di Mirko Belfiore
Se volessimo individuare fra i monumenti della città degli Imperiali una composizione architettonica che possa avvicinarci alla conoscenza della grande lezione del Barocco romano, basta passeggiare per il centro storico di Francavilla e tralasciando per un attimo la meravigliosa chiesa Matrice, prendere in esame un edificio in particolare: la chiesa dello Spirito Santo. Utilizzando le parole della studiosa Vita Basile, che sugli edifici di Francavilla ci ha lasciato un’opera esemplare, possiamo leggere questa interessante riflessione: “La ricerca del movimento e della spazialità basati su di una dialettica interno-esterno, in contrapposizione alla pura ostentazione decorativa, vide nel Settecento, anche e soprattutto nei feudi della Famiglia Imperiali, la sua massima espressione”. Quindi Francavilla non rimase insensibile ai richiami artistici che provenivano dai centri più importanti della nostra Penisola, grazie soprattutto ai contatti di Casa Imperiali fuori dai confini feudali pugliesi.
Sicuramente Napoli e il suo Barocco esuberante e teatrale, ancora oggi ben testimoniato dalle opere architettoniche di grandi nomi come Ferdinando Fuga, Ferdinando Sanfelice e Luigi Vanvitelli, faro artistico di una buona parte delle province meridionali, ma a cui dobbiamo necessariamente aggiungere la lezione impartita dalla Roma papale, diffusa in Meridione secondo molteplici riletture, ma universalmente riconosciuta nello stile plastico e sinuoso dei grandi artisti come Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini e Carlo Maderno.
Detto ciò, nell’analisi della chiesa dello Spirito Santo dobbiamo mettere in conto come essa rappresenti una delle istituzioni conventuali fra le più amate e di cui ancora oggi se ne conserva un ricordo intimo e carico di devozione.
Fu verso la metà del XVI secolo che un piccolo gruppo dell’ordine Minore dei Frati Cappuccini giunse in città, una notizia storiografica confermata dalle parole dello storico Pietro Palumbo: “…havendo il pubblico di Francavilla risoluto di fondare un Convento di Cappuccini nel suo distretto, ricorse con reiterate preghiere al Provinciale Tullio da Potenza in tempo ch’egli attendeva alla fondazione di più Conventi in queste parti, scongiurandolo a passare uffizi di raccomandazione affinché si accordasse la petizione. Tanto occorse agli abitanti di Francavilla, i quali, per avere i Cappuccini, si prodigarono nell’edificare loro un Convento a proprie spese. Così, ottenuto il Placet, si venne tosto all’esecuzione e per quale può concetturarsi al millesimo posto sopra la Porta della Chiesa che è il 1564…”.
I frati furono richiesti con insistenza dalla popolazione, perché a quest’ordine veniva riconosciuta una grande umiltà e una profonda dedizione per la cura dei poveri e degli ammalati. In una conclusione capitolare risalente al 22 gennaio 1581, i cappuccini dichiararono che il loro convento era già “compito”, a dimostrazione di come le parti fecero di tutto per ospitare i membri di questa congrega nel minor tempo possibile.
In una relazione del 15 febbraio 1650, redatta dai padri in occasione della riforma dei conventi voluta da Papa Innocenzo X e nota come Inchiesta innocenziana, infatti, si legge: “Il convento della terra di Francavilla de’ frati minori capuccini della provincia d’Otranto si ritrova sotto la diocesi d’Oria ed è situato fuori dalle mura della terra […] Ha la chiesa col titolo dello Spirito Santo, dove per la devotione de’ signori padroni et del popolo, vi è molto concorso, sì per sentirvi la santa messa come per visitarvi la chiesa. Intorno alla fondatione del convento […] per come si cava dal millesimo inscritto sopra la porta della chiesa, che sta alli 1564, debbe forse essere principiato verso li 1560. Poi, col progresso di tempo, perché la terra è stata ingrandita et ampliata per essere stata ben governata da’ signori padroni Imperiali, vi sono state fatte al convento alcune aggionte, ma il tutto per limosine de’ devoti come de’ signori padroni e d’altri benefattori devoti del convento […] [Nel piano superiore] vi sono 30 celle abitabili, due stantiole per riposto diversi utensili, due altre celle grandotte, una che serve per studio et l’altra per communità […]. Nel di basso vi è la chiesa, il choro dietro la trabona, la sacristia […] il refettorio, una stantiola dov’è il lavatorio dove si lava i piedi a’ frati viandanti, la cucina e due altre stantiole. […] E tutti questi frati sono sostentati di limosine quotidiane, somministrate al convento sì da’ signori padroni della terra come dall’università, da gentilhuomini e dal popolo, ch’è molto divoto della Religione”.
La seconda fonte che ci conferma la presenza di un grande complesso, la possiamo individuare nel disegno “a volo di uccello” realizzato nel 1643 da Carlo Francesco Centonze, un documento preziosissimo in cui ritroviamo i contorni urbani di una vivace cittadina in piena espansione.
Focalizzando la nostra attenzione sulla mappatura in basso a sinistra, si riconoscono sia il tempio religioso che la struttura conventuale con l’ortale attiguo, una struttura cinque-seicentesca che in quel momento ebbe un ruolo centrale nello sviluppo settentrionale dell’insediamento, dovette fare i conti con il terribile sisma del 20 febbraio 1743.
Questo terremoto, uno fra i più eccezionali fra quelli registrati nella storia della sismologia, ebbe effetti devastanti per Francavilla e insieme a molte città del basso Salento, una fra tutti la bellissima Nardò, subì sconquassi, distruzioni e demolizioni a molti degli edifici civili e religiosi presenti.
Ed è sempre da una lettera inviata da uno dei provinciali del convento, tale Daniele Quaranta, che possiamo conoscere lo stato dei danni: “…che la chiesa minacciando rovina per cagione dei terremoti precorsi e per motivo dei mali fondamenti presi nel riattamento e riparo per i suddetti terremoti, e quindi c’era bisogno rifarla dalle fondamenta sull’appoggio dell’Ecc. signor Principe e padrone amorississimo del loro abito e di detto convento benefattore specialissimo”. A questa missiva fu data risposta non molto tempo dopo, con la concessione per l’edificazione di un nuovo plesso “…ut iuxta mentem et ordinem Exc. Domini Principis munificientissimi fundatoris partes ruinisas aedificari possit”.
Alla ricostruzione si mossero alcune delle personalità di spicco del contesto architettonico locale e uno fra tutti il progettista ed esecutore dei lavori: l’architetto fra’ Liborio da Manduria, a sua volta appartenente all’ordine dei cappuccini, lo stesso che ritroveremo in altre fabbriche cittadine: la Collegiata del Santissimo Rosario, la cupola della Chiesa di San Sebastiano e con molta probabilità l’attigua porta Cappuccini. Ai lavori della nuova composizione architettonica contribuì con sostanziosi finanziamenti Michele IV, settimo e ultimo feudatario di Francavilla, il quale volle dare una forte impronta del potere di Casa Imperiali (come per la nuova Collegiata del Santissimo Rosario), aspetto che trova conferma se osserviamo la parte alta dell’abside maggiore, dove in posizione privilegiata è presente lo stemma araldico della dinastia con l’aquila imperiale.
I lavori iniziati con la posa della prima pietra il 19 marzo 1759, si conclusero nel 1770 in tempi relativamente brevi. Osservando la struttura possiamo constatare un edificio che si presenta con la classica pianta a croce latina suddivisa su tre navate, coronata sul lato meridionale da un’imponente facciata dall’andamento concavo-convesso e da cui si apre uno slargo rialzato, accessibile tramite una scalinata monumentale.
Due ali lievemente arretrate si agganciano al corpo centrale, quest’ultimo decorato da una serie di lesene finemente scolpite, il tutto organizzato su due sezioni sovrapposte, separate da un’ampia cornice marcapiano. Nel registro inferiore si posizionano le tre aperture con arcate a tutto sesto, corrispondenti nella parte superiore alle tre grandi finestre con frontoni ricurvi e balconate convesse. La zona sommitale del prospetto è contraddistinta da un ricco fastigio con finestra circolare, chiusa in origine da una meridiana ma in seguito sostituita da un moderno orologio.
È palese come questa facciata mostri chiare affinità con quella della chiesa Matrice, in cui si ripresenta lo stesso prospetto curvilineo e la stessa tipologia di frontone mistilineo, dato che conferma come nei due progetti si fosse tenuto ben presente la lezione vignolesca che proveniva dalla chiesa del Gesù a Roma. Una volta varcata la soglia di ingresso, si accede al piccolo ambiente voltato comunicante con la loggia mistilinea, dove si segnala il cartiglio riportante la data MDCCLXX (1770) in riferimento alla conclusione dei lavori, alcuni dipinti di influenza napoletana e le due particolari acquasantiere in marmo sorrette da una mano scolpita, entrambi risalenti al XIV secolo.
All’interno della navata centrale, la pregevole volta a botte con sezioni a stella intersecata da otto finestroni, conferma ulteriormente quella lezione romana a cui facevamo riferimento e dove infatti, forte è il richiamo alle composizioni del Borromini. Tutto l’ambiente poggia su possenti pilastri smussati alternati ad arcate a tutto sesto, elementi portanti su cui si frappongono gli ampi spazi, a loro volta impreziositi dalle diffuse decorazioni a stucco: cartigli, volute, capitelli corinzi e cornicioni aggettanti. Le attigue navate laterali sono fiancheggiate da una serie di tre cappelle, coperte da volte a crociera dipinte e completate da altari in marmi policromi addossati alle pareti.
L’arredamento interno indubbiamente si presenta come uno dei più compositi del panorama artistico presente a Francavilla. Nella navata destra troviamo uno splendido Cristo in Croce che si staglia fra le dolci figure dipinte della Madre di Dio e di Maria Maddalena, un seicentesco quadro di autore ignoto raffigurante frate Benedetto Greco di Francavilla Fontana, qui venerato insieme ai resti conservati in un vasetto di ceramica sito in una nicchia e in un’urna reliquiario posta sotto l’altare centrale.
L’arredo in questa parte dell’edificio si arricchisce di una statua di cartapesta di San Benedetto Martire, opera dell’artista leccese Antonio Maccagnani, e un quadro di “San Francesco in preghiera sul monte La Verna mentre riceve le stimmate”, quest’ultimo posto nella cappella dell’abside minore. Una menzione particolare la rivolgiamo alla splendida struttura in legno posta in controfacciata e che accoglie le cinque statue dei santi Cosma e Damiano insieme ai fratelli maggiori Sant’Antimo, San Leonzio e Sant’Euprepio.
Questa devozione per i santi Medici è una delle più forti fra quelle presenti della bassa Murgia e nell’alto Salento e si ricollega a Francavilla con un sottile filo rosso che la vede protagonista durante la festa dell’Ascensione. All’alba della domenica che ricorre quaranta giorni dopo la Pasqua, i fedeli si uniscono al lungo pellegrinaggio che si incammina verso il santuario di Santo Cosimo della Macchia ad Oria, con una lunga fila di traini accompagnati dai suoni della tradizione, in particolare la pizzica-pizzica suonata dagli organetti e dai tamburelli. La grande festa che viene allestita all’esterno del santuario, celebrata ogni anno l’ultimo giovedì di giugno, vede impegnati nell’organizzazione i membri della congregazione di San Bernardino, che ha sede proprio nella chiesa dello Spirito Santo ed è una delle più antiche della città; una devozione quella per i Santi Cosma e Damiano condivisa con la chiesa dell’Immacolata e la congregazione a essa intitolata.
Nella navata di sinistra si segnala un’opera del pittore Ludovico Delli Guanti (1770) dal forte valore simbolico, dove vengono raffigurate la Madonna con il Bambino circondati da una folta schiera di santi.
A conclusione di questo piccolo excursus artistico, segnaliamo il ricco altare maggiore che nella sua esuberanza baroccheggiante accoglie la settecentesca tela “Discesa dello Spirito Santo”, fra un tripudio di volute, stucchi e marmi, a cui aggiungiamo la presenza di numerose statue in cartapesta, figlie della grande tradizione francavillese, fra cui emerge quella della Madonna delle Grazie, uno dei tantissimi culti mariani presente in città e che ci rimanda a un altro unicum architettonico posto a poche centinaia di metri: la chiesa della Madonna delle Grazie.
Non possiamo che spendere due parole, infine, per la porta urbica sita a pochi passi e che la storia ci tramanda come porta Cappuccini. Anche qui, con molta probabilità ritroviamo la stessa mano attiva nel vicino tempio cristiano e che durante la seconda metà del XVIII secolo si operò per dare a Francavilla un varco civico che chiudesse a nord la cinta difensiva sei-settecentesca. La sua struttura essenziale ma voluminosa non manca di ripercorrere la plasticità delle forme sinuose della chiesa dello Spirito Santo, con linee curve e superfici rotondeggianti, il tutto però con un’interpretazione del Barocco leggermente più sobria.
È costituita da un arco a sesto acuto ribassato poggiante su due pilastri in muratura, mentre sulla parete esterna l’arco ribassato è mascherato da un arco pieno che poggia su due lesene.
La facciata è scandita da due semicolonne, chiuse in basso da un alto basamento e in alto da capitelli compositi, sulle quali poggiano la consistente trabeazione sormontata da un frontone con cornici dai profili rettilinei aggettanti e un timpano a mezzaluna. Questo “angolo” della città degli Imperiali dimostra la forte aspirazione di una cittadina e della sua dinastia feudale di darsi un volto più internazionale, rileggendo in piena autonomia uno stile architettonico allora imperante. Uno stile che nel Salento ebbe una vera e propria specificità, ampiamente testimoniata dalle architetture che ancora oggi possiamo ammirare a Lecce, la celebrata capitale del “Barocco leccese”.
Francavilla si fece interprete di un progetto nuovo e moderno anche se in un contesto più circoscritto, ma dove un’intera comunità si riconobbe dando seguito a quella volontà di creare un’immagine di forte vivacità e con lo scopo inconscio di lasciarsi alle spalle le devastazioni del “terribilissimo terremoto” che qui lasciò tracce evidenti nelle persone quanto nelle cose.
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Avendo dato tanto a Francavilla, fra’ Liborio da Manduria meriterebbe l’intestazione di una via in questa cittadina, è doveroso. Peccato che non sia stato ancora fatto.