Dopo il culto e il protettorato di san Gregorio l’Illuminatore, che si festeggia il 20 febbraio, la città di Nardò celebra un altro santo dell’Armenia, Biagio, vissuto tra il III e il IV secolo a Sebaste in Armenia. Per sua intercessione si rinnova, come ogni anno, l’antichissimo rito della benedizione della gola nella chiesa di Santa Teresa (nei pressi della Posta centrale).
Tra i quattordici santi ausiliatori, patrono degli otorinolaringoiatri, i fedeli si rivolgono a San Biagio, medico in vita, per la cura dei mali fisici e particolarmente per la guarigione dalle malattie della gola, tanto che tra i diversi miracoli a lui attribuiti si menziona a simbolo quello del salvataggio di un bambino col rischio di soffocamento a causa di una lisca di pesce.
Il suo martirio, avvenuto intorno al 316, è da ricollegare al rifiuto di abiurare la fede cristiana. La leggenda riporta che fu decapitato dopo essere stato a lungo torturato con pettini di ferro che gli straziarono le carni. Lo strumento del martirio fu preso a simbolo del santo e poiché simile a quelli utilizzati dai cardatori di lana e dai tessitori, questi ultimi lo vollero designare quale loro protettore. Il corpo fu sepolto nella cattedrale di Sebaste.
Nel 732 una parte dei suoi resti mortali furono imbarcati per essere portati a Roma. Una tempesta bloccò il viaggio a Maratea (Potenza), dove i fedeli accolsero le reliquie; lo elessero protettore e ne conservarono parte dei resti (torace) nella basilica sul monte San Biagio (a Carosino, provincia di Taranto, è custodito un pezzo della lingua, chiuso in un’ampolla incastonata in una croce d’oro; a Ostuni si conserva un osso usualmente posto sulla gola di ogni fedele in pellegrinaggio al santuario; nella cattedrale di Ruvo di Puglia si venerano i resti del braccio esposti entro un reliquiario a forma di arto benedicente). Particolarmente sentito il culto in Avetrana.
In provincia di Lecce, oltre al culto riservato a Nardò, è nota la devozione degli abitanti di Salve nel cui territorio ricade la masseria e la cappella di Santu Lasi, termine dialettale con cui si designa il santo.
Il motivo dell’antica venerazione nella chiesa di Santa Teresa a Nardò potrebbe ricollegarsi non tanto alla protezione per le comuni malattie delle prime vie aeree, quanto alla grave malattia infettiva della difterite, di cui sono accertate epidemie nella prima metà del XVII secolo in città e che procurarono non pochi lutti, specie tra i più piccoli, deceduti per asfissia a causa del morbo.
Non è da escludere che il particolare culto cittadino sia strettamente collegato con la locale famiglia dei baroni Sambiasi, anticamente Sancto Blasio, i cui discendenti fecero realizzare in suo onore ben due chiese.
La prima fu fatta costruire nel 1623 dal barone Giuseppe Sambiasi sull’attuale Via De Pandi, che la istituì con atto notarile del 10 aprile, ad laudem et gloria di S. Biagio, dotandola di 48 ducati di annuo censo. Della chiesa, aperta al culto fino alla metà del secolo XIX, oggi non restano che i muri laterali e parte della volta. I fregi e i decori in pietra leccese sopravvissuti documentano quanto fosse valida dal punto di vista artistico.
L’altra chiesetta, comunemente detta di S. Biagio in Via Lata, per distinguerla dalla precedente, fu edificata nel pittagio San Salvatore.
Pur se non frequentissima, l’iconografia a volte ritrae Biagio come santo guaritore e intercessore, altre ancora nel momento del martirio, più spesso come vescovo, con mitra, pastorale e libro, a mezzo busto o a figura intera.
A Nardò si contano due raffigurazioni scultoree del santo armeno, entrambe in cartapesta policroma. Una certamente proviene da abitazione privata, anche se attualmente custodita nella chiesa di San Giuseppe, forse donata dal proprietario; l’altra è oggetto di venerazione da parte dei fedeli nella chiesa di Santa Teresa e veniva portata in processione la mattina del 2 febbraio.
A grandezza naturale, quest’ultima è eccellente cartapesta policroma. Il santo, a figura intera, caratterizzato dalla folta barba grigia come nel primo, indossa i paramenti vescovili orientali con la caratteristica mitra sormontata dalla croce, il pastorale dalle estremità ricurve verso l’alto, il classico omoforion (lunga sciarpa ornata di croci). La mano destra rivolta in alto e l’espressione estasiata del bambino indicano che il miracolo è già avvenuto e il santo, pur continuando a fissare il piccolo, sembra congedarsi dopo aver ringraziato il Padre per l’evento miracoloso appena compiuto.
Un’iscrizione sul basamento documenta che fu realizzata a spese dei fedeli neritini nell’anno 1886, dal validissimo Antonio Maccagnani (1807-1892) o dal più giovane Achille De Lucrezi (1827-1913). La resa plastica, i particolari assai curati e i tratti somatici delle due figure, ma anche l’equilibrio fra le parti e la posa ieratica del santo, portano a considerare l’opera tra le più qualificate dei migliori cartapestai leccesi.
Il rito della benedizione della gola viene esercitato nella chiesa neritina il 3 febbraio, sin dalle prime ore e fino a tarda serata (con interuzione dalle 12 alle 15), e i festeggiamenti in onore del santo sono preceduti da un triduo, che si tiene nella medesima chiesa di Santa Teresa, per interessamento e cura della confraternita del SS.mo Sacramento.
San Biagio: un grande santo Armeno ma venerato da tutto il Salento. Concordo, con quanto esplicitato storicamente – aggiungo solo uno dei nostri paesini -Specchia Galllone di Minervino di Lecce. Anche in questo si celebra da tempo immemore il Santo effigiato in un mezzo busto di legno nella Chiesa Madre, dove, in antico, si cantavano le litanie in ” grico ” e le festività celebrate il due di Febbraio. cordialità sempre- peppino martina.
grazie