di Armando Polito
Supponiamo che tra i salentini sia indetto un referendum che ponga la domanda: Ritieni sto venendo traduzione letterale di Sta bbegnu?; immagino che la risposta positiva sarebbe univoca o, comunque, largamente dominante. E poi, non basterebbe l’autorevolezza del Rohlfs a confermarlo?
A dire il vero, nella sua ancora fondamentale opera dedicata al salentino1 al lemma sta (v. II, p. 693) si legge:
e a stu (v. II, p. 714):
A parte il fatto che la grafia più esatta sarebbe dovuta essere ‘sta e ‘stu per aferesi tanto se considerati dall’italiano (questa/questo) che dal latino (istam/istum), per trovare traccia del nostro nesso bisogna andare al lemma staci (v. II, p. 693):
Ad aci (v. I, p. 30):
Non si comprende come per il Rohlfs staci (con la sua abbreviazione aci) sia forma “fossilizzata” di stare (sarebbe, a mia conoscenza, l’unica del salentino e la presunta fossilizzazione non giustificherebbe, comunque, l’assenza di una più dettagliata analisi etimologica e per questo mi sembra essere stata messa in campo per spiegare la sua invariabilità. A mio parere, invece, la voce napoletana e quella calabrese citate a supporto alla fine del lemma stace sono corrispondenti all’italiano stacci (forma letteraria per ci sta), in cui ci (in posizione enclitica) è dal latino ecce hic (=ecco qui), dunque non pertinenti. Oltretutto, le due voci usate in funzione perifrastica reggono il gerundio e non l’indicativo (in napoletano stace facenno=sta facendo). La funzione enclitica di –ci in staci/aci trova la sua conferma in altre forme enclitiche da lui registrate al lemma stare1 (p. 68): stocu, stoche (io sto), stave (egli sta).
Al lemma stare2:
Insomma, le voci staci e aci riportate per il salentino per me lungi dall’avere qualsiasi legame con stare, sarebbero anche loro, al pari di ‘sta, dall’avverbio latino istac, come mi accingo a motivare, ripercorrendo passo dopo passo la strada che mi ha portato a questa conclusione..
Anch’io per lungo tempo ho creduto che la traduzione suffragata dal Rohlfs fosse esatta al micron, convinto che sta fosse voce del verbo stare. Poi, tornendoci su, ha cominciato a suscitare perplessità la sua reggenza dell’indicativo nell’espressione dialettale e del gerundio nell’italiana. Supponendo inizialmente corretta l’analisi del Rohlfs, ho controllato le coniugazioni complete, come nello specchietto che segue. Ho evidenziato con la sottolineatura il perdurare nel dialetto di un unico sta, mentre in italiano si susseguono le diverse forme delle persone del presente indicativo:
sta bbegnu/sto venendo
sta bbieni/stai venendo
sta bbene/sta venendo
sta bbinimu/stiamo venendo
sta bbiniti/stateo venendo
sta bbèninu/stanno venendo
Lo stesso puntualmente si ripete anche con l’altro tempo previsto per il supposto stare in formazione perifrastica, cioè l’imperfetto:
sta bbinìa/stavo venendo
sta bbinìi/stavi venendo
sta bbinìa/stava venendo
sta bbinìamu/stavano venendo
sta bbinìi/stavate venendo
sta bbinìanu/stavano venend
Il perdurare di sta solo nel dialetto fa capire che esso è sicuramente una parte invariabile del discorso, che nel nostro caso non può essere che quella che, come dice il suo nome, è più connessa con il verbo, cioè un avverbio; ma quale? Ci viene in aiuto ‘sta (per aferesi dal latino ista (=questa), femminile del pronome/aggettivo dimostrativo iste, presente in italiano solo nelle voci composte designanti le fasi del giorno: stasera, stanotte, stamane o stamani, stamattina. Connesso con ista è l’avverbio istac (=per di qua, per questa via), da cui, sempre per aferesi e consueta caduta della consonante finale, il nostro ‘sta.1
Per concludere, abbiamo nel dialetto salentino due voci che sembrano omografe (stessa grafia ma diverso significato), ma lo sono solo parzialmente perché la loro comune paternità (anzi maternità, visto che ista è di genere femminile …) si riflette nella conservazione del concetto originario pur nella differenziazione della marca grammaticale (il primo aggettivo, il secondo avverbio:
1) ‘sta aggettivo dimostrativo dal citato ista (‘sta cosa=questa cosa)
2) ‘sta avverbio da istac (chiaramente connesso col precedente ista), usato solo nel nesso dell’immaginario referendum, in cui, dunque, sta (inesistente come forma verbale, essendo le voci del presente indicativo
sto/stai/stae/stamu/stati/stannu) e ricorrente solo in composizione pronominale nella seconda persona singolare statte, corrispondente all’italiano statti, e plurale stàtibbe, corrispondente all’italiano stàtevi, va emendato in ‘sta e la corretta traduzione in italiano sarà costà (vedi nota 2). Null’altro da aggiungere a quanto detto su quello che mi sembra un esempio emblematico di un equivoco basato su un errore filologico indotto da suggestioni fonetiche istintive, anche se le conseguenze semantiche per il nesso completo non sono, nel nostro caso, drammatiche
__________
1 Gerhard Rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), Congedo, Galatina, 1976.
2 Da eccum istac (=ecco di qua) nasce l’italiano costà, in cui l’accento sull’ultima sillaba è giustificato dalla necessità di evitare la confusione col sostantivo costa; lo stesso succede per costì (da eccun istic), che altrimenti si confonderebbe con costi, voce verbale di costare.
Siamo a Novoli dove si parla il dialetto salentino centrale, pur essendo vicino a Lecce molte parole sono pronunciate diversamente per es…
Ieu in Leccese , Iou in Novolese =Io.
Per STA queste parole sono nei miei ricordi:
Addu sta bbai a st’ura
Sta nchianu subbra
Ce sta ddici
Addu sa bbai
Aucchiu sta faci
Sta bbinnimane =vendemmiare
sta rriu te pressa
Nu bbiti ca sta ddorme.
Sta bbegnu moi stessu
un saluto da Torino Ersilio Teifreto