Le Instructiones di San Carlo Borromeo
di Giovanna Falco
Dopo aver identificato in «Frater Iacobus de Leccio»[1] l’abate generale celestino dal 1546 al 1549, il cui mandato è stato caratterizzato dalla necessità di dettare una regola comune ai frati della Congregazione, sull’onda del vigore richiesto da Trento nelle varie sessioni del Concilio (1545-1563), si è cercato di capire quanto possa aver influenzato la costruzione della chiesa di Santa Croce in Lecce, seppur successivo all’inizio del cantiere, il De invocazione, venerazione et reliquiis sanctorum et sacris imaginibus nella XXV, il documento redatto nell’ultima sessione del Concilio di Trento del 3 e 4 ottobre del 1563, in cui è stabilito, tra l’altro, che «le immagini del Cristo, della Vergine madre di Dio e di tutti i santi devono essere poste e mantenute soprattutto nelle chiese, e ad esse vanno tributati l’onore e la venerazione dovuti»[2].
Ci si è chiesto, dunque se la chiesa di Santa Croce, oltre ad essere considerata la massima espressione del Barocco leccese, possa essere intesa anche come la prima chiesa costruita a Lecce seguendo i dettami della Controriforma, basati sulla necessità di marcare la differenza con le dottrine della Riforma luterana, dato che presenta le simbologie che esaltano la mediazione del Clero, la penitenza, la venerazione per la Madre di Dio e i Santi, non riscontrabili in tale quantità sulle facciate delle chiese leccesi degli ordini religiosi controriformati dei Gesuiti (1575-1577) e Teatini (1591-1639). Questa riflessione scaturisce anche dall’aver confrontato gli elementi costruttivi e iconografici di Santa Croce con le Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae stilate da cardinale Carlo Borromeo con l’intenzione di dettare a vescovi e architetti della sua diocesi, quelle norme atte a far risaltare nei luoghi pii la dimensione divina[3].
Dal confronto è risultato che nella chiesa leccese sono presenti moltissimi elementi riconducibili alle disposizioni indicate dal Santo nel Libro I, sia nel prospetto, sia all’interno.
In facciata, la chiesa di Santa Croce presenta: le tre porte (Cap. VII De ostiis), la cui centrale è introdotta da un portico (Cap. IIII De atrio, porticu et vestibulo) e il rosone (Cap. VIII De fenestris). Sul prospetto leccese, inoltre, come da disposizione nel Capitolo III, intitolato De paretibu exterioribus et frontespizio, è presente: «a superiori scilicet parte ostii maioris, extrinsecus pingatur aut sculpatur decore religioseque imago beatissimae Mariae Virginis, Iesum filium in complexu habentis; a cuius latere dextero exprimatur effigies sancti sanctaeve, cuius nomine illa ecclesia nuncupatur; a sinistro alia item sancti vel sanctae, cui prae caeteris parochiae illius populus verenationem tribuit»[4]. Le immagini della Madre di Dio con a destra San Benedetto da Norcia e a sinistra Celestino V (che prendono il posto di quelle del santo titolare della chiesa e di quello più venerato dai parrocchiani) sono riportate, nello stesso ordine del prospetto di Santa Croce, nel frontespizio delle Constitutiones monacorum sancti benedicti congregationis coelestinorum pubblicate nel 1627[5].
Scorrendo i vari capitoli delle Instructiones, molteplici rispondenze si riscontrano anche all’interno di della basilica leccese.
Tornando ai giochi di luce in Santa Croce – il motivo che ha reso possibile l’“incontro” con fra Iacopo da Lezze e le sue Le cerimonie dei Monaci Celestini[6] -, come da dettami della Controriforma le chiese dovevano essere inondate di luce per evidenziare la differenza con quelle protestanti.
Carlo Borromeo nell’VIII capitolo del Libro I delle Instructiones fabricae et supellectilis ecclesisticae, intitolato De fenestris, prescrive[7]:
«Si faranno delle finestre laterali nella navata centrale, se l’altezza del tetto lo consente, e nelle navate minori, in numero dispari su entrambi i lati, ordinate al centro di ciascun intercolumnio, in modo da corrispondersi in linea retta, e non molto distanti dallo zooforo o dall’epistilio del tetto».
In Santa Croce lungo la navata sono presenti tre finestroni per lato in corrispondenza della seconda, terza e quinta cappella, al di sotto di quelli della navata destra si aprono tre rosoni murati.
«Come principale fonte di luce per la chiesa e la cappella maggiore, si aprirà una finestra circolare a mo’ di occhio, proporzionata alla misura della chiesa, sulla facciata, sopra la porta principale e la si ornerà al di fuori secondo la struttura dell’edificio. Anche in corrispondenza delle altre navate ve ne sarà una di forma oblunga, sulla facciata a giudizio dell’architetto».
Sul prospetto di Santa Croce si aprono il rosone centrale e quattro rosoni laterali. In corrispondenza dei due mediani nel transetto sono presenti altri due rosoni.
« Si può ricevere luce, però, per la chiesa e la cappella anche dalla cupola»
Nella tamburo della cupola di Santa Croce si aprono quattro finestroni, alternati a nicchie e alla sommità, al di sotto della lanterna, un’apertura circolare.
«Nella cappella maggiore e in ciascuna delle minori, in rapporto alla loro grandezza e forma, vi saranno finestre su entrambi i lati, per ricevere luce dall’una e dall’altra parte. Se poi non è possibile ricevere luce dai lati e non è sufficiente quella che penetra dalla finestra circolare e dalle altre della facciata né da altre parti, si prenderà luce dalla parete di fondo della cappella. Si badi tuttavia che le finestre della parete di fondo non occupino nemmeno la più piccola parte dello spazio proprio di un qualsiasi altare; e ancora soprattutto, che non diano direttamente sull’altare addossato alla stessa parete, e non siano nemmeno immediatamente sopra di esso».
Sui muri esterni del transetto di Santa Croce si aprono due finestroni
Sul muro esterno della cappella attualmente dedicata alla Trinità, ubicata a destra dell’altare maggiore, si apre un finestrone.
Il coro polilobato di Santa Croce è formato da cinque nicchie, le tre della parete di fondo presentano sia nel primo, sia nel secondo ordine tre aperture murate provviste di vetri. Nelle due nicchie ai lati del coro a destra sono presenti due finestroni, a sinistra in basso è presente la cornice di una porta murata, mentre in alto la parete non presenta alcuna apertura.
Borromeo aggiunge: «Le finestre si ubicheranno in alto, e in modo tale che chi sta fuori non possa guardare dentro. Tutte le finestre, ovunque siano, dovranno essere munite, ove possibile d’inferriate cui si aggiunge la struttura in vetro o comunque trasparente, non dipinta in alcuna sua parte se non, al massimo, con l’immagine del Santo cui è dedicata la chiesa o la cappella, perché si riceva maggior luce».
Note
[1] D. A. Wion, Lignum Vitae, Ornamentum, & Decus Ecclesiae, in quinque libros divisus, Venezia 1595, p. 99.
[2]A. Bernareggi (a cura di), Carlo Borromeo – Istruzioni sull’edilizia e la suppellettile ecclesiastica. Instructiones fabricae et supellectilis ecclesisticae libri duo, 1577, in storiadimilano.it
[3] Cfr. C. Borromeo, Instructiones fabricae et supellectilis ecclesisticae, Milano 1577. Il contiene analitiche istruzioni su come costruire e arredare gli edifici sacri. Il testo è diviso in due libri: il primo, dedicato alle regole sulla chiesa in generale, è distribuito in trentatre capitoli – dal I al XXIX dedicati alle chiese, il XXX e XXXI agli oratori e gli ultimi due ai monasteri femminili-, il secondo libro, spartito in due parti, è dedicato alle suppellettili.
[4] Cfr. C. Borromeo, Instructiones fabricae et supellectilis ecclesisticae, https://www.memofonte.it
[5] Cfr. Constitutiones monacorum sancti benedicti congregationis coelestinorum, Roma 1627.
[6] Cfr. I. Moronessa, Le cerimonie dei Monaci Celestini, con la vita di Celestino quinto loro primo padre, Bologna 1549.
[7] A. Bernareggi (a cura di), op. cit. Per facilitare la lettura si è preferito trascrivere la versione tradotta riportata da Adriano Bernareggi.
Per la prima parte vedi qui:
Per la seconda parte vedi qui: