di Andrea Erroi
“Il tempio parrocchiale di questa terra di Presicce che nel giorno 10 giugno 17881 , ricorrendo la domenica della S.S. Trinità, fu benedetto con l’acqua santa; ora arricchito con nuove magnifiche opere ornamentali e con l’altare consacrato principalmente con le reliquie dei martiri S. Andrea Apostolo, S. Vittore Papa e S. Pacifico Martire, con la presenza dell’Illustrissimo Reverendissimo Vescovo di Ugento Giuseppe Corrado Panzini, accompagnato dai dignitari della Cattedrale e del Reverendo Capitolo di Salve, Acquarica e Presicce e anche dei Padri Carmelitani dello stesso paese, dal tramonto fino al sorgere del sole, cantando devotamente e con salmi all’eterna gloria di Dio e perenne onore del Patrono S. Andrea Apostolo e le acclamazioni continue della popolazione, con solenni e augurali riti religiosi, con ammirevole esempio di pietà: giorno 6 luglio, domenica, dell’anno 1794”.
Questa nota, conservata nell’archivio parrocchiale della chiesa matrice di Presicce ci ricorda che il 6 luglio ricorre la data di consacrazione dell’edificio.
La chiesa matrice, intitolata a Sant’Andrea Apostolo, fu costruita nel 1778, sul vecchio edificio cinquecentesco poiché, secondo l’Arditi, quest’ultimo non era più né degno né adatto alla popolazione ricrescente e che per questo motivo si volle nuova, tanto che in diciotto mesi fu completata, benedetta e inaugurata nel 1781. In realtà, da questa nota si apprende che i lavori di completamento (gli stucchi, i marmi, le tele) durarono diversi anni dopo la costruzione del tempio.
La chiesa, considerata una delle più belle della provincia, ha un importante prospetto, splendido esempio di architettura tardo-barocca, scandito da paraste di ordine corinzio. Il ricco fastigio caratterizza l’edificio sacro tanto da renderlo subito individuabile da vari punti della città.
L’imponente torre campanaria è ciò che resta della vecchia chiesa cinquecentesca: si sviluppa su tre registri e presenta decorazioni fitomorfe e mascheroni di scuola neretina.
La chiesa ha un impianto a croce latina e ha il pregio di essere molto luminosa. All’interno vi sono otto altari laterali arricchiti da decorazioni in stucco e da pregevoli dipinti su tela. I quadri presenti in Chiesa sono attribuite a celebri autori locali, come il Catalano (che è l’autore del grande quadro del presbiterio rappresentante il martirio di Sant’Andrea e datato al 1601), e ancora Oronzo Tiso, Diego Pesco, Saverio Lillo, Giuseppe Sampietro, ecc.
L’altare maggiore, in marmi policromi, come anche la balaustra, il fonte battesimale e le pile lustrali sono di scuola napoletana: recenti ricerche, svolte da Maura Sorrone, ne hanno individuato l’autore in Baldassarre Di Lucca. Tuttavia, gli elementi figurativi (angeli, cherubini e il bassorilievo del santo patrono) provengono con tutta probabilità dalla bottega con il quale il Di Lucca collaborava frequentemente: quella del celeberrimo scultore Giuseppe Sammartino, autore fra gli altri del Cristo Velato.
Importante il complesso di statue presenti nella chiesa, tanto in cartapesta, quanto lignee. Queste ultime, come pure i preziosi manufatti di argenteria, di importazione napoletana, oltre ad essere emblematici esempi di devozione, raccontano del vivace rapporto tra l’aristocrazia locale e la capitale del Regno.
Adiacente al lato destro dell’edificio, esiste una cappella denominata “Chiesa dei Morti”; infatti, i numerosi sepolcri ipogei hanno svolto la loro funzione fino alla fine dell’Ottocento. Il piccolo ambiente voltato a crociera è costituito da due campate e sulla parete di fondo vi è un altare in stucco, coevo alla riedificazione settecentesca di tutta la chiesa. Sull’altare è collocato un prezioso ciborio del Seicento, di scuola francescana e in legno policromo, proveniente dal precedente edificio.
I recenti restauri, preceduti da un’indagine stratigrafica delle superfici murarie, hanno riportato alla luce sia gli antichi fornici che connettevano ciascuna cappella alla navata centrale dell’antica chiesa matrice, sia consistenti porzioni di affreschi e decorazioni pittoriche che la interessavano, la cui datazione varia tra il XV ed il XVI secolo.
I dipinti conservano ancora i vivaci colori, nonostante gli strati di calce, gli intonaci e, in alcuni casi, la muraglia, che li hanno celati per secoli. La scoperta dei dipinti consente di comprendere la successione cronologica dell’intero edificio: è possibile, infatti, distinguere tre chiese, sovrapposte e stratificate l’una alle altre.
Su una delle eleganti serraglie rinascimentali che chiudono le volte, è emersa la probabile firma del capo mastro
<< + SALVATORE . CARILLI . M . + 1575 >> , che realizzò le volte e probabilmente l’imponente torre campanaria.
Risale alla fine del Cinquecento il dipinto rinvenuto nell’abside della seconda campata: Madonna col Bambino, racchiusa in una mandorla, circondata da cherubini che sormonta una grande chiesa con campanile, mentre il Bambino benedicente stringe in mano un uccellino (Madonna di Loreto). Alla stessa epoca risalgono i dipinti del vano retrostante l’altare. Sono emerse diverse figure di santi vescovi, di S. Vito, un’abside con lacerti pittorici. Questo ciclo pittorico si stratifica su di un ciclo più antico superstite e ben visibile in un altro piccolo ambiente adiacente, in parte demolito nel Settecento; si tratta di una cappella con volta costolonata, che anticamente si connetteva al resto dell’edificio mediante un grande arco a sesto acuto. Attualmente, l’ambiente conserva una buona porzione della decorazione pittorica che interessava le pareti nella loro interezza. Nel complesso pittorico sono raffigurati San Sebastiano, San Rocco e San Pietro, una bellissima Imago Pietatis dal paesaggio surreale, e nella sommità, racchiusa in un clipeo, l’immagine di Cristo Pantocratore. Tutte le scene sono raccordate da una partitura architettonica dipinta. Al di sotto di quest’edizione pittorica, è visibile una decorazione a bicromia di gusto ancora gotico, probabilmente databile al XV sec.
A seguito degli interventi di restauro, l’altare settecentesco presentava tre grandi cornici vuote e delle antiche tele non vi era più memoria, ma per esigenze di culto si è resa necessaria la collocazione di nuovi dipinti: la visione delle ossa inaridite del profeta Ezechiele, il Cristo pantocratore e il martirio di padre Pasquale D’Addosio, sacerdote presiccese martirizzato a Pechino nel 1900.