di Armando Polito
L’apparenza inganna e, infatti, le due prime voci non sono legate ad una differenza di genere e hon sono, nemmeno lontanamente, parenti.
La prima, fiata, appartiene all’insospettabile schiera delle parole il cui uso è classificato nei vocabolari d’italiano come letterario , ma che, nonostante questa caratteristica nobiliare, sono tanto radicate nel nostro dialetto da non essere state affiancate, tanto meno sostituite, da sinonimi. Non sentirete mai un salentino dire Pi ‘sta volta ti perdonu o, nel raccontare una favola (circostanza poco probabile, a meno che non si tratti di un politico …), C’era ‘na volta …
Per chiarezza ripercorro, sia pure rapidissimamente la vita di fiata, partendo dalle origini: latino volgare vicata (dal classico vicis=alternanza, sorte)> francese antico fiée>italiano fiata
E siamo a fiatu, esatto corrispondente dell’italiano fiato, dal latino flatu(m), a sua volta deverbale da flare=soffiare. Nel salentino fiatu entra pure nella locuzione esclamativa fiatu mia!, a sottolineare una situazione favorevole (da un amore corrisposto al gradimento di un cibo, da una promozione in vista ad una appena ottenuta, etc. etc.). Qui fiatu è utilizzato nel significato traslato di respiro, anima, come in italiano in anima mia!, vita mia!.
Fiatare, tal quale la voce italiana (che è dal latino tardo flatare, forma intensiva del flare prima citato), assume nel salentino il significato di soffiare (che è pure dell’italiano letterario).
La vignetta riassume, forse più eloquentemente, quanto fin qui detto.