di Armando Polito
Non avrei avuto nessun motivo per porre il dilemma se fossi stato disponibile ad accettare come corretta pignatta, a quanto registrano tutti i dizionari. Unica eccezione il GDLI (Grande dizionario della lingua italiana), che al lemma pignata e derivati rinvia a pignatta e derivati, dove all’inizio pignata è riportato tra le forme antiche insieme con pegnata, pegnatta, pigniacta, pigniata e pigniatta).
Al di là delle altre considerazioni che via via farò, ricordo che in campo linguistico, volenti o nolenti (e io mi pongo tra questi ultimi), è l’uso che decide la sopravvivenza di un forma su un’altre e in non pochi casi è quella pIù corretta a lasciarci le penne.
Ad ogni buon conto, pur rispettando l’autorevolezza di chi senza dubbio ne sa più di me, non ho mai confidato nell’ipse dixit, locuzione che nel nostro caso, vista l’unanimità di opinioni, sarebbe opportuno cambiarla in ipsi dixerunt. Tuttavia, anche un povero e sconosciuto ille come me ha il diritto di fare le sue osservazioni; e non è detto che alla fine si levino tanti illi a sostegno del primo ille che osò lanciare la sfida.
Ma procediamo con ordine, cercando di individuare, pur con tutte le riserve del caso, la data di nascita delle due voci, non senza aver detto che nel Dizionario De Mauro per pignatta (pignata, come prima detto non è registrato) si legge av. 1342, il che dovrebbe stare a significare che era quella la data più antica conosciuta al momento della pubblicazione (2000) o, per essere generosi, fino a qualche anno prima.
Sorprende, però, che un testo lanciato come Il dizionario della lingua italiana per il terzo millennio e compilato in tempi in cui già la ricerca testuale poteva fruire dell’aiuto fondamentale dell’informatica, mostri di ignorare l’esistenza di attestazioni più antiche, molto più antiche e, aggiungo, pubblicate, cioè non ancora disperse in carte antiche e destinate a restare sconosciute per chissà quanto tempo.
Come si sa, l’italiano che oggi parliamo è, in fondo, frutto della lenta evoluzione del latino, arricchita nel tempo da molteplici entrate da altri ambiti culturali. Tuttavia, almeno fino ad oggi, la maggior parte del nostro lessico mostra origini latine e a questo non si sottraggono pignata/pignatta né deve suscitare meraviglia o essere considerato come una riduzione dell’attendibilità delle conclusioni alle quali perverrò, il fatto che i primi documenti, dei quali riporterò solo i dettagli che ci interessano, sono in latino.
Il primo1 è custodito nell’Archivio pubblico di Bologna (Reg. Gross. v. I, p. 94) ed è un atto del 14 maggio 1200. Nel lungo elenco di oggetti risulta anche pignatam de cupro plenam de ferro extimatam cum ferro … (pignata di rame piena di ferro stimata col ferro ).
Il secondo riguarda un episodio riportato da Fra Salimbene Adami (1221-1288) nella sua Cronica, episodio tanto simpatico che mi piace riportarlo tutto, citandolo dall’edizione che ancora oggi è il testo di riferimento.2
Item tempore illo, procurante ministro, Rex Hungariae misit Assisium magnam cuppam auream, in qua caput beati Francisci honorabiliter servaretur. Cum autem portabatur, et in conventu senesi quodam sero in sacristia ad custodiendum ponetur, quidam fratres, curiositate et levitate ducti, optimum vinum biberunt cum ea, volentes in posterum gloriari quod cum cuppa Regis Hungariae ipsi bibissent. Sed guardianus conventus senensis, qui magnus zelator erat justitiae et honestatis amator, nomine Johannettus, qui etiam de Assisio fuerat oriundus, cum cognovisset haec omnia, praecepit refectorario, qui similiter Johannettus de Belfort dicebatur, ut in sequenti prandio poneret coram quolibet illorum, qui cum cuppa biberat, unam ollam parvulam, nigram et tinctam, quam pignattam dicunt, in quibus oportuit eos bibere, vellent nollent, quatinus si vellent in posterum gloriari quod cum cuppa regis Hungariae quinque jam biberant, possent similiter recordari quod propter illam culpam cum olla tincta bibissent.
(Parimenti in quel tempo, per interessamento del ministro il re d’Ungheria mandò ad Assisi una grande coppa di oro perché vi fosse conservata con tutti gli onori la testa del beato Francesco. Però, mentre la si trasportava e per un certo ritardo la si poneva, perché fosse custodita, nel convento di Siena in sagrestia, certi frati, spinti dalla curiosità e dalla leggerezza, bevvero con quella dell’ottimo vino, volendo in seguito vantarsi di aver bevuto proprio loro con la coppa del re d’Ungheria. Ma il guardiano del convento di Siena, che era gran assertore della giustizia ed amante della correttezza, di nome Giovannetto, che era anche oriundo di Assisi, essendo venuto a conoscenza di tutto questo, ordinò all’addetto alla refezione, che similmente era chiamato Giovannetto Belfort, che nel pranzo successivo mettesse davanti a ciascuno di quelli che avevano bevuto con la coppa una piccola pentola1, nera e sporca, che chiamano pignatta, in cui dovevano bere, volenti o nolenti, perché se in futuro avessero voluto vantarsi del fatto che cinque avevano già bevuto con la coppa, del re d’Ungheria, potessero allo stesso modo ricordare che per quella colpa avevano bevuto con una pentola sporca)
Per il momento, dunque, in anzianità, per quanto riguarda le forme latine, pignata (nominativo del pignatam del documento datato 1200) batte largamente pignatta (nominativo del pignattam della Cronica del Salimbene).
E per il volgare, le cose come stanno? Direi allo stesso modo, visto che per pignata la più antica attestazione è in una ricevuta di pagamento di affitto dell’anno 1315.3 e per pignatta nella novella IV de II Trecentonovelle di Franco Sacchetti (1332-1499), che era nato in Croazia ma che visse prevalentemente a Firenze: Son io così dappoco, ch’io non vaglia più d’una pignatta? Ho volutamente precisato l’ambito culturale del Sacchetti, il toscano, come faccio ora per quello del documento del 1200 (l’emiliano) e per quello del 1315, il veneto, mentre un caso a sé stante, di problematica classificazione mi sembra quello del Salimbene, che era nato sì a Parma, ma che si mosse in Emilia, in Toscana, oltre che in Francia.
Quanto fin qui riportato m’indurrebbe a supporre che pignatta sia la correzione toscana del veneto pignata, forma che, però, risulta presente nei testi a stampa di ogni argomento (letterario, religioso, scientifico) a partire dal XVI secolo. La cronologia escluderebbe la possibilità che la voce sia entrata con lo spagnolo piñata, che al pari della voce salentina, ma con reciproca autonomia, sembra confermare l’ipotesi di chi propone come etimo il latino medioevale pineata(m)=simile a pigna4, con esito –nea– largamente collaudato nel nostro dialetto (p. e.: staminea>stamegna).
Questo sarebbe sufficiente, forse, per chi si occupa della compilazione dei vocabolari, quanto meno di registrare pignata, anche se con il marchio, ancora quasi infamante, direi forma di razzismo linguistico, di voce regionale, per non dire, poi, di voce meridionale. Non ho nulla contro Dante & C., però continuare a manifestare ossequio al fiorentino e tollerare, se non favorire, la proliferazione infestante dell’inglese anche quando non c’è nessun motivo per farlo, mi sembra contraddittorio, per non dire stupido. A tal proposito sfido chiunque si occupi, spero seriamente, di queste cose a citarmi un solo testo di culinaria, ripeto, uno solo, in cui compaia pignatta e non, come puntualmente ho rilevato, pignata.
E la voce evoca o, almeno spero che ancora lo faccia, ambienti, colori, profumi sapori e perfino saperi della nostra terra, in cui la pignata è ancora insostituibile per cuocere, come natura e saggezza antica hanno consigliato da millenni, i legumi, la carne di cavallo e il polpo, tutti, appunto, a pignatu. Non deve sorprendere in pignatu il cambio di genere, perché pignato è attestato oltre che in altri autori meno famosi, nel Candelaio di Giordano Bruno, che uscì nel 1582. Bisogna, però, rivendicare al salentino una maggiore creatività per via del diminutivo pignatieḍḍu, che in triplice esemplare celebra il suo trionfo nello stemma parlante della famiglia Pignatelli, con il massimo della coerenza in Iacopo (1625-1698), nato a Grottaglie …
(Tavola tratta da Consultationes canonicae, De Tournes, Lione, 1775)
E mi piace chiudere con un’informazione destinata a quell’unico lettore che ha avuto l’eroica (per me, per altri perversa) perseveranza di seguirmi fin qui e che, preso dall’entusiasmo (!) ha intenzione di comprarne una per farle vivere nuove, calde esperienze: la pignata non serve a preparare la frittata, anche se uno dei tanti sedicenti esperti e, nel nostro caso di linguistica, prima in circolazione solo la domenica, oggi tutta la settimana, è riuscito con la pignata a fare l’esilarante frittata che di seguito vi servo insieme col suo prezioso link (affrettatevi a controllare, perché blog di questo tipo hanno fiutato l’affare, ma, nel momento in cui lo sponsor li abbandona in quanto non più produttivi, improvvisamente scompaiono), dopo aver osato evidenziare anche con la sottolineatura il fuoco d’artificio degno finale di un simile spuntino …
(https://comesiscrive.it/dubbi/pignatta-o-pignata/)
________________
1 Pubblicato in Annali bolognesi, s. n., Bassano, 1789, v. II, p. II, p. 220
2 Chronica Fr. Salimbeni Parmensis Ordinis Minorum ex codice Bibliothecae Vaticanae nunc primum edita, Ex officina Petri Fiaccadorii, Parmae, MDCCCLVII, p. 407
3 Alfredo Stussi, Testi veneziani del Duecento e dei primi del Trecento, Nistri Lischi, Pisa,1966, doc. n. 77 a p. 124)
4 Per alcuni la somiglianza riguarderebbe l’intero contenitore, per altri il coperchio col suo pomello terminale; a nessuno è venuto in mente che la disposizione delle brattee sembra aver ispirato la messa in opera delle tegole e, se si pensa che pignata in salentino è anche la tegola (mentre l’italiano pignatta designa un laterizio differente), il passo dalla pigna alla pignata/pignatta è veramente breve. Breve, come il passaggio dalla vita alla morte, se si pensa che tegola (insieme con teglia) è dal latino tegula(m)=padella, tegame, pentola, casseruola, a sua volta dal verbo tègere Iil cui participio passato, tectum, ha dato vita a tetto; tetta ha altro etimo …)=coprire, per cui ricordo che una sola tegola fungeva spesso da piccola bara nelle sepolture infantili. Per completezza d’informazione dico pure che la pigna non è la sola indiziata di aver messo alla luce la pignata: per esempio, Giovanni Battista Pellegrini mette un campo un’altra trafila che, parte dall’aggettivo latino pinguis=grasso, attraverso una seconda tappa il cui arrivo per me resta sub iudice, giunge a pignatta: pinguis>*(ollam) pinguiottam (pentola per conservare il grasso)>pignatta (Archivi Glottologico Italiano,61, 1976, pp. 165-172). Infine non va dimenticato il coppo, che della tegola è il sinonimo, imparentato semanticamente con la pignata, nonché figlio di coppa, che è dal latino tardo cuppa(m), di cui coppola è il diminutivo, as ua volta dal classico cupa(m), di cui cupola è il diminutivo, che poi ha trovato ridimensionamento opposto nella cupola per antonomasia, quella di S. Pietro, il Cupolone.
Buongiorno Prof. Armando, ricordo che a Novoli la chiamavamo la Pignata per significare la pentola costruita in terra cotta che cuoceva le fave o altri legumi sul fuoco lento del camino questo manufatto non facile da trovare veniva venduto durante i mercati e feste patronali. Pignata la nominavamo anche per le feste in casa a fine Carnevale quando si legava al soffitto con una corda a occhi bendati il designato/a con un bastone provava a colpirla fino a romperla facendo cadere il contenuto.
Non sapevo che Pignatta deriva da Pigna e viene usato nell’edilizia, un saluto da Torino nonno Ersilio classe 47
Molto interessante ed istruttivo. Da salentina non posso che sottoscrivere la necessità di integrare i dizionari carenti in tal senso.