di Armando Polito
È destino comune a tutti i toponimi di subire le cosiddette ingiurie del tempo, ma anche in questo caso i pesi e le misure non sempre sono equi. C’è, infatti, quello che si è conservato tale e quale (Roma), quello che è rimasto vittima di mutamenti fonetici più o meno imponenti, ma non tali da renderlo irriconoscibile almeno agli studiosi (Nardò da Neretum, Lecce da Lupiae), quello che già in tempi antichi ha cambiato veste solo parzialmente (Benevento è da Benventum, che prima aveva sostituito Maleventum), quello che, infime (ma la casistica non finisce qui) , è stato soppiantato da un concorrente non sempre sponsorizzato dalla damnatio memoriae.
Credo che nell’elenco già sterminato e che il tempo puntualmente rimpolperà potrebbe essere inserito il Vora del titolo. Per dimostrarlo mi avvarrò inizialmente dello strumento più suggestivo per il suo impatto immediato e che oggi detta legge: l’immagine. Nessuno, però, si aspetta di vedere non dico miniature tratte da qualche manoscritto ma semplici ingiallite foto d’epoca, che molto probabilmente non verranno mai alla luce, anche perché il fenomeno naturale, più precisamente geologico, in questione è molto diffuso nel nostro territorio, ricco di spunnulate1 e inghiottitoi e la normalità non ha mai fatto notizia, salvo, negli ultimi tempi, quella del male …
I documenti che mi accingo a presentare documenti hanno la loro bella età e, pensando agli strumenti della cartografia moderna tra i quali spiccano le immagini satellitari che ne consentono, volendo, un aggiornamento in tempo reale di un paesaggio globalmente soggetto, ormai, a rapidi cambiamenti, le tavole che riproduco in ordine cronologico e seguite dal dettaglio che ci interessa opportunamente ingrandito. fanno tenerezza.
Asciugata la lacrimuccia, comincio con la prima, che è Terra di Otranto olim Salentina et Iapigia La prima è di Giovanni Antonio Magini (1555-1617), pubblicata postuma dal figlio Fabio a Bologna nel 1620, con dedica, come si legge nel cartiglio in basso al centro, All’Ill.mo Sig.re, et Pron2. Coll. mo3 Ludovico Magnani dell’habito4 di S.to Jago.
Ho evidenziato con la sottolineatura tre topomimi. A nord dI Nardò si legge Vora, alla destra di un simbolo inequivocabile, come altrettanto inequivocabile ai fini dell’identificazione è come riferimento posizionale Logliastro5. La posizione corrisponde esattamente all’inghiottitoio oggi denominato ufficialmente Vora del Parlatano6, da sempre nota al popolo col nome di Ora ti li Culucci (dalla masseria Colucci, in prossimità della quale si trova).
Un nome comune, dunque, (vora) qui sembrerebbe diventato per antonomasia un toponimo, cioè un nome proprio. Tale dettaglio, insieme con le dimensioni del simbolo in rapporto alle proporzioni scalari e con la constatazione che le altre numerosissime vore presenti nella tavola sono rappresentate col solo simbolo (con la sola eccezione di un altro Vora che si legge accanto al simbolo a nord ovest di Casalnuovo, l’odierna Manduria), sottolinea la fama che da sempre questo inghiottitoio ha avuto, tanto da dar vita ad una similitudine popolare nell’espressione mi pari l’ora ti li Culucci (mi sembri la vora dei Colucci), con la quale viene stigmatizzata la voracità di qualcuno che pare inghiottire il cibo senza masticarlo.
E io, che di ghiottonerie linguistiche vado pazzo, posso perdere l’occasione di aprire una breve parentesi di dilettantesca (mi auguro dilettevole per qualche lettore) filologia? L’ora dell’espressione appena riportata nasce da vora con aferesi della v, fenomeno più che usuale nel nostro dialetto (valere>alire, vedere>itire; vincere>incìre; voce>oce, etc. etc.). Per le ulteriori considerazioni rinvio alla nota (altrimenti, dove starebbe la brevità della parentesi? …).7
Siamo ora alla seconda tavola: Terra di Otranto olim Salentina et Iapigia di Jean Blaeu pubblicata ad Amsterdam nel 1648.
Nel cartiglio in basso a sinistra si legge (il lettore potrà farlo agevolmente con l’immagine che segue) la dedica, sulla quale mi soffermo perché riguarda direttamente Nardò: ll.mo ac Rev.mo Domino D. FABIO CHISIO Episcop. Neritonensi, S.mi D. PP. Innocentii X, ad tractum Rheni et Infer. Germ. partes, Ordinario, nec non, ad tractatus generalis pacis Munasterii, extraordinario, cum potestate de latere Legati, Nuncio, Patrono suo colendiss.mo , D. D. D. Joh. Blaeu (All’illustrissimo e Reverendissimo Signore Don Fabio Chigi, Nunzio Ordinario del Santissimo Divino Pontefice Innocenzo X presso il tratto del Reno e le parti inferiori della Germania, nonché straordinario con potestà di legato a latere per i trattati di pace di Münste, suo padrone onorabilissimo Giovanni Blaeu diede dedicò in dono).
Mentre per Fabio Chigi rinvio a quanto indicato in nota 8, ricordo che il Blaeu (per par condicio …) dedicò un’altra sua tavola (Civitas Neritonensis vulgo Nardo) a Girolamo Acquaviva d’Aragona duca di Nardò.
Riprendendo l’esame già iniziato della mappa faccio notare come il titolo sembra plagiato dal Magini, il che non lascia presagire alcuna novità, per quanto in questo tipo di rappresentazione esse siano per natura rare. E infatti …
È la volta della terza: Terra di Otranto olim Salentina et Iapigia di Gerard Valck, pubblicata ad Amsterdam fra il 1670 e il 1690. Anche per questa valgono le considerazioni di scarsa originalità, al meno nel titolo …, fatte per la precedente.
L’osservazione riguardante, comunque, le caratteristiche dimensionale del simbolo, non fa escludere, a mio parere, che esso fosse connesso con il sistema di inghiottitoi di cui il Parlatano fa parte e che, perciò, il avesse una funzione di rappresentazione collettiva. È, infatti difficile immaginare che il sito, fra l’altro ancora oggi non eccessivamente antropizzato, abbia subito uno stravolgimento del suo aspetto e, in particolare, una riduzione della bocca del Parlatano.
È probabile, invece, che in breve tempo il toponimo Vora abbia perse la sua importanza, tant’è che esso è assente nella tavola che il De Rossi pubblicò presso la sua Stamperia alla Pace a Roma nel 1714, nonostante nel cartiglio si legga PROVINCIA DI TERRA D’OTRANTO GIÀ DELINEATA DAL MAGINI E NUOVAMENTE AMPLIATA IN OGNI SUA PARTE SECONDO LO STATO PRESENTE.
E Vora, quasi a sancire definitivamente la fine di un toponimo,manca pure nell’Atlante geografico del Regno di Napoli di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni del 1808, dove, nonostante il rapporto scalare imparagonabile con quello delle tavole precedenti, non si nota neppure il simbolo del nostro inghiottitoio.
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1 https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/05/29/la-palude-del-capitano-la-donna-malaffare
2 2 Abbreviazione di Padrone.
3 Abbreviazione di Colendissimo (latinismo:=omorabilissimo).
4 Per Ordine.
5 Ogni toponimo va preso con le pinze, nel senso che bisogna tener conto dei fattori che ne possono aver condizionato il rilevamento, tra cui il più importante coinvolge il settore degli informatori che, giocoforza, sono locali e, dunque, soggetti a problemi linguistici che spesso devono fare i conti con l’inttreccio tra forme dotte e popolari. È il caso tutt’altro che isolato, come fra poco vedremo anche con Vora, di Logliastro, frutto dell’agglutinazione dell’articolo, secondo la trafila Ogliastro>l’Ogliastro>Logliastro.
6 Nel 1749 Federico Colucci è proprietario della masseria Colucce, che comprende, oltre l’abitato, alcuni terreni: il pezzo Dell’Arene, del Parlatano, Dell’Otano, delle Ore e la chiusura della Ratta (Archivio di Stato di Lecce, atti del notaio Saverio Felline, anno 1749, cc. 46v-54r). Debbo questa preziosa informazione all’amico Marcello Gaballo. Essa, però, se ha sancito la relativa antichità del toponimo, ha suscitato in me ulteriori interrogativi, non per nulla l’appetito vien mangiando …, circa l’etimo del nostro e dei restanti toponimi. Posso solo avanzare ipotesi destinate a restare tali in assenza di pezze giustificative. Arene potrebbe alludere alle caratteristiche fisiche del terreno, come anche Ore (per vore, secondo quanto si dirà più avanti e soprattutto in nota 7) e lo stesso potrebbe valere per Otano, se è italianizzazione del dialettale lòtanu (=terreno fangoso, forma aggettivale dal latino lutum=fango, argilla, che continua nel latino medioevale lutare, che può significare lavare, ma anche il suo opposto, sporcare) attraverso la discrezione dell’articolo (Lotanu>l’Otanu>l’otano). Restano Ratta e, ironia della sorte, proprio Parlatano, per i quali, sempre ipoteticamente, potrebbe essere avanzata un’origine prediale.
7 Questo ha comportato che con l’aggiunta dell’articolo da la vora si è passati a la ora e, infine, a l’ora, in cui ora, anche se si conosce il latino ma si è sbrigativamente superficiali, può essere interpretato come derivante da ore(m), accusativo di os, che significa bocca e che in italiano ha dato solo la forma aggettivale orale e alla prima parte di composti come oro-faringeo, mentre il denominale orare (=parlare in pubblico, pregare) ha dato vita all’italiano orare e ai suoi derivati (oratore, oratorio, orazione). L’equivoco etimologico potrebbe essere ulteriormente alimentato, oltre che dall’affinità fonetica tra ore(m) e ora, anche da quella semantica, dal momento che la vora ella sua parte visibile non è altro che una grande, grandissima bocca. Bisognerebbe, però, dimostrare che il latino ore(m) e l’italiano vora sono parenti, il che non è. L’italiano vora, infatti, non nasce da un latino vora(m), che non esiste, ma è deverbale da vorare, che sempre in latino, ha dato vita a vorago (da cui l’italiano voragine) e vorax (da cui l’italiano vorace). Oltretutto orare comporta sì l’apertura della bocca, ma per un’emissione, mentre vorare coinvolge il concetto esattamente opposto, quello dell’immissione.
Dove si possono trovare le carte del Salento pubblicate nell’articolo, ma più leggibili?
Le due di Barbarano sono tuttora chiamate vore.
Basta digitare in Google i relativi titoli, selezionare “immagini” e, per quanto riguarda le dimensioni, “grandi”.