Sabatino De Ursis e la questione dei riti cinesi nel Nome di Dio (1610-1939)

“ANDIAMO ERRATI, ANDIAMO ERRATI”

SABATINO DE URSIS E LA QUESTIONE DEI RITI CINESI NEL NOME DI DIO (1610-1939).

 

di Francesco Frisullo – Paolo Vincenti

 

ABSTRACT. The work De cognitione Veri Dei apud Litteratos, by the Jesuit from Salento Sabatino de Ursis (1575-1620), a missionary in China, can be considered the starting point of the thorny and secular “Question of rites”, which involved the Church in various several times over, from 1610 to 1939. The work was lost but his arguments were taken up in the drawing up of the Traitè sur quelques points de la religion des chinois by Nicolò Longobardo. The treaty deals with the question of the translation of the word “god” into Chinese, with the compatibility with Catholicism of the Confucian rites attributed to the deceased and Confucius and ultimately with the relationship between Catholicism and Confucianism. Opinions on these subjects were radically divergent, even among the Jesuits themselves, so as to create a profound fracture with all the other religious orders. The treatise by Longobardo, therefore, will not be published by the Jesuitical Society, but by the philosopher Leibniz, in 1701.  

 

RIASSUNTO. L’opera De cognitione Veri Dei apud Litteratos, del gesuita salentino Sabatino de Ursis (1575-1620), missionario in Cina, può essere considerato il punto di partenza della spinosa e secolare “Questione dei riti”, che coinvolse la Chiesa, in varie riprese, dal 1610 al 1939. L’opera fu smarrita ma le sue argomentazioni vennero riprese nella stesura del Traitè sur quelques points de la religion des chinois di Nicolò Longobardo.

Il trattato affronta la questione della traduzione del termine “dio” in cinese, della compatibilità con il cattolicesimo dei riti confuciani tributati ai defunti e a Confucio e in definitiva del rapporto tra Cattolicesimo e Confucianesimo. Le opinioni su tali argomenti erano radicalmente divergenti, anche tra gli stessi gesuiti, tanto da creare una frattura profonda con tutti gli altri ordini religiosi. Il trattato di Longobardo, pertanto, non verrà pubblicato dalla Compagnia di Gesù ma dal filosofo Leibniz, nel 1701.

 

Nel 1618, il gesuita salentino Sabatino de Ursis (1575-1620)[1], missionario in Cina, scrive il De cognitione Veri Dei apud Litteratos, opera smarrita, le cui argomentazioni saranno riprese nella stesura del Traitè sur quelques points de la religion des chinois di Nicolò Longobardo. Il trattato affronta la questione della traduzione del termine “dio” in cinese, della compatibilità con il cattolicesimo dei riti confuciani tributati ai defunti e a Confucio e in definitiva del rapporto tra Cattolicesimo e Confucianesimo. Le opinioni su tali argomenti erano radicalmente divergenti, anche tra gli stessi gesuiti, tanto da creare una frattura profonda con tutti gli altri ordini religiosi. Il trattato di Longobardo, pertanto, non verrà pubblicato dalla Compagnia di Gesù ma dal filosofo Leibniz, nel 1701. Ma procediamo con ordine.

 

“Pigliate da noi”

Tutto parte da Matteo Ricci (1552-1610), il grande evangelizzatore della Cina, matematico, geografo e sinologo. Il carisma di Ricci faceva la sua parte nel guadagnare alla religione cristiana nuovi accoliti in Cina, ma il numero delle conversioni aumentò progressivamente anche grazie ai missionari giunti dopo di lui a rinforzare l’opera cristiana, fra i quali Niccolò Longobardo (1559-1654)[2], che poi sostituì Ricci nella guida della missione. Matteo Ricci, nell’opera Il vero significato del “Signore del Cielo”, redatta con la supervisione del dotto cinese Feng Yingjjng e pubblicata nel 1603, affronta in forma dialogica la questione della compatibilità fra la religione cinese e quella cristiana. Frutto di una lunghissima elaborazione, l’opera di Ricci cerca di dimostrare l’esistenza di un unico e vero Dio, chiamato appunto Signore del Cielo, comune a tutte le religioni e quindi anche al Confucianesimo, alla cui autorità, a partire dai testi più antichi di quella religione, l’autore si appella per dimostrare, alla luce della ragione naturale, l’esistenza di un unico Creatore onnipotente del cielo e della terra. Con grandissima erudizione, Ricci, nel dialogo, che si svolge fra un gesuita europeo ed un dotto cinese, spesso in funzione antibuddista, chiamando in causa i più importanti testi dell’antichità classica, sia delle Sacre Scritture che del Confucianesimo, le concezioni scientifiche acquisite, e dimostrando anche la dottrina dell’immortalità dell’anima, mira a colpire l’immaginario del lettore colto della Cina del suo tempo. “Questo Qualcuno non è altri che il Signore del Cielo che le nostre nazioni occidentali chiamano Deus”, afferma Ricci, con riferimento a Dio[3].

In realtà, fu Michele Ruggieri (1543-1607) il primo a studiare il cinese e a pubblicare un’opera di teologia in quella lingua. Ruggieri fu battistrada e punto di riferimento per Matteo Ricci. Egli diede alle stampe il primo Catechismo in cinese, il Tianzhu shilu (“Vera esposizione del Signore del Cielo”), oltre a molti componimenti poetici che coniugavano la fede cristiana con il buddismo. Il Catechismo di Ruggieri costituiva una prima pionieristica prova di scritto cristiano, destinato poi ad essere sostituito dal nuovo Catechismo, Tianzhu shiyi, pubblicato da Matteo Ricci. Il testo ricciano, che fu inviato nel 1603 al Generale Acquaviva per l’approvazione, ma iniziato a scrivere già dal 1593, emendava gli errori dell’opera di Ruggieri, che infatti venne distrutta per ordine dei superiori Valignano e de Sande.

Ricci sceglie il confucianesimo[4] come dottrina con cui dialogare e rifiuta il Buddismo poiché, se così si può dire, ritiene questo più “concorrenziale” con il Cristianesimo, avendo un suo clero e contenendo numerosi elementi metafisici all’interno delle sue dottrine. Nel contrastare il buddismo, utilizza argomentazioni aristoteliche[5].

Nella sua opera Dell’entrata, sottolinea le somiglianze cultuali fra le due religioni e accusa i buddisti di averle “copiate”, travisandole dal Cristianesimo:“pigliate da noi”, afferma[6].

Se però da un lato rifiuta Buddismo e Taoismo, d’altro canto è costretto a ricorrere spesso alla terminologia buddista quando deve esprimere “la credenza nell’aldilà, l’idea del paradiso e dell’inferno e il celibato, che non sono proprie del Confucianesimo”[7].

Il temine Shangdi, ossia “Sovrano dell’alto”, inteso come espressione del “dio unico”, risale alla dinastia Shang (1766-1122 a.C.), i cui sovrani erano considerati manifestazione terrena della divinità suprema e anello di congiunzione tra il popolo e gli antenati. I Sovrani Shang e i loro successori, per tutta l’epoca imperiale, si attribuiranno l’appellativo “di”, traducibile come “imperatore”.

In epoca Zhou (900- 221 a. C), si volle svincolare la dignità imperiale dal legame dinastico e quindi si passò a esprimere la divinità con “Tian”, “Cielo”. Inoltre, per legittimare il passaggio dinastico, venne formulata la teoria del “Mandato Celeste”  (“Tiān mìng”); la dinastia Shang non godeva più della protezione del Cielo che “ ha  inviato i Zhou  per punirli e  sostituirli  e attuare il Mutamento del Mandato ( Geming)”. Su tali presupposti si fonda ancora oggi la concezione dello stato cinese[8]. Se per la questione di Dio, Ricci poteva fare affidamento sulla tradizione locale, non così facilmente gli fu possibile affrontare il tema dell’anima. Egli si trovò di fronte a maggiori difficoltà poiché, come osserva Corradini, in Cina l’opposizione sostanziale tra anima e corpo era sconosciuta [ …]  Ricci tradusse questa parola con linghun; questa terminologia fu approvata in una conferenza dei missionari gesuiti a Macao nel 1600”[9]. Secondo Etiemble, come tutte le questioni, anche quella dei riti è fondamentalmente un questione “grammairiennes ” (grammaticale): il punto è se i cinesi “venerano” o “adorano” Confucio, il Cielo, gli antenati, e se le manifestazioni tributate siano da considerarsi “riti” o “cerimonie”[10]. I gesuiti, nel loro obbiettivo di infondere il messaggio cristiano, hanno enfatizzato la “religione naturale” dei cinesi che, per l’assenza della Rivelazione divina, ha lasciato spazio alla superstizione e all’idolatria[11]. Ricci ravvisava nei cinesi la presenza di un “monoteismo naturale” o “di un antico monoteismo di cui si è persa la memoria”[12]. Questa posizione verrà messa in discussione dai suoi confratelli durante la conferenza dei missionari a Jiading del 1628, ma sarà ripresa sostanzialmente dai cosiddetti “figuristi” e abbracciata da Kircker e Leibniz, come meglio vedremo[13].

 

Dio, angeli e anima razionale dei Cinesi

Bisogna dire che, a spingere “verso una linea maggiormente compromissoria nei confronti del confucianesimo”, erano anche i letterati convertiti giapponesi e cinesi[14], che chiedevano spesso ai padri gesuiti “di confrontarsi con la cultura locale alle sue stesse condizioni”[15]. Standaert parla proprio di un cristianesimo che è stato “modellato”  dai cinesi  nel XVII secolo e tale è oggi rimasto[16].

Il libro Il vero significato del “Signore del Cielo” procurò a Ricci, inevitabilmente, la forte ostilità del clero buddista e numerosi incidenti anche abbastanza gravi.

Longobardo, successore di Matteo Ricci, dimostra di non approvare la riforma religiosa da quello propugnata. Egli rigetta la soluzione ricciana, ritiene che nessun termine cinese sia “accomodabile” alla parola Dio cristianamente intesa[17]e cerca una translitterazione della stessa in cinese, come fatto dai gesuiti giapponesi con quella lingua: per esempio, Francesco Saverio, all’inizio della sua predicazione, ricorse a termini buddisti per rendere alcuni concetti cristiani ma da subito li abbandonò affidandosi alla traslitterazione delle parole portoghesi[18]. Longobardo, democraticamente, volle coinvolgere tutti i gesuiti cinesi nella questione, chiedendo loro se fosse accettabile il compromesso ricciano fra cristianesimo e confucianesimo o se invece non fosse ritenuta, la religione di Confucio, materialista e tutt’affatto lontana dalla vera spiritualità, caratterizzandosi più che altro come un sistema di pensiero, una elaborazione teorica più vicina alla filosofia che alla teologia. Longobardo mise in dubbio l’efficacia di alcuni termini, come “angeli”, “anima” e soprattutto il nome cinese di “dio”. La stessa posizione fu assunta da de Ursis e Rodriguez, i quali sostenevano che i cinesi non avessero una nozione di dio e che quindi nessun termine adottato nei classici fosse assimilabile al dio dei cristiani[19]. La soluzione della “controversia terminologica”[20] proposta da Longobardo era “dousi” già sperimentata da Ricci ma poi abbandonata, come pure non ebbe successo nel tardo periodo Ming[21].

Vediamo di esaminare attentamente come andarono le cose. Longobardo a Pechino incontra Padre Sabatino de Ursis, “alle prese con i miei stessi scrupoli”, scrive[22], ed esprime i suoi dubbi in un trattato a due mani proprio con de Ursis, che però non ebbe alcuna influenza sulla questione perché restò manoscritto[23].  È del 1617 un trattato di Sabatino de Ursis, non pervenutoci, intitolato de Verbo Xam – ti[24].

Il nuovo Visitatore Valentino Caravallo ordinò di esaminare gli scritti classici delle “Tre sette” cinesi (Confucianesimo, Buddismo e Taoismo) e propose una lista di termini non accettabili nei testi cristiani, ordinando di individuare quelli di cui bisognava servirsi. Tale disposizione venne confermata da Francesco Viera, che diede, altresì, mandato di sottoporre le varie questione ai Mandarini cristiani. Lombardo invia il lavoro dei gesuiti di Pechino a Macao:

gli invia entrambe le cose tramite Padre Sabatino, quando questi con altri nostri Padri fu esiliato a Macao e io e gli altri raccomandai di dire a viva voce molti altri particolari che non scrivevo, facendo assegnamento su di lui come di una persona molto versata in queste materie. Assolse il compito alla perfezione; ma il Padre Visitatore, vedendo che i Padri Pantoja e Banoni (Vagnoni) che erano a Macao avevano un parere diverso dal nostro, reputò che tali controversie non potessero terminare senza che fossero trattate nella forma opportuna. Perciò ordinò ai tre Padri di scrivere ciascuno per suo conto un trattato sull’argomento, e per tenere un metodo fissò loro tre argomenti. Il primo fu Dio; il secondo gli Angeli; e il terzo l’Anima razionale; e li esortò in particolare a cercare se nelle scienze cinesi ci fossero alcunché di rapportabile a queste tre cose perché da ciò dipendeva la risoluzione da prendere sui termini cinesi di cui si poteva servire e su quelli che bisognava rigettare. I tre Padri fecero il loro trattato. I Padri Pantoja e Banoni risposero affermativamente, e cercarono di provare che i cinesi avevano avuto una qualche conoscenza di Dio, degli angeli e dell’anima, che chiamavano Xangti, Tienxin e Ling-hoen. Invece Padre Sabatino rispose negativamente, sostenendo che i cinesi, secondo i principi della loro Filosofia, non hanno conosciuto una sostanza spirituale distinta dalla materia, così come noi la concepiamo, e che di conseguenza non hanno ne conosciuto né Dio né Angeli né l’Anima razionale. Questo parere fu accolto dai Padri del Giappone  che erano a Macao , come il più conforme alla dottrina dei cinesi; poco mancò che il Padre Visitatore non si pronunciasse a favore di Padre Sabatino  […]”[25].

Nel 1618, come detto in apertura di articolo, Sabatino de Ursis scrive il De cognitione Veri Dei apud Litteratos[26]. L’opera fu smarrita ma in buona parte confluì in quella di Longobardo.

Sempre nel 1618, il Visitatore Vieira chiede a Cammillo Costanzo, Luis Naito, João Rodrigues e de Ursis un ulteriore approfondimento sulla questione.

In una lettera del Natale 1618 di Camillo Costanzo al Generale Vittelleschi, il gesuita lascia chiaramente intendere che tali questioni siano già state ampiamente dibattute dai padri giapponesi, arrivando alle stesse conclusione di alcuni gesuiti in Cina, tra cui “Sabbino de Ursi,, il quale quando scriveva di questo in Pechino , et io nel Giappone senza comunicarci sin non poi dicemmo lo stesso”[27]. Molto alta è la considerazione che Costanzo ha di “Padre Sabbatino D’Artis (Ursis) , et altri , i quali sanno bene , chi la setta di Confuso , chi la setta di Xaca ( Budda) , e Roxxio[28].  Infatti, quando João Rodrigues (1561-1633), grande conoscitore della cultura giapponese[29], nel 1615 venne in Cina per affrontare i termini della questione con i “tre Pilastri” (Leone, Paolo e Michele, i tre mandarini cinesi convertiti), a Pechino a fargli da interprete fu proprio de Ursis[30].

Nel repertorio bibliografico sulla questione dei riti scritto dal vice provinciale Giandomenico Gabiani (1623-1694) il 22 settembre 1680 e inviato a Roma, è riportato un trattato del 1614 di de Ursis: “Sabbatino de Ursis super nomine XAMTI Pekini an 1614 elucubratus, in quo explicatur multiplex ejus nominis acceptio apud Sinenses litteratos tum antiquos tum recentiores; ac deum exponitur christianus sensus sub quo in nostrum hominum libris accipitur, ac legittime ponitur pro vero Deo[31].

Gabiani oltre alle “Adnotationes” di de Ursis e agli scritti di Longobardo fa riferimento a un’opera scritta da Sabatino a Macao nel 1618, ovvero “Copiosus tractatus a P. Sabbatino de Ursis Macaensi in urbe anno 1618 ex praescripto P[atr]is Fr[ancisc]i Vieirae Visitatoris latine conscriptus, in quo P. Sabbatinus ita probare contendit Sinenses literatos …”[32]. Lo stesso trattato è citato da Dehergne[33]. In una lettera del 3 ottobre 1620 dal Giappone al Generale Vitteleschi, Camillo Costanzo[34] conferma che la sua posizione sulla questione argomento del dibattito fosse contraria a quanto affermato da Vagnone e in accordo con quella de Ursis:

Come ben lo mostro nell cose della Cina , hoggi tante errate come sono, et io con Padre Sabbatino gli provammo con quattro trattati. E già toccai in questo Padre voglio che sappia Vostro paternità ch’il Padre Sabbatino per la nostra humiltà stando in Macao andò dal Padre Visitatore Francisco Viera dicendogli:Andiamo errati, andiamo errati. Et in segnale di ciò, lo detto Padre gli fece fare un trattato contro il padre Vagnone”[35].

 

Ciò che darà veramente il via alla “Questione dei riti” è lo scandalo provocato dal fatto che i gesuiti consentissero ai cristiani convertiti di celebrare i riti in onore degli antenati e Confucio. Così, nel 1636 tale pratica venne denunciata al vescovo di Manila[36]. Questo è il primo atto della controversia che durerà quasi trecento anni. La liceità dei riti in onore di Confucio e degli antenati era stata affrontata in due Conferenze che i Gesuiti tennero a Macao nel 1603 e 1605[37] e ulteriormente in una conferenza del 1621 sempre a Macao, indetta dal Visitatore Jeronimo Ruiz, che portò alla stesura delle Ordinationes Anno 1621 approbatae in favorem P. Matthaei Ricci[38].

Nel 1623 Longobardo pubblicò le sue teorie nell’opera Responsio brevis super controversias de Xanti [Shangdi], tienxin [Tianshen], linghoen [linghun] alijsque nominibus et terminis Sinicis, ad determinandum qualia eorum uti possint vel non in hac Christianitate, nella quale rigettava il compromesso con la religione confuciana, la cosiddetta accomodatio[39]. Tuttavia, la disputa, piuttosto che essere placata, si rinfocolò e vennero prodotti vari scritti per confutare o avallare le affermazioni di Longobardo[40]. Come osserva Rule, la controversia non è riducibile ad una mera questione speculativa, come invece sostenuto da Dunne[41], ma il vero obiettivo da affrontare era la strategia dell’accomodamento così come declinata da Ricci per la Cina[42]. Ad un certo punto, il nuovo Visitatore, André Palmeiro (1569-1635), poco propenso alla linea ricciana ma preoccupato di mantenere una posizione equilibrata tra le due “fazioni”, per riportare la pace tra i gesuiti cinesi[43], indisse nel 1628 a Jiadiang, nella provincia dello Jiangsu, una conferenza, che trattò ben 38 proposizioni. A coordinare i lavori, oltre a Longobardo, anche Giulio Aleni[44]. Durante la conferenza emersero chiaramente i distinguo tra i vari padri ed inoltre, come evidenzia Feng-Chuan Pan, si confermò la fondamentale diversità tra la visione dei gesuiti, che in quanto cattolica è di tipo trascendentale, e quella dei confuciani, che è di tipo  esistenziale[45].

Questa volta però Longobardo con le sue argomentazioni ebbe il definitivo sopravvento e cosi il Palmeiro nelle Ordinationes Anno 1629 da una parte prescrisse l’uso, sia nei sermoni che nei libri, dei termini Shang di e Tian, dall’altra quello di Tian zhu, per significare l’idea di Dio. Nel 1630 il Generale dell’ordine, Muzio Vittelleschi, dichiarò nulla questa disposizione. Nel 1635, il Vescovo agostiniano di Manila denunciò i gesuiti al Papa, successivamente ritirò la denuncia, ma ciò fu sufficiente per fare allargare i confini della Questione dei Riti, che da quel momento interessava non più solo i gesuiti ma tutta la Chiesa[46].

Del resto, a complicare il quadro degli eventi si aggiunse la nascita di “Propaganda Fide”, con la Costituzione Inscrutabili divinae providentiae di Papa Gregorio XV del 22 giugno 1622[47], e, nel 1658, del MEP, ovvero le “Missions Etrangères de Paris”[48] che posero fine alla condizione di monopolio in cui di fatto operavano i gesuiti in Cina e al protettorato portoghese, in un quadro geo-politico in forte mutamento, soprattutto con l’avanzata nell’area asiatica delle altre grandi potenze europee, in primis l’Olanda. Se mettiamo in conto la nascita della “Compagnia delle Indie Orientali” e un cambio epocale in Cina nel 1644 con la fine dell’era Ming, iniziata nel 1368, e l’inizio dell’era Qing (che si protrarrà fino al 1911)[49], possiamo capire quanto questi eventi abbiano influenzato la questione che stiamo affrontando. Si aggiunga che già dal1631 il monopolio delle missioni dei gesuiti in Cina era di fatto terminato con l’arrivo del primo domenicano, il fiorentino P.Angelo Cocchi[50].

 

Dubbi o proposizioni

È chiaro che la proibizione delle cerimonie in onore degli antenati e di Confucio fosse inaccettabile per i cinesi e infatti l’atteggiamento non “accomodante” dei missionari nuovi arrivati provocò nel 1638 il cosiddetto “Incidente di Fujian” che determinò  l’espulsione degli stessi e una ricca produzione di scritti anticristiani  che  verranno  pubblicati nella raccolta  Poxieji  (1640)[51]. Il bando, tuttavia, non interessò i membri della Compagnia per via della loro fedeltà alla linea di Ricci.

Il 12 settembre 1643 il domenicano Morales giunge a Roma e ottiene il primo decreto di condanna dei riti da Papa Innocenzo X (1645). Nel 1649, Morales ritorna in Cina e  notifica il decreto al Vice Provinciale Diaz, che  ritenne improvvida le decisione canonica “adducendo che  era stata presa parte inaudita[52].  Così venne inviato a Roma nel 1651 il gesuita trentino P. Martino Martini (1614-1661) per perorare la causa dei missionari  ignaziani. Questi presenta a Propaganda Fide quattro Dubbi  o proposizioni, contro le argomentazioni di Morales[53]e una Brevis Relatio[54]. Le argomentazioni portate da Martini furono convincenti, e il 23 marzo 1656 Papa Alessandro VII emanò un decreto che sconfessava quello del predecessore. Morales scrive un nuovo memoriale (1661) all’indirizzo della Sacra Congregazione, che il 13 novembre 1669 si pronuncia a favore del domenicano. Papa Clemente IX conferma il decreto. Nel 1664, alla morte di Morales, nuovo superiore dei Domenicani è lo spagnolo Navarrete[55].

L’opposizione ai riti cinesi non era accettabile da parte dell’Imperatore, le cerimonie in onore degli antenati costituivano uno dei pilastri su cui si fondava il Confucianesimo, sicché nel 1665 tutti i missionari presenti in Cina (15 gesuiti, 3 domenicani e il francescano Caballero) vennero confinati a Canton.

Nella forzata permanenza in quella città, i missionari tennero nel 1667-68 una importante conferenza sulla Questione dei riti, nella quale venne redatta e sottoscritta  una dichiarazione che in 42 punti riaffermava la liceità dei riti. Il documento non fu firmato da Caballero. Proprio in occasione della conferenza di Canton, Navarrete e Caballero entrarono in possesso dello scritto (o degli scritti) di Longobardo[56]e presumibilmente anche di de Ursis[57].

 

Uno scritto che risorge dalle ceneri

E torniamo così allo scritto di Nicola Longobardo che avevamo lasciato.

Come già spiegato, il trattato non venne pubblicato dalla Compagnia di Gesù che riteneva non si potesse affidare alle stampe, anche se ne verranno pubblicati degli stralci da esponenti di altri ordini religiosi in funzione polemica contro i gesuiti. Come riporta Tabaglio, “il libro del Longobardi (viene dato) alle fiamme”[58].

Quest’opera, scritta in portoghese, venne tradotta in latino dal padre minorita Antonio de Sancta Maria o Caballero, nel 1661[59]e successivamente in spagnolo dal frate Domingo Navarrete, nel libro Tratados históricos, políticos, éthicos y religiosos de la monarchia de China, nel 1676[60] che cita espressamente de Ursis, alla p.125[61].

Navarrete il 6 gennaio 1673 era a Roma per esporre i suoi casi a Propaganda Fide e l’anno dopo a Madrid[62]. Il domenicano, a sostegno delle proprie tesi, chiamava in causa i più vecchi missionari tra cui de Ursis[63], ma, come osserva Sisto Rosso[64], ometteva i gesuiti più anziani che erano di parere avverso, primo fra tutti Pantoja, a lungo compagno di de Ursis[65].

L’opera di Longobardo fu tradotta in francese dall’abate de Ciré nel 1701 col titolo Traité sur quelques points de la religion des Chinois, con annotazioni del filosofo  Leibniz.  Nel Preambolo l’autore ricostruisce la tematica della “Questione del Signore del Cielo”[66]. Quest’opera “fu resa nota da G.W. Leibniz nel Journal des sçavants nel 1701 (pp.154-158), ed ebbe un’influenza profonda sul suo pensiero (G.W. Leibniz, Opera omnia, IV, 1, Genève 1768, pp. 89-144), in particolare sulla redazione del Discorso sulla teologia naturale dei Cinesi, molto più di quanto non ne abbiano avuto gli scritti del Ricci”[67].

Leibniz sviluppa meglio queste riflessioni nel Discours sur la théologie naturelle des Chinois, del 1716, in cui viene affrontata più da vicino la tesi dell’ “ateismo” dei cinesi sostenuta da de Ursi-Longobardo. È solo in quell’occasione che Leibniz entra in possesso diretto del Trattato di Longobardo e di quello di Antonio di Santa Maria, per mano di Nicolas Remond, che aveva spedito i due scritti al filosofo tedesco per averne un parere[68]. Contro le affermazioni di de Ursis-Longobardo, Leibniz prendeva posizione in difesa di Ricci ritenendo che nel pensiero cinese fosse presente l’idea di Dio al pari della dottrina cristiana. In una lettera al Bosses (1716), Leibniz sostiene che ancor più dei filosofi greci i cinesi si sono avvicinati alla verità[69].  Egli avrebbe voluto meglio precisare questa sua posizione ma lo colse la morte[70].

Nel De cultu Confucii, scritto prima della Novissima sinnica (1697), il filosofo tedesco riporta la questione della natura dei riti religiosi /civili degli antenati a una dimensione puramente semantica (si quam ejus definitionem Quaeramu )[71]. Come sostiene Piro, per “Leibniz, è possibile che i Cinesi non sappiano essi stessi se i loro culti sono civili o religiosi. […] Le lingue storiche umane sono infatti contrassegnate dall’ambiguità di senso, dalla polisemia. Solo un linguaggio di tipo matematico, una Characteristica Universalis, potrebbe sottrarsi completamente all’ambiguità. Per contro, le formule di un rito sono contrassegnate dall’opposta tendenza ad avere un significato non del tutto esplicitabile”[72].

Leibniz, osserva Etiemble, vedeva nell’accomodamento la capacità di operare una sintesi tra le diverse culture orientale e occidentale[73]. Infine, nel 1748 il Trattato viene pubblicato in versione integrale dal filosofo tedesco[74].

 

“Ex illa die”

Tornando in Cina, al momento in cui avevamo lasciato la nostra narrazione, il 22 marzo 1692, l’imperatore Kangxi (1654 -1722) emanò l’editto di tolleranza con il quale si aprivano ufficialmente le porte all’apostolato missionario[75]. Come osserva Durconet, l’editto era quasi un segno di riconoscenza ai gesuiti per i servizi scientifici, militari e diplomatici resi. L’editto non riconosceva la libertà di professare la religione cristiana né di fare proselitismo e tuttavia la posizione raggiunta a corte da vari gesuiti li fornì di una “copertura politica” anche nei momenti più duri per il cattolicesimo in Cina[76].

Nel 1687, il Papa Innocenzo XII aveva nominato il sacerdote parigino Charles Maigrot vicario apostolico del Fujian. Nel 1693, Maigrot emana il Mandatum seu Edictum, che riporta sette divieti relativi alla controversia dei riti. I gesuiti, non riconoscendo l’autorità di Maigrot, che di fatto sconfessava le disposizioni apostoliche, non vollero osservare i divieti. Maigrot allora inviò a Roma Nicholas Charmot per far approvare comunque il Mandatum[77].

Propaganda Fide riesamina la questione ed emana un nuovo decreto di proibizione, Cum Deus optimus (20 novembre 1704), e intanto invia in Cina Carlo Tommaso Maillard de Tournon (1688-1710), con il mandato segreto di bandire i riti  malabarici e cinesi[78],  gli uni con decreto Inter graviores emesso il 23 giugno 1704 a Pondichéry, gli altri con il decreto Quandoquidem audivimus emesso a Nanchino il 25 gennaio 1707[79].

L’Imperatore Kangxi, che ricevette il legato il 31 dicembre 1705, per nulla persuaso dall’atteggiamento di Tournon[80], anzi molto contrariato dall’opposizione ai riti, fece espellere da Pechino Tournon e relegarlo prima a Canton e poi ai domiciliari a Macao dove morì, in stato di prigionia, nel 1710, prima ancora di ricevere la berretta cardinalizia, che intanto gli era stata conferita a Roma.

Nel 1707, Kangxi impose il cosiddetto piào, ossia il permesso di predicare in Cina  vincolato al giuramento di rispettare  la prassi missionaria di Matteo Ricci[81].

Il Papa Clemente XI, il 19 marzo 1715, emana la costituzione apostolica Ex illa die[82] che impone il rispetto di tutte le precedenti disposizioni che proibivano i riti cinesi, vincolando i missionari al giuramento. L’imperatore Kangxi nel 1716 volle avere dei chiarimenti dal Papa inviando per mano del gesuita torinese Giuseppe Provana il cosiddetto Piao Rosso sottoscritto dai missionari presenti a Pechino. Tuttavia Provana, giunto a Roma, vi rimase e non tornò più in Cina, per sommo disdoro dell’Imperatore[83]che considerò questo un affronto diplomatico[84].

Il Papa inviò solo nel 1720 a Pechino una nuova delegazione, guidata da Carlo Ambrogio Mezzabarba. Questi fece delle concessioni nei confronti di alcuni gesti rituali in precedenza condannati, con le otto Permissioni (1721)[85]. 

Nel 1717, Kangxi  proibisce il proselitismo e la predicazione del cristianesimo. Il figlio, Yongzheng (16781735),che gli successe sul trono, decretò nel 1724 l’espulsione di tutti i missionari (relegati a Canton), eccetto quelli di Pechino, che continuarono ad operare a corte come funzionari[86]. Il provvedimento verrà confermato dall’imperatore Qianlong(1711-1799). Poiché le Permissioni di Mezzabarba non furono unanimemente accettate, la Questione dei riti ebbe una nuova ripresa. Promotore ne fu Carlo Orazio da Castoramo (1643-1755)[87].

Papa Bendetto XIV pubblicò, l’11 luglio 1742, la costituzione apostolica Ex quo singulari, con la quale confermava in maniera definitiva le proibizioni dell’Ex illa die[88].  Ciò determinò la fine della Controversia di riti cinesi, poiché si imponeva il divieto anche della sola ripresa della discussione, pena l’erogazione di provvedimenti canonici[89], e contestualmente si sanciva la non liceità della strategia dell’accomodamento di Ricci. Una decisione storica, che ebbe “conseguenze catastrofiche per il cristianesimo in Cina”, come osserva, sulla scorta di Pastor, Hans Kung[90]. Con la sua definitiva sanzione, Papa Lambertini, proibendo i riti, riduceva ad uno stato di marginalità sociale e al rischio di perseguibilità penale i cinesi convertiti, anche se l’obbiettivo  principale era più estesamente colpire la strategia missionaria dei gesuiti[91].

Una nuova ondata di missionari arriverà in Cina, al seguito degli eserciti europei dopo gli umilianti “Trattati ineguali” del 1842, dopo la “rivolta dell’Oppio” e la “ rivolta dei Boxer” contro i “diavoli stranieri “. Con l’aumento dei neofiti, però, si riproporrà la questione della formazione del clero locale e del rapporto con la millenaria cultura cinese. Il 25 marzo 1935 Propaganda Fide fece richiesta ai vicari apostolici in Cina di nuova documentazione che riavviasse “l’incresciosa” Questione dei riti[92]. La Questione può dirsi conclusa solo nel 1939, coll’emanazione dell’Istruzione Plane compertum, emanata dalla Congregazione di Propaganda della Fede (8 dicembre 1939), che riconosce il caratte­re civile delle cerimonie in onore di Confucio e degli omaggi ai defunti dinanzi alle tavolette funerarie:

“Si approva la partecipazione dei fedeli ai riti in onore di Confucio, sia nelle scuole sia in altri edifici, come pure si accetta la collocazione della sua immagine nelle scuole cattoliche, per il saluto con l’inchino del capo. Si permette la partecipazione passiva alle cerimonie con carattere superstizioso, in caso di necessità. Si riconosce la liceità delle manifestazioni di ossequio civile dinanzi ai defunti e alle tavolette memoriali”[93].

 

Va fatta una riflessione su quanto abbia influito in questo atto di Papa Pio XII il ruolo diplomatico svolto da P. Piero Tacchi Venturi, nel processo di riappacificazione tra Stato Italiano e Santa Sede. Non è un caso che nel 1942 verranno pubblicate dalla Libreria dello Stato le “Fonti Ricciane” di Pasquale D’Elia[94]. Si può dire che in Cina, tra XVII e XVIII secolo, si sia di fatto celebrato un “Concilio Vaticano II” ante litteram, quando in Europa erano ancora freschi di stampa i decreti del Concilio di Trento. Una interessante conclusione ci viene data da Etiemble, il quale evidenzia che se non si è avuta l’europeizzazione della Cina, di converso si è avuta la “sinesizzazione” dell’Europa, alla quale fu proposto, in una maniera distorta, appunto “accomodata”, il Regno di mezzo[95]. L’immagine della Cina, trasmessa dai gesuiti, come quella di un paese meritocratico, governato da filosofi laici[96], ebbe tanto successo in Europa che, paradossalmente, questo finì col ritorcersi contro i suoi stessi proponenti[97]. Cioè, i gesuiti loro malgrado fornirono agli intellettuali illuministi un pretesto per la secolarizzazione dell’Europa. Tra questi, per esempio, il fondatore della scuola fisiocratica Francois Quesnay(1694-1774), soprannominato il “Confucio D’Europa”[98], l’illustre esponente del razionalismo tedesco Christian Wolff[99] e il famoso Voltaire, fra tutti il più accanito detrattore dei gesuiti[100]. In tutti questi autori, ci fu una profonda ammirazione nei confronti del millenario regno cinese. In loro si ritrova il parallelismo “Confucio-Socrate”, veicolato dai gesuiti in Cina, in seguito alla questione dei riti che, al di là dei contenuti propriamente teologici, si rivelò la causa del primo grande confronto interculturale tra i due antichi mondi, un confronto iniziato nel “nome di Dio”.

 

 

Un vivo ringraziamento a P. Robert Danieluk, al dott. Sergio Palagiano e al dott. Mauro Brunello,dell’Archivio Storico dei Gesuiti di Roma,per le preziose indicazioni  nelle  ricerche  in ARSI,  al  personale dell’ Institutum Historicum Societatis Iesu (IHSI), al sign. Antonio Piscopiello, della Biblioteca comunale “A. Caloro” di Alessano, per la solerte disponibilità nell’accogliere le richieste bibliografiche.

 

Note

[1] Per una bibliografia essenziale su de Ursis, si vedano: Vita del P. Carlo Spinola della Compagnia di.Giesù morto per la Santa Fede nel Giappone del p. Fabio Ambrosio Spinola dell’istessa Compagnia all’Illustriss. e Reverendiss. Signore, e Padron Colendissimo, Monsignor Prospero Spinola Digniss. Vicelegato di Bologna, in Roma e in Bologna, per Clemente Ferroni, 1628, p. 165; Dell’Historia della Compagnia di Giesu la Cina terza parte dell’Asia descritta dal P. Daniello Bartoli della medesima Compagnia, Roma, Stamperia del Varese, 1663, passim; P. Couplet, Catalogus Patrum SocietatisJesu qui post obitum S.Francisci Xaverii primo saeculo sive ab anno 1581 usque ad 1681 in Imperio Sinarum Jesu Christi fidem. Propagarunt, Paris 1686, pp.12-13; Menologio di pie memorie d’alcuni religiosi della Compagnia di Gesù raccolte dal Padre Giuseppe Antonio Patrignani della medesima Compagnia e distribuite per quei giorni dell’anno, ne’ quali morirono. Dall’anno 1538. Fino al 1728. Tomo I, che contiene gennajo febbrajo, e marzo, Venezia, Niccolò Pezzana, 1730, pp. 51-52; H. Cordier, L’imprimerie sinoeuropéenne en Chine : bibliographie des ouvrages publiés en Chine par les européens au XVIIe et au XVIIIe siècle / par M. Henri Cordier, Parigi, Imprimerie Nationale, 1901, p. 41 e pp. 51-52; P.Ricci S.J., Relacao escripta pelo seu companheiro P.Sabatino De Ursis S.J. publicacao commemorativa do Terceiro Centenario da sua morte (II de maio de 1910) mandada fazer pela Missao Portoguesa de Macau, Roma, Tipografia Enrico Voghera, 1910; L.Pfister, Notices Biographiques et Bibliographiques sur les Jésuites de l’Ancienne Mission de Chine, Xangai, 1932-1934, pp. 103-105; L. G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, Vol.I, Lecce, Gaetano Campanella, 1874, p. 56; Opere storiche del P.Matteo Ricci S.I., a cura di Pietro Tacchi Venturi, Macerata, Tipografia F.Giorgetti, 1913, Volume II, p. 58; G. Barrella, I Gesuiti nel Salento Appunti di storia religiosa da documenti editi ed inediti pubblicati in occasione del III Centenario dalla morte del B. Bernardino Realino apostolo e compatrono di Lecce (1616-1916) Parte prima, Lecce, Tipografia Giurdignano,1918, pp. 71-72; Idem, La Compagnia di Gesù nelle Puglie, 1574-1767, 1835-1940, Lecce, Tipografia Ed. Salentina, 1941, p. 81; Storia dell’introduzione del Cristianesimo in Cina scritta da Matteo Ricci S.I. nuovamente edita ampiamente commentata col sussidio di molte fonti inedite delle fonti cinesi da Pasquale M. D’Elia S.I.,Parte II, Libri IV-V, Da Nancian a Pechino (1597-1610-1611), Roma, La Libreria dello Stato,1949, p. 387; G. Ruotolo, Ugento Leuca Alessano Cenni storici e attualità, Siena Cantagalli, 1952, p.7; J.Wicki, Liste der Jesuiten-Indienfahrer:1541–1758, Münster Aschendorff, 1967, pp. 283-284; J. Dehergne S.J., Répertoire des Jésuites de Chine, de 1542 à 1800, Biblioteca Instituti Historici S.I. Volumen n.37, Roma, 1973, p. 75; J. F. Schutte, Monumenta Missionum Societas Iesu, Vol. XXXIV, Missiones Orientales, Monumenta Historica Japoniae I, Textus Catalogorum Japoniae 1549-1654, Roma, 1975, passim; Dictionary of Ming Biography 1368-1644, L.Carrington Goodrich, Editor Chaoyng Fang, Associate Editor, Volume II, M-Z, Columbia University Press, New York and London, 1976,pp. 1331-1332; F. Iappelli, I gesuiti nel Salento 1574 -1767, in «Societas», n.4-5, 1992, p.112; U. Baldini, Saggi sulla cultura della Compagnia di Gesù (secoli XVI-XVIII), Padova, Cleup Editrice, 2000, p. 94; G. Ricciardolo, Oriente e Occidente negli scritti di Matteo Ricci, Napoli, Chirico, 2003, p.164; G. Spagnolo, Xion Sanba. Sabatino de Ursis, un gesuita salentino alla corte di Pechino, in «Il Bardo», a.XX, n.1, Copertino, dicembre 2010, p. 4; ecc.

[2]Su Niccolò o Nicola Longobardo o Longobardi si vedano: Voce, a cura di Elisabetta Corsi, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.65, 2005, on line,; J.Dehergne S.J., Répertoire des Jésuites de Chine, de 1542 à 1800, Biblioteca Instituti Historici S.I. Volumen n.37, Roma, 1973, pp. 153-154; L.Pfister, Notices biographiques et bibliographiques sur les Jésuites de l’39;ancienne mission de Chine 1552-1773, I, Changhai 1932, n. 32, pp. 58-66; N. Longobardo, Trattato sui terremoti, a cura di  Silvia Toro, Prefazione di Francesca Failla,  Bologna, EDB, 2017.

[3] Matteo Ricci, Il vero significato del “Signore del Cielo”, traduzione di Alessandra Chiricosta, Roma, Città del Vaticano, Urbaniana University press, 2006, p. 79.  La traduzione presente in questa edizione è quella del 1607 rivisitata dal dotto cinese Li Zhizao e da questi inserita nella raccolta di libri cristiani Tianxue Chu Han (1629) e tradotta in varie lingue nei paesi asiatici: Ivi, pp. 60-61.

[4] Il Confucianesimo “non contiene niente contro l’essentia della fede Catholica”, afferma Ricci nella sua opera Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina, a cura di Maddalena Del Gatto, Prefazione di Filippo Mignini, Milano, Quodlibet, 2015, p. 98.

[5] T. Meynard, Chinese Buddhism and the Threat of Atheism in Seventeenth-Century Europe, in «Buddhist-Christian Studies», Vol. 31, University of Hawai’i Press, 2011, p. 3.

[6] M. Ricci, Dell’entrata cit., nota 3, p. 100.  Questa accusa verrà ripresa anche da Bartoli: “i riti propri di questa legge, tolti dalla Religione Christiana, fondata in que’medefimi tempi da gli Apostoli S.Bartolomeo e S.Tommaso”, afferma, in  Dell’Historia della Compagnia di Giesu La Cina Terza parte dell’Asia descritta dal P. Daniello Bartoli della medesima Compagnia, Roma, Stamperia del Varese, 1663, pp. 126-127.

[7] N.Standaert, Matteo Ricci e la cultura cinese, in Nell’anima della Cina. Saggezza, storia, fede, a cura di Antonio Spadaro, Roma, Ancora- La Civiltà Cattolica, 2017, p. 91.

[8] A. Cheng, Storia del pensiero cinese. Vol.I. Dalle origini allo “studio del Mistero”, Torino, Einaudi, 2000, pp. 36-39.

[9] P. Corradini, La questione dei riti cinesi nei secoli XVII e XVIII, in L’Europa e l’evangelizzazione delle Indie Orientali, a cura di Luciano Vaccaro, Milano, Centro Ambrosiano, 2005, p. 191.

[10] R. Étiemble, Les Jésuites en Chine. La querelle des rites (1552-1773), Collection Archives Julliard, Parigi, 1966, pp. 21-34.

[11] P. Corradini, op.cit., p.188; P. Santangelo, L’impero del Mandato Celeste La Cina nei secoli XIV-XIX, Bari, Laterza,2014, p. 299.

[12] M.Catto, L’ateismo dei cinesi in Matteo Ricci e Niccolò Longobardo, in www.giornalidistoria.net, p. 5.

[13] Ivi, p.9.  Sul Figurismo: Voce, a cura di J.Lopez Gay, in Diccionario histórico de la Compañía de Jesús (4 volúmenes) biográfico-temático, a cura di Charles E. O’Neill e Joaquín María Domínguez, Universidad Pontificia Comillas Madrid 2001, pp. 3058-3059; A. Albanese, La Cina secondo il figurismo di Foucquet (1665-1741) in alcuni documenti dell’epoca, in L’invenzione della Cina Atti dell’VIII Congresso AISC Lecce 26-28 aprile 2001, a cura di Giusi Tamburello, Università del Salento, Galatina, Congedo, 2004,pp. 39-59;  V. Pinot, La Chine et la formation de l’esprit philosophique en Million (1640- 1740), Genève, Slatkine Reprints, 1971, pp. 347-48.

[14] S. Pavone, I Gesuiti dalle origini alla soppressione, Bari, Laterza, 2004, p. 107.

[15] J. Casanova, I gesuiti e la globalizzazione, in «Annali di studi religiosi», n.16, 2015, pp. 11-31; inoltre si veda: J. Ücerler, Christianity and Cultures. Japan & China in Comparison,1543-1644, a cura di M. Antoni e J. Ücerler, Institutum Historicum Societatis Iesu, Roma, 2009.

[16] N. Standaert, Christianity shaped by the Chinese, in The Cambridge History of Christianity: Volume 6, Reform and Expansion 15001660, a cura di R. Po-chia Hsia, Cambridge Univerity Press, 2008, p. 575.

[17] Longobardo “sembra […] che avesse una conoscenza più profonda rispetto allo stesso Ricci, del cinese classico e dei commentari neoconfuciani”, scrive Nicolas Standaert in Matteo Ricci e la cultura Cinese, in Nell’anima della Cina. Saggezza; storia, fede, a cura di Antonio Spadaro, Roma, Ancora-La Civiltà Cattolica, 2017, p. 86.

[18] G. Elison, Deus Destroyed. The image of Christianity in Early Modern Japan, Harvard University Press, 1988, pp. 30-40.

[19] F. Bontinck, La Lutte autour de la Liturgie Chinoise aux XVIIe et XVIIIe Siècles, Publications de l’Université Lovanium de Léopoldville, 1962, p. 60.

[20] G. Criveller, Matteo Ricci Missione e ragione, Bornago, Pimedit, 2010, p. 82.

[21] Ivi, p.83.

[22] Gottfried Wilhem Leibiniz, La Cina. Presentazione di Carlo Sini, Milano, Spirali, 1987, p. 42.

[23] H. Cordier, La Question des rites chinois in «Annales du Musée Guimet  Bibliotèque de vulgarisation  Tomo 41  Conferences Au Musee Guimet 1914», Parigi, 1916,  p.151.

[24]Apostolic Legations to China of the eighteenth century, a cura di Sisto Rosso, South Pasadena, P.D. and Ione Perkins, 1948, p. 93.  Un volume del Settecento sembrerebbe alludere ad un’altra opera ancora di Sabatino: “Così che l’Orsi, ed il Ruiz composero  cadauno separatamente dall’altro, un Trattato, concordemente provando. che li Cinesi principi della loro Filosofia mai conobbero darsi sostanza alcuna distinta dalla materiale”: Giuseppe Maria Tabaglio, Giovanni Battista Benedetti, Baldassare Montecatin, Il disinganno contraposto de un religioso dell’Ordine de’Predicatori alla difesa de’Missionarii Cinesi della Compagnia di Giesù: Et ad un altro libricciuolo Giesuitico intitolato L’esame dell’autorità e[tc] : parte seconda, Colonia, Berges,1701, pp. 130-131.

[25] G. W. Leibiniz, La Cina. Presentazione di Carlo Sini, Milano, Spirali, 1987, pp. 43-44

[26] Apostolic Legations..cit., a cura di  Sisto Rosso, p. 93.

[27] S. De Fiores, Il Beato Camillo Costanzo di Bovalino. Con 17 lettere inedite dal Giappone alla Cina, Milano, Jaca Book, 2000, p. 149.

[28] Ivi, p.166.

[29]Joao Rodrigues è noto con l’appellativo “Tsüzu”, ossia l’“interprete”, perché era l’intermediario tra i giapponesi e i mercanti portoghesi; si deve a lui un dizionario portoghese-giapponese che è anche la prima grammatica giapponese scritta da un occidentale, ossia Arte da lingoa de Iapam, pubblicata a Nagasaki nel 1604: J.E. Moran, The Japanese and the Jesuits. Alessandro Valignano in Sixteenth-Century Japan, Routledge, London and New York, 1993, pp. 178-188.

[30] M. Cooper, Rodrigues the Interpreter An Early Jesuit in Japan and China, Weatherhill, New York and Tokyo, 1974, p. 283.

[31] H. B. Maitre, Un dossier bibliographique de la fin du XVIIe siècle sur la question des termes chinois, in «Recherches de Science Religieuse », n.36, Parigi, 1949, p. 66.

[32] Ivi, p. 67. Possiamo supporre che questo scritto sia il De vera cognizione. Su Gabiani: Voce, a cura di Giuliano Bertuccioli, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 51,1998, on line.

[33] J. Dehergne, R. Malek, Catéchismes et Catéchèse en Chine de 1584 À 1800, in «Monumenta Serica », Vol. 47, 1999, p. 424.

[34] Per Camillo Costanzo (1572-1622), si veda: Voce, a cura di J. López-Gay, in Diccionario cit., p. 2159.

[35] S.De Fiores, Il Beato Camillo Costanzo cit., pp. 173-174. Su Alfonso Vagnone (1566-1640): G. Falato, Tongyou Jiaoyu [educazione dei giovani] (ca. 1632), in Associazione Italiana di Studi Cinesi Atti del XV convegno 2015, a cura di Tommaso Pellin e Giorgio Trentin, Venezia, Libreria Editrice Cafoscarina, 2017, pp. 87-97.

[36] E. Menegon, Christian Loyalists, Spanish Friars, and Holy Virgins in Fujian during the MingQing Transition, in «Monumenta Serica », n. 51, 2003 p .342.

[37]P. Corradini, La questione dei riti cinesi nei secoli XVII e XVIII, in L’Europa l’evangelizzazione delle Indie Orientali, a cura di Luciano Vaccaro, Milano, Centro Ambrosiano, 2005, p. 191.

[38] Apostolic Legations to China of the eighteenth century, a cura di Sisto Rosso, South Pasadena, P.D. and Ione Perkins, 1948, p. 96.

[39] Ivi, pp. 96-97.

[40] Ivi, pp. 99-103.

[41] G. H. Dunne S.J., Generation of Giants The story of the Jesuits in China in the Last Decades of the Ming Dynasty, University of Notre Dame Press, Indiana, 1962, p. 286.

[42] P. A. Rule, KUng-Tzu or Confucius?: The Jesuit Interpretation of Confucianism, tesi Au s t r a l i a n N a t i o n a l U n i v e r s i t y, Canberra 1972, p. 257.

[43]Su Palmeiro si veda: L. M. Brockey, The Visitor André Palmeiro and the Jesuits in Asia,   Belknap Press Harvard, 2014, pp. 218 -245 e  pp. 278-326.

[44]Su Giulio Aleni si veda, fra gli altri: Voce, a cura di Pietro Pirri, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 2, 1960, on line; Giulio Aleni, Vita del Maestro Ricci Xitai del Grande Occidente, a cura di Gianni Criveller, Brescia, Centro Giulio Aleni, 2010; Idem, Geografia dei paesi stranieri alla Cina. Zhifang waiji, Traduzione, introduzione e note di Paolo De Troia. Brescia, Centro Giulio Aleni, 2009; Voce, a cura di B. Luk, in Diccionaro cit., p. 185.

[45] Feng-Chuan Pan, The Chinese-Jesuit metaphysical debate about Ultimacy  https://www.uniroma1.it/it/node/16399.

[46] L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del medio evo: compilata col sussidio dell’Archivio segreto pontificio e di molti altri archivi / Ludovico Pastor ; nuova versione italiana sulla 4. ed. originale del sac. prof. Angelo Mercati Volume XIII: Storia dei papi nel periodo della Restaurazione Cattolica e della Guerra dei Trent’anni: Gregorio XV (1621-1623) ed Urbano VIII (1623-1644), Roma, Desclée e C., 1934, p. 780.

[47]P. Guilday, The Sacred Congregation de Propaganda Fide (1622-1922), in  «The Catholic Historical Review», Vol. 6, n. 4, gennaio 1921, p. 479.

[48] notoriamente avverse ai gesuiti e più vicine alle posizioni gianseniste: S. Pavone, I Gesuiti dalle origini allo loro soppressione, Bari, Laterza, 2004, p. 104.

[49] Sulle Mep, si veda: M. Lunay, G. Moussay, Les Missions étrangères: Trois siècles et demi d’histoire et d’aventure en Asie, Parigi, Librairie Académique Perrin,2008. Su Propaganda Fide si rinvia a: G. Pizzorusso, La congregazione romana “De Propaganda fide” e la duplice fedeltà dei missionari tra monarchie coloniali e universalismo pontificio (XVII secolo), in Librosdelacorte.es Monográfico 1, año 6 (2014)  ISSN 1989-6425.

[50] Su Angelo Cocchi, si veda: Voce, a cura di Giuliano Bertuccioli, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.26, 1982, on line; I.Vecchi O.P., I primi martiri d’Oriente, in « Dominicus», n.1, gennaio-febbraio 2001, Bologna, p. 4.

[51] E. Menegon, Jesuits, Franciscans, and Dominicans in Fujian,  in “Scholar from the West” GuilioAleni S.J. (1582-1649) and the Dialogue between Christianity and China, a cura di Tiziana Lippiello e Roman Malek, Nettetal Steyler,Verlag, 1997,  p. 222.

[52] G. Borsa, La nascita del mondo moderno in Asia Orientale. La penetrazione europea e la crisi delle società tradizionali in India, Cina e Giappone, Milano, Rizzoli,1977, p. 56.

[53]B. Bolognani, L’Europa scopre il volto della Cina Prima biografia di Martino Martini, in «La natura alpina», Rivista Trimestrale di Aggiornamento e di divulgazione Scientifica, Volume 30 fascicolo 18, Trento, 1979, p. 96.

[54] Brevis Relatio de Numero, Et Qualitate Christianorum apud Sinas Auctore Martino Martinio Tridentino Viceprovinciae Sinensis Procuratore è Societate Iesu Iuxta exemplar Romanum, Coloniae, Apud Ioannem Buseum, 1655. Su Martino Martini, si vedano: J. Sebes, Il ruolo di Martino Martini  nella Controversia dei Riti cinesi, in  Martino Martini  geografo   cartografo   storico teologo  Atti del convegno di Studi internazionali  Provincia autonoma di Trento-Museo Tridentino di scienze naturali, a cura di  Giorgio Melis, Trento, 1983 pp. 445 -471; Voce, a cura di Federico Masini, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 71, 2008, on line; G. Criveller, Martino Martini e la controversia dei Riti cinesi, in  Martino Martini, Man of Dialogue, a cura di Luisa M. Paternicò, Claudia von Collani, Riccardo Scartezzini, Università degli studi di Trento, 2016, pp. 199 -220.

[55] H. Cordier, Histoire générale de la Chine et de ses relations avec les pays étrangers. Tome III Librairie Paul Geuthner, Parigi, 1920 pp. 318-332.

[56] G. Criveller, La controversia dei riti cinesi storia di una lunga incomprensione, in «I quaderni del museo », n.23, Milano, 2012, p. 12. Un’altra ricostruzione ci è fornita da D.E. Mungello, Source Malebranche and Chinese Philosophy, in «Journal of the History of Ideas »,Vol. 41, n.4 Oct.-Dec., University of Pennsylvania Press, 1980, nota 23, pp. 558-559

[57]J. Ries, I cristiani e le religioni dagli Atti degli Apostoli al Vaticano II, Milano, Jaca Book, 2006, pp. 352-356. Una raccolta dei documenti dibattuti nella Conferenza è stata data alla stampe in: Acta Cantoniensia authentica: in quibus praxis missionariorum Sinensium Societatis Jesu circa ritus Sinenses approbata est communi consensu patrum Dominicanorum, & Jesuitarum, qui erant in China; atque illorum subscriptione firmata. Nunc primum prodeunt transmissa ex Archivio Romano Societatis Jesu, cum accessione epistolae di. Ludovici de Cice’ (senza indicazioni editoriali ),1700. Una ricca raccolta di atti e documenti sulla controversia dei riti, dal 1646 al 1698, in Giacomo Fatinelli, Historia Cultus Sinensium, seu varia scripta de Cultibus Sinarum, inter Vicarios Apostolicos Gallos aliosque Missionarios, & Patres Societatis Jesucontroversis, oblata Innocentio Tertio Pontifici Maximo ex Sacra Congregationi Em.um Cardinalium dirimendae huic Causae praepositorum: Adjecta Appendice Scriptorum Patrum Societatis Jesu de eadem Controversia. Coloniae, s.t., 1700.

[58]Giuseppe Maria Tabagli, Giovanni Battista Benedetti, Baldassare Montecatin: Il disinganno contraposto de un religioso dell’Ordine de’Predicatori alla difesa de’Missionarii Cinesi della Compagnia di Giesù: Et ad un’altro libricciuolo Giesuitico intitolato L’esame dell’autorità e[tc] : parte seconda Colonia, Berges,1701, pp. 130-131, ma la vicenda, nelle pagine successive, è  ancor meglio  precisata.

[59]Una copia della Responsio “de lusitano idiomata versata in latinum   per fr , Antonio de santa Maria 32 ff datag 1661”, è conservata presso la Biblioteca Casanatese a  Roma,  come riporta E. Menegon, The Casanatense Library (Rome) and its China Materials. A Finding List, in « Sino-Western Cultural Relations Journal », XXII, Waco, TX, USA, 2000, p. 40. Liam Matthew Brockey, in Journey to the East: the Jesuit mission to China, 1579-1724, Cambridge, Belknap Press of Harvard University Press, 2007, p. 133, riferisce di un’altra copia che è una parziale versione dello scritto di Longobardo del 1620 nella nota a commento di questa affermazione: «Santa Maria (forse grazie a Jean Valat) trovò la “Resposta breve” di Longobardo nella residenza di Shandong dei Gesuiti nei primi anni del 1660. Due terzi del trattato erano stati bruciati, ma l’introduzione – una discussione sulla cosmologia cinese e le interviste di Longobardo ai letterati sui termini controversi – era intatta. Santa Maria inviò una traduzione latina ai cardinali della Propaganda Fide, l’organo ecclesiastico romano responsabile degli affari missionari. Questo testo è stato stampato in diverse lingue in Europa dai rivali della Società, eppure i volumi mancavano degli avvertimenti di Longobardo che avvertivano il lettore che i suoi argomenti potevano essere correttamente compresi solo nel contesto degli altri trattati di João Rodrigues, Sabatino de Ursis, Alfonso Vagone e Diego de Pantoja. Per la lettera di Santa Maria, vedi Antonio de Santa Maria ai Cardinali della Propaganda Fide, [Jinan?], 29 marzo 1662, APF Scritture Riferite nei Congressi, Indie Orientali Cina, 1: 23r / v. »: Ivi, p. 444.

Un altro scritto di Longobardo sempre riprodotto da Santa Maria è conservato presso la BNF: https://archivesetmanuscrits.bnf.fr/ark:/12148/cc35020j 

Una copia della Responsio autenticata nel 1662 dal domenicano Juan Bautista Morales  è l’origine del Trattato di Navarrete: M. Catto, L’ateismo dei cinesi in Matteo Ricci e Niccolò Longobardo, in www.giornaledistoria.net, p. 10. Su Antonio di Santa Maria o Caballero si veda: A. Van Den Wyngaert, Sinica franciscana: Vol. 2., Relationes et epistolas fratrum minorum saeculi 16. et 17. / collegit, ad fidem codicum redegit et adnotavit p. Anastasius Van Den Wyngaert, Firenze (Quaracchi) : Tip. Barbera, Alfani e Venturi, 1933, pp. 317-606.

[60]Domingo Navarrete, Tratados históricos, políticos, éthicos y religiosos de la monarchia de China, I, Madrid, 1676.  Il Trattato contiene, alle pp. 246-289, la Respuesta breve sobre las controversias de el Xang  ti …., ossia la traduzione spagnola della Responsio di Longobardo, che, come dichiara Navarrete, si basa sull’originale conservato nell’Archivio di Propaganda Fide di Roma che ne autorizza altresì la pubblicazione: Ivi, p. 245.

Il Trattato, secondo quanto riporta Intorcetta, per mano del gesuita Vallat, venne in possesso di Santa Maria che lo tradusse anche in spagnolo: R.P.Prosperi Intorcetta Societatis Jesu. Testimonium de cultu sinensi, datum anno 1668, Parigi, 1700, p. 227.

La copia di cui parla Intorcetta, riferendo la testimonianza dei padri Francesco de  Ferrari e Adam Shall, è l’unica  salvatasi dalle fiamme ordinate  dai due superiori nel 1649: “igne combusti anno 1649”: R.P. Prosperi Intorcetta. Testimonium cit., p .226.   Come precisa Criveller, si tratta del rapporto di Nicolò Longobardo bocciato dai confratelli nel gennaio1628 in occasione della conferenza di Hángzhōu che si presumeva distrutto, secondo la pratica di cancellare, quando vi fossero, le evidenze dei disaccordi: G. Criveller, La controversia dei riti cinesi storia di una lunga incomprensione, in « I quaderni del museo », n.23, Milano, 2012, p. 12.

La posizione del Bartoli, nella sua opera La Cina del 1663, alle pp. 895-898, è  in difesa delle soluzioni ricciane, contro  ogni oppositore anche interno  alla compagnia stessa; dura, ad esempio, è la sua reprimenda  nei confronti dei gesuiti giapponesi ai quali rimproverava di intervenire su questioni che riguardavano il confucianesimo e non il buddismo che loro conoscevano meglio; né  va dimenticato che la sua stessa opera di “Istorico della Compagnia in lingua volgare”, cioè L’Asia, va considerata come rientrante nelle azioni apologetiche messe in campo dalla Compagnia sotto attacco per la questione dei Riti. Si vedano: W. Yinlan, La Cina di Daniello Bartoli, Roma, Urbaniana University Press, 2014, pp. 33-34; D. Bartoli, L’Asia Istoria della Compagnia di Gesù, a cura di Umberto Grassi, Introduzione di Adriano Prosperi, Contributi di Elisa Frei, Torino, Einaudi, 2019.

Parimenti in un’ottica apologetica va vista la pubblicazione del De Christiana expeditione apud sinas suscepta ab Societate Jesu. Ex P. Matthaei Riccii eiusdem Societatis commentariis Libri V: Ad S.D.N. Paulum V. In Quibus Sinensis Regni mores, leges, atque instituta, & novae illius Ecclesiae difficillima primordia accurate & summa fide describuntur auctore P. Nicolao Trigautio, Belga, ex eadem Societate, Augsburg,1615, che si inserisce nel clima della controversia: G. Ricciardolo, Oriente e Occidente negli scritti di Matteo Ricci, Napoli, Chirico, 2003, pp. 176-194.

[61]Stralci dell’opera di Longobardo, anche in Apologia de padri Domenicani missionarii della China; o pure risposta al libro del padre Le Tellier Giesuita, intitolato difesa de nuovi christiani, e dilucidatione del P. Le Gobien della stessa Compagnia, sopra gli honori, che li Chinesi prestano à Confucio, ed a i morti. Per un religioso dottore, e professore di teologia dell’ordine di S. Domenico, Colonia, Cornelio D’Egmon,1699, p. 206.

[62]Apostolic Legations to China of the eighteenth century, a cura di Sisto Rosso, cit., p.124.

[63] D. Navarrete, Tratados históricos, cit., p.125.

[64] Apostolic Legations to China of the eighteenth century, a cura di Sisto Rosso, cit, p.124.

[65]Zhang Kai, Diego de Pantoja Y China, Editorial Popular, Madrid, 2018, nello specifico pp. 279-329; Diego De Pantoja, Sj (1571-1618) Un puente con La China de los Ming, a cura di Wenceslao Soto Artuñedo Xerión, 2018. Su Diego Pantoja (1571-1618): Voce, a cura di J. Sebes, in Diccionario cit., p. 6147.

[66] Traité Sur Quelques Points De La Religion Des Chinois Par le R.P. Nicolas Longobardi, Ancien supérieur des missions de la Compagnie de Jésus à la Chine  Imprimé à Paris l’an 1701, auquel on a joint quelques remarques de M. G. W. Leibniz.  Si veda: F.Perkins, Leibniz and China: A Commerce of Light, Cambridge University Press, 2004, p. 159

[67] E. Corsi, Niccolò Longobardo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Treccani, 2005, 65, pp. 716-720.

[68] G.W. Leibniz, Lettre sur la philosophie chinoise à M. de Rémond, in Opera Omnia, Tomo IV, Genève, chez Fratres de Tournes, 1768, p.171.  La Parte I contiene altri scritti di Leibniz  sulla  Cina,  le pp. 89-144 contengono il Trattato di Longobardo.

[69] G. W. Leibniz, The Leibniz–Des Bosses Correspondence, a cura di Daniel Garber e Robert C. Sleigh, Jr., Yale University, 2007, p. 359.

[70] M. R. Antognazza, Leibniz una biografia intellettuale, Milano, Hoepli, 2015, pp. 605-606; M. Laerke, On religions, in Leibniz e la cultura enciclopedica, a cura di Massimo Mori, Bologna, Il Mulino, 2018, pp. 265-266. Inoltre, come riporta Franklin Perkins, alla base del Discours sur la théologie naturelle des Chinois (1716) di Leibniz,  ci sono due scritti: Confucius, Sinarum Propaganda Philosophus, sive Scientia Sinensis latina exposito studio et operâ Properi Intorcetta, Christiani Herdtrich, Francisci Rougemont, Philippi Couplet, PP. Soc. Jesu, Parigi 1687,  e il  Trattato di Longobardo: F. Perkins, Leibniz and China: A Commerce of Light, Cambridge University Press, 2004, p. 159. Sul gesuita Intorcetta (1625-1696): F. M. Abbate, Prospsero Intorcetta un gesuita piazzese missionario in Cina, Caltanissetta, Edizioni Lussografica, 2018.

Per una ricchissima raccolta di lettere di Leibniz con i gesuiti missionari in Cina, si veda: G. W. Leibniz, Der Briefwechselmit den Jesuiten in China(1689 – 1714),Herausgegeben und mit einer Einleitung versehen von Rita Widmaier Textherstellung und Ubersetzung von Malte-Ludolf Babin Felix Meiner Verlag  Hamburg, 2006. Secondo Spence, per Leibniz la questione della natura dei riti era un aspetto di secondaria importanza, mentre egli era più interessato ai contenuti  propriamente filosofico-morali del confucianesimo: J. D. Spence, Les Chinois vus par les Occidentaux, de Marco Polo à nos jours, Société et cultures de l’Asie, ‘Université de Montréal, 2000, p. 108.  Per un’approfondita analisi delle influenze della cultura cinese sull’opera e sul pensiero filosofico di Leibniz si rinvia a: D. E. Mungello, Leibniz and Confucianism: The Search for Accord, University Press of Hawaii Honululu, 1977.

[71] I. Klutstein-Rojtrnan, R.J. Zwi Werblowsky, Leibniz: De cultu Confucii civili, in «Studia Leibnitiana», n. 16, 1984, p. 98.

[72]F. Piro, Che cosa è precisamente un ‘culto civile’?Un confronto tra le strategie accomodazionistiche di Intorcetta e Leibniz”, in Prospero Intorcetta S.J.: Un Siculus Platiensis nella Cina del XVII secolo, a cura di Antonino Lo Nardo, Vanessa Victoria Giunta, Giuseppe Portogallo, Fondazione Prospero Intorcetta Cultura Aperta, Piazza Armerina, 2018, pp. 174-184.

[73] R. Eteimble, Conosciamo la Cina? La Cina ieri e oggi, Milano, Il Saggiatore, 1972, p.74. Più recentemente il gesuita sinologo Standaert ha messo in evidenza come il più grande errore fatto dalla Chiesa nel dirimere la Questione dei Riti fu quello di non aver tenuto debitamente conto del parere degli intellettuali cinesi: N. Standaert, Chinese Voices in the Rites Controversy Travelling Books, Community Networks, Intercultural Arguments Bibliotheca Instituti Historici, V. 75, Roma, 2012.

[74] Lettre sur la Philosophie Chinoise à M. de Rémond par Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) Genève, chez Fratres de Tournes, 1748.  La traduzione italiana del Trattato, insieme ad altri scritti di Leibinz sulla Cina, si trova in G. W. Leibiniz, La Cina. Presentazione di Carlo Sini, Milano, Spirali, 1987.

[75] E. Ducornet, La Chiesa e la Cina, Milano, Jaca Book, 2008, p. 32; C. Giraudo, Se Matteo Ricci fosse sbarcato in Madagascar… La sacramentaria del 3° millennio: una tradizione in cerca di traduzione, in L’inculturazione della prassi sacramentaria: una traduzione?, a cura di A. Gasperoni e B. Selene Zorzi, Assisi, Cittadella Editrice, 2012,  p. 93.

[76]J. E. Wills Jr., The World from 1450 to 1700, The Oxford University Press 2009, p. 43.

[77] C. Von Collani, Charles Maigrot’s Role in the Chinese Rites Controversy, in The Chinese Rites Controversy. Its History and Meaning, a cura di David E. Mungello, Monumenta Serica Monograph Serie 33, Steyler Verlag, Nettetal 1994, pp. 149-183.

[78] G. Dell’Oro, Oh quanti mostri si trovano in questo nuovo mondo venuti d’Europa: vita e vicissitudini di un ecclesiastico piemontese tra Roma e Cina: Carlo Tommaso Maillard de Tournon 1668-1710, in «Annali di storia moderna e contemporanea», 1998, anno IV, n. 4 p. 325.

[79]M. Fatica, Il Portogallo, la Santa Sede e la legazione di Carlo Tommaso Maillard de Tournon in India e in Cina (1704-1710), in L’Orientalistica a Napoli. Atti dei convegni internazionali Il Portogallo in Cina e Giappone nei secoli XVI-XVII (Napoli, 12-13 maggio 2014) e Riflessi europei della presenza portoghese in India e nell’Asia orientale (Napoli, 4 maggio 2015), a cura di Rosaria de Marco, Napoli, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, 2017, p. 207;

Su de Tournon: Voce, a cura di Giacomo Di Fiore, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 67, 2006, on line.

[80] M. Biffi, Ridefinizione del sinocentrismo come criterio ermeneutico della diplomazia cinese. Modelli teorici, strategie attuative e riferimento alle relazioni con la Santa Sede, Padova, Cedam, 2019, pp. 99-105. Come sottolinea Gagliardi, la  controversia fu gestita da parte  di Roma e Pechino in un clima di “reciproca intransigenza”:  E. Gagliardi,  L’inculturazione del cattolicesimo in Cina da padre Matteo Ricci a Pio XI, in « Cultura e Identità », Anno II, n. 7, settembre -ottobre Roma, 2010, p. 66.

[81] V. Cronin, Il saggio dell’Occidente (1552-1610 ), Milano, Bompiani, 1956, p. 345.

[82]Collectanea S. Congregationis de Propaganda Fide Seu decreta instructiones rescripta pro apostolicis missionibus Vol.I 1622- 1866,  Typographia Polyglotta Roma, 1907, pp. 39-40.

[83] Su Provana, si veda: Voce, a cura di Eugenio Menegon, in Dizionario Biografico degli Italiani,Volume 85, 2016, on line.  G. Criveller, Messaggio dell’imperatore Kangxi a Papa Albani sulla controversia dei riti cinesi, in «L’Osservatorio Romano»,  22/08/ 2109,  p. 4.

[84]F. Vossilla, Artistic diplomacy during and after the Rites Controversy, in Ferdinando Moggi (1684-1761). Architetto e gesuita fiorentino in Cina, a cura di S. U. Baldassarri, C. Cinelli, F. Vossilla, Firenze, Pontecorboli Editore, 2018, p. 25 .

[85] Sostegno Maria Viani, Historia delle cose operate nella China da Monsignor Gio. Ambrogio Mezzabarba, patriarca d’Alessandria, legato apostolico in quell’Impero, Monsù Brianson, Parigi, 1739.

[86] P. Corradini, La Cina  – Storia Universale dei Popoli e delle Civiltà,  Volume XIX, Torino, UTET, 1969 p. 217.

[87] Su Castorano: Voce, a cura di Michela Catto, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 79, 2013, on line; G. Di Fiore, La Legazione Mezzabarba in Cina (1720-1721), Istituto Universitario Orientale, Collana “Matteo Ripa” VII, Napoli, 1989.

[88] Confirmatio, et innovatio constitutionis incipientis: ex illa die: a Clemente papa XI. In causa ritum, seu ceremoniarum Sinensium editaeRomae: ex Typographia reverendae Camerae Apostolicae, 1742.

[89] A. Santini, Cina e Vaticano dallo scontro al dialogo, Roma, Editori riuniti, 2003, p. 49.

[90] H. Kung, J. Ching, Cristianesimo e religiosità cinese, Milano, Mondadori,1988, p. 257.

[91] G. Greco, Benedetto XIV Riforme e conservazione, Roma, Salerno editore, 2011, p. 161.

[92] Storia della Chiesa, Vol.XXIV ( 1846-1965 ), a cura di Josef Metzerl, Cinisello Balsamo, Ed. San Paolo, 1999, p. 111.

[93] Plane compertum est in Orientalium Regionibus nonnullas caeremonias, licet antiquitus cum ethnicis ritibus connexae essent, in Acta Apostolicae Sedis Commentarium Officiale Annus X X X I I- Series  II- Vol. VII; Romae, Tipys  Polyglottis Vaticanis 1940, pp. 24-27.

[94] Tacchi Venturi dal febbraio 1923 riveste il “ ruolo informale di  incaricato d’affari”  della Segreteria di Stato della Santa Sede: G. Sale, La chiesa di Mussolini. I rapporti tra fascismo e religione, Milano, Rizzoli,2011, p. 90. L’11 febbraio 1932, Mussolini  si reca in visita ufficiale in Vaticano e responsabile dei preparativi è proprio Tacchi Venturi, come riporta un altro storico gesuita, Giacomo Martina, in Storia della Compagnia di Gesù in Italia (1984- 1983 ) Brescia, 2003, p. 264. Sul ruolo diplomatico svolto da Tacchi Venturi si rinvia a: S. Palagiano, Pio XI e Pietro Tacchi Venturi SJ, in Pio XI e il suo tempo, Atti del Convegno Desio, 10 Febbraio 2018, a cura di Franco Cajani, in  «I Quaderni della Brianza», anno 498, n.184, 2018, pp. 545 -565; sul suo contributo alle vicende editoriali dell’Enciclopedia Italiana: G.Turi, Il Mecenate il filosofo e il gesuita. L’ «Enciclopedia Italiana » specchio di una nazione, Bologna, Il Mulino, 2002.

[95] R. Etiemble, Conosciamo la Cina ? La Cina ieri e oggi, Milano, Il Saggiatore, 1972, p. 66.

[96]Ivi, pp. 66-67; M. Catto, Atheism: A Word Travelling To and Fro Between Europe and China, in The Rites Controversies in the Early Modern World, a cura di G. Županov e Pierre Antoine Fabre, Brill 2018, pp. 68-88.

[97] J. Wrigth, in I gesuiti storia mito e passione, Roma, Newton Compton, 2005, p. 160, dice: “ La cultura che distrusse la Compagnia doveva la maggior parte dei propri svaghi e mode ai reportage dei missionari gesuiti”.

[98] L. Lanciotti, Che cosa ha veramente detto Confucio, Roma, Astrolabio Ubaldini Editore,1997 p. 104; V. Pinot, Les physiocrates et la Chine au XVIIIe siècle, in «Revue d’histoire moderne et contemporaine»,tome 8, n.3,1906, pp. 200-214.

[99] F. Marcolungo, La nozione di progresso in Christian Wolff: tra metodo matematico, logica e impegno etico, in Modernità e progresso Due idee guida nella storia del pensiero, a cura di Gregorio Piaia e Iva Manova, Padova, CLEUP, 2014, pp. 99-100; M. Campo, Cristiano Wolff e il razionalismo precritico Vol. 2 Vite e pensiero, Miano 1939, pp. 519-520.

[100] Voltaire, Il secolo di Luigi XIV, 1739,1752, con Saggio di Giovanni Macchia, Introduzione a cura di Enrico Sestan, traduzione Umberto Morra, Torino, Einaudi,1994.

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