Maestri di scuola a Ruffano fra Ottocento e Novecento

di Paolo Vincenti

 

Come la vicina Taurisano[1], anche Ruffano vanta una serie di maestri elementari fra Ottocento e Novecento, esponenti di quella classe intellettuale che certo faticava a trarre fuori dall’analfabetismo la popolazione, assillata in quel torno di tempo da problematiche più urgenti come la miseria, la mancanza di lavoro e l’alta mortalità per malattia. In questa sede, non ci soffermeremo sul loro ruolo di insegnanti e sulle problematiche connesse all’esercizio della professione,[2] ma piuttosto sulla loro produzione letteraria, nei due secoli presi in esame.

Il primo maestro di cui ci occupiamo è Alfonso Mellusi (1826-1907), biografato da Aldo de Bernart nel bel saggio Un maestro di scuola nella Ruffano ottocentesca –Alfonso Mellusi-[3].  Originario di Ginosa ma proveniente da Alessano, aveva studiato presso il Seminario di Ugento e poi aveva perfezionato la formazione presso il Convento dei Cappuccini di Ruffano. Divenuto sacerdote, fu il primo maestro di scuola a vita (oggi si direbbe insegnante di ruolo) non solo a Ruffano ma nel Salento. “Sacerdote filosofo”, lo definisce de Bernart, “direttore di un corso per la formazione di maestri elementari”,[4] autore nel 1868 di un Catechismo religioso comparato con la storia sacra[5] che de Bernart pubblica in versione integrale nel succitato volume. Si tratta di un’opera sulla didattica dell’insegnamento della religione cattolica, che diede al maestro Mellusi grande prestigio e notorietà, tanto che nel 1900 il Re Umberto I lo nominò Cavaliere della Corona d’Italia.

Ma Ruffano negli stessi anni si dimostrava all’avanguardia anche sotto l’aspetto della parità di genere e dell’emancipazione femminile. Occorre ricordare almeno due nomi di maestre donne a cavallo fra Ottocento e Novecento: Marina Marzo e Angiola Guindani.[6]

Altro maestro di cui ci occupiamo è Carmelo Arnisi (1859-1909).  Oltre ad essere ricordato da Ermanno Inguscionella sua opera La civica amministrazione di Ruffano-Profilo storico[7], è stato al centro di una pubblicazione del 2003, a cura della Pro Loco di Ruffano: Carmelo Arnisi – Un maestro poeta dell’Ottocento, un pregevole volume con tre saggi, di Aldo de Bernart, Ermanno Inguscio e Luigi Scorrano, sulla vita e le opere del poeta ruffanese, fino ad allora quasi sconosciuto, nonostante a lui sia a Ruffano intitolata una strada[8].

Nel libro, pubblicato con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Ruffano, Cosimo Conallo, nell’Introduzione, sottolineava come fosse ormai tempo di riscoprire la figura di questo poeta ruffanese, intorno al quale non era mai stato fatto uno studio organico. Nel primo saggio, L’Arnisi e il suo tempo, Aldo de Bernart fa uno spaccato della società, della politica, dell’arte scultorea, pittorica ed architettonica del tempo in cui visse l’Arnisi, e parla delle sue fonti di ispirazione, delle sue frequentazioni con i maggiori protagonisti della cultura salentina dell’epoca, fra i quali il grande Cosimo De Giorgi, con cui egli era in corrispondenza, ed anche con gli esponenti della nobiltà locale, come le famiglie ruffanesi Castriota-Scanderbeg, Pizzolante -Leuzzi, Villani- Licci. <<Ispirandosi alla poesia di Luigi Marti […] che aveva cantato la “Verde Apulia”, l’Arnisi cantò la “Verde Ruffano”, in particolare S.Maria della Serra dove soleva recarsi, pellegrino di fede e d’amore…>>.[9] Il secondo saggio, Carmelo Arnisi (1859-1909) L’uomo il poeta, a cura di Ermanno Inguscio, ripercorre le tappe fondamentali della vita del poeta, la cui salute fu minata fin dalla giovane età da una persistente forma di tosse convulsa; l’infanzia serena trascorsa a Ruffano, presso la casa di Vigna La Corte prima e Casa Quarta, in Via Pisanelli, dopo, il suo lavoro di maestro elementare, l’amore per la cultura, la collaborazione con alcuni giornali dell’epoca, come “Il Corriere meridionale”, diretto da Nicola Bernardini, e la “Cronaca letteraria”, diretta da Giuseppe Petraglione; gli inverni a Ruffano e le estati trascorse a Leuca, ospite nelle ville delle famiglie Daniele, Castriota, Fuortes. Sempre ben disposto nei confronti degli amici, fra i quali il segretario comunale Donato Marti, era invece tagliente e fortemente sarcastico nei confronti degli usurai, che egli definì “vampiri sociali”, degli operatori di banca, “illustri parassiti”, e degli ipocriti. Morì, nel luglio del 1909, spossato da una forma grave di polmonite, a soli 49 anni. Alla sua morte, il giornalista e scrittore Pietro Marti traccia un elogio funebre sul giornale “La Democrazia”.[10] Nel terzo saggio, Sui versi di Carmelo Arnisi, Luigi Scorrano fa una attenta analisi dell’opera “Versi”, unica inedita dell’Arnisi, e dei manoscritti lasciati dal poeta e non pubblicati. Viene fuori il ritratto di un autore che si può ascrivere al filone della poesia sentimentale dell’Ottocento, influenzato da Leopardi, D’Annunzio, Pascoli, Carducci, dei quali trascrive molte poesie. La produzione dell’Arnisi è caratterizzata da toni intimistici, i temi sono gioie familiari, amore deluso, spesso tristezza e ripiegamento su se stesso; è costante, nelle sue liriche, la presenza della morte. Nell’opera non data alle stampe, che il curatore chiama “Versi 2”, per distinguerla da quella a stampa, indicata come “Versi 1”, compaiono altri motivi e fonti di ispirazione, come la natura, l’amor di patria, l’attenzione al sociale, gli scherzi nei confronti degli amici, la filiale devozione per la terra natale, Ruffano. Anche se non vi è una vera e propria connotazione locale nell’opera dell’Arnisi, che voleva evitare la dimensione municipalistica di una caratterizzazione estremamente tipicizzata, emerge comunque la salentinità del poeta e il suo attaccamento al borgo natìo. È stato il maestro Vincenzo Vetruccio il primo a riscoprire Carmelo Arnisi dal momento che, come giustamente rivendica in una sua pubblicazione autoprodotta[11], fu lui che ritrovò il manoscritto dell’Arnisi, Versi, inedito, lo fotocopiò e ne donò una copia al prof. Cosimo Conallo, all’epoca Presidente della Pro Loco, il quale si fece poi promotore della pubblicazione, affidandone l’incarico agli studiosi de Bernart, Inguscio e Scorrano. Nel quadernetto, Vetruccio riporta molte interessanti notizie biografiche e foto sull’Arnisi e sulla Ruffano del tempo in cui visse l’insegnante.

Ed eccoci a Pietro Marti (1863- 1933), il nome più altisonante fra gli intellettuali a cui Ruffano abbia dato i natali.[12]

Dalle svariate fonti in nostro possesso sappiamo che Pietro Marti nasce in una poverissima famiglia ruffanese, ma riesce tuttavia a studiare, tra mille sacrifici, ed a diplomarsi maestro elementare, attività che svolge a Ruffano, nei primi anni. Marti non aveva un carattere facile. Ben presto, i suoi rapporti con l’amministrazione comunale di Ruffano si fecero tesi ed egli, dopo ricorsi e sentenze del Consiglio di Stato, fu mandato ad insegnare a Comacchio. In realtà i motivi del suo esonero furono le arbitrarie assenze dal posto di lavoro. Oltre alle lettere, la sua grande passione è l’arte e l’amore per la sua terra, che lo studioso manifesta in vari modi, nella sua sfaccettata e multiforme attività. Spirito libero, brillante e poliedrico, si dà al giornalismo, fondando e dirigendo molte testate, fra le quali “La Voce del Salento”, “Arte e Storia”, “La Democrazia”, ecc. Il nome di Marti è anche legato alla nascita ed alla diffusione del Futurismo pugliese.  Nel febbraio del 1909, infatti, veniva pubblicato sul prestigioso giornale francese “Le Figarò” il Manifesto del Futurismo, la corrente letteraria fondata da Filippo Tommaso Marinetti. Sulla “Democrazia”, settimanale fondato e diretto da Pietro Marti, il 13 marzo 1909, vale a dire a meno di un mese di distanza dall’apparizione del manifesto Le futurisme sul “Figaro”, veniva pubblicato il “Manifesto politico dei Futuristi”. Ancora, dopo un periodo di parziale oblio del futurismo leccese, nel 1930, a smuovere le acque fu “La Voce del Salento”, nuovo settimanale fondato e diretto da Marti, con un articolo, a firma di Modoni, fortemente critico nei confronti dell’arte futurista. Questo articolo innescò l’effetto contrario rispetto a quello desiderato dal suo autore; vi fu infatti una levata di scudi, da parte degli esponenti del futurismo, in difesa del movimento. Lo stesso Marti, con lo pseudonimo di Ellenio, pur chiamandosi fuori dalla rissa che si era scatenata, esprimeva forti perplessità sulla concezione futurista dell’arte. E tuttavia, da intellettuale aperto e illuminato, pur non in sintonia con le idee dei giovani futuristi, accettava di pubblicare qualsiasi intervento. Si ritrovò così a dare spazio ad un gruppo di giovani artisti leccesi, che si chiamerà “Futurblocco”, capeggiato dall’allora poco più che adolescente Vittorio Bodini, nipote dello stesso Marti, il quale ricorderà sempre il nonno in pagine di grande affetto. Molti i meriti di Marti nell’arte. Da vero talent scout, fece conoscere al grande pubblico i giovani artisti salentini, con l’allestimento di Biennali d’arte a Lecce. Fu Regio Ispettore ai Monumenti della Provincia di Lecce, dal 1923 al 1929, e Direttore della Biblioteca provinciale “Nicola Bernardini” fino alla morte. Oltre ad una biografia di Antonio Bortone, in cui Marti dimostra la propria ammirazione per lo scultore ruffanese,[13] scrisse diverse opere di carattere storico, artistico e letterario. Fra queste, una la dedica proprio al filosofo taurisanese Giulio Cesare Vanini. Al martire di Tolosa, Marti si sentiva molto vicino per indole e temperamento e ne sposava idealmente la causa. Il libro è Giulio Cesare Vanini del 1907.[14] Marti, nel suo elogio del filosofo, definito il “precursore del trasformismo scientifico”, seguendo le parole di Bodini[15], passa in rassegna tutti gli studiosi che avevano severamente contestato il Vanini e quelli che invece lo avevano difeso. Si sofferma lungamente sulle vicende biografiche di Vanini, sulle numerose tappe del suo lungo peregrinare e soprattutto sulle sue opere, approfondendo il pensiero del filosofo, che inquadra nel contesto storico in cui visse e operò. Porta illustri esempi di filosofi del Cinquecento, Seicento, Settecento, per esaltare l’eroismo di Vanini, e tuttavia non si sottrae a quella visione che erroneamente lo considerava un martire della repressione cristiana se non un Giordano Bruno minore. Da citare anche l’opera Nelle terre di Antonio Galateo, [16]che faceva riferimento al grande autore del De situ Iapigiae, l’erudito del Cinquecento Antonio De Ferraris, di Galatone.

In tutto, si conservano circa 40 opere di Marti presso la Biblioteca provinciale di Lecce, che gli costarono molti anni di paziente ricerca, agevolata sicuramente dal suo incarico di Direttore della Biblioteca provinciale, nella quale egli profuse grandissimo impegno e amore per la nobile cultura di cui si sentiva paladino. Per questo, esaminò un numero impressionante di documenti e svolse ricerche sul campo per tutto il corso della sua carriera. Pietro Marti muore il 18 luglio 1933; a lui a Ruffano, è anche intitolata una via.   

 

Note

[1] Si rinvia a Francesco De Paola, Stefano Ciurlia, L’istruzione elementare nella Taurisano del Novecento: esperienza, memoria, immagini, in Aa. Vv., Humanitas et Civitas. Studi in memoria di Luigi Crudo, a cura di Giuseppe Caramuscio e Francesco De Paola, Società di Storia Patria-Sezione di Lecce, “Quaderni de l’Idomeneo”, Galatina, Edipan, 2010, pp.123-184.

[2] Si veda Aldo de Bernart, Il maestro di scuola nel Salento Borbonico, Tipografia di Matino, 1965.

[3] Aldo de Bernart, Un maestro di scuola nella Ruffano ottocentesca –Alfonso Mellusi, Galatina, Congedo, 1990.

[4] Aldo de Bernart, Carmelo Arnisi e il suo tempo, in Aldo de Bernart, Ermanno Inguscio e Luigi Scorrano, Carmelo Arnisi Un maestro poeta dell’Ottocento, Galatina, Congedo, 2003, p17.

[5] Alfonso Mellusi, Catechismo religioso comparato con la storia sacra, Lecce, Tip. Gaetano Campanella, 1868.

[6] Aldo de Bernart, Un maestro di scuola nella Ruffano ottocentesca –Alfonso Mellusi cit., p.10.

[7] Ermanno Inguscio, La civica amministrazione di Ruffano-Profilo storico, Galatina, Congedo,1999, pp.176-179 ed anche Idem, Amici e mecenati in alcune liriche del poeta Carmelo Arnisi (1859-1909), in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria sezione Maglie, n. XII, Lecce, Argo, 2000, pp.193-203.

[8] Aldo de Bernart, Ermanno Inguscio e Luigi Scorrano, Carmelo Arnisi – Un maestro poeta dell’Ottocento, Galatina, Congedo, 2003.

[9] Aldo de Bernart, Carmelo Arnisi e il suo tempo, in op.cit., p.19.

[10] Pietro Marti, Lutto nell’arte, in “La Democrazia”, n.27, Lecce, 11 luglio 1909, riportato da Ermanno Inguscio nel suo saggio Carmelo Arnisi (1859-1909) L’uomo il poeta, in Carmelo Arnisi – Un maestro poeta dell’Ottocento cit., p.38, nel quale riporta anche il necrologio dell’Arnisi scritto sul “Corriere Meridionale” dell’8 luglio 1909: Ivi, p.29.

[11] Vincenzo Vetruccio, Carmelo Arnisi (Maestro-poeta/ 1859-1909), s.d..

[12] Sulla figura dell’erudito Pietro Marti (1863-1933), storico, giornalista, conferenziere, illustre concittadino di Ruffano, esiste una cospicua bibliografia. Tra gli altri:

Carlo Villani, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani, Vallecchi, 1904, p.578 (nuova edizione Napoli, Morano, 1920, pp-137-138);  Domenico Giusto, Dizionario bio-bibliografico degli scrittori pugliesi (dalla Rivoluzione Francese alla rivoluzione fascista), Bari, Società Editrice Tipografica, 1929, pp.187-188;  Aldo de Bernart, Nel I centenario della nascita di Pietro Marti, in “La Zagaglia”, Lecce, n. 21, 1964, pp.63-64;  Pasquale Sorrenti, Repertorio bibliografico degli scrittori pugliesi contemporanei, Bari, Savarese, 1976, pp.375-376; Ermanno Inguscio, La civica amministrazione di Ruffano (1861-1999). Profilo storico, Galatina, Congedo, 1999, pp.174-175; Paolo Vincenti, Pietro Marti da Ruffano, in “NuovAlba”, dicembre 2005, Parabita, 2005, pp-17-18; Aldo de Bernart, In margine alla figura di Pietro Marti,  in “NuovAlba”, aprile 2006, Parabita, 2006, p.15;  Ermanno Inguscio, Vanini nel pensiero di Pietro Marti, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia sezione di Maglie, n. XX, Lecce, Argo, 2009, pp.137-148;Idem, Pietro Marti direttore di giornali, in “Terra di Leuca. Rivista bimensile d’informazione, storia, cultura e politica”, Tricase, Iride Edizioni, a. VII, n. 39, 2010, p. 6; Idem, L’attività giornalistica di Pietro Marti, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia sezione di Maglie, n. XXI, Lecce, Argo, 2010-2011, pp.227-234; Idem, Il giornalista Pietro Marti, in “Terra di Leuca. Rivista bimensile d’informazione, storia, cultura e politica”, Tricase, Iride Edizioni, a.VIII, n.40, 2011, p.7; Idem, Liborio Romano e le ragioni del Sud nel periodo postunitario. Il contributo di Pietro Marti sul patriota salentino, in “Risorgimento e Mezzogiorno. Rassegna di studi storici”, n.43-44, dicembre 2011, Bari, Levante, 2011, pp.147-161; Idem, Pietro Marti e la cultura salentina. Apologia di Liborio Romano, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia sezione di Maglie, n. XXII, Lecce, Grifo,2012, pp.164-185; Aldo de Bernart, Cenni sulla figura di Pietro Marti da Ruffano, Memorabilia n.35, Ruffano, Tip. Inguscio e De Vitis,2012; Ermanno Inguscio, Pietro Marti, il giornalista, il conferenziere, il polemista, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia sezione di Maglie, n. XXIII, Lecce, Argo, 2013, pp.40-58; Idem, Pietro Marti (1863-1933) Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto, a cura di Marcello Gaballo, Fondazione Terra D’Otranto, Nardò, Tip. Biesse, 2013.

[13] Pietro Marti, Antonio Bortone e la sua opera, Lecce, 1931.

[14] Pietro Marti, Giulio Cesare Vanini, Lecce, Editrice Leccese, 1907; su quest’opera si sofferma Ermanno Inguscio in Vanini nel pensiero di Pietro Marti, contenuto nel suo libro Pietro Marti (1863-1933) Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto, a cura di Marcello Gaballo, Fondazione Terra D’Otranto, Nardò, Tip. Biesse, 2013, pp.123-134.

[15] Vittorio Bodini, In memoria di Pietro Marti. La vita e l’opera, in “La Voce del Salento”, n,11, Lecce, 18 maggio 1933, p.1.

[16] Pietro Marti, Nelle terre di Antonio Galateo, Lecce, 1930.

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