di Mario Colomba
L’intonaco (tunica), come si evince dalla terminologia dialettale, era un rivestimento della muratura che veniva praticato non solo per motivi estetici ma anche per preservare la muratura dal degrado derivante dall’esposizione diretta agli agenti atmosferici.
Di solito, la malta impiegata nell’intonaco era confezionata con maggior cura sia nella scelta dell’inerte (tufina) che incideva anche sulla colorazione che della calce che si preferiva stagionata.
Generalmente veniva eseguito in due tempi: In un primo tempo si procedeva alla esecuzione dei primi due strati: rinzaffo o arricciatura a secondo dei casi. Il secondo strato, la stuccatura, veniva eseguita dopo un certo periodo di stagionatura. La malta dello stucco era una malta grassa (più ricca di calce) lavorata con cura per evitare la formazione di grumi e setacciata adoperando un setaccio metallico attraverso i cui fori veniva fatta passare, tamponandola con un piccolo frattazzo di legno.
Nel caso in cui la superficie della muratura da rivestire era particolarmente deformata, si realizzava un primo strato di rinzaffo grosso che, se aveva una spessore di oltre un centimetro, veniva ringrossato scagliando sulla malta fresca manciate di detriti minuti di tufo (pipirielli) che vi venivano annegati forzandoli con la cazzuola. La spianatura in piombo ed in piano veniva ottenuta con l’uso di regole di legno che, spesso, a contatto con l’umidità della malta si deformavano e non garantivano la planarità richiesta.
Poiché ancora non era in uso il frattazzo di acciaio, la posa in opera della malta e la sua lisciatura avveniva con l’uso della cazzuola che non consentiva di avere delle superfici perfettamente spianate poiché la pressione che si esercitava con quell’attrezzo non era uniforme. Ma questo rientrava nella normale tollerabilità. Nei casi in cui veniva richiesto, si realizzava l’intonaco “piombato” che si otteneva dividendo la superficie interessata in zone della larghezza di circa due metri distinte da guide verticali verificate in piombo ed in piano, che garantivano la perfetta planarità dell’intera superficie.
Prima dell’applicazione dell’ultimo strato (tonachino) la superficie dell’intonaco fresco veniva uniformata, asportando anche eventuali “bave” di malta lasciate dall’uso della cazzuola, con l’uso di un “fratazzo” di legno
Particolare cura veniva posta nella lisciatura che, quando era praticata con la necessaria energia rendeva lucida la superficie trattata e per questo, si usava anche l’aspersione di albume.
Le superfici esterne colorate si ottenevano aggiungendo, alla malta bianca dello stucco, una soluzione di terra colorata e acqua, nelle proporzioni necessarie per ottenere la tonalità richiesta. I colori più ricorrenti erano il rosso, il giallo ed anche l’azzurro.
Per ottenere particolari effetti decorativi si ricorreva all’intonaco a graffito che consisteva sostanzialmente nella sovrapposizione a fresco di strati di intonaco a colori diversi che venivano rimossi (sgraffiati) secondo le linee del disegno riportato con lo spolvero, facendo riemergere gli strati sottostanti fino a formare un decoro.
Si ottenevano così effetti decorativi di gran pregio che esigevano abilità e competenze artistiche di rilievo con l’uso di attrezzi appositamente studiati (ferri) e abilità manuali molto rare.
Per le parti precedenti vedi qui:
Cantiere edile (fondazioneterradotranto.it)
L’arte del costruire nel Salento. La malta – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)
“Si ottenevano così effetti decorativi di gran pregio …”
Debitamente distrutti dai novelli esperti di arti muratorie e intonicatorie (tutte pronte) che con il “Bonus facciate” hanno dato il meglio di sè, in concorrenza con altre ben più meritevoli categorie professionali … che cercano di recuperare le passate bellezze.