di Davide Elia
La morte di Vittorio Emanuele II, il 9 gennaio 1878, colse l’Italia di sorpresa. Nonostante il re non avesse ancora compiuto 58 anni e apparentemente godesse di ottima salute, la sua forte fibra venne fiaccata nel volgere di pochissimi giorni da un male il cui decorso fu così repentino da non consentire nemmeno una diagnosi certa (forse polmonite o addirittura malaria).
In tutta la nazione, che ancora cercava di assestare e consolidare la propria unità così di recente e a caro prezzo raggiunta, vennero organizzate solenni esequie per il monarca. Nelle grandi città come nei piccoli villaggi ogni comunità allestì, sulla base delle proprie risorse finanziarie e della propria inventiva, cerimonie pubbliche arricchite di apparati scenici e caratterizzate da grande concorso di pubblico.
La Terra d’Otranto non si mostrò da meno. Le modalità con cui la figura del monarca venne commemorata in provincia furono adeguatamente descritte da un pamphlet pubblicato a cura dell’amministrazione provinciale[1]. Si tratta di un’opera scritta a più mani, ma tra i testi contenuti il contributo di gran lunga più ampio risulta la cronaca delle manifestazioni di lutto che si erano tenute praticamente in tutti i centri della provincia. Se si ha la pazienza (o magari il piacere) di leggere questi reportage fino all’ultimo, si scopre la firma in calce è quella di Sigismondo Castromediano.
Erano passati 30 anni dai moti del 1848, il cui coinvolgimento valse al “Duca bianco” la condanna al carcere duro, e 19 anni dalla sua rocambolesca riconquista della libertà. Nel 1861 Castromediano era stato eletto nel collegio di Campi al primo parlamento nazionale. Successivamente, la mancata rielezione nel 1865, oltre a farlo piombare in un’amarezza e un senso di scoramento che non lo avrebbero mai più abbandonato, gli fece lasciare definitivamente Torino per tornare a vivere stabilmente nel suo Salento. Qui, oltre a spendersi, come è noto, per il recupero e la salvaguardia delle memorie storiche della sua terra (opera che culminò nella creazione del museo provinciale a lui intitolato), fu anche fecondo scrittore e consigliere provinciale dal 1869 al 1879. Non sorprende, quindi, il fatto che il compito di stilare per conto dell’amministrazione provinciale il resoconto delle onoranze funebri rese dal Salento a Vittorio Emanuele II cadesse proprio su di lui. Circa un terzo di quel testo consiste nella descrizione delle manifestazioni tenutesi nel capoluogo (in figura possiamo vedere l’allestimento funebre del duomo di Lecce per l’occasione), cui seguono, più succinte, le cronache da ciascuno dei numerosi centri di terra d’Otranto, elencati alfabeticamente.
Il resoconto da Copertino porta la data del 26 gennaio. La “pingue e laboriosa cittadina chiuse spontanea le botteghe e i luoghi pubblici, ma li chiuse del pari nel dì in cui furon celebrati i riti sacri nella Collegiata, dove gl’Impiegati, le Autorità e con essi il Pretore, 18 Carabinieri col Capitano, le Guardie di Finanza, il Delegato delle Scuole coi Maestri e Maestre e circa 300 loro alunni, e l’Agente delle Tasse di Lecce, Sig. Eugenio Canudo, vi si recarono in Corteggio[2], preceduto dalla banda, la quale frequente intuonava dolorose melodie composte dal Maestro Zuppa, direttore della medesima”.
Non conosciamo esattamente la data in cui si tenne questa celebrazione: se da un lato non può essere stata troppo posteriore al 9 gennaio, è pur vero che almeno qualche giorno doveva essere servito per allestire un complesso catafalco nella chiesa collegiata di Copertino: “L’interno del Tempio, oltrecchè addobbato a gramaglia, mostrava in mezzo eretto un monumento tutto di marmo bianco, circondato da epigrafi lapidarie, da coni piramidali, da quattro stendardi agli angoli e da quattro simulacri di donne piangenti che sostenevano le armi di Torino, Firenze, Roma e Napoli. In alto poi, presso la volta, splendeva una stella d’oro, dai raggi della quale scendevan veli neri quasi a cuoprirlo a simiglianza di cortine. N’era stato inventore l’ingegnere Raffaele Leo[3]: gli alunni delle scuole vi deposero molte loro corone”.
Fatto tutt’altro che scontato in quell’epoca di conflitti tra Stato e Chiesa, il clero (o una sua parte, quantomeno) partecipò con convinzione alle onoranze: “Le solennità consuete vennero adempite dai Canonici della Collegiata e dal Capitolo; l’Arciprete[4] pronunziò senza scrupolo il Rex noster, e il canonico D. Vincenzo Calassi[5] predicò le funebri lodi. Dopo seguiron le altre del Maestro elementare Annibale Castaldi”.
Il momento di partecipazione popolare fornì l’occasione per un’opera di pubblica beneficenza, come l’elargizione della dote a tre giovani orfane e prive di mezzi: “La Congregazione di Carità estrasse a sorte tre maritaggi a favore di tre povere orfane, di 50 lire[6] ciascuno, due dei quali per conto dell’erario comunale, e il terzo del proprio”.
A questo punto, però, prende forma il dramma… “È da notare che scossa l’urna, il primo nome che ne uscì fu quello d’una infelice, la quale nel medesimo momento col Viatico era licenziata da questa vita, e che ciò non ostante benedisse a Vittorio Emanuele”. In altre parole: una delle ragazze estratte come beneficiarie delle doti estratte a sorte si trovava, derelitta, ormai in fin di vita e sarebbe morta di lì a poco, non mancando tuttavia di ringraziare il defunto monarca per quel dono tanto inaspettato quanto ormai inutile.
Per provare a dare un nome alla protagonista di questa straziante vicenda non resta che sfogliare gli atti di morte del comune di Copertino relativamente al periodo in questione, un intervallo di giorni che deve necessariamente andare dal giorno della morte di Vittorio Emanuele II alla data della relazione del Castromediano, ossia dal 9 al 26 gennaio 1878. In quei giorni vennero ufficialmente registrati i decessi di Sebastiano Camisa, di 7 anni, Santa Lillo[7] (4 anni), Liberato Salvatore Martina (43 anni), Giuseppe Cazzato (43 anni), Rosaria Greco (4 mesi), Sebastiano Pedone (5 anni), Licinia Leo (14 mesi) e Donata Renis (70 anni)[8].
Come si può constatare, nessuno di questi profili è compatibile con quello di una giovane donna in età da marito. Dobbiamo dunque ritenere infondata la straziante scena narrata dal Castromediano.
Da chi e perché, allora, fu ideata quella che oggi definiremmo una fake news? È al di sopra di ogni sospetto la buona fede del “Duca bianco”, che improntò la propria intera esistenza a un inflessibile rigore morale, spesso facendone dolorosamente le spese. D’altronde sarebbe contrario a ogni logica immaginare che egli avesse potuto presenziare a tutte le manifestazioni tenutesi in quei giorni nei numerosissimi centri della provincia, pertanto è plausibile che le notizie sulle celebrazioni di Copertino gli fossero pervenute da terzi, ossia da testimoni oculari locali. Se anche così fosse, non è necessario ravvisare a tutti i costi il dolo da parte della “fonte” copertinese del duca scrittore: la morte della giovinetta potrebbe essere realmente accaduta qualche tempo prima o dopo l’intervallo di date cui si accennava in precedenza, e “avvicinata” ad arte a quel periodo per aggiungere un tocco di pathos alla cronaca patriottica delle esequie regali. Un’altra ipotesi, infine, potrebbe essere che si tratti di un episodio accaduto in realtà in un altro comune, e attribuito a Copertino solo in seguito ad una banale svista.
Ciò che sembra innegabile, tuttavia, è che il Castromediano non si lasciò certo sfuggire l’occasione di narrare, in accordo con il gusto del tempo per i toni da melodramma, un simile episodio da libro Cuore: la giovane orfana che finalmente riceve una piccola gioia da una sorte avara, ma non può goderne perché la vita stessa la abbandona subito dopo. Nell’attimo supremo – e qui il melodramma si ricopre di edificante retorica patriottica – ella spira benedicendo la memoria dal re, quel Vittorio Emanuele II nel quale Sigismondo Castromediano vent’anni prima aveva definitivamente riposto tutte le speranze per un’Italia indipendente e unita.
In ogni caso, la tentazione a cui non si deve cedere nel rileggere la pagina del Castromediano e nel discuterne la veridicità è quella di formarsi un giudizio basato su un’ottica, la nostra, distorta dai quasi 150 anni trascorsi da quei fatti. I temi delle lotte risorgimentali da un lato e della povertà e della morte in giovane età dall’altro, lo stile con cui venivano espressi in forma di testo “giornalistico”, nonché la sensibilità del pubblico a cui tutto ciò era indirizzato, sono quanto mai lontani dal contesto e dal modo di sentire odierni. Quanto oggi ci potrebbe apparire ingenuamente artefatto rispondeva invece, all’epoca, a precise esigenze di carattere morale e civico.
All’antico patriota perdoniamo dunque la piccola imprecisione e, anzi, restiamo riconoscenti per averci lasciato questo ampio e vivace spaccato di vita pubblica nel Salento tardo-risorgimentale.
Note
[1] AA. VV., “A Vittorio Emanuele II, onoranze funebri in Terra d’Otranto”, Lecce, 1878. Per quanto riguarda le cronache da Copertino, parzialmente citate nel seguito, si vedano le pagine 77-79.
[2] Corteo.
[3] Raffaele Leo (1841-1910) fu una figura di primo piano nella seconda metà del XIX secolo a Copertino, e non solo, nella realizzazione di opere di edilizia civile, religiosa e privata. Il suo nome si incontra continuamente nei progetti di opere pubbliche e nelle perizie richieste per cause civili relative a suoli e fabbricati dell’epoca. Suoi furono anche progetti per interventi architettonici nelle chiese di San Giuseppe da Copertino e del SS. Sacramento.
[4] Alla data del 20 dicembre 1878, in occasione della visita pastorale del vescovo di Nardò Michele Mautone, la carica di arciprete risultava vacante (O. Mazzotta, M. Spedicato [a cura di], “Copertino in epoca moderna e contemporanea. Vol. III: Le fonti ecclesiastiche. Tomo I: Le visite pastorali”, Galatina, 1997, p. 467). Figurava come “ex arciprete curato”, non più in carica da diversi anni, Nicola Leonardo Pisacane (1819-1906), mentre svolgeva le funzioni di parroco, con il titolo di economo curato, Francesco Verdesca Zain (1838-1921), futuro arciprete a partire dal 1880. È possibile dunque pensare che l’arciprete qui menzionato sia monsignor Pisacane.
[5] Si tratta in realtà del canonico Vincenzo Calasso (1827-1903).
[6] La moneta da 50 lire di quegli anni era in oro 900/1000, con un peso totale di poco più di 16 grammi. Il suo contenuto in oro fino, al cambio attuale, corrisponderebbe a un valore di circa 730 euro. Più interessante del cambio attuale è, però, il potere d’acquisto di questa somma all’epoca: 50 lire corrispondevano, grosso modo, a una singola mensilità dello stipendio di un maestro elementare o di una guardia municipale.
[7] Santa Lillo era nata a Monopoli, figlia di Antonio, imprenditore che si era poi trasferito a Copertino impiantando una distilleria nel soppresso convento dei Cappuccini, sulla via per Leverano (il decesso della bambina risulta infatti avvenuto a tale indirizzo).
[8] Archivio di Stato di Lecce, Stato Civile del Comune di Copertino, Registro degli Atti di Morte, a. 1878, nn. 2-9.
Mi fanno felice queste commemorazioni di fatti che riguardano in un certo senso ” fare i conti con il passato”in Particolar modo quando si raccontano fatti e non fantasie. Bravissimi
se era stato scomunicato da Pio IX mi sembra strana la partecipazione di parte del clero .
Caro Francesco, il suo è un dubbio lecito.
Con l’annessione di Roma all’Italia si aprì in effetti una stagione di aperto scontro trs Stato Italiano e Santa Sede che sarebbe durata fino al 1929. Vittorio Emanele II fu scomunicato, ma si fece in modo che in punto di morte la scomunica gli venisse revocata e gli si potessero somministrare i sacramenti (mi permetto di segnalare un link che ne parla dettagliatamente: https://www.30giorni.it/articoli_id_12424_l1.htm).
Nonostante la “guerra fredda” in corso, il clero non poteva completamente ignorare il fatto di vivere in una nuova e irreversibile situazione politica, né il fatto che i fedeli dovessero vivere – piacesse o no – anche da buoni sudditi del nuovo stato unitario. Le singole convinzioni politiche degli ecclesiastici facevano il resto: c’erano i nostalgici dell’era preunitaria e i sostenitori nel nuovo. Il Capitolo di Copertino non faceva eccezione, e le lotte tra le due fazioni non mancarono in seno a tale istituzione. Nell’articolo mi sono premurato di premettere, infatti, che la partecipazione del clero locale a quelle esequie regali era tutt’altro che scontata a priori. Ci fu, in effetti, ma non possiamo sapere se fu unanime. Due soli sono i nomi di sacerdoti esplicitamente menzionati dal Castromediano. Uno, l’ex arciprete Pisacane, se non vado errato si era sempre segnalato come un fautore (spesso anche “rumoroso”) della causa risorgimentale.