di Mirko Belfiore
Partiamo dall’inizio. Che cosa sono i Rolli Days? Sono delle giornate in cui Genova apre al mondo i suoi luoghi più rappresentativi, orgogliosa e trionfale, testimoni diretti di quel momento storico aureo, che lo studioso Fernand Braudel definì: El Siglo de los genoveses.
Nel corso del XVI secolo e nei primi decenni del XVII secolo, la Repubblica di San Giorgio acquisì un peso specifico sempre più rilevante all’interno delle complesse dinamiche del mercato finanziario europeo, influenzando le economie dei regni più importanti del Vecchio Continente. Di conseguenza, molti furono gli ospiti illustri che si recarono in Liguria per tessere rapporti con l’influente oligarchia genovese. Ed è proprio in corrispondenza di queste occasioni che si creò la necessità di come accogliere degnamente questi personaggi, vista la mancanza di un luogo ufficiale adatto a questo scopo.
Fu proprio per questo motivo che il Senato della Repubblica, l’8 novembre del 1576, approvò un decreto che istituiva una lista (i cosiddetti ruoli o “rolli”), dove vi venivano inserite tutte le dimore più sontuose della città e al nobile proprietario che veniva estratto a sorte si assegnava l’obbligo di accogliere l’autorità di turno, con decoro e a seconda della posizione da esso ricoperta; un sistema magistralmente sintetizzato dalle parole dello storico Ennio Poleggi, il quale definì Genova: “una reggia repubblicana diffusa”.
Fra queste numerose “case” di proprietà del facoltoso patriziato locale (più di un centinaio, e di cui una buona parte oggi è riconosciuto come patrimonio Unesco) ritroviamo anche il nominativo di palazzo Imperiale, iscritto nel bussolo di I classe fin dal 1576 e presente anche nelle successive liste: 1588 (III classe), 1599 (I classe), 1614 (I classe) e 1664 (II classe).
Dove si posiziona il palazzo? Il palazzo lo ritroviamo inserito nella parte più antica del centro storico, un’enorme babele di vie e vicoli che ancora oggi caratterizza la città.
Con la sua imponente mole e una splendida facciata tripartita decorata secondo tre stili diversi: a bugnato, ad affresco e con stucchi, si erge in tutta la sua bellezza nella cosiddetta area del Campetto, l’antico campus fabrorum.
Fu costruito fra il 1555 e il 1560 e fu commissionato al celebre architetto Giovan Battista Castello detto il Bergamasco, dal ricco uomo d’affari e proprietario di un “banco” fra i più remunerativi della città: Vincenzo Imperiale olim Tartaro. Nel 1580 il figlio Gio. Giacomo Imperiale, abilissimo uomo d’affari, subentrò nella proprietà del palazzo e oltre a saper ereditare la profonda cultura del padre, portò avanti la sua sfolgorante carriera politica, raggiungendo il seggio dogale fra il 1619-1621: massima carica istituzionale genovese. Egli, inoltre, si renderà protagonista di numerose trasformazioni architettoniche di tutte quelle che erano le proprietà del casato, extramoenia (Villa Imperiale-Scassi di Sampierdarena fra le tante) e intramoenia.
Si impegnò ad aumentare il ruolo di rappresentanza dello slargo del Campetto costruendo una nuova ala dell’edificio patronale, a cui sia aggiunse un vero e proprio progetto immobiliare ad ampio respiro. Acquistò un gruppo di edifici di epoca medievale prospicenti il portale d’ingresso e dopo averne demolito una parte, fece aprire nel 1584 un elegante asse viario (attuale Via di Scurreria, già Via Imperiale), che mise in collegamento la domus con la piazza antistante la Cattedrale di San Lorenzo, decorando tutti i palazzi che vi si affacciavano con affreschi e nuove linee architettoniche.
A conclusione di questo percorso, sintesi perfetta dell’uomo d’affari e del politico impegnato, troviamo quella figura che più di tutti seppe rappresentare la grande parabola di successo di Casa Imperiale: Gian Vincenzo. Raffinato collezionista d’arte e celebre letterato, fu educato fin dai primi vagiti alla “doppia vita” di uomo di finanza e di cultura. Percorse tutte le tappe del “corsus honorum”, arrivando a occupare nel 1625, lo scranno di senatore della Repubblica.
Fu mecenate, stimato poeta e infaticabile viaggiatore, riconosciuto anche per la sua innovativa produzione letteraria, talmente rilevante che lo pose all’attenzione degli ambienti culturali più importanti dell’epoca (le accademie dei Mutoli, degli Addormentati, dei Gelati, degli Intrepidi, etc.), circoli letterali dove ebbe l’opportunità di conoscere e confrontarsi con le principali menti dell’epoca come Gabriello Chiabrera, Angelo Grillo e Ansaldo Cebà.
Fu protettore di molti artisti e pittori, i quali gravitarono presso la sua corte, non solo per le enormi possibilità economiche, ma anche e soprattutto perché in lui riconoscevano quella sconfinata cultura che seppe alimentare fino alla fine dei suoi giorni. A celebrazione di questo percorso familiare, lo stesso fece porre nel 1629, su una delle pareti del primo piano del palazzo, una lapide dedicatoria che ancora scolpita nel marmo recita: il palazzo fu eretto dall’ “Avo” Vincenzo, ampliato da “Padre” Giò. Giacomo e decorato da tutti con pitture, statue e libri. Un vero e proprio manifesto programmatico che sintetizza la forte unione di intenti che unì i tre membri e di cui la dimora rappresenta uno dei massimi esempi.
BIBLIOGRAFIA
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