di Paolo Vincenti
Meritoria iniziativa, questa dell’Associazione Nazionale dei Sottufficiali d’Italia – Sezione di Matino, ANSI, di ricordare il carabiniere Antonio Ferrari, soldato nella Guerra di Etiopia.
L’opuscolo intende ricostruire la vicenda biografica del carabiniere Ferrari inquadrandola all’interno del macro contesto, la campagna d’Africa, in cui si svolse. Imbarcatosi da Napoli, Ferrari giunse in Somalia nell’aprile del 1936. Un volta in Etiopia, nella Regione dell’Ogaden, si distinse nella battaglia di Gunu Gadu. Cadde sul campo da eroe, gridando “Viva l’Italia!”. Fu decorato sul campo della Medaglia d’Argento al Valor Militare “alla Memoria”.
Fu grande il tributo di sangue pagato dall’Italia nella guerra, voluta da un regime fascista in cerca di riabilitazione agli occhi della comunità internazionale. La propaganda politica ebbe aggio nell’accreditare quella che di fatto era una guerra di conquista, condotta da una potenza coloniale, inoculando nelle coscienze ancora scosse dagli orrori della Prima Guerra Mondiale uno spirito di rivalsa, rinsaldando un sentimento nazionalista col quale dare fondamento alla campagna d’Africa.
Il carabiniere Ferrari, al pari di tanti altri caduti, non fu solo una pedina di questa fatale scacchiera, giacché “nessun uomo è un’isola”, per dirla coi versi del poeta John Donne. Egli era consapevole di essere parte integrante di una comunità, sentiva, forse più d’altri, l’amore per la patria e più di altri era disposto per essa al sacrificio estremo. “Fu vera gloria?” si chiedeva Alessandro Manzoni ne “Il cinque maggio”.
Per i posteri, ovvero i colleghi carabinieri italiani, e in ispecie per la piccola patria, Matino, quella del commilitone Ferrari fu vera gloria, tanto vero che la locale sezione dell’Ansi è a lui intitolata, vi è una lapide in una Caserma del Comando Interregionale dei Carabinieri di Roma in cui è inciso il suo nome fra i decorati, ed inoltre è stata a lui intitolata una strada di Matino.
Comprensibili l’afflato, la compartecipazione, finanche l’orgoglio, con cui si esprimono i curatori dell’opuscolo. Essi hanno, per il soldato Antonio Ferrari e per il suo eroico gesto, parole di accorata vicinanza, che esulano dalla scontata e un po’ gonfia retorica patriottarda cui siamo abituati. È, la loro, una corrispondenza di accenti, che scaturisce non solo dalla comune appartenenza all’arma dei carabinieri, ma è una colleganza dell’anima prima ancora che di bandiera. L’esperienza umana del soldato Antonio Ferrari e l’impegno dell’ANSI per ricordarlo ci testimoniano ancora una volta l’importanza della storia patria e il dovere della memoria affinché ciò che è stato non vada perso nella superficialità di questi tempi distratti.