il petrarchesco Fuor di man di colui che punge et molce2.

Questo succedeva quasi un anno fa, ma già da allora mi ero ripromesso di dare spessore e concretezza, possibilmente scientifici, a quell’intuizione che sarebbe potuta essere frutto di una suggestione fonetica e che ora ho solo in parte anticipato con la citazione dei due versi. Lascio a chi ne sa più di me giudicare la plausibilità della soluzione dell’arcano anche alla luce della metodologia seguita e dei risultati delle varie tappe che qui ripercorrò nell’esatto ordine cronologico del loro svolgimento.

Nello studio di qualsiasi testo giunto per tradizione orale o scritta, fondamentale è partire con lo studio delle varianti, che, per quanto riguarda i proverbi, deve fare i conti con gli adattamenti o stravolgimenti locali e con l’affidabilità e la correttezza di chi quel testo ha raccolto e trascritto. Se si pensa, poi, che parecchi proverbi popolari non raramente sono evoluzione o superfetazione di sentenze antiche, per lo più bibliche o greche o latine), si comprende come ogni ricostruzione, non solo testuale, sia di una complessità disarmante.

Trascurando volutamente quanto si può leggere in rete e che testimonia la diffusione del proverbio da Napoli in giù e conferma  monge e la sua traduzione in italiano con munge3, ho messo insieme tutti i pesci più o meno grossi incappati nella stessa rete e che di seguito presento.

Il più grosso di tutti è senza dubbio Domenico Ludovico De Vincentiis4:

Per ora faccio solo notare l’inserimento del proverbio come illustrazione emblematica del lemma mòngere secondo la migliore tradizione dell’Accademia della Crusca e le acrobazie concettuali in cui l’autore si esibisce per giustificare la sua interpretazione metaforica.

La sua indubbia autorevolezza avrà giocato un ruolo fondamentale se dopo tutti hanno inteso  monge come lui. Mi sorprende, però, che un semplice timore reverenziale non possa aver suscitato alcun dubbio, ammesso, al dilà dell’osoleto ipse dixit, che fossero a conoscenza dell’opera del De Vincentiis …

In Domenico Scapati5, Civiltà e vita contadina. Lavoro delle terre nelle Murge tra miti e riti, preghiere e proverbi, Youcanprint Self-Publishings,  Tricase, 2019, s. p. leggo quanto di seguito riproduco.

Da notare, rispetto al testo del De Vincentiis, le varianti dolce per bona e triste per trista. Per me si tratta di operazione del tutto arbitrarie, indotte proprio da trista che nel nostro dialetto significa cattiva (in riferimento ad essere di pochi anni significa irrequieto, capriccioso, anche in italiano tristo è sinonimo di malvagio) e l cui versione in triste abbia obbligato a sostituire bona con dolce, a ripristiinare, ribadisco arbitrariamente, la contrapposizione  con la presunta tristezza.  

In Vincenzo Pupillo6 si legge:

Da notare la variante ungi per la Calabria e ogne per la Campania, entrambe corrispondenti all’italiano unge e, per la sola Calabria, mala invece di trista. Noto come ungi/ogne possano dar vita ad un’interpretazione con la plausibilità che mana al munge del De Vincentiis, nel senso che unge beneficamente, quasi fosse un balsamo7, una pomata. Se il testo calabrese e napoletano fosse il più antico, qualcuno potrebbe ipotizzare che monge si errata trascrizione di un originario onge con concreazione del pronome personale (mi onge>m’onge>monge). Se così fosse, però, sarebbe strano che lo stesso fenomeno non abbia coinvolto anche il secondo verbo (mi ponge), rinunziando a quella espressività tutta meridionale basata sulla ripetizione dello stesso elemento.

L’idea degli effetti balsamici della buona parola mi hanno fatto pensare ad un processo molto più complicato e creativo, che coinvolge, addirittura qualcosa che a prima vista può senz’altro apparire improbabile, ma che lo è solo per pregiudizio: la contaminazione tra l’ambiente indotto e il dotto, perfino l’aulico, qual è quello evocato dai versi citati all’inizio. A questo punto è d’obbligo aprire una parentesi di natura filologica. In latino ci sono due verbi quasi omografi nel senso che foneticamente si differenziano solo per una consonante (ma sempre di una gutturale si tratta) ma semanticamente non hanno assolutamente nulla in comune:

MULGÈRE, che significa mungere

MULCÈRE, che significa toccare dolcemente, accarezzare, sfiorare, lisciare, leccar (in senso figurato) addolcire, placare, calmare, mitigare, lenire, dilettare, allietare, ricreare, blandire, sospingere delicatamente.

Dopo aver detto che i significati di entrambi i verbi li ho copiati parola per parola da un dizionario latino8 tanto pregevole da rendere infantile la voglia di fare un controllo su qualsiasi altro, concludo: vista l’incongruenza di monge con munge, appare azzardato supporre che esso sia deformazione di molce, indicativo presente di mòlcere, più raramente mùlcere, verbo di uso poetico e, per giunta, difettivo, che è, con ritrazione dell’accento (sistole)9, dal riportato latino mulcère?

La deformazione, di origine popolare, troverebbe così giustificazione nella differenza fonetica tra mulcère e mulgère, minima ma sufficiente a propiziare una confusione, direi un travaso di significato, probabilmente inconsapevole all’inizio10. Poi vennero i letterati a mettere in campo la mungitura e tutto finì in vacca …

Tuttavia, per chiudere in bellezza e fornire quello che quasi sicuramente è il testo originale e originario (credo che cronologicamente andare più indietro sia molto difficile), dopo un centinaio di accasciamenti sulla tastiera nel corso di una settimana, senza sconfessare del tutto la mia prima impressione, quella aulica, che può aver esercitato per la via descritta la sua influenza per quanto riguarda monge, esibisco la pistola fumante, anche se la metafora è anacronistica, trattandosi di Guglielmo d’Alvernia (1180-1249), che nel De moribus12, al paragrafo intitolato Consolatio così scrive:

(mentre infatti le cose cattive pungono, come volgarmente si dice, colui che è consolato, le buone lo ungono con l’unzione e questo appare dalla stessa intenzione di consolare)

Da notare il volo del vescovo: dapprima basso, con l’utilizzo di una metafora (pungunt) dichiarata da lui stesso di uso comune (ut vulgo dicitur), poi sempre più alto, con l’adozione di strumenti retorici sofisticati e di sicuro effetto,  quali l’uso degli opposti (bona/mala), il gioco enigmistico dello scarto iniziale (pungunt/ungunt), come se l’unzione avesse eliminato l’aculeo protagonista della puntura, e, infine, la figura etimologica (unctione/ungunt). Tutti espedienti retorici, questi, di impatto immediatamente suggestivo su un uditorio colto, ancor più sul cosiddetto popolo. Tuttavia mi pare doveroso sottolineare l’importanza dell’intentio consolationis (la volontà sincera di consolare), senza la quale ogni parola di conforto sarebbe solo pura ipocrisia e squallida presa in giro. E come non posso a questo punto proprio io, che considero la religione, soprattutto nei suoi dogmi, come un insieme di favolette ammannite (etimologicamente la manna qui è innocente …) per esorcizzare la paura della morte, fare a meno di ricordare la figura del comunista Don Milani, per il quale la possibilità di acculturarsi (partendo dalla parola) era alla base della democrazia e del bene collettivo? A patto, aggiungo io, che, una volta raggiunto un certo livello che consente di controllare (leggi criticare costruttivamente), non ci si lasci vincere dalla tentazione di sfruttare questa competenza per un utile personale che sia lesivo, purtroppo lo è molto spesso, degli altrui diritti, spesso difesi, oltre al danno pure la beffa, solo a parole.

Il nostro proverbio ha conservato del pensiero del primate i punti essenziali e non poteva essere diversamente, essendo la lapidarietà una delle caratteristiche fondamentali dei proverbi. E non c’è da meravigliarsi di questo travaso dal sacro al profano, dal colto all’incolto se si pensa al potere, anche semplicemente divulgativo, di trasmissione e diffusione della cultura che la Chiesa allora aveva, oltre al fatto, non secondario, che le parole che oggi noi leggiamo in un libro saranno state pronunziate, ripetutamente nel tempo, da un pulpito.  Se dobbiamo, poi, parlare di fedeltà formale a tale pensiero, è chiaro che tra tutte le formule fin qui citate si salvano solo la calabrese e la primo delle due napoletane. Tutte le altre mi sembrano, sotto questo punto di vista, da sotterrano definitivamente, senza alcuna possibilità di esumazione o, meglio, di riesumazione, di monge fatto corrispondente a munge. E con questo termina l’autopsia, che rischia di non poter essere ripetuta per perdita della salma (obsolescenza e scomparsa del proverbio dalla memoria del singolo e da quella collettiva) e, già ci siamo, per sua mancanza (con la morte della saggezza, vi pare che potranno in futuro assurgere al ruolo di salme degne di autopsia genialità del tipo del  pluricitato Con la cultura non si mangia o di altre provenienti da un pulpito, quello della pubblicità,  che ha soppiantato quello che fu di Guglielmo d’Alvernia ed è durato secoli. Relativamente alla pubblicità  mi limito ad un solo esempio, nella speranza che finisca di rompermi le scatole sul fisso e sul mobile e, nonostante mi sia iscritto nel pomposo registro delle opposizioni, senza possibilità di vaffanculo (la voce registrata ha proprio la nobile funzione di evitare all’operatore l’offesa, oltre che qualsiasi sospetto di sfruttamento quasi schiavistico da parte dell’azienda …), la multinazionale contro la quale posso usare solo il telecomando per non sentire, da una voce scelta probabilmente perché ritenuta suadente ma che me pare da deficiente (con tutto il rispetto dovut per quelli veri …), Tim, la forza delle connessioni. Quelle neuronali, nel frattempo, che fine stanno facendo?

_______________

1 Ugo Foscolo, Dei sepolcri, vv. 192-194

2 Francesco Petrarca, Canzoniere, sonetto 311m v. 9

3 Per chi ha voglia di un controllo, segnalo:

https://www.gravinaoggi.it/proverbi-e-detti-popolari-gravinesi—l–.html

https://ilcapocomitiva.blogspot.com/2008/08/detti-baresi-parte-ii-la-vendetta.html

https://bari-e-le-sue-meraviglie.webnode.it/prov

4 Lettore domenicano autore oltre che del Vocabolario del dialetto tarantino in corrispondenza di quello italiano, Tipografia Salvatore Latronico e figli, Taranto, 1872, dalla p. 117 del quale ho riprodotto il dettaglio, di una Storia di Taranto uscita per i tipi di Latronico a Taranto in 5 volumi dal 1878 AL 1879 e ristampata un numero impressionante di volte fino al 1983. Anche il vocabolario ha avuto una ristampa per i tipi di Forni a Bologna nel 1967 e nel 1977 e di Ink Line a Taranto nel 2005.

5 Autore incredibilmente più prolifico del precedente Domenico:

Storia del tarantismo: identità culturale contadina, tarantismo e tarantolismo, Argìa in Sardegna, Ragnatello nero in Sicilia, Solennizzazione delle acque, Ballo, musica popolare e notte della Taranta, Saladino, Palermo, 2017

Tecnica della comunicazione: scuola e formazione, leadership, Youcanprint, Lecce, 2019

Comunicazione e arte. Ars, artis approccio alla lettura dell’arte, Youcanprint, Lecce, 2019

Migranti e comunicazione, Youcanprint, Lecce, 2019

La mafia è liquida, Youcanprint, Lecce, 2019

Il teatro russo, Youcanprint, Lecce, 2020

Il cane pastore tedesco : 21. corso cinofilo della Guardia di Finanza, vita, socialità e lavoro, istinti e comunicazione, percezione e comportamento, prossemica e aggressività, educazione e addestramento, legislazione, Youcanprint, Lecce, 2020

I poteri forti nella società liquida  gruppi di potere & politica & mafia, Youcanprint, Lecce, 2020

I santi della taranta: mondo contadino, i santi attratti nella sfera del tarantismo e danzimania, i sanpaolari, estasi, visioni e peccati, Youcanprint, Lecce, 2020

Peccaminosa Taranta, Youcanprint, Lecce, 2020

Storie di taranta: storie di tarantate e tarantati nella bassa Italia tra morsi, peccati e preghiere, ronde e musica, colori e magia, Youcanprint, Lecce, 2020

St. Thomas Becket di Canterbury: una storia complicata tra la Corona Inglese e la Chiesa, un Cancelliere del Re che diventa Arcivescovo di Canterbury, viaggio nei luoghi di culto in Europa : culto, reliquie e arte di San Tommaso Becket a Mottola, Youcanprint, Lecce, 2020

6 Altre sue pubblicazioni sullo stesso tema: Proverbi: riflessioni sulla sapienza del passato, per un corretto comportamento nel presente, Youcanprint, Tricase, 2013

Proverbi: dalla saggezza del passato, una speranza per il futuro, Youcanprint, Tricase, 2013

Proverbi: semi della tradizione, Youcanprint, Tricase, 2014.

7 Immagine evocata con la stessa contrapposizione, ma in riferimento a situazione diversa, pure in tre esametri che il Du Cange nel suo glossario al lemma villani afferma essere nel Graecismus di Eberardo de Béthune (XII-XIII secolo). Sulla sua autorevolezza e senza controllo alcuno, tanto per cambiare …, tutte le citazioni successive di innumerevoli autori ne ribadiscono l’attribuzione. Peccato, però,  che essi risultano assenti nell’edizione critica a cura di Joh. Wrobel, uscita per i tipi di Guglielmo Koebner a Uratislavia nel 1887. Ad ogni modo, eccoli: Quando mulcetur, villanus peior habetur:/pungas villanum, polluet ille manm./Ungentem pungit, pungentem rusticus ungit (Quando l’abitante in campagna viene blandito, è considerato peggiore: se pungi un villano, ti sporcherà la mano. L’abitante della campagna punge chi lo blandisce, unge chi lo punge). E più vicino a noi,  La parola punge, la lacrima unge in Pietro Fanfani, Cento proverbi e motti Italiani d’origine greca e latina, A spese dell’editore, Firenze, 1887,  p. 48).

8  https://www.dizionario-latino.com/

9 Anche in questo c’è lo zampino dell’affinità fonetica tra mulcère e mulgère. Se fosse stato rispettato l’originario accento latino, in italiano avremmo avuto molcère e mungère. È successo che mungère sotto l’influsso di emùngere (tal quale la voce latina, composto di mulgère) è passato a mùngere ed ha coinvolto nella sistole molcère, nonostante in latino non esista un composto emùlgere.

10 Non mi sentirei di escludere che alla base della deformazione molce>monge ci sia l’esigenza metrica di garantire una rima perfetta ai due quinari costituenti il proverbio.

11 Nel frontespizio del volume citato nella nota successiva si legge in latino, ma per brevità lo riporto solo tradotto: Vescovo di Parigi, matematico perfetto, esimio filosofo e validissimo teologo.           :

12 Riproduco il testo originale dall’Opera omnia, Couterot, Parigi, 1674, tomo I, p. 200.

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