Introduzione di Ruggero Doronzo
Con questo volume Vito Telesca torna ad approfondire ulteriormente quanto aveva già esaminato nella prima edizione di Francesco e Federico, due giganti allo specchio e Il sogno orientale. Se nel primo volume l’Autore colloca le sue ricerche in uno spazio mediterraneo, col quale si era dedicato a esaminare l’ascesa e gli incontri di Federico II e di Francesco, così diversi negli intenti perseguiti che trovarono nella figura del sultano al-Malik al-Kamil un punto di incontro, nel secondo circoscriveva il raggio di azione all’estrema propaggine della Puglia, il Salento. Qui, ma il discorso vale un po’ per l’intera regione, la posizione strategica aveva favorito le relazioni con tutto il bacino medio-orientale in quanto la Puglia ha per secoli rappresentato il naturale ponte fra Occidente e Oriente, tappa obbligata per quanti erano diretti in Terrasanta e per quelli che dopo aver reso omaggio ai luoghi di Gesù facevano ritorno a casa. In viaggio verso l’Oriente, dalla Puglia si salpava dai maggiori porti (Barletta, Trani, Molfetta, Bari, Monopoli, Brindisi, Gallipoli) e, a ritroso, in essi si approdava, così come era possibile attraversare l’Adriatico mediante la cosiddetta via Egnatia, dal nome dell’antica città, già centro dei Messapi, nei pressi di Savelletri di Fasano. Al tempo dei Romani soprattutto, il porto di Egnatia era adoperato per raggiungere l’antica via di comunicazione della Repubblica romana che congiungeva l’Adriatico con l’Egeo e il mar Nero.
Realizzata a partire dal 146 a.C. per volontà del proconsole di Macedonia Gneo Egnazio, la via Egnatia, giunti sulla sponda opposta della Puglia, toccava importanti centri (per ricordare i più importanti) come Dyrrachium (Durazzo), Lychnidos (Ohird), Edessa, Tessalonica, Filippi sino ad arrivare a Costantinopoli.
Va da sé che per tutto il Medioevo essa rappresentò uno dei maggiori collegamenti fra Occidente e Oriente, attraversata da mercanti, crociati, uomini diplomatici, religiosi e pellegrini. Fra questi ultimi sicuramente va ricordato san Francesco, sul quale Vito Telesca torna a scrivere partendo dalle fonti agiografiche redatte da Tommaso da Celano subito dopo la sua morte, il 5 ottobre 1226.
Tommaso da Celano fu autore di due versioni della biografia di san Francesco, la prima composta entro il 1229, la seconda scritta fra il 1232 e il 1239. Esse, come la critica ha messo da tempo in luce (C. Frugoni, Francesco e l’invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini fino a Bonaventura e Giotto, Torino 1996, con bibliografia; A. Vauchez, Francesco D’Assisi. Tra storia e memoria, Torino 2010; F. Cardini, Francesco d’Assisi, Milano 2020, con bibliografia) furono sostituite dal racconto agiografico redatto da Bonaventura da Bagnoregio, destinato a diventare la biografia ufficiale di Francesco. Nonostante ciò gli scritti di Tommaso da Celano, cui si aggiunge il Trattato dei miracoli, continuarono a rappresentare le fonti da cui desumere ispirazione per quanto riguarda la raffigurazione in pittura dei miracoli compiuti dal santo, in un’area che grossomodo abbraccia la Toscana, l’Umbria, le Marche e il Lazio e, per l’Italia meridionale, la Campania, la Puglia e la Basilicata.
L’Autore con questo volume indaga le vicende storiche che seguirono subito dopo la morte di san Francesco e che in Italia vedevano ormai l’ascesa di Federico II, figlio di Enrico VI, eletto nel 1215 e incoronato nel 1220. Preoccupato di rinsaldare il controllo sul Regno di Sicilia, Federico II rimandò per alcuni anni la crociata in Terrasanta, che, a seguito della caduta di Gerusalemme, era fra le priorità dei pontefici. Salpato nel 1227 dal porto di Brindisi fu costretto a rientrare subitissimo a causa di un’epidemia esplosa sulla flotta e ciò portò papa Gregorio IX a scomunicarlo.
Come si anticipava, Federico II aveva incontrato il sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil, il medesimo che qualche anno prima Francesco aveva raggiunto per convincerlo, ma invano, alla conversione degli infedeli. Federico II intavolò col sultano delle trattative diplomatiche che gli fruttarono la cessione da parte dei musulmani di una parte di Gerusalemme, nonché un’area di transito sino al porto di Acri. Tale incontro, durante il quale il dialogo si sostituiva per la prima volta alla guerra, portò Federico a essere accusato di miscredenza. Quando fece ritorno in Italia, l’imperatore diede avvio alle operazioni militari contro i comuni lombardi, ottenendo una nuova scomunica nel 1239.
Telesca indaga la fitta trama socio-politica che si sviluppa nel terzo e nel quarto decennio del Duecento sottolineando come per il pontefice Gregorio IX san Francesco, emblema della cristianità, fu in più occasioni contrapposto alla figura di Federico II. Se l’imperatore, scomunicato una terza volta nel 1245 dal successore di Gregorio IX, Innocenzo IV, veniva indebolito sempre più, il culto nei confronti di san Francesco cresceva e si diramava in Italia centro meridionale, non solo grazie alla politica papale di propaganda e alla predicazione dei frati, che ormai si dirigevano in più parti della penisola, ma soprattutto a seguito del ricordo di un passaggio diretto del santo di Assisi sulle strade pugliesi.
Questo porta l’Autore a soffermarsi e a esaminare i luoghi presso cui san Francesco si sarebbe recato durante il suo viaggio verso la Terrasanta e di quelli che dovette eventualmente visitare al suo ritorno: vengono così ricordati importanti luoghi della cristianità pugliesi presso cui la tradizione ricorda la presenza del santo di Assisi, come per esempio il santuario micaelico di Monte Sant’Angelo.
Il libro di Telesca, seguendo tale pista di indagine, offre allora la possibilità di fare il punto della situazione sull’arrivo dei primi Francescani in Italia meridionale e della diffusione delle prime immagini di sapore francescano. Questa disamina, infatti, non esula così dal trattare anche le testimonianze pittoriche nel quadro storico-artistico generale dei secoli XIII e XVI limitatamente alla Puglia e alla Basilicata.
In tale contesto si inserisce il capitolo intitolato Presenza francescana nell’arte in Puglia e Basilicata tra XIII e XVI secolo a firma di chi scrive, nel quale sono tornato su temi di cui mi sono già occupato (R. Doronzo, La chiesa di San Donato a Ripacandida. Storia e arte di un santuario lucano dimenticato, Bari 2018; R. Doronzo, Fonti per la Regio Vulturis. Arte e devozione nella Terra di Ripacandida, Bari 2019; R. Doronzo, M. Pasculli Ferrara, La basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina, Bari 2019), allargando però l’area di indagine in particolar modo in Capitanata, in Terra di Bari e, ancora una volta, in territorio lucano, in cui i cicli pittorici presenti (soprattutto in edifici legati all’Ordine francescano) presentano soluzioni figurative dove vengono coniugati gli stilemi più diversi maturatisi all’interno delle tradizioni regionali e soluzioni che rimandano più nello specifico alla cultura figurativa ‘adriatica’, non prescindendo da alcune iconografie codificate da Giotto nella basilica superiore di Assisi. Faccio specifico riferimento all’episodio delle Stimmate di san Francesco, di cui Giotto traduce in immagine quanto narrato da Bonaventura da Bagnoregio nella sua Legenda Maior, composta fra il 1260 e il 1263. La medesima iconografia si ritrova sia nella basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina (Lecce), in cui modelli e caratteri di provenienza napoletana si legano in una contaminatio di alto valore con quelli derivanti dalle aree marchigiana e veneta[1], e sia nella chiesa di San Donato a Ripacandida.
Se a Galatina numerose figure dei cicli pittorici (Storie dell’Apocalisse sulle pareti della prima campata, Storie veterotestamentarie sulle pareti della seconda, Storie di Gesù su quelle della terza e Storie della vita di santa Caterina d’Alessandria su quelle del presbiterio) eseguite dal 1391 al 1406 (anno della morte di Raimondello del Balzo Orsini, cui è legata la fondazione della chiesa di Santa Caterina d’Alessandria) e, soprattutto, fra il 1415 e il 1446 (anno in cui morì la munifica committente Maria d’Enghien Bienne)[2], instaurano uno stretto dialogo col versante artistico adriatico a cavallo fra XIV e XV secolo[3], a Ripacandida una tale iconografia poté essere conosciuta nella zona del Vulture mediante la circolazione di tavole e codici miniati che viaggiavano assieme a monaci e religiosi lungo i principali tratturi che collegavano i centri pugliesi a quelli lucani. All’episodio raffigurato nella chiesa lucana prende parte anche frate Elia, il quale divulgò la notizia della presenza delle stimmate sul corpo di Francesco al momento della morte.
Tornando alle pagine a firma di Vito Telesca, lo studioso cerca di far luce sugli eventi che portarono Elia a seguire vie che spesso si incrociarono con quelle perseguite da Federico II e la lettura, chiara e scorrevole, rende il contenuto avvincente sia per gli addetti ai lavori che per gli appassionati di storia religiosa.
Note
[1] Rammento che G.B. Cavalcaselle, J.A. Crowe, Storia della pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI, vol. IV, Firenze 1900, pp. 326-327, individuavano all’interno della basilica galatinese il veneziano Caterino.
[2] M. Pasculli Ferrara, R. Doronzo, La basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina, Bari 2019, con bibliografia precedente.
[3] Sulla cultura veneta in genere negli affreschi galatinesi si veda A. Cucciniello, Galatina, Basilica di Santa Caterina d’Alessandria. D’agli intendenti ammirata. La decorazione pittorica, in S. Ortese, Pittura tardogotica nel Salento, Galatina 2014, pp. 3-71, in part. p. 43.
Aggiungere qualche pagina del libro – a mo’ di esempio – susciterebbe ancor più l’interesse all’approfondimento. Anche perché l’accostamento (!) fra le due grandi personalità è speculare all’insipienza del potere costituito le cui nefaste decisioni di quel tempo riverberano ancora i loro non positivi effetti in questo nostro travagliato tempo.