ANDREA LO BUE
Il colore domina incontrastato le opere di Andrea Lo Bue, giovane pittore galatinese che si approccia all’arte con piglio e fierezza. I suoi grovigli di colore rimandano subito, come importante referente, a Jackson Pollock, il grande pittore americano principale esponente dell’Action painting. L’utilizzo dei materiali più disparati, l’astrattismo e una componente di forte sperimentazione sono le caratteristiche principali di questo tipo di pittura del cui insegnamento sembra che Lo Bue sia permeato.
Figlio di Giorgio Lo Bue, studioso di storia locale molto conosciuto a Galatina, Andrea, diplomato perito industriale, è un pittore autodidatta. E’ lui stesso a dirci di essersi avvicinato all’arte dopo aver constatato di provare grandi emozioni ed è così nata una grande passione. Ha prodotto moltissimi quadri, prima su ciò che capitava: compensati, muri e cartoni, successivamente su tela. Ha sperimentato diverse modalità di dipingere: pennelli, spatole, mani, con spruzzi, e ha voluto sempre ricercare qualcosa che lo emozionasse. Le misure delle tele dipinte vanno da 40×40 cm. a 2,50×2,50 m. Oggi preferisce pitturare tele delle dimensioni 100×70 cm., ma si avventura in pitture composte da più tele o da tele che oltre ai colori sono invase da trucioli metallici ricavati al tornio. Troviamo, in queste opere, versamento di colore, tensione verso l’Informale, la pittura per la pittura. Sicuramente un promettente esordio che lascia intravedere ampi margini di crescita umana e artistica. Seguiremo con interesse il percorso appena tracciato di Andrea Lo Bue.
LUIGI PISANELLI
Interessante esordio, questo di Luigi Pisanelli, con Tornerà la lepre a Buna (Musicaos Edizioni, 2019). Il giovane scrittore parabitano racconta, per immagini, sensazioni, suggestioni, attraverso una scrittura che definirei cinematografica, dinamica, molto contemporanea, la storia di una generazione, la sua, cresciuta nel Salento e poi trasferitasi per motivi di studio al Nord, all’imbocco di quella perigliosa strada che è la maturità, fra speranze, sogni infranti, conquiste e sconfitte. È “la linea d’ombra”, per dirla con Conrad, che ha condizionato ed ispirato tante menti geniali nella storia della letteratura. Così, fra le varie tappe che costellano questo romanzo, ecco dipanarsi il bandolo della matassa, ovverosia il sinuoso percorso, esistenziale prima che geografico, dell’autore, protagonista diegetico dell’opera. Infatti, lo scrittore è l’io narrante del romanzo, racconta in prima persona le vicende narrate. Si sente, forte, l’imprinting di certa letteratura americana, in particolare la letteratura di viaggio, e poi Kerouac e gli autori della Beat Generation. Solido basamento dell’opera, le ottime letture dell’autore, che dissemina citazioni a piene mani nel corso delle pagine. Pisanelli ha il culto della bella scrittura, si avverte la sua robusta formazione classica.
Il passaggio dell’età è un topos per un romanzo di formazione, come questo libro è stato definito, anche se la sua struttura è più diaristica e, a tratti, direi, cronachistica, data la fluviale lunghezza dell’opera, che non permette di mantenere alta l’attenzione dall’inizio alla fine. Pisanelli procede per accumulo, probabilmente nella foga di chi ha tanto da dire e non sa arginare l’empito. Vi sarebbe materia per più libri. Il romanzo manca di un centro focale, di una storia vera e propria, e ad orchestrare personaggi e situazioni è la notevole capacità dell’autore che li muove, apparentemente senza un progetto, una visione d’insieme, ma in base al flusso continuo della scrittura. La forza centrifuga sbalza i personaggi verso l’universo caotico, magmatico, del libro, che comunque si segnala all’attenzione del lettori per freschezza, vivacità, brio e per l’ottima predisposizione dell’autore all’affabulazione. Sicuramente il talento di Pisanelli porterà presto prove più mature.
PAOLO PREITE
Un artista che si segnala alla nostra attenzione, Paolo Preite, romano ma ruffanese d’origine, e un disco notevole il suo, per essere un’opera prima. Certo, le collaborazioni con musicisti di grosso calibro giocano una parte importante, soprattutto nel rendere il suono più internazionale, ma quello che “fa” il disco è il mondo artistico del suo autore, che infatti firma musica e testi di quasi tutti i brani. Sospeso fra folk e soul, si apprezzano certe atmosfere rarefatte, quasi sospese, in alcuni pezzi. Si potrebbe definire un crooner in salsa rock. Il mix fra musica e parole funziona, c’è un perfetto bilanciamento e la scelta di cantare in inglese premia Paolo Preite perché la sua voce, che non è dotata di grandi estensioni, è però molto calda, pastosa, e può giocare nel cantato con le allungate e le sfumate che la lingua inglese, a differenza di quella italiana, consente. La sua voce ricorda un po’ quella di James Taylor ma non ha debiti scoperti verso i suoi maggiori, ossia non si evince, dall’ascolto, quali siano state le sue influenze musicali: ciò è sicuramente positivo, nel senso che Preite cerca un proprio percorso, una cifra stilistica originale che sicuramente raggiungerà. I testi sono quasi tutti di buon livello, tranne quello in italiano che è il punto più debole di tutto il lavoro e richiama un easy listening tipico di boy band come Dear Jack o Modà, assolutamente da evitare per chi abbia scelto un percorso autorale. Vero che quello del cantautorato italiano è un terreno minato ed il confronto può apparire troppo alto per un esordiente. Ma, per non virare su un pop facile, che darebbe dei risultati più immediati ma porterebbe su un territorio da cui non si ritorna, possiamo consigliare a Paolo Preite che continui sulla strada intrapresa e, citando il titolo del suo cd, non smetta di sognare.