di Davide Elia
Domenica 7 maggio 1809 una giovane coppia comparve al Comune di Copertino per formalizzare la propria volontà di contrarre matrimonio e procedere ai relativi adempimenti di legge, quali l’accertamento delle identità, la verifica delle certificazioni prodotte e l’affissione delle pubblicazioni. Lui era Baldassarre Isacco Verdesca, 26 anni, muratore; lei Tersilla Marulli, 19 anni, “artista” (ossia artigiana).
Entrambi abitavano alla “strada dei Pappi”, l’attuale via Matteotti, ed erano quindi vicini di casa. “Tersilla” non era certo un nome dei più consueti, soprattutto tra le famiglie di estrazione popolare …ma insoliti erano anche il nome del padre Eliodoro, defunto diversi anni addietro, e dei numerosi fratelli e sorelle: Prassede, Emerenziana, Florentino, Emilio, Demetria e Realina[1].
Il promesso sposo quel giorno si presentò munito dell’autorizzazione al matrimonio concessagli dai genitori, ancora viventi. La futura moglie, al contrario, orfana di padre e madre, era “assistita dal consiglio di famiglia, per la mancanza di detti genitori, avo ed ava”.
Entra in scena, quindi, un “consiglio di famiglia” interpellato per vigilare e deliberare sulla scelta di una giovane orfana. Un istituto oggi del tutto scomparso, che non può non suscitare curiosità oggi, ma che probabilmente anche all’epoca risultava poco consueto: esso era infatti retaggio di una legislazione straniera, solo da pochi mesi introdotta da Napoleone Bonaparte nel meridione d’Italia.
La figura di Napoleone non si distinse solo per le imprese militari e per gli sconvolgimenti politici che produsse in Europa, ma anche per una quantità di intuizioni epocali che si tradussero in altrettanti “balzi in avanti” per il progresso della civiltà occidentale. Tra queste, sicuramente l’introduzione del Codice Civile, che dalla Francia, dove era stato promulgato nel 1804, venne esteso agli altri paesi via via assoggettati dal Corso. In qualunque luogo d’Europa arrivasse, questa raccolta dall’enunciazione chiara, snella, elegante, spazzava via ogni obsolescenza e ambiguità insite nell’antiquata legislazione precedente. Nel Regno di Napoli, conquistato dai Francesi nel 1806, il Codice entrò in vigore il 1° gennaio 1809, regnante Gioacchino Murat. Riconoscendone l’efficacia, al loro ritorno sul trono nel 1815 i Borboni si guardarono bene dall’abrogarlo in toto: al contrario, lo mantennero in vigore in via provvisoria fino al 1819, quando venne varato il nuovo “Codice per lo Regno delle Due Sicilie”, che nei fatti era poco più che un suo rimaneggiamento.
…Ma torniamo al 1809 e al Codice Napoleone. Ben dettagliata era la parte dedicata al diritto di famiglia. In particolare, il codice introduceva la novità del matrimonio civile, regolato dal Titolo V del Libro I, per un totale di ben 85 articoli.
L’età minima per contrarre matrimonio era di 18 anni per l’uomo e 15 per la donna (articolo 144), derogabile in casi eccezionali (145). Nondimeno, fino ai 25 anni per l’uomo e 21 per la donna era comunque necessario chiedere il consenso dei genitori (148), o di uno solo qualora l’altro coniuge fosse già morto (149); in mancanza di entrambi, il placet doveva provenire dai nonni (150)[2].
L’articolo 160, tuttavia, aggiungeva: “Se non vi sono né padre né madre, né avoli né avole, o se si trovino tutti nella impossibilità di manifestare la loro volontà, i figli o le figlie minori di anni ventuno non possono contrarre matrimonio senza il consenso del consiglio di famiglia”. Compare qui un’istituzione, il “consiglio di famiglia”, che suona insolita, quantomeno alle nostre latitudini. Al Titolo X del Libro I, il Codice civile precisava: “Il consiglio di famiglia, non compreso il giudice di pace, sarà composto di sei parenti od affini, metà del lato paterno, metà del materno, secondo l’ordine di prossimità in ciascuna linea, i quali potranno prendersi tanto nel comune ove si farà luogo alla tutela, quanto nella distanza di due miriametri. Il parente sarà preferito all’affine nello stesso grado; e, fra i parenti di ugual grado, verrà preferito il più vecchio” (407), e: “I fratelli germani del minore, ed i mariti delle sorelle germane sono i soli eccettuati dalla limitazione del numero stabilito nel precedente articolo. Quando siano sei o più, saranno tutti membri del consiglio di famiglia, che da essi soli verrà composto, unitamente alle vedove degli ascendenti ed agli ascendenti legittimamente scusati, se ve ne fossero. Quando fossero in numero minore, saranno chiamati gli altri parenti per completare il consiglio” (408).
La nostra giovane copertinese Tersilla Marulli, minorenne e priva di genitori e nonni, dovette pertanto ottenere l’autorizzazione alle nozze da un consiglio di famiglia che, però, nell’occasione appare costituito da due soli componenti (ossia i due fratelli maschi), anziché i sei previsti sopra: “[…] e noi Florentino Marullo, ed Emilio Marullo fratelli col presente atto prestiamo il nostro consenso alla nostra sorella Tersilla Marullo figlia degli quondam Eliodoro, e Teresa Cordella, stante la mancanza degli genitori, e dell’avo, e dell’ava a poter contrarre matrimonio con Baldassarre Isacco Verdesca, essendo del nostro piacere, e volontà”[3].
Per chi fosse giunto fin qui con la lettura e avesse maturato ormai la curiosità di sapere se i due sposi “vissero felici e contenti”, possiamo dire che il matrimonio civile ebbe luogo il 17 maggio 1809[4] e fu allietato dalla nascita di una prima figlia il 23 marzo 1810[5].
Il consiglio di famiglia, introdotto dai francesi, venne mantenuto anche dopo la Restaurazione sia nel diritto civile napoletano sia nella legislazione degli stati sabaudi, finendo anche per comparire nel Codice Civile dell’Italia unita del 1865, il cui modello fondamentale continuava a essere il codice napoleonico. Nella legislazione italiana il consiglio di famiglia scomparve definitivamente nel 1942, con la promulgazione del nuovo codice civile, tuttora in vigore pur con significative rettifiche e aggiornamenti.
Note
[1] Archivio Vescovile di Nardò, Stati delle Anime, Comune di Copertino, anno 1805.
[2] Il successivo articolo 152 estendeva ulteriormente agli uomini fino ai 30 anni e alle donne fino ai 25 la raccomandazione di richiedere, come forma di “atto rispettoso”, un “consiglio” ai genitori (o, in mancanza di questi, ai nonni). In caso di mancata risposta, si sarebbe dovuto reiterare tale richiesta mensilmente per tre mesi di seguito, dopo i quali l’interessato avrebbe acquisito in ogni caso la facoltà di convolare liberamente a nozze. Questo spiega perché, come narrato in precedenza, il Verdesca esibì l’approvazione dei genitori pur essendo ormai maggiorenne.
[3] Stato Civile del Comune di Copertino, 1809, Processetti, n. 4, foglio 2.
[4] Stato Civile del Comune di Copertino, Registro dei Matrimoni, 1809, n. 16.
[5] Stato Civile del Comune di Copertino, Registro delle Nascite, 1810, n. 33.
Complimenti all’autore dell’articolo; e che sia di stimolo per altri consimili non solo per amene curiosità ma come testimonianza del divenire sociale del salentino, sollecitato sempre dagli accadimenti esterni.
Oltre al Consiglio di Famiglia per gli sposi nati o divenuti orfani, era previsto un diverso parere opportunamente verbalizzato della Commissione dei Proietti per chi era nato da genitori ignoti.