di Armando Polito
I cambiamenti climatici sono destinati ad influenzare pure la lingua, tant’è che non è difficile immaginare la rapida obsolescenza della voce dialettale del titolo e del suo esatto corrispondente italiano, che è gelare.
Da notare nella voce dialettale l’esito sc– di g– seguito da e o da i, come in sciurnata/giornata (ma giurnu/giorno) e, per restare alla voce primitiva, in scelu/gelo (ma gelone, e non scilone, /gelone).
L’afa soffocante di questi giorni ci fa rimpiangere tutte le voci attinenti al concetto di freddo finora riportate, ma non è sufficiente a farmi desistere dal chiedermi il perché del comportamento piuttosto capriccioso dell’esito sc-. Mi rendo perfettamente conto che la lingua, essendo lo specchio della stessa vita, è soggetta a fenomeni talora non facilmente spiegabili o perché affondano le loro radici in un passato troppo antico perché possa essere analizzato o, addirittura, nell’irrazionale. In casi simili, purtroppo, formulare ipotesi è come tentare di arrampicarsi sugli specchi, mentre la scienza richiede di stare con i piedi ben piantati per terra.
Munito di un paio di ventose che si chiamano l’una incoscienza e l’altra presunzione, inizio la scalata a caccia di quello che in questi giorni è l’oscuro oggetto di un desiderio che non può essere certo soddisfatto da qualcosa destinata a scomparire al massimo dopo qualche minuto: il gelato..
Participio passato sostantivato di gelare, la voce rimane tal quale nel salentino gelatu, nel quale, da scilare (corrispondente a gelare, come scelu a gelo) ci saremmo aspettato scilatu. Che il mancato esito sc– dipenda da motivi di differenziazione semantica, peraltro poco spinta, per cui scilatu è riservato all’esclusivo uso verbale (m’ha scilatu=ho sentito freddo) e gelato a quello sostantivato? Difficile attribuire all’uso dialettale la capacità di operare una distinzione di marca grammaticale. E allora? Io non escluderei che gelatu sia entrato nel salentino in tempi relativamente recenti, cioè da quando pure il mondo contadino ha potuto conoscere l’esistenza di questo prodotto e a gustarlo. Lo stesso può essere successo per gelone, che certamente è stato da sempre più democratico di gelato, per cui, pur conoscendolo da sempre, il mondo contadino non poteva barattare il suo poeticissimo pruticeddhu (privilegiante l’effetto, cioè il prurito e non la causa, icioè l freddo) con una voce anch’essa nata in tempi relativamente recenti (il dizionario De Mauro daia gelone al 1822; ma con queste date bisogna andare molto cauti).
Sento che una ventosa, quella della presunzione, emette uno strano scricchiolio; basterà quella dell’incoscienza a riportarmi indenne a terra? Posso sperare che nel frattempo qualcuno stenda un bel telone di salvataggio (leggi interpretazione più attendibile)?. E, se pensate che il caldo mi abbia dato alla testa, pensate al personaggio della vignetta e, se vi resta un briciolo di lucidità, comunicatemi la soluzione della sciarada …
A Novoli si usava dire: (Mane scilati li pieti) (Acquaffore se scela) (La scilata intra le campagne)
(Nnu te bbicinare allu brascere ca te enene li pruticeddhri) un saluto da Torino Ersilio Teifreto classe 47