di Armando Polito
Chi si attende una storia di fantasmi e simili, magari con contorno di fattucchiere, magiche pozioni e sangue umano e non a volontà è solo un allocco che si è lasciato incantare dal titolo e probabilmente non proseguirà nella lettura. Per tutti gli altri preciso che il colore nominato nel titolo riguarda solo la fine che fece il castello del quale mi sono già occupato per altri motivi1.
Riproduco dal secondo link indicato in nota quella che probabilmente è l’immagine più antica (seconda metà del XV secolo) del nostro castello.
Rimane, tuttavia, incerta la sua data di nascita, proprio come quella della sua morte, che è il giallo di cui sopra. Già qualche anno fa, nel post segnalato col primo link in nota 1, avevo riportato che in Mariangela Sammarco, Silvia Marchi e Stefano Margiotta, Tra terra e mare: ricerche lungo la costa di S. Cataldo (Lecce)1, in Rivista di topografia antica diretta da Giovanni Uggeri, XXII, Congedo, 2012, nella nota 61 di p. 128 si legge: distrutta da una mina inglese agli inizi del XIX secolo.
Tale informazione, però, aggiungo oggi, era già comparsa, con le stesse parole e virgole, in Rita Auriemma, Salentum a salo: porti, approdi, rotte e scambi lungo la costa adriatica del Salento, Congedso, Galatina, 2001, p. 156.
Andando, poi, a ritroso nella clonazione (altrimenti non so definirla), si giunge a quello che sembra essere l’originale , che, sempre nella forma già riportata, è in Francesco D’Andria, Lecce romana e il suo teatro, Congedo, Galatina, 1999, p. 119.
Ad ogni buon conto, ed è questa la cosa più eclatante, considerando lo spessore degli autori citati, senza ombrta di fonte.
Noto preliminarmente che il toponimo, unito ad un simbolo inequivocabile, risulta presente nel foglio 31 dell’Atlante Geografico del Regno di Napoli di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni pubblicato a Napoli dal 1808.
E le carte successive? Debbo ad un competente ed assiduo frequentatore di questo blog, che nei suoi gratificanti commenti si firma DrAnvilon, la volontà di approfondire la questione, grazie ad una mappa (Terra d’Otranto, Napoli, 1851 Eseguita sotto la direzione dell’autore B. Marzolla), della quale qualche giorno prima mi aveva fatto pervenire un ritaglio, del quale l’immagine che di seguito riproduco è un dettaglio, pensanco che potesse tornarmi utile per qualche eventuale post di interesse storico-geografico. E questa è la prima occasione che mi si è presentata. Dal dettaglio si direbbe che alla data del 1851 il castello fosse ancora in piedi.
Non è finita, perché in un’altra carta, reperita in rete, dello stesso autore e datata 1859, dalla quale ho tratto il dettaglio che segue, nulla, in riferimento all’oggetto di questa indagine, appare cambiato.
Antonio Rizzi Zannoni e Benedetto Mazzolla furono cartografi ufficialmente al servizio del regno e, se per il la carta del primo la data del 1808 attribuita per prudenza al foglio risulta compatibile col citato distrutta da una mina inglese agli inizi del XIX secolo, lo stesso non può certamente dirsi per le date delle due carte del Mazzolla. Mi pare poco probabile, anche perché non si tratta di mappe storiche che Castello S. Cataldo stia ad indicare solo un mucchio di rovine o che Castello sia da intendersi come Faro, ipotesi, questa, inaccettabile se si pensa che l’attuale faro alla data del 1865 era ancora allo stadio progettuale. E così il giallo del titolo per la soluzione attende un investigatore che non sia quella schiappa del sottoscritto.
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https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/05/lecce-porto-s-cataldo-cosi-al-tempo-adriano/
Associandomi fra le “schiappe” (ovviamente non investigative…per altri motivi), ricordo con piacere il noto aforisma di Daniel Pennac(chioni) secondo cui (ma non è il solo): “È per sistemare la storia che si incasina la geografia”.
Questi incasina_menti nella “nostra” storia salentina sono alquanto diffusi … per troppo amor del natio sol. Comunque sia, nel 1825 una carta geografica (vera) redatta con rilievi “de situ” non riporta alcuna indicazione circa una Torre né un Faro.
Peraltro, un’altra “geografica”, del 1676, molto dettagliata – specie a livello costiero – mostra sia la presenza del porto sia della Torre; circostanze fattuali che scompaiono nella carta “marittima” del Golfo di Venezia 1750 (Ediz. tascabile per gli ufficiali di rotta dell’ancora per poco “Serenissima”), in cui San Cataldo è rilevato solo punto costiero residuale e Spiaggia di Lezze.