a cura del Comitato Festa Patronale
Nel 1118 la contessa Teodora di Lecce decise di costruire una chiesa, dedicata alla Madonna, da donare a suo fratello Goffredo e ai suoi soldati veterani che pattugliavano i confini della contea salentina.
Ciò contribuì a indicare queste terre come quelle dei “Veterani”, per cui anche la chiesetta costruita dalla contessa prese il titolo di “Santa Maria della Vetrana”, che diede poi il nome al piccolo borgo formatosi intorno.
Non fu allora difficile ai soldati leccesi diffondere fra gli abitanti la devozione verso il proprio concittadino, San Biagio.
E così, con le offerte di tutta la popolazione e l’aiuto dei monaci basiliani, che contribuirono ad alimentare la devozione verso questo santo, fu costruita un’altra piccola chiesetta, fornita di tutto l’occorrente per la celebrazione della Santa Messa; e in essa i soldati lasciarono, come dono alla popolazione, una reliquia del santo.
Tuttavia, a causa delle incursioni dei Saraceni, presto la popolazione dovette abbandonare il piccolo borgo per rifugiarsi dentro le mura del torrione fortificato. Ma la chiesetta di San Biagio non perse la sua importanza e divenne meta giornaliera di pellegrinaggio da parte dei fedeli.
Passarono i secoli e la vita scorreva tranquilla nel piccolo borgo fortificato della Vetrana quando, improvvisamente, il 20 febbraio 1743, nelle prime ore del pomeriggio un violento terremoto si abbatté sulla città e su tutto il Salento, mietendo inaspettatamente pochissime vittime.
Le violente scosse fecero crollare la chiesa matrice e parte del Torrione; non vennero risparmiate nemmeno la chiesa costruita secoli prima dalla contessa Teodora e la chiesetta di San Biagio, come del resto buona parte delle abitazioni del paese.
La popolazione si riversò impaurita per le piazze e lì vide il miracolo: apparve San Biagio, nelle vesti di vescovo glorioso, che appoggiò al suolo il pastorale che aveva tra le mani, fermando le violente scosse e soccorrendo la popolazione che lo pregava incessantemente da secoli.
Da allora non ci fu casa che non custodisse un’immagine di “Santu Lasi” (come veniva affettuosamente chiamato nel vernacolo locale), in onore del quale ardeva giorno e notte, come segno di gratitudine, una lampada ad olio, che sembrava veicolare poteri curativi. Infatti, quando qualcuno della famiglia aveva a che fare con tosse, laringiti o faringiti, la donna più anziana intingeva le dita in quell’olio e ungeva la gola del malato.
Nella nuova chiesa matrice fu dedicato a San Biagio il primo altare della navata sinistra; fu quindi commissionata una tela che non lo rappresentasse nell’atto di guarire il bambino che soffocava, ma che ricordasse, a perenne memoria, il patrocinio e la protezione che il santo vescovo elargì a tutta la popolazione avetranese.
Da quel lontano 1743, ogni anno si rinnova il legame tra gli avetranesi e il loro glorioso patrono San Biagio. E, per ringraziare della particolare protezione concessa, viene organizzata in suo onore una delle feste più belle del Salento.
Uno dei tanti esempi che rendono moderno il Salento rinnovando semplicemente le sue (invidiate) tradizioni. Tradizioni popolari ma anche religiose messe a dura prova dall’indifferenza