Mattia Bacile, chierico in Spongano e la sua dimora in contrada “Le More”. Note storiche di approfondimento*
di Filippo Giacomo Cerfeda
Nella monografia su Spongano di Fernando De Dominicis (vol. I, pag. 513), nelle pagine dedicate alla famiglia Bacile, leggiamo che Mattia Bacile è fratello di Gennaro e zio di Ippazio Bacile. Fu sacerdote in Roma, ma nel Catasto Onciario del 1749 è ancora accatastato come chierico ed aveva 45 anni.
Fece costruire un casino di campagna con una cappella, lontano dall’abitato di Spongano, sulla strada in contrada “le More”. Sul parapetto faceva bella mostra di sé un ostensorio in pietra locale che è misteriosamente scomparso. Raffigurava il segno eucaristico dell’ostia con raggiera proprio dell’Ordine Riformato di San Bernardino da Siena che si richiamava a San Francesco; aveva, al centro, inciso le lettere IHS (Jesus Hominum Salvator) con la lettera H sormontata da una croce e tre chiodi, i segni della passione. Lo stesso stemma è usato anche dai Gesuiti. Inoltre, su quello che una volta fu l’ingresso principale, si intravedono i resti di una epigrafe ormai illeggibile.
Molti cittadini di Spongano ricordano benissimo l’ostensorio in pietra, poi trafugato, del casino Mattia. Una perdita veramente significativa per la storia civile e religiosa non solo della famiglia Bacile ma anche della comunità sponganese.
A queste informazioni, che riteniamo importanti, desidero aggiungere i contenuti essenziali di alcuni documenti e atti notarili inediti scoperti recentemente nell’Archivio di Stato di Lecce.
In un atto notarile del 18 aprile 1723 si legge che il chierico Mattia Bacile di Spongano è il Procuratore (cioè Priore) della Confraternita del Santissimo Sacramento. Sicuramente tale Confraternita, come tutte le altre omologhe Confraternite sotto lo stesso titolo, non aveva una cappella propria ma la sede reale e giuridica sull’altare centrale o qualche altare laterale della chiesa parrocchiale di Spongano. Da tener presente che 9 su 10 Confraternite nel Salento, sotto il titolo del SS. Sacramento, avevano sede legale e giuridica nell’altare centrale della chiesa, quasi sempre sotto lo stesso titolo. Dall’atto notarile apprendiamo che il sodalizio del SS. Sacramento, oltre a garantire le attività di culto e quelle devozionali, praticava anche l’Istituto del microcredito, ossia prestiti in denaro a coloro che avevano specifico bisogno e che avanzavano formale richiesta. Il tasso di interesse era valutato in base alle leggi vigenti dalla Chiesa Cattolica; per questo erano chiamati anche censi bollari, perché i meccanismi di prestito e i tassi percentuali erano regolati dalle Bolle pontificie. L’oggetto del rogito notarile è l’affrancamento di un censo bollare di 9 carlini per un capitale censo di 10 ducati. In pratica il debitore restituisce alla Confraternita la somma di dieci ducati di capitale che aveva richiesto molti anni prima e, nello stesso tempo, si libera (affrancamento) anche dal pagamento annuale degli interessi di 9 carlini. La pratica dei censi bollari era molto redditizia per i privati facoltosi o per le Istituzioni che operavano in questo settore e consentiva al povero cittadino di usufruire di piccole somme di denaro con interessi che andavano dal 5% al 9%. In verità i pontefici avevano imposto dei limiti (9%) oltre il quale si sconfinava nell’usura.
Spesso bisognava motivare la richiesta del prestito: l’acquisto del terreno per edificare la casa al proprio figlio oppure per la dote nuziale della propria figlia oppure per il pagamento delle numerose tasse di decime e quindecime dovute al feudatario o al regio fisco. Vogliamo pensare che il chierico Mattia Bacile abbia impiegato le rendite dei capitali censi per la manutenzione dell’altare, per le opere di culto e per le spese delle lampade votive o per il sostentamento del cappellano che celebrava (su quell’altare) le messe pro anima dei confratelli defunti.
In un altro atto notarile del 4 aprile 1726, rogato per il testamento di Francesco Russo di Diso, scopriamo che il testatore è marito di Feliziana Bono ed è padre di Vito Antonio Russo. Francesco Russo è zio del chierico Mattia Bacile di Spongano e di Gennaro Bacile. Gli altri nipoti sono i tre fratelli: il chierico Carmine Russo, Giuseppe Russo e Paolino Russo. In realtà il nostro Mattia Bacile è imparentato con i Russo di Diso, famiglia benestante e cospicua che ha dato origine a diversi notai, e, come descritto nell’atto, anche beneficiario di molti beni lasciati in eredità dallo zio Francesco Russo.
Un documento inedito estremamente importante per la storia del nostro personaggio Mattia Bacile e della feudalità di Miggiano nel Settecento è un contratto di affitto del feudo di Miggiano del 1734. Si tratta di un atto notarile rogato dal notaio Vito Resce di Diso e attualmente custodito nell’archivio di Stato di Lecce.
L’atto notarile è stato rogato nella città di Castro, alla presenza di Giovanni Russo, regio giudice ai contratti, e dei testimoni don Saverio Calò, dottore in diritto civile e canonico e parroco di Castro, del sacerdote don Antonio De Blasi di Diso e di Ippazio Rizzo e Antonio Ciriolo, entrambi di Castro.
Davanti al notaio si costituiscono mons. Giovanni Battista Costantini, vescovo di Castro utile Signore e Barone della Terra di Miggiano, da una parte; Oronzo Bacile con il figlio Mattia, chierico, entrambi di Spongano, dall’altra parte.
Il vescovo Costantini dichiara di voler concedere in affitto la “Terra” di Miggiano”, sua baronia, e per questa ragione intende stabilire una convenzione con il maestro Oronzo ed il figlio Mattia, intervenuti in solidum nel contratto di affitto dell’intero feudo di Miggiano.
Il padre e il figlio Bacile quindi accettano la concessione del feudo con tutta la sua giurisdizione civile e mista, con tutti i diritti, azioni, ragioni, esazioni, tributi, con tutti i suoi beni, tanto feudali quanto burgensatici, palazzo baronale, case, corti, frantoio, forno, vassalli, vassallaggi, masserie, territori seminativi, uliveti, terreni macchiosi e montuosi (“cutosi”) colti ed incolti, giardini, rendite, frutti, proventi, pagamenti, decime, annui censi, erbaggi, pascoli, ed ancora tutti i beni che appartengono alla medesima baronia siti nel territorio di Miggiano ma anche in quello di Acquarica del Capo, con il Banco della giustizia, mastrodattia, con tutta la giurisdizione delle cause civili e miste e con le quattro lettere Arbitrarie di poter comporre i delitti e commutare le pene, per gli stessi delitti, da corporali in pecuniarie, rimettere le pene e concedere la grazia in tutto o in parte.
L’affitto è stabilito per la durata di tre anni consecutivi, a decorrere dal 1° settembre 1734 fino al 31 agosto 1737, al prezzo di 550 (cinquecento cinquanta) ducati l’anno, per un totale complessivo di 1650 ducati per l’intero triennio.
Il pagamento annuale deve avvenire nella città di Castro, sede episcopale, alla presenza diretta di mons. Costantini, in moneta d’argento in uso nel Regno di Napoli. I conduttori del feudo, Oronzo e il figlio Mattia, promettono e si obbligano in solidum di pagare l’affitto annuale alla fine di ogni semestre, ossia la somma di 275 ducati per sei semestri consecutivi e di non mancare né cessare tale pagamento “semestratim” per qualsiasi causa, caso ed eccezione di legge o per qualsiasi titolo, pretesto, nonché per cause di guerra, peste, di insolita sterilità del terreno, tempeste, gelate, grandinate, nevicate, invasione di bruchi, malattia alle olive (brusca) e per qualsiasi altro caso fortuito, opinato e inopinato che dovesse accadere quando fosse insopportabile e inevitabile di forti grandinate devastanti o terribile invasione di bruchi. In altri termini, nel contratto viene stabilito che solo in questi due casi (grandinate devastanti e invasione di bruchi) il vescovo Costantini doveva scomputare dall’affitto la somma relativa al danno, secondo il parere e giudizio di persone esperte in agricoltura e secondo le disposizioni delle leggi e dei dottori in agraria.
Gli stessi Bacile, padre e figlio, per il menzionato affitto, ricevono in dote dal vescovo barone tomoli trenta di grano, tomoli settanta di orzo, entrambi di ottima e recettibile qualità, insieme con tre bovi, una “vacca figliata” ed una carretta per il trasporto del letame. Solo per gli animali e la carretta il valore viene stimato in ducati 80. Al termine del triennio di conduzione gli affittuari sono tenuti e obbligati di restituire e consegnare al titolare della baronia l’intera dote, comprensiva di vettovaglie, bestiame e carretta.
Le ultime due clausole, previste dal contratto, riguardano mons. Costantini. La prima è l’obbligo del vescovo di non rimuovere né di far rimuovere i due affittuari durante il loro esercizio della conduzione del feudo; la seconda riguarda il godimento del frutto della vigna dell’autunno 1734, spettante di diritto ai precedenti conduttori, Oronzo e il figlio Gennaro Bacile, che dopo la decadenza del precedente contratto (agosto 1734) spetta ai nuovi affittuari ossia Oronzo e figlio Mattia. Questi ultimi sono anche beneficiari del frutto delle olive della raccolta novembre 1734-febbraio 1735, mentre il frutto delle olive dell’anno 1737 doveva restare esclusivamente a beneficio del Costantini.
Da quest’ultima clausola veniamo ad apprendere che nel triennio 1731-1734 il feudo di Miggiano era stato concesso in conduzione ad Oronzo e al figlio Gennaro Bacile, sostituito quest’ultimo, nel contratto successivo, dal fratello clerico Mattia per motivi non esplicitati nell’atto notarile.
Non conosciamo al momento della nostra indagine archivistica se altri e successivi contratti di proroga siano stati stipulati con la famiglia Bacile per la concessione in affitto della “Terra” di Miggiano; elementi non documentari però ci inducono a ritenere che la stessa famiglia Bacile abbia avuto tale concessione nei trienni successivi almeno fino al sopraggiungere di altri conduttori non locali per la gestione del feudo.
Tra gli elementi di prova della continuità della famiglia Bacile è la realizzazione del loro frantoio ipogeo a Spongano. Le ingenti quantità di olive prodotte nel feudo ecclesiastico di Miggiano nell’annata 1734 ed in quelle successive pongono le premesse per la realizzazione di un grande frantoio ipogeo nell’abitazione di Oronzo, certamente coadiuvato dai figli Gennaro e Mattia. Sull’architrave della porta d’ingresso del frantoio è incisa a chiare lettere l’iscrizione latina A[nno] D[omini] 1736, seguita, a breve distanza e sullo stesso lato della strada, da un’altra data (1760) segnata sull’architrave di una finestra della facciata del palazzo Bacile che potrebbe indicare la progressione dei lavori di ampliamento dello stesso palazzo.
Nell’atto di battesimo del 10 settembre 1739 di Domenico Fedele Nicola Bramante, figlio di Ippazio Bramante e Maria Stefanelli, coniugi di Miggiano, amministrato dal parroco di Miggiano don Vincenzo Scolozzi, leggiamo che i padrini del piccolo furono il chierico Mattia Bacile ed Elisabetta Bacile, entrambi figli di Oronzo Bacile di Spongano. Mattia Bacile si presenta con la licenza del reverendissimo Vicario di Ugento, opportunamente esibita all’arciprete di Miggiano prima del battesimo. Chiara ed esplicita nell’atto di battesimo l’identità di Mattia Bacile, identificato come “chierico”.
Particolarmente significativo è l’atto notarile del 13 luglio 1746, rogato dal notaio di Spongano Teodoro Bacile. Purtroppo, i protocolli del 1746, come tutti gli altri protocolli di Teodoro Bacile, non sono mai stati versati nell’archivio di Stato di Lecce. Per tale ragione li riteniamo scomparsi o forse giacenti in qualche archivio privato degli eredi e discendenti della famiglia Bacile di Spongano. Del rogito però del 13 luglio 1746 abbiamo un chiarissimo regesto all’interno dei Protocolli notarili del Giudice ai Contratti Tommaso Scarciglia di Spongano. Nei regesti dell’anno 1746, in corrispondenza del mese di luglio, troviamo la seguente annotazione manoscritta:« Listesso giorno le trideci del mese di Luglio mille sette cento quaranta sei nel Casale di Spongano Notaro Teodoro Bacile di detto Spongano in mia presenza stipulò uno istrumento di afrancazzione dun capitale Censo di docati quindici alla raggione del nove per cento a favore di Domenico Pisino di Surano contro la venerabile cappella di S. Antonio di Spongano e suo procuratore Clerico Mattia Bacile di Spongano. Testimoni Clerico Crisostomo Bacile, Clerico Paolo Scarciglia, e Nicolò Rizzo di Spongano litterati. Io Tomaso Scarciglia del Casale di Spongano Reggio Giudice a Contratti.».
Nonostante la sobrietà del regesto, il Regio Giudice Scarciglia ci consegna alcuni dati molto significativi, relativi alla cappella di Sant’Antonio ed al suo procuratore Mattia Bacile. Siamo certi che si tratta della cappella di famiglia Bacile, prospiciente il palazzo Bacile. Sull’architrave della porta d’ingresso della cappella di Sant’Antonio (come viene esplicitamente denominata nell’atto notarile e nel regesto del giudice Tommaso) è incisa la data 1747, lasciando ogni ombra di dubbio sulla edificazione della stessa cappella. Tuttavia, l’atto notarile di Teodoro, redatto il 13 luglio 1746, mette in chiara evidenza lo stato di preesistenza della cappella, egregiamente amministrata dal chierico Mattia Bacile, nel ruolo di procuratore della stessa e gestore del patrimonio immobiliare. Cospicue dovevano essere le rendite dei beni legati alla cappella, tanto da consentire la pratica creditizia a coloro che ne facevano esplicita richiesta. Nel nostro caso, Domenico Pisino di Surano, per sue necessità familiari, aveva ottenuto in prestito quindici ducati al tasso del nove per cento. Dopo i pagamenti rateali tertiatim, ossia tre volte l’anno ogni quattro mesi, giunge finalmente all’affrancazione attraverso la restituzione della somma che aveva ottenuto. Il chierico Mattia Bacile riceve in tal modo la somma del capitale censo che aveva sborsato alcuni anni prima e rilascia finale quietanza a Domenico Pisino di Surano. L’assenza di istituti bancari o di credito nelle piccole realtà salentine consentiva ai procuratori di chiese e cappelle di istituire procedure di microcredito a vantaggio dei più bisognosi. I tassi percentuali di interesse variavano dal sei al nove per cento. Quasi sempre erano privati cittadini facoltosi che praticavano tassi al sei per cento, mentre i procuratori di cappelle garantivano capitali più consistenti ma a tassi più elevati. Le rendite derivanti dai pagamenti rateali venivano quasi sempre impiegate nella concessione di altri capitali censi e nelle spese per gli arredi sacri delle cappelle, nonché al sostentamento del cappellano rettore della stessa cappella. I testimoni presenti all’atto notarile sono altri chierici di Spongano: Crisostomo Bacile, Paolo Scarciglia e Nicolò Rizzo, tutti letterati.
L’ultima osservazione dell’atto notarile è rivolta alla denominazione della cappella, edificata sotto il titolo di Sant’Antonio. Solo nei decenni successivi in tutti i documenti ufficiali riscontriamo il titolo “Vergine dei Dolori” o dell’Addolorata.
L’atto notarile del 27 novembre 1747 contiene informazioni interessanti sul chierico Mattia Bacile. Nel rogito è inserito il Mandato di procura da parte di Francesco Sergi di Poggiardo del 21 ottobre 1747, l’atto notarile del 27 ottobre 1747 relativo alla vendita a favore dei fratelli Gennaro e chierico Mattia Bacile ed infine l’atto notarile della ratifica della vendita datato 27 novembre 1747. Di questi documenti si presenta un breve regesto:
Mandato di procura da parte di Francesco Sergi di Poggiardo effettuata a Napoli il 21 ottobre 1747
Francesco Sergi di Poggiardo non potendo attendere e nemmeno essere presente di persona per l’atto notarile, per la distanza del luogo ma confidando nella fiducia e lealtà di Domenicantonio Pede, il medesimo, benché assente ma come se fosse presente, lo creo e lo costituisco mio Procuratore con tutta quella pienezza e potestà che si ricerca alle cose infrascritte, affinché in mio nome, rappresentando la propria mia persona, possa e voglia vendere ed alienare liberamente e senza patto di ricomprare, o speranza di riavere a tutti, e qualsivogliano uomini e persone che vorranno attendere alla compra suddetta la parte, e porzione che li spetta così su i beni del quondam Carlo Sergi di Poggiardo, mio padre, come quella che spetta su li beni della signora Annamaria De Matteis mia madre siti li beni predetti in diversi luoghi e Terre per il prezzo che meglio potrà convenire con i futuri compratori, esigere il prezzo suddetto e quietare in ampia forma, con promettere ancora la ratifica di me predetto costituente fra giusto e competente tempo, e di detta vendita farne rogare pubblico istrumento per mano di qualsiasi pubblico notaio con tutte le clausole e cautele necessarie, solite apponersi in simili contratti.
Mandato di procura da parte di Francesco Sergi di Poggiardo effettuata a Napoli il 21 ottobre 1747
Francesco Sergi di Poggiardo ma dimorante a Napoli, per essere impedito per la distanza del luogo di rendersi presente di persona per l’atto notarile, nomina e costituisce come suo Procuratore speciale il suo patrigno Domenicantonio Pede perché confida nella sua bontà e lealtà. Lo crea e lo costituisce suo Procuratore con tutta quella pienezza e potestà che si ricerca in simili circostanze, affinché in suo nome possa rappresentarlo davanti al notaio con concedergli la facoltà di poter e voler vendere ed alienare liberamente e senza patto di ricomprare, o speranza di riavere a tutti e qualsivogliano uomini e persone che vorranno attendere alla compra suddetta la parte e porzione che li spetta sui beni del defunto suo padre Carlo Sergi di Poggiardo, così come su quella parte dei beni spettanti a sua madre Annamaria De Matteis. I beni dei suoi genitori sono situati in diversi luoghi e Terre e potranno essere venduti da Domenicantonio Pede al prezzo che meglio potrà convenire con i futuri compratori, esigere il prezzo conveniente e rilasciare quietanza in ampia forma, con promettere ancora la ratifica nella sua persona fra giusto e competente tempo, e di detta vendita farne rogare pubblico atto notarile per mano di qualsiasi pubblico notaio con tutte le clausole e cautele necessarie, solite apponersi in simili contratti.
Atto notarile del 27 ottobre 1747. Vendita a favore dei fratelli Gennaro Bacile e chierico Mattia Bacile
Il giorno 27 ottobre 1747 in Poggiardo, nelle case dei signori Sergi, davanti al notaio Stefano Fello di Poggiardo si costituiscono i signori:
– i coniugi Domenicantonio Pede ed Annamaria De Matteis; il signor Domenicantonio Pede interviene come procuratore speciale di Francesco Sergi, suo figliastro, assente in vigore di mandato di procura;
– Marina Sergi, monaca bizzoca con l’abito di Sant’Ignazio, figlia di Annamaria De Matteis, nata dal primo matrimonio, da una parte;
– i fratelli chierico Mattia Bacile e Gennaro Bacile, dall’altra parte.
I signori Domenicantonio Pede, Annamaria e Marina spontaneamente asseriscono davanti al notaio e davanti ai fratelli Bacile di avere, tenere e possedere come veri signori e padroni, con giusto titolo, una chiusura seminatoria nominata “Vignavecchia” o “Caudanova”, di capacità di terra di circa dieci tomoli, sita e posta nel feudo di Vaste, la maggior parte ed una porzione di capacità di cinque stoppelli, quantunque nelle pertinenze di Vaste, è del suffeudo della mensa vescovile di Castro. Tale vendita è motivata da loro urgenti e comuni bisogni, dalla loro casa e famiglia per alimentarsi in questa annata tanto scarsa ma soprattutto per pagare al reverendo sacerdote don Giuseppe Maggiulli di Muro la somma di cento ducati insieme ad altri cinque ducati di rate arretrate. Le parti costituite hanno deliberato e stabilito, insieme con Francesco Sergi, di vendere e liberamente alienare la predetta chiusura ed avutone trattato con i fratelli Bacile, con i medesimi rimase conclusa nel modo seguente: vendono ed alienano, ed a detto titolo per fustem jure, la chiusura suddetta, come sopra descritta, sita e confinata. Tale vendita è fissata al prezzo di ducati duecentosessantatre, tanto apprezzata, stimata e valutata dai sacerdoti don Paolino Pede di Diso e don Nicola Paiano di Surano, esperti comunemente eletti. Della stima effettuata dai due sacerdoti, periti in agricoltura, i signori Sergi esprimono piena soddisfazione, così come anche per il ricevimento della somma di denaro contante da parte dei fratelli Bacile. Dopo queste operazioni i signori Sergi con giuramento rilasciano finale quietanza, liberano e assolvono i fratelli compratori.
Atto notarile del 27 novembre 1747. Ratifica di vendita
Il 27 novembre 1747, in Diso, e precisamente nel Convento dei frati cappuccini, davanti al notaio Stefano Fello di Poggiardo si costituiscono i signori:
– Francesco Sergi di Poggiardo, da una parte;
– i fratelli chierico Mattia e Gennaro Bacile di Spongano, dall’altra.
Francesco Sergi spontaneamente dichiara che nei mesi scorsi, dimorando nella città di Napoli, fece un atto di procura con il quale istituì suo procuratore il signor Domenicantonio Pede, suo patrigno, al quale diede la facoltà di vendere e alienare i suoi beni a qualsiasi persona, stipularne le cautele e promettere in suo nome la ratifica nei termini competenti. In vigore di quella procura il signor Domenicantonio, in data 27 ottobre 1747, tanto in nome di Francesco Sergi, quanto in suo proprio nome et in solidum con Annamaria De Matteis e Marina Sergi, sorella di Francesco Sergi, per comuni e urgenti bisogni e per soddisfare alcuni loro creditori, vendettero ai fratelli chierico Mattia e Gennaro Bacile una chiusura seminatoria di dieci tomoli sita nel feudo di Vaste, nominata “Lama vigna vecchia” o anche “Caudanova” e promettendo al suo procuratore la ratifica da farsi dallo stesso Francesco Sergi fra il termine di due mesi. Con il presente atto il signor Francesco Sergi ratifica la vendita fatta per procura a favore dei fratelli Gennaro e Mattia Bacile.
L’ultimo documento che presentiamo in questa carrellata documentaria è l’atto notarile del 2 gennaio 1748 rogato da Stefano Fello di Poggiardo: “Quietanza, e cessione d’azzioni, e raggioni a favore del Chierico Mattia e Gennaro Bacile fratelli di Spongano, fatta dal sacerdote D. Giuseppe Maggiulli di Muro”.
Il due gennaio 1748, nella “Terra” di Muro, e precisamente nelle case del signor Don Ignazio Papadia, davanti al notaio si sono costituiti i signori:
– il reverendo sacerdote don Giuseppe Maggiulli di Muro, da una parte;
– Gennaro Bacile della “Terra” di Spongano, il quale agisce ed interviene tanto per sé stesso, quanto in nome e parte del chierico Mattia Bacile suo fratello, assente, dall’altra parte.
Il reverendo don Giuseppe spontaneamente asserisce alla presenza del notaio e di Gennaro Bacile che il 21 giugno 1746 a richiesta delle signore Anna Maria De Matteis e Marina Sergi, madre e figlia della “Terra” di Poggiardo, per loro bisogni e per far loro cosa gradita, prese a censo dal convento “Santo Spirito” di Muro ducati cento alla ragione del nove per cento, come appare dall’atto notarile rogato dal notaio Lega di Muro in data 26 giugno 1746. Le suddette signore per indennità dello stesso don Giuseppe, penes acta del Regio Tribunale del Consolato della città di Lecce, si obbligarono di pagare i cento ducati con tutte le rate al detto don Giuseppe per tutta la fine del mese di ottobre 1746. Gennaro Bacile soggiunse che esso in solidum con suo fratello chierico Mattia comprarono il 27 ottobre 1747 da Anna Maria De Matteis e Marina Sergi e dai signori Domenicantonio Pede e Francesco Sergi in solidum una chiusura seminatoria sita nel feudo di Vaste nominata “vigna vecchia” o “Caudanova”, per il prezzo di ducati duecentosessantuno, dai quali venditori furono delegati pagarne a don Giuseppe Maggiulli ducati cento insieme con altri ducati cinque di rate decorse e non pagate. Gennaro Bacile quindi in suo nome si è dichiarato disponibile a versare al sacerdote Maggiulli ducati cento di capitale insieme con altri ducati tredici e grana ottanta di rate decorse che lo stesso don Giuseppe ha pagato al convento di Muro fino alla data odierna, mentre le signore Anna Maria e Marina dovessero fare la cessione translativa e non estintiva di azioni e ragioni, della quale i fratelli compratori potessero servirsi in caso di futura evizione della chiusura comprata e ad ogni altro fine ed ampia quietanza a favore dei principali debitori come Gennaro e suo fratello chierico Mattia. Riconosciuta legittima, giusta ed onesta la richiesta fattali da Gennaro Bacile, il sacerdote Maggiulli riceve manualmente dallo stesso Gennaro Bacile la somma di ducati cento di capitale ed altri ducati tredici e grana ottanta di rate decorse in moneta contante di oro per affrancarsi e liberarsi dall’obbligo contratto con il convento di Muro.
Alla luce dei contenuti di questi documenti e atti notarili viene logico e spontaneo incrociare tutti i dati. In modo particolare la presenza dell’ostensorio in pietra, collocato sul frontespizio della casina di campagna, rimanda immediatamente al ruolo ricoperto per molti anni da Mattia Bacile come Priore della Confraternita del SS. Sacramento che certamente aveva come emblema il segno eucaristico dell’ostia con raggiera.
Se nel Catasto Onciario Mattia Bacile è censito come chierico ed aveva 45 anni possiamo calcolare la sua nascita nel 1704. Nell’anno 1723 lo ritroviamo come Procuratore del SS. Sacramento all’età di quasi 20 anni.
Al momento non abbiamo altri elementi utili per illuminare il personaggio Mattia Bacile. Se la presenza del casino di campagna ne ha perpetuato la memoria, il furto dell’ostensorio e la scomparsa dell’epigrafe latina IHS hanno cancellato definitivamente un intimo legame con un simbolo eucaristico e con un ruolo importante da lui ricoperto nella comunità sponganese e miggianese.
Le foto sono di Antonio Chiarello
Si ringrazia per la disponibilità e l’accoglienza Ignazio Oliva attuale proprietario della dimora.
* Dal libro Iscrizioni latine a Spongano di G. Corvaglia – F.G. Cerfeda – G. Tarantino. Youcanprint edizioni 2022
Ci è sembrato interessante e utile riproporre ad un pubblico più ampio questo saggio di Filippo G. Cerfeda su Mattia Bacile, uscito lo scorso anno in appendice del volume Iscrizioni latine a Spongano.
Del chierico sponganese veniva tramandata un’immagine inesatta (sacerdote in Roma quando resta chierico…), ma anche voci sulla sua “stranezza” perché tale magari può apparire chi sceglie di vivere in solitudine anche se può disporre di un palazzo in paese.
Filippo racconta la storia e le vicende di quest’uomo concretamente attraverso documenti. Questo era il suo contributo alla nostra società ed era il suo modo di essere.
Il reportage fotografico di Antonio Chiarello, reso possibile dalla squisita ospitalità di Ignazio Oliva, lo rende più prezioso.