di Mirko Belfiore
Io, figlio di emigrati e cresciuto a Pane e Francaidda, sono parte di quella generazione di francavillesi che per necessità e virtù dovette espatriare in cerca di lavoro, trascorrendo la sua esistenza fra una delle tante città “dell’Alta Italia” e le frequenti discese nel paese natio. Non essendo una condizione così rara, non è difficile far comprendere di cosa parlo e di come ogni occasione fosse perfetta per percorrere la lunga strada che mi separava da Francavilla, viaggiando sul sedile di una macchina, in una cuccetta di un treno o prenotando un posto su un aereo. Cresciuto nel corpo e nello spirito, in me iniziò a farsi spazio un modo più maturo di vedere quella terra così lontana, grazie agli studi, la passione e al sapiente contributo di quelle che sono sempre state le mie fonti inesauribili di tradizioni e aneddoti: i Nonni.
Che cos’era quindi per me Francavilla? Un luogo che rimaneva sconosciuto per buona parte dell’anno, ma che con una semplicità disarmante sapeva regalarti anche per pochi giorni emozioni incredibili.
La sintesi perfetta di questo sentimento si sublima in un intervallo di tempo in particolare, dove quel percorso di fede fatto di tradizioni uniche, “rapisce” la comunità senza distinzioni di età.
Fra le molte possiamo citarne sicuramente alcune, come il piatto utilizzato dai fanciulli per la cerimonia del “Ce ti piace lu piattu mia”, i meravigliosi allestimenti creati all’interno delle chiese per i Sepolcri (Repositori), la commovente vestizione della statua dell’Addolorata, fino a giungere al massimo del coinvolgimento proprio durante le fasi finali del periodo pasquale fra il Giovedì e Venerdì Santo.
Durante il mattino, si possono ancora trovare per le strade o nei pressi dei templi religiosi “li Pappamusci”, parola dall’etimo incerto (gli studiosi ancora oggi si dibattono), che rimanda a quelle coppie di penitenti scalzi che a passo lento compiono il giro delle chiese cittadine per portare a termine il loro tragitto di redenzione.
Queste singolari figure sono abbigliate secondo un’usanza ben precisa: una veste bianca semplice o ricamata, una mantella color panna, un cappello da pellegrino indossato in segno di ossequio e un cappuccio bianco aperto solo all’altezza degli occhi, utilizzato per celare il volto e mantenere l’anonimato più assoluto.
Completano questo ricco corredo: il cingolo che li avvolge in vita, simbolo del sacrificio, e il bordone, il bastone del pellegrino con il cui suono il penitente può avvertire del proprio arrivo i fratelli in preghiera.
Secondo una sequenza ritmata che inizia fin dalle prime ore pomeridiane del Giovedì Santo, gli stessi iniziano e concludono il loro circuito partendo dalla chiesa del padri Carmelitani, privilegio ancora oggi testimoniato dallo scapolare color marrone che reca la scritta Decor Carmeli.
Giunti al calar della sera, le funzioni della giornata si concludono con l’uscita in processione dei gruppi statuari dei Misteri, manufatti di cartapesta dalla notevole resa empatica, risultato di un’antica tradizione sette-ottocentesca che a Francavilla e nel Salento fece scuola.
Essi rappresentano figurativamente i momenti cruciali della Passione di Gesù Cristo e vengono portate in spalla dagli appartenenti delle sette confraternite, a cui si aggiungono in coda al corteo le autorità, i gruppi religiosi e i laici. Lungo le vie cittadine, il lento serpentone viene accompagnato dai Crociferi, “Li Pappamusci cu li trai”, i quali al seguito della statua riproducente “La Cascata”, dove il figlio di Dio cede ormai stremato al peso della sua croce, trasportano individualmente e con enorme fatica, una copia in legno dell’emblema del sacrifico.
La processione segue l’itinerario avvolta da due grandi ali di folla e accompagnata da alcuni suoni molto caratteristici: il rumore incessante delle “trenule” che scandiscono i tempi di percorrenza, le malinconiche melodie eseguite dalla gloriosa banda locale e il silenzio assordante della calca, da dove emergono sempre due tipi di fedeli: chi prega rapito nel raccoglimento più totale e chi rimane impressionato dai gesti drammatici e dagli sguardi carichi di “pathos” delle raffigurazioni statuarie.
Ultimate queste giornate ricche di avvenimenti, tutta la cittadinanza ritorna nelle proprie case per trascorrere in famiglia i restanti giorni e per prepararsi a riprendere la strada del ritorno, tutti uniti da quel sentimento di soddisfazione per aver partecipato a qualcosa di unico.
Rappresentazioni che al Nord non se ne vedono.
Una Buona Pasqua da Torino a tutti i frequentatori di questo importante portale
dalla Famiglia Teifreto
Le nostre tradizioni hanno delle caratteristiche così peculiari, che noi tutti dobbiamo imparare a diffonderle per farle conoscere il più possibile.
Buon lavoro a lei.
(Con licentia de’ Sommo …)
“O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ‘l velame de le >>>Tradizioni strane<<<.
Buon proseguimento nel recupero socio-culturale della salentinità!
Splendida citazione.
Grazie mille e buon lavoro anche a lei.
Grazie mille di tutte queste informazioni. Che sembrano essere di tutti quelli espatriati o andati in altitalia. Grazie ancora.
Grazie a lei per aver apprezzato le mie parole.
Ha parlato il cuore e le emozioni e la mia esperienza di emigrante.