di Armando Polito
Niente di nuovo sotto il sole, anche quello della letteratura, ma alcuni dettagli, analizzati alla luce della necessaria storicizzazione degli eventi, andrebbero comunque approfonditi. In riferimento alla parola- chiave del titolo va subito detto che oggi, paradossalmente, una stroncatura può decretare il successo editoriale, dunque di mercato inteso nel significato più rozzo di profitto, di un’opera, come una campagna pubblicitaria furbesca, in cui non solo la recensione gioca un ruolo importante, può in un immaginario collettivo sempre più incolto e passivo, decretarne il trionfo, per quanto effimero.
Siamo un popolo che legge poco o niente ma scrive tanto, troppo, da un decennio a questa parte. E, cavalcando un diffuso ed epidemico narcisismo che si manifesta in velleità artistiche ad esibizione di un talento inesistente, capace solo di dimostrare, senza saperlo …, che c’è sempre uno più imbecille di te, sta proliferando l’editoria fai da te con presunte case editriici che fanno concorrenza ai funghi, quelli velenosi, non solo perché ne spuntano di nuove dalla mattina alla sera, ma perché, perseguendo unicamente il profitto, sono solo imprenditrici dell’invadente sopravvalutazione di se stessi e della dilagante perdita del senso del limite.
Anche le case editrici tradizionali hanno da tempo abbandonato la finalità di promozione culturale e, a differenza di quelle appena considerate (che pubblicherebbero qualsiasi testo, anche se l’autore pretendesse che esso fosse stampato utilizzando l’estratto della sua merda), danno credito e spazio solo a titoli che, almeno teoricamente, possano avere un riscontro di vendite, ligi al risultato di indagini tese a captare il gusto presente e a prefigurarsi quello futuro, per non correre il rischio di essere bruciati sul tempo dalla concorrenza.
Torno alla recensione. Volutamente tralascio quelle orali che di regola accompagnano le immancabili presentazioni e che non di rado tradisco l’avvenuta lettura del solo titolo e notti insonni sprecate per studiare locuzioni che, per dare un’idea della profondità di un libro non letto, sprofondano nella nullità (fosse ambiguità, già sarebbe meglio ..) del significato. Da queste non differiscono quelle scritte, tra le quali colloco anche le prefazioni. Se in una sola qualcuno di voi ha mai letto qualche osservazione negativa, me la segnali. Certo che sono un grande ingenuo a credere che uno sia disposto a pubblicare un suo lavoro con una prefazione, a firma, magari, dello scemo del paese, che lo gettasse a terra e non lo elevasse al cielo. Sarò pure un ingenuo, ma capace di apprezzare, per contrasto, ciò che in passato (oggi bisognerebbe parlare di consorterie).
L’esempio che fra poco mostrerò, vecchio di 352 anni, appartiene ad un periodo in cui la letteratura encomiastica aveva uno spazio privilegiato e sfruttava tutte le risorse retoriche per celebrare i detentori del potere. Per questo era regola leggervi già nel frontespizio l’elenco dei titoli dell’autore dedicante e del dedicatario. Da quest’ultimo, naturalmente, ci si attendeva riconoscenza, se non nell’immediato o, almeno, in un futuro non troppo lontano. Anche se nessuno, a quanto ne so, ha indagato a fondo sui rapporti tra autori, editori e politici di quel tempo, ho il sospetto, per non dire la certezza, che proprio questo o quel detentore del potere fosse una sorta di sponsor ante litteram, neppure tanto ante, se si pensa a Virgilio e all’entourage di Augusto. La libertà dell’artista, quello vero …, però, è tale da consentirgli quanto meno di allentare le pastoie del momento e di dare vita, destinata a durare nel tempo, a quei valori che tempo non hanno.
Perfino io so, dopo Virgilio, chi è Dante, ma fino a pochissimi anni fa di Giuseppe Fapane di Copertino ignoravo nome e, di conseguenza, esistenza. Poi una fortuita, fortunosa ma fortunata circostanza me lo ha fatto scoprire e sentire il bisogno di approfondire la conoscenza di un poeta che, secondo la mia modesta opinione, meriterebbe nei manuali di letteratura un posto nella foltissima schiera dei marinisti subito a ridosso dell’inventore e maestro di questa corrente. E se su questo blog tempo fa ne ho parlato genericamente1 e di recente mi sono occupato del suo nome e ho messo in risalto l’enigmista2, oggi è la volta del recensore. Gli lascio la parola dopo aver riprodotto il frontespizio del libro recensito e, da pagina non numerata, il dettaglio che qui interessa, con la solita trascrizione del testo, espediente per aggiungervi la traduzione e le note di commento.
Illustrissimo, et excellentis. domino Bartholomaeo de Capua, Altavillae Madno Comiti, cui Ioseph Campanile Historias Familiarum dicat.
Iosephi Domenichi
Historias Ioseph texit: priscique Triumphos
temporis; et nostrae stemmata Parthenopes.
Haec nulli poterat scriptor monumenta dicare
quam tibi, qui Heroum vincere facta soles.
Tu Calami, et gladii superasti nomine famam;
tu Calamo, et gladio tempora clarificas.
Hinc Campanilis, pennam dat iure, columba:
ut tua gesta sones: ut sua scripta canas.
All’illustrissimo ed eccellentissimo signore Bartolomeo da Capua gran conte d’Altavilla, al quale Giuseppe Campanile dedica le storie della famiglie
di Giuseppe Domenichi
Giuseppe tesse le storie: e i trionfi del tempo antico e gli stemmi della nostra Partenope. Uno scrittore non avrebbe potuto dedicare queste testimonianze a nessun (altro) che a te, che sei solito superare le gesta degli eroi. Tu con la gloria della penna e della spada hai oltrepassato la fama, tu con la penna e con la spada rendi illustri i tempi. Per questo la colomba del Campanile dà giustamente la penna, affinché tu faccia risuonare le tue gesta, affinché tu renda celebri i suoi scritti.a
a Qui il Fapane raggiunge probabilmente l’acme nell’uso della metafora, strumento espressivo privilegiato della poesia del XVII secolo e lo fa da maestro in un pirotecnico gioco di parole, che coinvolge diversi piani, da quello puramente linguistico e, direi, filologico, a quello storico, con i relativi addentellati che partono dalla botanica per giungere alla musica e alla letteratura, per concludersi con l’esplosione finale di un’ironia arguta, ma tutt’altro che irrispettosa o dissacrante. Le parole-chiave di questa sorta di recensione (di fronte alla quale quelle di oggi dovrebbero arrossire di vergogna, non solo per i connotati formali …), coinvolgente in un solo magistrale colpo dedicante e dedicatario, sono:
1) calami del quinto verso e calamo del sesto, rispettivamente genitivo e ablativo di calamus, trascrizione latina del greco κάλαμος (leggi càlamos), che dal significato originario di canna è passato a quelli traslatoi di flauto (basta fare una serie di buchi su una canna), zampogna (le canne, insieme con l’otre, ne costituiscono i componenti), penna da scrivere (canna tagliata trasversalmente), canna da pesca (si raccomanda di montare il filo, su questo l’amo e di collocarvi l’esca …), canna da misura. Nei versi in questione la voce ha il significato di penna da scrivere.
2) Campanilis del penultimo verso. Qui bisogna partire dall’italiano campanile, forma aggettivale derivata dal latino latino tardo campana, a sua volta abbreviazione della locuzione vasa campana=vasi campani. Dunque, qui campanilis (genitivo di un nominativo neutro campanile plausibilmente inventato, perché in latino non è attestato ma la formazione è corretta) vale come nome comune ma anche come latinizzazione del cognome dell’autore del libro. Tra l’altro, anche se nella produzione barocca gli autori, se avessero potuto farlo, avrebbero scritto in maiuscolo pure le virgole, la voce in questione, proprio a servizio del detto valore ambiguo, è stata, volutamente, collocata all’inizio.
3 columba, sempre nel penultimo verso, può essere alla lettera la colomba del campanile ma, per traslato, pò simboleggiare il volo poetico del letterato Campanile.
4 pennam, accusativo di penna che in latino significa solo piuma, ala e non è mai attestato nel senso di penna da scrivere, come in italiano, dove, addirittura può sostituire scrittore (una buona penna).Tuttavia qui per una sorta di proprietà transitiva o, se si preferisce, di ragionamento sillogistico applicato alla poesia, per quanto detto nelle due note precedenti, in particolare nelle ultime due, la penna intesa come piuma della colomba del campanile, una volta che tale colomba si identifica col Campanile, diventa il noto strumento per scrivere.
Quale recensore di oggi, ammesso che per assurdo fosse capace di mettere insieme non distici elegiaci (tanto, chi li capirebbe?…) ma due endecasillabi in un italiano corretto condito dalla raffinata ironia del Fapane? Me lo chiedo, anche se non sono tanto ingenuo da ritenere apprezzabile il numero di coloro che sarebbero in grado, non dico di capirli, ma, almeno, di leggerli correttamente …
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2 https://www.fondazioneterradotranto.it/2024/04/06/lenigmatico-enigmista-di-copertino-1-2/