Rachele Andrioli pluripremiata alla diciannovesima edizione del Premio Nazionale Città di Loano per la Musica Tradizionale Italiana
di Giuseppe Corvaglia
L’anno scorso è stata premiata Alessia Tondo, nel 2018 il Canzoniere Grecanico Salentino, di cui Alessia Tondo era la voce, e quest’anno Rachele Andrioli ha ricevuto ben due premi a questo Premio Nazionale Città di Loano per la Musica Tradizionale Italiana: quello come migliore artista giovane e quello come miglior disco.
Giovane lo è ma esprime tanto di quel sapere antico e tanto estro musicale che produce una musica nuova, particolare, molto gradevole e viene da chiedersi se questa sia musica popolare, musica contemporanea o musica elettronica. C’è poco da discutere: è musica, anzi a me sembra buona musica.
La musica, come la vita deve evolversi, questo vale per la musica tradizionale e per la musica moderna e contemporanea, che inevitabilmente si evolverà. La musica tradizionale poi deve comunicare emozioni e sentire comune con la consapevolezza di quella che è la cultura del passato, ma deve pure fare uno sforzo a interpretare in maniera originale il presente, certo sempre nel rispetto della tradizione.
Già nel 2018 al festival si parlava di “Rigenerazione” perché la musica deve rigenerarsi. Poi c’è la riproposta filologica o, comunque, più tradizionale “classica”, ma il percorso deve essere quello di un progredire.
Questa di Rachele Andrioli è musica nuova che usa la tecnologia, inflessioni, suggestioni nuove, ma con una voce salentina popolare con i suoi fraseggi, i suoi timbri, il suo vigore, la sua dolcezza… e poi il tamburo a cornice che, quando attacca col suo ritmo, ti cattura.
Nel pomeriggio del 27 luglio il Premio ha incontrato l’artista ai Giardini del Principe; l’ha intervistata il giornalista Sergio Albertoni e Rachele con grande semplicità si è fatta conoscere come donna, come cantante e come musicista, anche se questi due aspetti poi ce li ha disvelati compiutamente la sera sul palco.
Il CD “Leuca” è un bel disco. Rachele si racconta. Non racconta solo la sua storia, ma anche altre storie e, forse inconsapevolmente, un po’ racconta la storia.
Mi riferisco ad Amareggiata dove la tristezza e la disperazione si fondono in un termine che rievoca la partenza e il distacco, la furia del mare la disperazione legata a un esile filo di speranza per il futuro e la dipartita.
In quella canzone si parla di emigrazione, di paura, di voli più arditi e rischiosi di quello di Icaro ed infine di morti per annegamento. E questa è storia di oggi. Come storia di oggi, quella della convivenza e della multiculturalità che ormai è un dato di realtà, come racconta la canzone “Tutt’eguale song’ e criature” presa da Enzo Avitabile …
In queste storie la cantante, spesso, racconta il suo vivere in una terra vista da sempre come terra di frontiera, “Finibus terrae” e racconta anche la sua storia, la storia di una bambina che voleva andare a giocare sotto un grande noce e non poteva raggiungerlo perché l’albero stava in un giardino segreto, inaccessibile a lei (Dove cresce il noce è nata la mia voce). Allora decide di comunicare con lui cantando dalla finestra e canta le canzoni che la circondano, quelle che sente dalla zia, dai vicini di casa, da chi le sta intorno.
Da allora quella bambina è cresciuta, ma continua a comunicare col mondo cantando.
Come dice lei, quando ha preso consapevolezza di questo suo dono, che fosse per gioco o che fosse per comunicare qualcosa, ha assorbito melodie, parole, tecniche e modi di porgerle e le offre agli altri.
Il giornalista insisteva nel voler sapere chi fosse stato o fossero stati gli alberi del canto all’ombra dei quali lei fosse cresciuta e Rachele non comprendeva a cosa si riferisse. Lui pensava a Officine Zoè, Cesare Dell’Anna o a Uccio Aloisi, ma, per quanto quando la cantante interagiva con loro fosse giovanissima, lei ha vissuto questi personaggi importanti della musica popolare salentina come compagni di viaggio generosi più che come “maestri” perché lei si sentiva come un’ape laboriosa che suggeva nettare da tutti i fiori, da tutte le piante di quel giardino che era il mondo popolare salentino, che fossero Uccio Aloisi o la zia, Zimba o i vicini di casa attempati che cantavano per diporto o per sfogarsi, per stare insieme a divagarsi o per esprimere il proprio stato d’animo: non c’era solo un albero del canto, ma un giardino segreto del canto e in questo giardino ogni fiore, ogni albero, forniva quel nettare che produceva miele, che è quella musica, e consentiva e consente quell’impollinazione che genera vita, piacere, godimento al giardino stesso fatto di compagni di viaggio illustri, ma anche di vicini di casa, compagni di gioco, zie accoglienti, amici…
Certo affettuosa riconoscenza per tutti e consapevolezza di quanto ha ricevuto che la porta, per esempio a fare un omaggio a Rina Durante proponendo in maniera originale una canzone, “Luna Otrantina”, musicata da Daniele Durante e proposta dal Canzoniere Grecanico Salentino.
Mi è piaciuta la parentesi sulle ninne nanne. Nel disco ce ne propone una bellissima e struggente, “Te spettu”, che parla della partenza dell’amato, del distacco, dell’attesa, ma nell’incontro pomeridiano ce ne propone una molto bella e a una domanda del pubblico che chiedeva cosa significassero i primi versi “Nanu, nanu, nanu” o “Nellu, nellu, nellu”, spiega che quei versi non hanno un significato proprio, ma servono da introduzione che consentirà di legare con una rima la strofa che è il nucleo del brevissimo racconto.
Per esempio, dico io, di un bimbo bellissimo agli occhi della madre
“e nazzu, nazzu, nazzu
Tantu beddhru ce ne lu fazzu
Mo venine le Fate
Ne lu portane an Palazzu”
(Cosa ne farò di questo bimbo bellissimo che per essere tale sarà rapito dalle Fate) dove non è la paura del rapimento che si esprime, ma il compiacimento per la bellezza di quella creatura.
Oppure la narrazione di una storia d’amore infelice
“E none, none, none
No’ mannare ca no te ole,
l’aggiu mannatu ieu
e aggiu perse le parole”
(Non dichiarare il tuo amore che è tempo perso. Io l’ho fatto e sono state parole sprecate) intendendo che quella donna ha un cuore duro.
Il fatto è che la ninna nanna è “terra franca” serve a far addormentare il bambino che fatica a prendere sonno con il canto dolce e le parole, che l’infante non può comprendere, sono solo un pretesto, ma quelle parole non devono essere ordinarie, devono essere speciali e più che raccontare una storia devono evocarla lasciando spazio alla fantasia.
La ninna nanna che ha proposto Rachele nel pomeriggio recita:
“E none none sia
Ddurmiscimelu tie Madonna mia
… E sole sole sole
Sole ingannatore
Durmiscimelu tie nu paru d’ore
E nanu, nanu nanu
Quannu lu nzuru lu mannu luntanu…”
Questo è uno sfogo di una mamma che non riposa più perché il figlio non dorme e si rivolge alla Madonna che lo faccia dormire o anche al sole che lo tiene sveglio (sole ingannatore) e la mamma vorrebbe che dormisse almeno per un paio d’ore per fare qualche faccenda o riposare lei stessa.
Mi sembra di vederla la mamma che dice queste cose, se vogliamo con una punta di fastidio, ma che non può fare a meno di dirle con un sorriso amorevole.
Arriva la sera e Rachele sale sul palco apparentemente fragile con un flauto armonico (zumpettana) dal suono ancestrale, quasi precario, impreciso eppure molto evocativo. Poi attacca a battere il tamburo a cornice e la voce che si era presentata come discreta quasi in sordina esce con tutta la forza accompagnata dal ritmo incalzante del tamburello.
A quel punto non servono le parole, parla la musica di Rachele che racconta le sue radici salentine ma anche la ricerca e l’incontro con le culture del mondo, in particolare di quelle terre di confine, come la sua “finis terrae”.
Ed ecco “Leuca” un concerto molto bello che evoca sonorità accattivanti e gradevoli servendosi degli strumenti citati e di una loop station che ripete suoni e inserisce anche quel coro che ha costruito Rachele e che si chiama Coro a Coro (evocando “core a core”, una frase che fa pensare a unità, sintonia, vicinanza, complicità, terapia, mettersi in gioco, comunità … stare bene.) presente nel disco e da considerare come un’esperienza, che nel tempo si è estesa numericamente e geograficamente, davvero interessante, non solo per quello che produce, ma proprio per quello che è.
Alla fine, non solo la giuria, ma anche il pubblico ha apprezzato quest’artista salentina che ci riserverà di sicuro altra musica eccellente.
https://live.finisterre.it/artisti/rachele-andrioli/
https://www.youtube.com/watch?v=5ndNh7hh3xo
https://www.youtube.com/watch?v=Od3a_PwLRVs
https://www.facebook.com/PremioLoano/videos/3101797246630478
Si ringrazia il Premio Nazionale Città di Loano per la Musica Tradizionale Italiana per le foto di Martin Cervelli, tratte dalla pagina FB.
Si scopre sempre meglio che il Salento ha creato, nel tempo, uno sconosciuto valore aggiunto che tanti cominciano ad invidiare.