di Paolo Vincenti
Dopo “L’utente potrebbe avere il terminale spento” (Edizioni Zona 2007), “Le facce. Dal diario del dottor Frank Saltarino. Storie di ordinaria incomunicabilità” (Edizioni Zona 2015) è il secondo romanzo di Rudy Marra, originario di Galatina ma trapiantato da molti anni in Emilia Romagna, conosciuto ai più come cantautore di talento, sebbene lontano dalle scene da molti anni. Se la grande industria discografica però sembra essersi scordata di lui, d’altro canto lui sembra non soffrirne particolarmente, impegnato in tanti e diversi progetti artistici.
Il libro è un romanzo breve. Al mondo della comunicazione Rudy Marra è molto attento, anche per studi fatti: è laureato in Sociologia all’Università di Urbino. Il dottor Frank Saltarino, come spiega l’autore nella Prefazione, è uno psichiatra italo-americano, vissuto nella prima metà del Novecento, che ha lasciato un ricco diario da cui l’editore del libro attinge per questo racconto e per altri che probabilmente ne verranno. Il libro infatti sembra precludere ad un seguito, al quale forse l’autore sta già lavorando. Il movente del libro è la confessione di un paziente del dottor Frank Saltarino, il quale, per paradosso, finisce fra quegli stessi “pazzi” che ha avuto in cura per molti anni. Cioè, termina la propria vita in un centro di igiene mentale, vittima del logoramento dovuto al diuturno esercizio della sua professione.
Il paziente di cui viene pubblicata la confessione, invece, è un pittore che dipinge facce sulle sue tele coi colori ad olio ed è ossessionato dalla corrispondenza dei dipinti con le persone ritratte, nella tormentata ricerca di una impossibile armonia fra realtà e finzione, fra vero e verosimile. Egli vorrebbe dare vita ai propri ritratti. Inizia allora una serie di sperimentazioni, sui materiali, sui colori, sugli stessi modelli, i soggetti da ritrarre, alla febbrile ricerca del vero, nella spasmodica tensione verso il ritratto perfetto. Sullo sfondo, la New Orleans del jazz e del woodoo, di Billie Holiday e Louis Armstrong, di George Lewis e Emma Barret, con un ossessivo motivetto, St. Thomas, di Sonny Rollins, che accompagna tutta la narrazione. Fra il delta del Mississipi che attraversa il ventre della città e il Quartiere Francese dove abita il pittore, si snoda la trama del racconto, con la lunga teoria di tentativi andati a vuoto nella ricerca pittorica, frustrata dalla incipiente schizofrenia che lambisce, fino a devastarla, la fragile psiche del protagonista. Così il pittore di facce inizia ad accumulare copie di copie sempre dello stesso soggetto, ovvero Mamy, una grassa negra che è la sua donna delle pulizie, e queste copie diventano sempre più simili all’originale, apparentemente perfette, fino a quando il pittore non raggiunge il suo scopo, ossia quello di confondere l’originale con il ritratto. Tuttavia, ancora qualcosa manca: resta, seppure impercettibile, sempre una lievissima differenza, fra vero e verosimile. E questo porta il pittore alla dannazione.
Si avverte il richiamo di Goethe della “Teoria dei colori” in questo racconto, ma fonte di ispirazione può anche essere stato il noto aneddoto che si tramanda su Michelangelo, il quale di fronte alla perfezione delle forme del suo Mosè avrebbe gridato: “perché non parli?”.
Fra fumo e birra, nella follia parossistica del pittore di facce, si dipanano le pagine del racconto che rievoca le atmosfere di certa letteratura americana, quella della Beat Generation, di Kerouac, di Burroughs, vagamente anche di Bukowsky. In effetti, la scrittura è dinamica, quasi cinematografica, e il linguaggio usato, confidenziale, basso. Che dire poi del movente che offre pretesto e contesto a Marra per scrivere questa short story, ossia la confessione di un malato di mente? A partire dall’inizio del Novecento, con le teorie di Freud, i rapporti fra letteratura e psicanalisi sono sempre stati molto stretti. Pensiamo a “La coscienza di Zeno”, di Italo Svevo, o a “La signorina Else” di Arthur Schnitzler, connazionale di Freud e medico psichiatra come lui, autore anche di “Doppio sogno” da cui il regista Stanley Kubrick ha tratto nel 1999 il film Eyes Wide Shut. Lo stesso Freud ha analizzato questi rapporti nei suoi interessanti “Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio”, con uno studio psicanalitico sul romanzo Gradiva di Wilhelm Jensen, le annotazioni psicobiografiche su Leonardo da Vinci e la teoria sul perturbante, e poi con il saggio “Dostoevskij e il parricidio”. Tanti gli scrittori nel Novecento che hanno contratto un debito di riconoscenza con la psicanalisi, da T.S. Eliot a Stefan Zweig, da Thomas Mann a Robert Musil, da D.H. Lawrence, a Hjalmar Bergman, ma anche gli scrittori del “flusso di coscienza” come James Joyce e Virginia Woolf. Rudy Marra si inserisce in questo fortunato filone che ultimamente anche in tv sta dando i suoi frutti, pensiamo a “Mental” trasmesso in Italia da Fox, a “Perception”, sempre su Fox , o più recentemente a “In treatment”, serie italiana trasmessa da Sky. Proprio come ne “La coscienza di Zeno”, nel libro di Marra il protagonista del racconto espone al medico curante gli accadimenti della propria vita, li trascrive su un diario, e affastella tentativi di spiegare le cause che lo hanno portato a quella ossessione per i colori e per il ritratto perfetto, divenuta patologica.
Molto bravo,non lo conoscevo.
Peccato che non rimasto tra noi.