di Armando Polito
Quando si opera un’indagine etimologica bisogna anzitutto considerare il significato della parola, compreso, eventualmente, quello o quelli con slittamento metaforico, senza lasciarsi suggestionare più di tanto da sirene fonetiche, che, magari, indurrebbero a credere che due parole con più suoni in comune abbiano lo stesso etimo. Questa premessa non è casuale, perché le tre voci del titolo sono adattissime a spiegarlo in concreto.
Cominciamo, dunque, con le definizioni.
Giuncare esprime l’irrigidimento o il blocco di un’articolazione: m’hannu ggiuncatuli tèscite (mi si sono anchilosate le dita). La voce ha il suo esatto corrispondente italiano in ciocare, sinonimo di tagliare, mozzare, che è da cionco (di etimo incerto, anche se da alcuni connesso col latino truncus=pezzo di legno tagliato, da cui, con leggero slittamento semantico, tronco), che come aggettivo è sinonimo di mozzato, ma in valenza sostantivata di storpio, sciancato.
Giùnculu è lo spicchio d’arancia o di melagrana (di questa voce dirò più estesamente alla fine).
Risciuncare esprime il rammollimento, soprattutto di un alimento che ha perso la croccantezza a causa dell’umidità: ‘sti friseddhe so’ risciuncate (queste friselle si sono rammollite, hanno perso la croccantezza).
Ma il dialetto (beninteso, non solo quello salentino) è capace delle più ardite metafore: cce aria rrisciuncata! (che afa!).
Risulta chiaro dalle definizioni che le due voci si riferiscono a due concetti opposti: giuncare all’irrigidimento e rsciuncare al rammollimento, come anche i risvolti erotici della vignetta indicano inequivocabilmente …
Rimane da individuare l’etimo di risciuncare, in cui a prima vista, appare chiaro solo il prefisso ripetitivo ri-. Resta sciuncare, che non dovrebbe avere nulla a che fare con giuncare, perché, a parte quanto già detto sul piano semantico, se così fosse stato, non si capirebbe per quale motivo non avremmo dovuto avere rigiuncare e non risciuncare.
Il segmento –sciuncatu mi fa venire in mente sciuncata l’esatto corrispondente salentino all’italiano giuncata, latte rappreso con caglio, non salato, messo a scolare, in passato, in cestelli o su piccole stuoie di giunco.
L’adeguamento linguistico imporrebbe che oggi questa prelibatezza venisse chiamata plasticata, dal momento che in virtù (?) delle direttive europee cestelli e stuoie in giunco sono stati banditi per motivi igienici e sostituiti da quelli in plastica, grazie ai quali il tifo o malattie simili sarebbero nell’immediato scongiurate, salvo, poi, morire di cancro, magari a distanza di qualche anno.
Meglio tornare alla nostra sciuncata, participio passato sostantivato di un sciuncare, verbo totalmente inusitato per quanto riguarda tutti gli altri modi, se la sua presenza non emergesse nel composto, per ora solopresunto, risciuncare.
Ma, per far fuori la presunzione, che legame ci può essere tra questo verbo e la sciuncata? Per ora vi invito solo a pensare alle sue caratteristiche organolettiche, con particolare riguardo alla sua consistenza.
Nel frattempo faremo un’incursione tra coloro che hanno affrontato il problema e vedremo che le sorprese non mancano. La prima è che proprio il più qualificato a dire la sua, cioè il Rohlfs1, non propone alcunché, etimologicamente parlando.
Il Garrisi2 tratta il lemme nel modo che segue.
Viene proposto uno dei soliti, disinvolti incroci, che in più di un’occasione ho definito pericolosi. Qui, addirittura, si sarebbero incrociati gli opposti (cedevolezza del giunco da una parte e rigidità del cionco dall’altra), come risulta dal lemma giuncare.
La contraddizione tra i significati 1 e 2 riportati per rresciuncare è insanabile e può essere soppressa solo collegando etimologicamente 1 a sciuncu e 2 a cionco e non privilegiando quest’ultimo, per cui 1 appare come suo figlio bastardo. E tutto perché ci si è intestarditi sull’esito sc– che il salentino mostra rispetto all’italiano g– seguito da e o da i (sciardinu/giardino; sciuncu/giunco; sciùu/giogo; sciurnata/gioornata; scelu/gelo, etc. etc.). Lo stesso non avviene rispetto all’italiano c-, sempre seguito da e o da i), che rimane tal quale (cirieddhu/cervello; ciùcciu/ciuco, etc. etc.). Tutt’al più c– può diventare g– (ggimentu/cemento; giintare/cimentare, etc. etc.), cosa, questa, successa pure proprio al cionco di giuncare e, come vedremo tra breve, di giunculu.
Passiamo a Giuseppe Presicce3.
Stesso riferimento alla cedevolezza del giunco già vista nel Garrisi, attraverso una strada che non presenta intersezioni con incroci di sorta. Tuttavia, a me pare che la caratteristica del giunco sia la sua elasticità, ben diversa dalla cedevolezza, tant’è che in passato esso era utilizzato pure come rudimentale legaccio, in omaggio alla probabilissima parentela del latino iuncus (padre di giunco) con iùngere (=unire, da cui giungere e composti), da una radice iug– condivisa pure da iugum (da cui giogo)..
La confusione concettuale e quella fonetica (relativa all’esito sc-), prima abbondantemente rilevate con le conseguenti acrobazie etimologiche, permangono e raggiungono il parossismo in Ciarfera-Mennonna4, con in più una serie di snervanti e distraenti rimandi, che riporto integralmente, mettendomi a disposizione del lettore che avesse eventualmente bisogno di orientarsi in simile labirinto nella ricerca disperata di una via d’uscita diversa dalla mia.5
risciuncare: verbo intransitivo [da sciuncare, vds. voce, con il pref. ri-]. Rattrappirsi o rammollirsi del pane per l’umidità; avvizzirsi delle verdure o dei legumi. Lu pane s’è risciuncatu tuttu: questo pezzo di pane si è tutto rammollito. Si dice anche ggiuncare (vds. voce).
sciuncare: verbo transivo/intransitivo [dall’aferesi di giuncare, vds. voce, con il prefisso s-1].Atrofizzare; paralizzare;afflosciarsi sulle gimocchia. Il termine potrebbe derivare dal fatto che il giunco è debole, pieghevole e privo di forza.
ggiuncare verbo transitivo [da ggiuncu, vds. voce]. Atrofizzare; paralizzare: addormentare un arto; afflosciarsi sulle ginocchia. Il termine può derivare dal fatto che il giunco è debole, pieghevole e senza forza.
Ora non mi risulta per Nardò sciuncare come variante di giuncare, ma, anche se così fosse, sarebbe voce d’importazione dal tarantino, dove sciuncà, in forma riflessiva, significa non svilupparsi più e acciuncà, sempre in forma riflessiva, è usato come invito a sedersi ad un bambino irrequieto, invito decisamente non beneaugurante, pensando al significato di partenza; e poi, nel brindisino, acciungà, sempre riflessivo, sinonimo di rattrappirsi. La valenza semantica, ancora una volta, risulta determinante per l’etimo del presunto neritino sciuncare, che sarebbe, comunque, da cioncare (a sua volta da cionco) con prostesi di s– intensiva; e a tal proposito non posso non ricordare pure il calabrese ciuncare, sinonimo di storpiare.
Per farla finita: secondo me la metafora sta sì nel giunco, ma in forma mediata, cioè in riferimento alla sciuncata, grazie alla quale è nato, con l’aggiunta di un prefisso, un verbo che ancora una volta prova, laddove ce ne fosse stato bisogno, quant’era poeticamente fervida la fantasia popolare.
Era rimasto in sospeso giùnculu. Di seguito il lemma com’è trattato dal Rohlfs.
Come già per risciuncare, non compare proposta alcuna di etimo. La variante figghiùnculu farebbe pensare ad un diminutivo-dispregiativo di fìgghiu (figlio) con l’aggiunta a quest’ultimo del suffisso, di origine latina, presente in italiano in foruncolo, ladruncolo, omuncolo, peduncolo, ranuncolo, mentre fuggiùnculu appare deformazione di figghiùnculu. Nel primo dettaglio riportato spicca l’attestazine di giùnculu solo per Nardò e Galatone, mentre le altre varianti riguardano il Brindisino ed il Tarantino, ad eccezione di fungiùnculu attestato per Lecce (lo riporta anche il Garrisi, ma senza etimo; nel Presicce il lemma è assente). Questo autorizza a supporre, pur con prudenza, che giùnculu sia voce, per così dire, autoctona, non derivata da figghiùnculu per aferesi e per strana perdita del suono gutturale di g, ma diminutivo di cionco (quello stesso di giuncare), con l’aggiunta del suffisso già visto per figghiùnculu. Certo, l’immagine poetica del parto plurigemellare dell’arancia non può competere con quella prosaica in cui uno spicchio evoca un pezzo del frutto separato per natura dagli altri che lo costituiscono, ma nulla è perfetto, nemmeno la fantasia …
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1 Gerard Rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), Congedo, Galatina, 1976
2 Antonio Garrisi, Dizionario leccese-italiano, Capone, Cavallino, 1990
3 Giuseppe Presicce, Il dialetto salentino come si parla a Scorrano (solo in rete: http://www.dialettosalentino.it/risciuncare.html:)
4 Enrico Ciarfera-MarioMennonna, Il Vulgare Neritino, Congedo, Galatina, 2020
5 Eppure, sarebbe bastato, forse, a gettare un po’ di luce, che gli autori avessero tenuto conto del trattamento da loro stessi riservato ai due lemmi che riproduco:
ggiùnculu sostantivo maschile [da ggiuncu, vds. voce, con suffisso -ulu]. Spicchio di agrumi; seme di fava. Il termine può derivare dal fatto che lo spicchio diventa tale se separato e che il seme di fava è tenuto stretto nel baccello.
ggiuncu: aggettivo [cfr. it. cionco, dal lat. truncu(m): tronco, mozzato]. Storpio, sciancato; rattrappito nelle membra; attrappito; paralitico.
Nella zona di Novulum si dice:
Ssuppamu nna friseddhra,
Infatti temono l’umidità, se non sono protette rischiano di “risciuncare” ovvero di perdere di croccantezza.
Nu Fijulu o meglio uno spichhio dell’arancio
Ersilio Teifreto