RESTI ARCHEOLOGICI, RICERCHE, DOCUMENTAZIONE E FONTI STORICHE
di Gianfranco Mele
Monte Magalastro si trova tra l’agro di Sava e quello di Torricella, a 96 mt. sul livello del mare. Dalla sommità dell’altura è possibile dominare con lo sguardo un’ampia fetta del panorama circostante, compresi il comune di Torricella e la zona costiera.
Gli studi intorno a questo sito (benchè non siano mai stati condotti veri e propri scavi archeologici ma soltanto indagini in superficie) riferiscono di significative presenze in epoca neolitica, greca o messapica, romana, bizantina.
UN CONTINUUM INSEDIATIVO DALLA PREISTORIA ALL’EPOCA ROMANA
Mario Annoscia, nel Notiziario Topografico Pugliese del 1978, individua in questo sito, da rinvenimenti in superficie, resti di materiali di varie epoche a partire da quella preistorica. Ritiene inoltre di identificare alcuni blocchi tufacei come resti di una fortificazione classica. L’Annoscia riferisce di “diversi blocchi tufacei di forma parallelepipeda” sulla parte più alta della collina, che è circondata da un antico muro a secco. Ritrova ritrova inoltre nell’area i seguenti materiali: due schegge di ossidiana, numerosi frammenti di coppi e tegole, frammenti di unguentari del periodo ellenistico, frammenti di parete di vaso a vernice nera baccellato, un frammento di ciotola a vernice nera ellenistica, un frammento di parete di skyphos a figure rosse con motivo a volute, numerosissimi frammenti di vasi a vernice nera, acromi, da fuoco, d’impasto, due opercoli frammentati, fondi e pareti di ceramica grigia, un piccolo peso da telaio piramidale, alcune bocche e puntali d’anfore, una testina femminile confrontabile con i tipi della coroplastica tarantina.[1]
In area Magalastro, come si è anticipato, purtroppo non risultano essere stati effettuate campagne di scavo archeologiche, a discapito di frequenti incursioni da parte di tombaroli. Tuttavia Paride Tarentini esplora meticolosamente il sito in superficie, rinvenendo una serie di materiali assai interessanti. I suoi studi rilevano la presenza di un insediamento neolitico, di presenze nelle età del rame, del bronzo e del ferro, di epoca greca (o messapica), di epoca romana.
Rispetto all’epoca neolitica il Tarentini segnala e offre documentazione fotografica circa ritrovamenti superficiali di “intonaci argillosi di capanna; industria litica su selce, ossidiana e pietra dura levigata, sparute ceramiche, frammenti vascolari ad impasto grossolano bruno e/o nerastro”.[2]
Per quanto riguarda l’ “epoca greca”, il Tarentini documenta la presenza di “frammenti ceramici e grandi blocchi squadrati in pietra carparo […], numerosissimi resti di coppi e tegole (alcune dipinte di rosso/bruno)”. Vi intravede perciò un insediamento di significativa consistenza, comprensivo di un sepolcreto e di un luogo di culto. Le funzioni sepolcrali e cultuali del sito sono confermate dalla presenza di “lastre tombali spezzate, resti ossei” e ”vasetti miniaturistici, frammenti di statuette votive”. Il Tarentini inquadra cronologicamente questo insediamento tra il VI-V ed il IV-III sec. a.C. , evidenziando la presenza rara di “cocci a figure nere”, quella sporadica di cocci “a figure rosse” e quella prevalente di frammenti “a vernice nera con sovraddipintura tipo “Gnathia””.[3]
Le tracce di frequentazioni e/o insediamenti di epoca romana sono documentate dai ritrovamenti, sempre del Tarentini, di ceramiche a pasta grigia (II-I sec. a.C.) e di un frammento in terra sigillata italica (I sec. d.C.).[4]
L’area archeologica di monte Magalastro è circondata da muri a secco, che sembrano perimetrare l’altura a mò di protezione. Il Tarentini, in accordo con l’Annoscia, ipotizza la presenza di un avamposto militare fortificato greco (phourion), a difesa dei confini della chora tarantina.[5] Questa ipotesi si allinea ad una serie di interpretazioni avanzate da storici e archeologi che vedono in una serie di siti (gli stessi che molto più tardi faranno parte del limite orientale della diocesi medievale di Taranto), delle zone strategiche di confine della Magna Grecia, sviluppatesi durante la terza fase di espansione della Chora tarantina (VI sec. a.C.): si assisterebbe, così, alla comparsa, a ridosso dei centri messapici, di una serie di siti rurali, luoghi di culto e villaggi fortificati.[6]
Tuttavia il fatto che questi luoghi fossero caratterizzati dalla presenza di divinità di frontiera (ovvero di divinità molto venerate anche dalla popolazione messapica) e che vi fosse la compresenza di elementi, sia votivi (terrecotte, vasellame) che architettonici rapportabili sia ad area magnogreca che messapica (e/o frutto di influenze, interazioni e scambi), può far pensare anche ad un dominio e possesso del territorio costantemente messapico e non già, a un dato momento storico, magnogreco (cosa della quale ad esempio è convinto lo studioso francavillese Cesare Teofilato, che intravede in Agliano, altro insediamento di confine nelle vicinanze di Magalastro, una cittadella messapica avamposto dei siti di Sava e Manduria).[7]
Perciò, benchè alcuni studiosi siano propensi per una caratterizzazione magnogreca di questi siti, altri si dimostrano più cauti, o li identificano come interni al confine messapico pur se caratterizzati da influenze tarantine (proprio in quanto disposti a ridosso immediato della zona tarantina e quindi più suscettibili di rapporti di scambio e interazioni). A sostenere questo tipo di tesi, ad esempio, è il Mancarella, che intravede nei territori di Monacizzo e Torricella siti messapici “a influenza tarantina, con necropoli a ceramica indigena e ceramica greca”.[8]
Lo Stazio invece mostra più cautela, scrivendo: “si ha l’impressione, in queste località, di essere in una zona di confine tra l’ambiente greco e quello indigeno e questa impressione è confermata dalla presenza di numerose cinte murarie relative a piccoli, ma ben fortificati centri, di cui però la mancata esplorazione non consente di precisare a quale dei due ambienti appartenessero”.[9] D’altro canto, studi recenti dimostrano come tra il IV ed il III sec. a.C. In ambito messapico si assista ad un proliferare di strutture del tipo torre, che permettono il controllo del territorio, e sono funzionali ad una serie di necessità: non solo di tipo difensivo-militare, ma anche di gestione delle risorse agricole (controllo e prevenzione dei furti di derrate), trasmissione di informazioni a distanza e “in rete” con altre strutture simili, adunate religiose e politiche, allestimenti di fiere e mercati. Il Mastronuzzi in particolare, elenca una serie di torri di età messapica con funzioni analoghe: la torre di Giuggianello, la torre sita presso la località Specchia Giovannella in Francavilla Fontana, la torre nei pressi della masseria Asciulo a Latiano, la torre di monte Masciulo a Maruggio.[10]
MAGALASTRO E “IL PARETONE”
Questa località è parte integrante dell’antico confine che, attraverso i resti di un lungo ed imponente “parete grosso”, divideva il territorio di Taranto dalla Foresta Oritana: ciò è testimoniato in una serie di inventari (che partono dal XV secolo) redatti per chiarire detti confinamenti. Così, nel 1434 gli esiti di un accertamento disposto dal principe Giovanni Antonio del Balzo Orsini sono raccolti in una relazione di Francesco de Ayello. Il Del Balzo Orsini, d’accordo con gli orietani e per risolvere una controversia tra i due territori, aveva difatti nominato una commissione composta da Ciccarello de Montefuscolo, consigliere dell’Orsini stesso, Roberto de Monteroni di Lecce, capitano di Taranto, e Ludovico di Urbino, capitano di Oria. Questa commissione si recò personalmente in visita ai territori delimitanti i confini, insieme ad una serie di testimoni (sindaci e uomini probi). Nella relazione finale si legge:
“Li quali terreni, fini et dispartimenti incominciano dallo lito dello mare dove descende il fiume chiamato Borraco, et sale per lo detto fiume in una chiesa chiamata Santo Nicola vicina al detto fiume et ascende per un loco chiamato Le Fontanelle, da quelle piglia lo parete grosso et sale sopra lo monte chiamato Torre di Magalastro, dove sonno fatte tre para di curti; et da la discende per lo detto parete grosso in verso lo casale di Pasano, dove in parte dello parete detto è stato roinato, et in parte è più avante seguendo sale in verso lo casale de Agliano incluso lo terreno tarentino, et piglia sopra la rupa della Serra, la quale è verso Oriente, et per detta serra vene ad uno antichissimo edifico chiamato Lo Castello di Santo Marzano dove sono certe quantità d’arbori di termiti; et da questo passa per sopra il monte della Concha…”[11] (sin qui la parte che ci interessa ai fini di questo articolo).
Dopo la ricognizione del 1434, ne ritroviamo altre datate 1452, 1464, 1489, 1528, 1562, 1570, 1669; tutte le varie descrizioni confinarie coincidono, e alcune di esse aggiungono altri particolari circa le località interessate.[12]
Il “Paretone” che attraversa l’agro di Sava è stato identificato in passato da alcuni come una muraglia eretta dai magnogreci tarantini a protezione della chora,[13] da altri come una muraglia confinaria eretta dai Messapi,[14] per poi giungere, con le tesi del Profilo del 1875, ad essere considerato un “Limes bizantino”[15] (ma lo stesso Profilo in precedenza, nel 1870, lo aveva identificato come costruito ai tempi degli scontri tra tarantini e messapi).[16]
Recentemente, studi dell’archeologo Stranieri hanno datato la costruzione del tratto di “paretone” savese tra la fine del VII e l’ultimo quarto del IX sec., ma l’interpretazione dell’archeologo è che la sua funzione doveva essere di protezione delle colture e delle abitazioni su scala locale, escludendo una funzione propriamente militare (datosi anche il fatto che, sempre a parere dello studioso, non vi sono tracce di continuità della costruzione, neanche remota, nei lembi di terra più caratterizzati da calcare argilloso: ove avese avuto funzione militare, invece, “non sarebbe stato difficile estenderlo anche sulle lenti tutto sommato non molto estese di calcare argilloso, a nord e a sud”).[17] Detto muro, secondo lo Stranieri, fu costruito o nel periodo della conquista longobarda, oppure tra l’840 e l’880 al periodo dell’occupazione musulmana di Taranto.[18]
Fra coloro che citano Magalastro come attraversato dal cosiddetto Limes Bizantino, Primaldo Coco:
“… Cominciava questa grande muraglia dalle vicinanze di Otranto, città eminentemente bizantina e, costeggiando la via Appia Traiana, si protraeva sino alle vicinanze della distrutta Valesio, solcando il territorio di Mesagne e di Oria: prima di toccare Aliano volgeva verso mezzogiorno, continuava verso Pasano ed il feudo di Magalastro, ove se ne riscontrano tuttora non pochi avanzi, e finiva in riva al mare. Onde l’attuale territorio di Sava ne era diviso quasi per metà, tenendone i Greci la maggior parte, che comprendeva anche il territorio su cui sorge oggi il paese.”[19]
Seguono, a più di mezzo secolo di distanza dagli scritti del Coco, gli studi di Gaetano Pichierri, lo storico locale che più di ogni altro ha studiato e ispezionato il paretone savese e il suo tragitto. Stando a quanto riportato dal Pichierri, intorno al 1975 si intravedono ancora i resti del cosiddetto Limitone dei Greci sul monte Magalastro: lo storico savese difatti scrive che “sono avanzati gli strati più bassi”, e che “quelli più alti sono stati asportati per essere cotti in una fornace di calce che si trova nei pressi”.[20] Dal passo sopra riportato del Coco, si evince invece che intorno al 1915 la muraglia che attraversava Magalastro conservava un tratto più visibile e meglio conservato.
L’ipotesi di Annoscia riguardo i blocchi tufacei in cima a monte Magalastro, identificati come resti di una torre, è ripresa anche dal Pichierri (nello stesso numero del Notiziario Topografico), che sottolinea come in alcuni documenti medievali è riportato come toponimo della località Torre Magalastro.[21] Il Pichierri mette in correlazione lo stesso Limitone con detta torre, ipotizzando che essa ebbe utilizzo come posto di guardia bizantino.
In un altro scritto del 1989 il Pichierri riferisce di un ritrovamento di monete angioine del 1339, avvenuto nel 1952 sull’altura di Magalastro.[22] Più precisamente, come vediamo appresso, si tratta di una località immediatamente confinante con quella propriamente denominata Magalastro. Il ritrovamento risale agli anni 1953-1954, periodo in cui il proprietario di un oliveto fece portare via dal suo terreno le pietre del Limitone (che furono poi utilizzate per la sistemazione della strada Litoranea Jonica Salentina): i lavori furono realizzati con l’impiego di moderni (a quel tempo) mezzi meccanici, e fu rinvenuto un vasetto d’argilla pieno di monete d’argento che andarono disperse. A distanza di anni il Pichierri riuscì a recuperarne alcune. Si trattava di monete battute da Roberto D’Angiò nel 1309-1343. La località esatta del rinvenimento era la contrada Morfitta[23] (nella quale, peraltro, erano state rinvenute anche tombe del II-IV secolo a.C., contenenti ceramiche di Gnathia.[24]
Secondo il Pichierri, il “Paretone” che attraversava Morfitta e Magalastro è la continuazione del paretone (a tutt’oggi ancora visibile) che insiste per un lungo tratto nelle contrade Camarda e Curti di l’Oru; da queste contrade giungeva, attraversandola, verso la attuale provinciale Sava-Lizzano e a pochi metri dal Santuario di Pasano.
Sul monte Magalastro, secondo i vari studiosi del passato, terminava il percorso rettilineo del Paretone, che da lì svoltava ad est. La svolta compiuta era direzionata verso la località dell’agro di Sava detta proprio Lu Paritoni, nella quale è ancora presente una masseria semidiroccata che prende il nome dalla contrada stessa.
Sul presunto tracciato del vecchio confine, prima di raggiungere Borraco, dai paraggi della Masseria Paritoni la muraglia discendeva verso le località SS. Trinità (in agro di Torricella) e S. Chiara, per raggiungere poi contrada Tremola e risalire attraversando il monte Maciulo[25] nei pressi di Maruggio. Da lì, attraversava una serie di contrade maruggesi (Olivaro, Fontanelle, San Nicola) per giungere al fiume Borraco. [26]
IPOTESI SUL TOPONIMO
Per ciò che concerne il toponimo, il Ribezzo nelle sue Nuove ricerche per il Corpus inscriptionum Messapicarum pone il confine fra la Taranto magnogreca e la Manduria dei messapi, proprio all’altezza del Monte Magalastro, e fa inoltre derivare il nome Magalastro da un greco Μεγαλάστρον, senza fornire ulteriori spiegazioni.[27] La cosa interessante dello scritto del Ribezzo è senz’altro il riferimento ad un sito di confine, cosa della quale abbiamo già parlato in precedenza. L’ipotesi della derivazione da mεγαλάστρον pare invece discutibile, oltre che indimostrata.
Una mia vecchia supposizione, coerente con i riferimenti all’epoca greca o messapica del sito, era: Magalastro da Μεγάλαρτος. Quest’ultimo è un epiteto di Demetra. In onore di Demetra Megalartos (Demetra dai grandi pani) si istituivano feste dette Megalartia, a quanto sembra presenti anche in Messapia, e in questo caso dedicate, secondo alcune fonti, più che altro ad Arthas, re dei Messapi.[28] Se Magalastro non è una deformazione di Malacastro, questa potrebbe restare una ipotesi valida (tuttavia, come vediamo più avanti, Malacastro-Malacastra-Malacastrum ricorre come toponimo in diverse località e sta ad indicare una altura con presenza di fortificazione)..
Una serie di ipotesi (le più plausibili, peraltro) stabiliscono una derivazione legata al termine castra o castrum. Il Pichierri stesso, fa riferimento al Kάστρον bizantino, una fortificazione eretta a scopo difensivo. Tale riferimento è dovuto al fatto che, come si è già detto, in alcuni documenti, anziché Magalastro si ritrova Malagastro, Malacastro.
Il termine castra, o castrum (“campo fortificato”, “fortificazione”) è tipico del periodo romano, ma continua ad essere comune e molto presente nella documentazione medievale, sebbene spesso sostituito da castellum. Specificamente, castrum si riferisce ad un quartiere o ad un recinto con fortificazione al cui interno sono raggruppate abitazioni ed altri dispositivi annessi, mentre castellum designa l’edificio il cui elemento più significativo è la torre (turrem), che domina l’ambiente e costituisce l’elemento difensivo più importante della fortificazione.[29]
Toponimi come Mamacastrum e Malacastrum si ritrovano applicati a fortificazioni del medioevo spagnolo, come risulta da uno studio di J. Medina.[30] In un altro ancor più dettagliato studio, che analizza detti toponimi (più una varietà di altri similari, tra cui Malagastre e Montmagastre) e relativi siti, si evidenzia come i toponimi derivanti dalla presenza di un apparato difensivo siano ricorrenti vista l’importanza che nei secoli questo tipo di elementi difensivi hanno avuto nella formazione e nella successiva organizzazione del territorio, e quindi la capacità deittica che questi dispositivi hanno sul paesaggio.[31] In questo genere di toponomastica, inoltre, ricorrono sempre, strettamente legati tra loro dal punto di vista formale e semantico, i nomi castro, castello, torre[32] (abbiamo già evidenziato come il toponimo del sito di cui ci stiamo occupando sia anche “Torre di Magalastro” o “Torre di Malagastro”).
Tra le comunità spagnole de La Rioja, Navarra, Catalogna, ricorrono toponimi “di origine castrale” come Bono Castro, Malacastro, Malagastre, Momegastre, Montmagastre, Ojacastro, Punicastro, Santa Maria de Montmagastrell.[33]
Il toponimo Momegastre corrisponde al castello di Momegastre, che sorge su una collina vicino a Peralta de la Sal. In alcuni documenti detto sito è riportato come Mamacastro. Montmagastre è nei pressi di Artesa de Segre, in Catalogna, e il toponimo è riferito sia ad un monte che ad un villaggio medievale là situato.[34] Nei paraggi (Foradada) è presente anche il toponimo Malagastre, dovuto alla presenza di una antica fortificazione (conosciuta anche come “La Torreta”). Il sito è detto anche “Castro Malagastre”. Santa Maria de Montmagastrell, in origine facente parte di un enclave annesso a Montmagastre, deve la seconda parte del nome al diminutivo originale magastrellum. Nei pressi di Anzánigo (Alto Gállego, Huesca), è presente Malacastro e il toponimo designa una altitudine di 1079 metri.[35]
L’autore di questo studio, Valenciano, in accordo con Federico Villar, fa risalire “Mal”, la prima parte del nome composto, alla radice indoeuropea *melh (“venir fuori”, “salire”, “apparire”, “mostrarsi”, “risaltare”, “elevarsi”), in riferimento appunto alla conformazione dei luoghi in cui è utilizzato il toponimo, osservando inoltre che il repertorio delle località in cui è presente la radice * mal- include solo montagne, fiumi e isole, e che laddove presente, questa parte del toponimo, appare sempre legata ad alture o superfici sopraelevate. Conclude dunque che i dispositivi militari costruiti sulla sommità di questi siti ebbero come riferimento un antichissimo appellativo mal-, forse instauratosi come toponimo molto prima che le fortezze fossero costruite.[36]
Altre interpretazioni invece propongono una derivazione dal cognomen latino Malus,[37] mentre appare piuttosto arzigogolata l’ipotesi del Pichierri, che in quel suffisso “mala” del Malagastro savese intravede una derivazione da un appellativo dato a Guglielmo I re dei Normanni, detto appunto “il malo”, nel cui periodo dovette avvenire, sempre secondo il Pichierri, un riutilizzo del vecchio forte bizantino con conseguente attribuzione ai Normanni.[38]
Tornando alla lista dei toponimi similari, e concludendo la relativa rassegna, in Albania ritroviamo Mallakastër (detto anche Mallakastra, Malacastra).[39] Questo toponimo indica un comune e una regione collinare nella contea di Fier).[40]
Se dunque il toponimo Magalastro assegnato a questo sito nei pressi di Sava ha origine nel medioevo bizantino, ne esce rafforzata l’ipotesi di una presenza militare bizantina proprio lungo quel confine designato come “limes” e perciò si ribalta l’idea di un muro confinario costruito esclusivamente a protezione delle colture.
RIASSUNTO E CONCLUSIONI
L’ area di Magalastro, di proprietà privata, è segnata sulla Carta dei Beni Culturali Pugliesi come interessata da una “cinta di fortificazione di età ellenistica”. In effetti, si ritrovano tracce di presenze che vanno dal neolitico all’epoca medievale, attraversando le epoche magnogreco-messapica e quella romana. Il sito ed il complesso fortificato sembrano aver subito nelle diverse epoche riutilizzi e rifacimenti, ma la torre (della quale rimangono pochi resti, consistenti in blocchi tufacei sparsi) sarebbe parte integrante di detta fortificazione e può essere identificata come simile e con analoghe funzioni ad una serie di strutture di età messapica situate in diverse località del Salento.
L’ altura risulta attualmente raggiungibile dalla strada provinciale Sava-Torricella, come dalla strada di proprietà Arneo attraversando la contrada Morfitta.
Resta sconcertante il fatto che non siano state mai intraprese serie campagne di scavo in quest’area, vista non solo la serie di reperti affioranti (testimoniata, tra l’altro dai ritrovamenti pubblicati dal Tarentini), visto il ritrovamento in passato del tesoretto angioino fotografato dal Pichierri, e vista l’importanza strategica, sottolineata da più studiosi, che il sito doveva avere in quanto centro di avvistamento e zona confinaria in diverse epoche storiche: di più, una ricognizione di questo genere avrebbe permesso probabilmente di cogliere notizie più precise ed attendibili circa l’espansione reale della chora tarantina, l’organizzazione e il confine della Messapia, così come di raccogliere ulteriori elementi atti a ricostruire l’organizzazione e le caratteristiche del territorio in epoca bizantina.
Note
[1] Mario Annoscia, Sava, monte Magalastro. Resti preistorici e fortificazione classica, in: Giovanni Uggeri (a cura di), “Notiziario Topografico Pugliese I, Contributi per la Carta Archeologia e per il Censimento dei Beni Culturali”, Brindisi, 1978, pag. 151. Dalla foto che ci offre Annoscia pubblicata sul Notiziario, il frammento di testina risulta poco identificabile, ma l’autore riferisce che è “priva del volto, ma si riconoscono chiaramente la capigliatura, la fronte e parte del viso”.
[2] Paride Tarentini, Torricella. Itinerari storico-archeologici a sud-est di Taranto, Museo Civico di Lizzano,Quattrocolori studio grafico, luglio 2018, pag. 14
[3] Ibidem
[4] Paride Tarentini, op. cit., pag. 15
[5] Ibidem
[6] Luigi Finocchietti, Il distretto tarantino in età greca, in “Workshop di archeologia classica. Paesaggi, costruzioni, reperti”, Annuario internazionale, Serra Editore, 6, 2009, pp. 68-69
[7] Cesare Teofilato, Segnalazioni archeologiche pugliesi – Allianum, Il Gazzettino – Eco di Foggia e della Provincia – Anno (24) 7- n. 38, sabato, 21 settembre 1935 Anno XIII
[8] Giovanbattista Mancarella, Storia linguistica del Salento, in “L’Idomeneo”, n. 19, 2015, pag. 21; vedi anche Attilio Stazio, La documentazione archeologica in Puglia, in “La città e il suo territorio”, Atti del VII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, 1969, pp. 265-285
[9] Attilio Stazio, op. cit., pag. 272
[10] Giovanni Mastronuzzi, Una “torre” di età ellenistica presso Giuggianello – Puglia meridionale, The Journal Fasti Online Documents e Researchs, 2018, 423, pp. 1-15. Sul sito di monte Maciulo situato a non molta distanza da quello di Magalastro, si veda Gianfranco Mele, Monte Maciulo in agro di maruggio e località viciniori. Tracciati storico-archeologici, La Voce di Maruggio, sito web, luglio 2020 https://www.lavocedimaruggio.it/wp/monte-maciulo-in-agro-di-maruggio-e-localita-viciniori-tracciati-storico-archeologici.html
[11] Il testo integrale della ricognizione confinaria del 1434 è riportato in Giovangualberto Carducci, I confini del territorio di Taranto tra basso Medioevo ed età moderna, Mandese Editore, 1993, pp. 114-118
[12] Ciò che risulta chiaro dai vari inventari è il fatto che un “paretone” o “parete grosso” si incontra almeno dal 1434 e da località Le Fontanelle (in agro di Maruggio), prosegue verso monte Maciulo (questa specifica del tracciato la si ritrova in una delle descrizioni più dettagliate, quella del 1669), attraversa monte Magalastro, prosegue verso Pasano, Agliano, Ripa della Serra, il “Castello di San Marzano”, il monte della Conca e funge da strumento atto a rilevare i confini tra il territorio tarantino e quello oritano. Dalla zona tra il “Castello di San Marzano” (che non è da identificarsi in una costruzione del centro storico, ma in uno scomparso edificio in contrada Chiese Vecchie), e monte della Conca, il percorso confinario della città di Taranto cambia rispetto a quello individuato come percorso del cosiddetto Limes Bizantino: il primo difatti ruota circolarmente nell’ambito di un territorio che si estende intorno alla città, il secondo, stando alle ricostruzioni dei vari storici salentini che ne han parlato, passava a sud di Francavilla e Oria per proseguire verso Mesagne fino ad Otranto.
[13] Joanis Juvenis, De antiquitate et varia Tarentinorum fortuna , 8, Salviano, Napoli, 1859, pp. 43-44
[14] Per una rassegna delle varie tesi si veda Giovanni Stranieri, Un limes bizantino nel Salento? La frontiera bizantino-longobarda nella Puglia meridionale. Realtà e mito del “limitone dei greci”, Archeologia Medievale, XXVII, 2000, pp. 333-355
[15] Antonio Profilo, La messapografia, ovvero memorie istoriche di Mesagne in provincia di Lecce, Tipografia Editrice Salentina, 1875, pp. 7-8
[16] Antonio Profilo, La messapografia, ovvero memorie istoriche di Mesagne in provincia di Lecce, 1870, pp. 115-116
[17] Giovanni Stranieri, Sistemi insediativi, sistemi agrari e territori del Salento settentrionale (IV-XV sec.), in Giuliano Volpe (a cura di), Storia e archeologia globale dei paesaggi rurali in Italia fra tardoantico e medioevo, Insulae Diomedeae, 34, Edipuglia, 2018, Pag. 331
[18] Ibidem
[19] Primaldo Coco, Cenni Storici di Sava, Stab. Tipografico Giurdigniano, LE, 1915, pag. 19
[20] Gaetano Pichierri, Il Limitone dei Greci nel Territorio di Sava, in “Omaggio a Sava”, opera postuma a cura di V. Musardo Talò, Edizioni Del Grifo, 1994, pp. 55-56. Lo scritto appare per la prima volta in “ Cenacolo”, V-VI (1975-76), Società di Storia Patria per la Puglia sez. di Taranto, pp. 23-29. La fornace cui il Pichierri si riferisce è la cosiddetta “Carcara”, abbandonata da circa mezzo secolo e i cui resti sono ancora visibili nei pressi della provinciale Sava-Torricella
[21] Gaetano Pichierri, Sava, il “Limitone dei Greci”, in: Giovanni Uggeri (a cura di), “Notiziario Topografico Pugliese I, Contributi per la Carta Archeologia e per il Censimento dei Beni Culturali”, Brindisi, 1978, pp. 152-154, vedi anche Giovangualberto Carducci, I confini del territorio di taranto tra basso Medioevo ed età moderna, Mandese Editore, 1993, pag. 63 e pag. 116
[22] Gaetano Pichierri, Altre notizie sul Limitone dei Greci nell’agro di Sava, inedito 1989, pubblicato postumo in: Vincenza Musardo Talò (a cura di), Gaetano Pichierri – Omaggio a Sava, Del Grifo Ed., LE, 1994, pp. 66-69
[23] Il Pichierri ipotizza un toponimo grecanico per Morfitta, precisando però che non riesce a rintracciare altri toponimi di confronto. (PP 242-243). In realtà esiste un toponimo confrontabile ed è quello di Molfetta, detta Melficta nel periodo medievale (a partire dal XI sec. circa) e fino almeno al 1500. Proprio (o almeno) intorno al 1500 pare sia ricorrente l’utilizzo anche di Morfitta per designare questa cittadella ( Leandro Alberti, Descrittione di tutta Italia, Venezia, 1561, pag. 243).
[24] Gaetano Pichierri, Il “Limitone dei Greci” nel territorio di Sava, in: Vincenza Musardo Talò (a cura di), Gaetano Pichierri – Omaggio a Sava, Del Grifo Ed., Lecce, 1994, pag. 55 (l’articolo era già apparso nella rivista “Cenacolo” V-VI, Società di Soria Patria per la Puglia, Sez. di Taranto, 1975-76, pp. 23-29)
[25] Vedi: Gianfranco Mele, Monte Maciulo in agro di Maruggio e località viciniori. Tracciati storico-archeologici, La Voce di Maruggio, sito web, luglio 2020 https://www.lavocedimaruggio.it/wp/monte-maciulo-in-agro-di-maruggio-e-localita-viciniori-tracciati-storico-archeologici.html
[26] Giovan Giovine scrive che dopo il fiume Borraco e la (oggi scomparsa) chiesetta di S.Nicola, si giunge nella zona della cappelletta di San Marco d’Olivaro, “attraversando un oliveto selvatico e un grande muro costruito con sassi e macigni di mole straordinaria, dove, mediante un passaggio si sale sul crinale di un colle che si leva a sinistra e subito dopo sul monte Malagastro disseminato di folti olivi selvatici” (Joanis Juvenis, De antiquitate et varia Tarentinorum fortuna , Salviano, Napoli, 1859)
[27] Francesco Ribezzo, Nuove ricerche per il Corpus inscriptionum Messapicarum, Roma, 1944, pag. 31. Probabilmente il Ribezzo intendeva da un composto di μεγάλη (grande) + ἀστηρ, ἂστρον (astro, stella, costellazione). N.B. non ho potuto reperire di prima mano il testo del Ribezzo, e quindi traggo le informazioni citate in questo articolo da: Maria Teresa Laporta, Oscilla con epigrafi greche, in Quaderni del Museo archeologico F. Ribezzo di Brindisi, 9, 1976, pag. 83, nota 2
[28] Andrea Rubbi, Dizionario di antichità sacre e profane, pubbliche e private, civili e militari, Tomo decimoquinto, Tipografia Curti, Venezia, 1805, Pag. 73; vedi anche Fernando Sammarco, Arthas il Grande Eghemón ton Messapion, Il Pensiero Mediterraneo, Rivista Culturale online, aprile 2020. In entrambi i casi si fa riferimento ad uno scritto di Eustazio.
[29] Marcelino Cortés Valenciano, Una peculiar serie toponìmica sobre castĕllum, castrum en el nordeste peninsular, Alazet, 26, 2014, pag. 19
[30] Julio Medina Font, La formación política del Principado de Cataluña, siglos X-XII, Facultad de Derecho de la Universidad Complutense de Madrid, 1976, pp. 157-158
[31] Marcelino Cortés Valenciano, op. cit., pag. 18
[32] Ibidem
[33] Con caratteristiche simili, Aracastillo, Carocastillo, Cercastiel, Dicastillo, Serracastillo, Turdicastillo, Uncastillo. Carocastillo e Uncastillo sono detti anche rispettivamente Carocastro e Unocastro.
[34] Marcelino Cortés Valenciano, op. cit., pag. 33
[35] Marcelino Cortés Valenciano, op. cit., pag. 31
[36] Marcelino Cortés Valenciano, op. cit., pag. 32
[37] Ibidem
[38] “I Bizantini presero in prestito dai Romani il termine castra perchè più diretto a rendere il significato di “forte, fortezza” […] L’aggiunta di mala dovette avvenire all’arrivo dei Normanni che avevano occupato altri castra nell’Italia meridionale. […] Ad aver operato sul termine toponomastico vi è da pensare al nome di Guglielmo I, poiché questo re normanno è stato tramandato da certa storiografia con l’appellativo di “malo”. Costui fu qui di casa nel 1156, nelle azioni militari di Brindisi che portarono alla sconfitta dell’esercito e della flotta dei Bizantini” (Gaetano Pichierri, Altre notizie per una più sicura ubicazione del Limitone dei Greci nel territorio di Sava, inedito gennaio 1989, pubblicato postumo in: Vincenza Musardo Talò (a cura di), Gaetano Pichierri – Omaggio a Sava, Del Grifo Ed., LE, 1994, pp. 74-75).
[39] Secondo alcune interpretazioni, l’albanese Mal kashtër (montagna di paglia/pagliaio) deriverebbe da Mallakastra, voce di matrice pelasgica. Traggo questa informazione da: Elton Varfi, Parole derivate dalla lingua pelasgico-albanese, http://eltonvarfi.blogspot.com/2009/06/parole-derivate-dalla-lingua-pelasgico.html . L’autore cita come fone un libro pubblicato nel 1975 dall’ Istituto Linguistico Svedese , Webster’s New Twentieth Century Dictionary, Unabridged Second Edition, De Luxe Color, William Collins and World Publishing Co., Inc.
[40] Oltre al toponimo e alla conformazione collinare, questo sito, che è divenuto sede di un parco archeologico, ha curiosamente in comune con il Magalastro/Malagastro savese (e le adiacenti località Morfitta e Agliano) la presenza di ceramiche arcaiche, classiche, tardo classiche, ellenistiche, dell’antica Roma, del medioevo. Al di là di ciò, a questo punto si potrebbe anche ipotizzare una origine albanese del toponimo (e in sostituzione di uno più antico), affermatasi nel XV secolo, quando vi fu una consistente migrazione albanese in zona, compreso il territorio savese: tuttavia se Magalastro è già citato e dunque attestato come toponimo in un documento del 1434 e l’ondata migratoria nel territorio invece avviene non prima del 1460, questa ipotesi non può essere accettabile ( cfr. Gianfranco Mele, Gli albanesi a Sava tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo. Studi, fonti storiche e contraddizioni sulla loro presenza e influenza nella cittadina jonico-salentina e nella ripopolazione del casale, La Voce di maruggio, sito web, marzo 2019).
Interessantissimo
Molto e nel libro La Foresta Oritana di Primaldo Cocoripreso da Travaglini.
Personalmente sono in fase di ricostruzione dei confini della,Foresta,di cu ho la planimetria,sono partito da Borraco per giungere a lla marina di San Isidoro.
Importante la citazione di Uggeri per quanto riguarda la via Appia da Ta a BR.
Volendo visitare la parte sava/torricella quaľ e la zona di preciso?
I più sentiti ringraziamenti all’Autore per la completezza delle informazioni, che sollecitano gli opportuni approfondimenti anche con gli ausili tecnologici utilizzati per scopi diversamente etici e tanto di moda in questo tempo di desolazione.
In disparte, la conferma che il Salento era e rimarrà sempre qualcosa di “diverso” e singolare rispetto al resto della puglia (volutamente scritta con la “p” minuscola).